Cap 11: Travel (part I)


«Devo comprare qualche nuovo maglione, quelli dell'anno scorso mi vanno tutti stretti!», dissi a Mya, trascinandola dentro un negozio d'abbigliamento femminile dai capi super scontati.
Arricciò il naso e sospirò, entrando di malavoglia.
«Secondo me dovresti comprare solo una bella tuta da sciatore, ti coprirebbe abbastanza e non soffriresti il freddo», evidenziò, facendo spallucce come se la cosa fosse ovvia.
Le lanciai un'occhiataccia.
«E farei felice te, visti tutti i vestiti che hai scartato al mio posto per motivi che ancora non so!».
Mosse un dito sul suo capo, disegnando un'aureola nell'aria. Scossi la testa, roteando gli occhi, e mi diressi verso il reparto invernale. Mya mi seguì a ruota, ma si fermò di fronte ad alcune camicette primaverili e pantaloncini estivi.
D'altronde, l'estate era ormai alle porte e anche lei aveva bisogno di roba nuova. I sei giorni precedenti erano stati fantastici, avevamo mangiato caramelle, pizza e pop corn quasi tutte le sere di fronte a film di ogni genere, avevamo parlato moltissimo - più di me che di lei, ma Mya era fatta così... sapeva ascoltare molto meglio di quanto sapesse parlare di sé -, ci eravamo prese in giro, fatte il solletico, prese a cuscinate, pasticciato dolci in cucina e, in una di queste sei sere, mia madre le aveva permesso perfino di dormire di nuovo a casa nostra. Sembrava molto felice del fatto che avessi trovato una nuova "amica", anche se io e Mya non eravamo più semplici amiche - sebbene il nostro rapporto d'amicizia fosse sempre stato un po' particolare -, e questo la rendeva più simpatica anche ai miei occhi, visto che mi permetteva di fare molte più cose che invece prima mi proibiva di fare. Era come se vedesse in lei una sorta di sorella maggiore, una figura capace di proteggermi, e questo faceva sì che, per esempio, mi lasciasse libera di restare sveglia fino a tardi la sera anche se l'indomani dovevo alzarmi presto per andare a scuola, proprio perché sapeva che c'era Mya a farmi compagnia e finché c'era lei poteva stare tranquilla. Mi aveva perfino lasciata libera di fare una passeggiata in centro anche se non era lei ad accompagnarmi e a venire a riprendermi, cosa che avrei soltanto potuto sognarmi se Mya non mi avesse seguito a ruota. La vedeva come una sorta di cosa positiva capitata a fagiolo nella mia vita solitaria, e così la vedevo anch'io, che in qualche modo mi sentivo più piena e meno abbandonata.
In quei giorni mi aveva anche chiesto cosa avessi intenzione di mettere in valigia prima di partire, ed io mi ero sottoposta ad uno svuotamento estremo di cassetti alla ricerca di ogni indumento decente e invernale che avessi a disposizione - e che mi stesse ancora, soprattutto. Il risultato finale non era stato molto scarso, ma a detta di Mya molti dei miei maglioni non andavano bene perché erano troppo scollati e avrei potuto prendere freddo.
Certo. E io sono Lady Gaga.
Avevo cercato di non sorridere della sua gelosia malcelata e avevo proposto di andare a fare compere: lei per un attimo aveva accettato, ma in quel momento, dopo aver girato altri tre negozi che non mi avevano entusiasmata per niente, ero più che sicura che si fosse pentita di essersi dimostrata disponibile con così tanta fretta. Se magari avesse saputo probabilmente mi avrebbe detto di andare da sola.
Alla fine però non tutto il male veniva per nuocere, e anche lei ne stava approfittando per fare nuove compere per l'estate.
Sfilai una serie di maglioncini colorati dalle grucce, alcuni anche di taglie diverse per vedere se "attillato" fosse meglio di "morbido" e viceversa, poi mi allontanai dai ripiani su cui quest'ultimi erano stati sistemati e gironzolai un po' per il reparto jeans e giacche. Anche qui presi qualcosa di ogni genere e poi richiamai alla mia attenzione Mya, chiedendole di tenermi la tenda del camerino mentre provavo i vestiti.
Alla fine mi resi conto che colori come il marrone e il grigio mi si addicevano molto più di colori come il pesca e il verde acqua, che volevano farla in barba all'inverno, e allo stesso modo mi resi conto che "morbido" funzionava molto più di "attillato". Probabilmente quella regola valeva soltanto per me però, perché ero più che sicura che una come Meg o Linda non avrebbe mai preso un maglione morbido: visto che fa freddo e bisogna coprirsi, almeno si compensa l'assenza della pancia scoperta e delle braccia nude con la stoffa aderente!
Acquistai anche due paia di pantaloni felpati cuciti con una stoffa dalla fantasia quasi azteca, un paio di scarpe da montagna e una giacca felpata e caldissima che mi fece sudare le mani nonostante il poco tempo che impiegai a portarla al bancone della cassa.
«Soddisfatta?», chiese Mya una volta terminato il nostro tour di shopping, posando sul sedile posteriore della Volvo nera tutte le nostre buste. Mi allacciai la cintura e aspettai che si sedesse accanto a me per risponderle.
«Sì, credo di sì!», le sorrisi.
Si abbassò gli occhiali da sole sugli occhi e si passò una mano tra i capelli, ravvivando i ciuffi più lunghi.
Mise in moto ed innestò la prima marcia, sistemando lo specchietto retrovisore.
«Cos'hai comprato tu?», l'interrogai curiosa.
«Della roba figa per gente figa. Cose che non fanno per te», si voltò verso di me e mi fece l'occhiolino, tornando a guardare la strada. Le misi il broncio e le tirai una gomitata, incrociando le braccia.
«Sei proprio una stronza insopportabile e arrogante!», mi lamentai, guardando fuori dal finestrino.
«Non hai bisogno di vestiti carini per essere bella, Nana», puntualizzò seria. Mi distrassi pensando a quest'ultima frase: forse lei comprava quel tipo di vestiti perché credeva di non essere abbastanza bella da poter indossare qualsiasi cosa ed essere comunque carina a modo suo?
Qualcosa mi diceva che era sempre la sua solita stupida maschera a parlare.
Le feci una pernacchia e continuai a guardare fuori.
Rise.
«Sul serio, sei bella così come sei. Non hai bisogno di cappellini, sciarpe firmate o magliette che serrano la circolazione sanguigna».
Si fermò sotto casa mia e spense il motore, slacciandosi la cintura e sistemandosi con le mani dietro la testa lungo il sedile.
Sperando che non mi vedesse mi ritenni libera di poter sorridere soddisfatta. Nessuno aveva idea di quanto mi facesse piacere sentirla parlare così, era come un toccasana all'autostima, che di solito viveva perennemente ai piani bassi.
Ma molto, molto bassi.
«Allora...», cominciò, schiarendosi la voce. Chissà perché il mio ego stava cominciando a stiracchiarsi. «Pronta a divertirti?».
Annuii e lei sorrise.
«Fai attenzione».
«Promesso».
«Attenta a Scarlett», incalzò subito dopo, lanciandomi uno sguardo serio e penetrante attraverso gli occhiali scuri. Deglutii ed annuii, preoccupata.
Una delle mie preoccupazioni maggiori era appunto quella folle di Scarlett Manson; non ero sicura di quello che avrebbe fatto una volta in gita, ma qualsiasi cosa stesse escogitando per viversi quei giorni al massimo, speravo vivamente di restarne fuori così come il resto della classe che voleva godersi il viaggio e l'itinerario senza ulteriori gatte da pelare.
Mya allungò una mano e mi accarezzò una guancia, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, poi si sporse verso di me e si fermò a pochi millimetri dalle mie labbra, facendomi arrossire dalla testa ai piedi.
Sentii il suo respiro caldo condensarsi sulla mia bocca e rimasi immobile, desiderando con tutta me stessa di sentirla di nuovo. Non ci mise molto a colmare la distanza che intercorreva tra noi e a baciarmi con vigore e trasporto, un bacio così lungo e passionale da lasciarmi senza fiato. Le sfiorai i capelli, ricambiando il gesto, chiudendo gli occhi a causa dell'intensità quasi insopportabile con cui mi stava trascinando.
Mi allontanai di poco, tenendole però delicatamente il viso tra le mani.
«Mi chiami più tardi?», domandai col respiro corto, mordendomi il labbro inferiore.
Dio, sembrava di avere il cuore che minacciava di uscire fuori dal petto...
«Solo se adesso fai la brava e vai a sistemare per bene la valigia», chiarì, passandomi i pollici sulle gote. Non c'era molta confusione in zona, anzi a dir la verità i marciapiedi erano del tutto sgombri, ma fortunatamente i finestrini dell'auto erano del tutto oscurati e quindi, anche se qualcuno si fosse avventurato per quelle vie, di certo non ci avrebbe visto né avrebbe compreso cosa stavamo facendo.
«Okay, promesso», roteai gli occhi sorridendo, mentre lei annuiva piano piano e si allontanava tornando nella sua posizione d'origine.
«Ti chiamo nel pomeriggio, okay?».
«D'accordo», mormorai, poi mi allungai verso i sedili posteriori ed afferrai le mie buste.
Prima che potessi uscire dall'auto Mya mi afferrò per il braccio e mi guardò seria negli occhi.
«Non dimenticare di mettere il caricabatterie nella valigia», scossi la testa cercando di trattenere una risata che però trapelò leggermente.
Il suo sguardo e la sua serietà dicevano soltanto una cosa: è questione di vita o di morte.
Mi sentivo così lusingata e così felice...  


Nel pomeriggio sistemai la pila di maglioni e di jeans dentro la valigia, trovai un margine di spazio per la biancheria intima e le calze nuove, due flaconi di bagnoschiuma e shampoo, lo spazzolino, alcune magliette basic e quattro T-Shirt a maniche corte.
Ero più che soddisfatta di tutto ciò che avevo messo dentro, così sistemai il caricabatterie sul comodino in modo da non dimenticarlo l'indomani mattina e chiusi la valigia per bene, ponendola accanto ad un'anta dell'armadio.
Mandai un messaggio di testo a Mya e mi feci richiamare, elencandole tutto ciò che avevo sistemato nel bagaglio in modo da verificare se avessi dimenticato qualcosa. Appurato che ci fosse tutto, mi sdraiai sul letto e continuai la conversazione con lei, in pace:
«Tu che farai in questi giorni?», le chiesi, arrotolandomi una ciocca di capelli al dito.
«Lavorerò, devo recuperare un po' di serate mandate a puttane», fece la sua voce metallica dall'altra parte dell'apparecchio.
«Capisco... ci sono delle nuove serate in vista?», chiesi, consapevole del fatto che molto spesso la discoteca in cui lavorava attirava i suoi clienti proprio con le sue serate a tema.
Ci pensò su, poi esclamò: «Solo due, la serata universitaria e la serata liceale. Sarà un casino, dovrò chiedere documenti a tutti, soprattutto alla serata liceale, e sono più che sicura che qualche stronzo falsificherà le carte per farsi dare da bere, quindi dovrò avere mille occhi vigili», si lamentò, sospirando.
Chissà perché, un grosso macigno duro mi si formò al centro del petto, racimolando qualsiasi altro sassolino presente nei paraggi, togliendomi pian piano respiro e lucidità.
Cos'era? Preoccupazione? Gelosia? Preoccupazione mista a gelosia?
«Spero non venga troppa gente, così non ti stancherai...».
Ridacchiò dall'altra parte.
«Stai tranquilla, Nana. Andrà tutto bene. Nel caso in cui si presentasse molta gente, di certo non starò dietro alle donne come un'adolescente con gli ormoni sottosopra. Svolgerò il mio lavoro e basta. E poi, adesso non sono più tanto libera, non è così?».
Il mio cuore perse un battito, poi accelerò all'improvviso, costringendomi a prendere un profondo respiro prima di rispondere.
Il macigno si era appena dissolto.
«Che intendi?», abbozzai.
«Intendo dire che tra di noi c'è qualcosa adesso. Qualcosa di più profondo di una semplice amicizia, e non ho intenzione di tradire questo rapporto per una bottarella con la prima biondina alcolizzata di turno. Quindi stai tranquilla. Ah, e impara a mascherare la tua gelosia, Nana: un mostro giallo con gli artigli stava venendo fuori dal mio cellulare e minacciava di uccidermi!», rise di cuore e, sebbene il suo discorso m'imbarazzasse, non potei far altro che sorridere anche io.
«Okay, cercherò di sforzarmi un po' di più. Vado a tavola adesso, okay? Ti do la buonanotte più tardi», l'avvisai, mordendomi il labbro inferiore per l'emozione di quelle nuove abitudini che giorno dopo giorno stavo acquisendo.
«D'accordo, piccola. Buona cena», riattaccò ed io rimasi altri dieci secondi buoni lì sul letto, lo sguardo verso il soffitto e il cuore sottosopra, cercando di scacciare dalla mia testa quella voce roca e bassa talmente attraente da mettermi in subbuglio lo stomaco.
Poi andai a tavola e cercai di riempire la pancia e svuotare il cervello.


  La partenza fu alquanto turbolenta. Gli autobus avevano un numero preciso di posti a sedere pagati, ma dai documenti dei prof risultavano alunni in più che invece non avevano saldato perché non avevano voluto partecipare alla gita. Dopo aver sistemato tutti i conti l'autobus finalmente partì sebbene con tre quarti d'ora di ritardo. L'autista mise su un po' di musica e la maggior parte degli altri ragazzi cominciò a cantare a squarciagola, felici di essere partiti per un po' di tempo. Io mi concentrai su un libro fantasy, piuttosto.
Man mano che ci avvicinavamo a destinazione l'aria si faceva più fredda e rarefatta; fui costretta ad indossare un'altra giacca e il giubbotto poiché, sebbene l'autista avesse acceso i riscaldamenti, il loro effetto non si sentiva poi tantissimo.
Dal finestrino notai che più era la strada percorsa, più tutto intorno si tingeva di bianco. Non vedevo l'ora di arrivare a destinazione!
Dopo un'altra mezzora buona di viaggio l'autobus si fermò, annunciando l'arrivo. Ognuno di noi si premurò di occuparsi delle proprie valigie e della propria roba, e dopodiché fummo scortati dentro l'hotel che avevamo prenotato direttamente dal proprietario, un uomo basso e grasso dal viso bonario e dagli occhi piccolissimi.
L'edificio si presentava bene, possente, costruito con mattoncini rossi che davano un senso di calore e protezione in mezzo a tutto quel ghiaccio e a quella neve. Ad alcuni di noi venne consegnata la chiave della propria camera dentro la quale si sarebbero sistemati anche gli altri ragazzi, a seconda della camera di appartenenza, poi venimmo scortati in giro per il palazzo e ci venne mostrata la sala ricevimenti, la sala pranzo e la sala comune.
Alla fine presi la mia roba e la trascinai al terzo piano, bussando alla porta della camera numero sette. Attesi finché una ragazzina dai capelli biondicci e corti alla nuca non venne ad aprirmi, sorridendomi.
«Ehi, ciao! Ecco chi mancava all'appello», roteò gli occhi, sorridendomi.
Chi l'avrebbe detto che qualcuno che di rado ti ha rivolto la parola in passato può essere improvvisamente così amichevole solo perché si sta facendo qualcosa di divertente e di spensierato tutti insieme?
Ricambiai il sorriso.
«Vi ho disturbate?», mi strinsi nelle spalle e mi morsi il labbro inferiore.
Scosse la testa energicamente e si spostò sulla sinistra, facendomi cenno di entrare.
«Entra pure!».
La pavimentazione della stanza era incentrata sulle tonalità di marrone e beige, due grossi letti matrimoniali albergavano al centro della stanza seguiti da due comodini per ogni lato, e a destra si ergeva invece un grosso armadio in legno scurissimo. Sulla parete nord vi era una grande porta in legno decorata da una targhetta in ceramica con su scritto "Toilette", e per finire, accanto ad essa, era stato sistemato un video registratore e un televisore di ultima generazione.
Sembrava tutto così rustico e perfetto!
«Puoi scegliere di stare con chi vuoi, per me non fa differenza», disse Alice, la biondina che mi aveva accolto. Annuii e posai il bagaglio sul secondo letto matrimoniale accanto a quello di Dana, una ragazza dal fisico perfetto, occhi verdi e capelli castani. Per quanto ne sapevo lei era più riservata delle altre, probabilmente più timida e più restia ad aprirsi, e in qualche modo provai fin da subito una certa empatia per lei.
Chissà se quella era l'occasione giusta per farsi qualche amica!
Dalla porta del bagno fece capolino una testa avvolta da un'asciugamano, il corpo seminudo non troppo femminile di quella che riconobbi come Shane. Le lanciai solo un'occhiata fulminea, poiché nel momento stesso in cui lo feci mi resi conto che indossava solo dei jeans neri, niente maglietta, niente reggiseno, solo un asciugamano bianco tra i capelli e lo spazzolino tra le labbra.
Mi voltai di scatto e sentii Alice ridere.
«Svergognata, vuoi coprirti sì o no?», le lanciò contro un cuscino. «Non tutti ti conoscono per quella che sei veramente!», ridacchiò ancora.
Shane la guardò confusa, ma io evitai ancora una volta di lanciarle qualsiasi sguardo.
«Che ho fatto di male?», borbottò con lo spazzolino in bocca, cercando di capire dove stesse il problema. Improvvisamente sentii i suoi occhi incenerirmi la schiena e capii che l'aveva appena trovato.
«Ah, c'è Dandelia!», annuì, sminuendo la cosa con un gesto della mano.
Non riuscii a trattenere l'impulso di girarmi e di lanciarle un'occhiataccia.
«Mi chiamo Ally, Dandelia è solo il mio secondo nome», precisai.
Mi squadrò coi suoi occhi grigi e sorrise.
«Okay, okay, volevo solo verificare che avessi la lingua, a lezione non parli mai», fece spallucce e si sedette sul letto, passandosi freneticamente l'asciugamano tra i capelli.
Corrucciai la fronte e meditai su quelle parole: era così che apparivo all'esterno? Un asociale che non degna nessuno di una parola? Una snob che crede di saperne più degli altri?
«Tieni Shane, infilati questa», disse Dana, afferrando un top dalla sua valigia e lanciandoglielo. Lo indossò immediatamente e poi si lasciò cadere lungo il materasso, sospirando.
Mi concessi di osservarla e trovai il suo abbigliamento alquanto ambiguo, così come il suo corpo: era magrissima, possedeva delle curve che però non sembravano del tutto femminili, il seno era piccolissimo, le mani grandi, i capelli corti e scompigliati, sparati in tutte le direzioni, neri come la pece... Non avevo mai prestato particolare attenzione a come venisse vestita a lezione, sebbene le avessi visto indossare quasi sempre camice o felpe enormi, ma i jeans che portava in quel momento mi sembravano più maschili che femminili.
Non volevo dar credito agli stereotipi, per cui ad esempio se una era un maschiaccio tutte dovevano automaticamente esserlo e viceversa, ma in quel momento, osservando Shane e pensando a Mya - sebbene non fossero per niente simili dal punto di vista fisico - trovai il loro abbigliamento abbastanza simile.
Aprii la mia valigia, continuando a riflettere: Mya era molto più donna rispetto a lei, aveva un seno rotondo, dei fianchi fantastici, delle gambe lunghe e snelle, l'unica cosa che avevano in comune - più o meno - era il taglio dei capelli, ma c'era qualcosa nel modo di fare di Shane e nel modo in cui si era rivolta a me che mi faceva automaticamente pensare a lei.
E che le accomunava entrambe sotto lo stesso titolo, sebbene non sapessi ancora quale fosse realmente l'orientamento sessuale di Shane.
Certo, sarebbe stata una sorpresa scoprire che fosse etero vista la sua apparenza... Ma mi rifiutavo di giudicare un libro dalla copertina, anche se il mio cervello stava automaticamente prendendo quella direzione.
Tirai fuori dalla valigia dell'intimo pulito e dei pantaloni comodi, una maglia basic e un maglione pesante.
«Io vado a fare una doccia», avvisai.
«Ehi, Ally?», mi richiamò Alice.
«Sì?».
«So che non ci frequentiamo molto a lezione... In realtà, nemmeno a mensa ci parliamo, ma credo che questa potrebbe essere una buona occasione per passare del tempo insieme e imparare a conoscerci, che ne dici?», sorrise amichevole ed io ebbi lo stupido impulso di mettermi a saltellare per la contentezza, ma lo frenai.
Sarebbe stato davvero davvero fantastico riuscire a fare delle nuove conoscenze con cui condividere tutto in sincerità, mollando per sempre quelle che mi sfruttavano solo per i loro piaceri.
L'unica cosa che mi diede da pensare fu: stavo davvero facendo amicizia con delle compagne di classe e di corsi solo a maggio? Alla fine della scuola?
Forse ero davvero un asociale così come apparivo dall'esterno...
«Sì, mi farebbe molto piacere!», le risposi, stringendomi i vestiti al petto.
«Lo stesso vale anche per me», Dana sollevò la testa dalla valigia e mi rivolse un sorriso, poi la ricacciò dentro, timida.
«Considerami già tua amica, Dandelia», Shane sollevò solo un braccio dalla sua posizione supina ed io roteai gli occhi.
«Mi chiamo Ally», scossi la testa ma mio malgrado sorrisi, sapendo che in fondo mi stava solo prendendo in giro per mettermi a mio agio e farmi sciogliere.
«E' lo stesso», borbottò.
Ringraziai Alice con uno sguardo complice e m'infilai in bagno, chiudendo la porta a chiave alle mie spalle.
Quella poteva davvero essere una svolta!
Tirai fuori dalla tasca dei jeans il mio telefono cellulare e scrissi un messaggio di testo a Mya:

Ciao, Mya. Il viaggio è stato lungo e intenso, non abbiamo fatto soste perché si è fatto più tardi del previsto e sono arrivata soltanto adesso in hotel. Forse riesco a farmi pure delle nuove amiche, il che sarebbe davvero un evento più unico che raro. Scherzo su... Spero di divertirmi! Buonanotte, Mya, occhi aperti.

Lasciai il telefono sul lavandino del bagno e mi spogliai interamente, regolando i pomelli dell'acqua fredda e dell'acqua calda e infine infilandomi sotto il getto.
Restai lì sotto almeno un'ora, godendomi il calore dell'acqua e della stanza, finché Dana non si spazientì e cominciò a bussare, chiedendo il bagno.
Accidenti, non mi ero proprio resa conto di essere rimasta così tanto dentro!
Mi avvolsi dentro l'accappatoio e mi asciugai per bene, poi infilai la biancheria intima e i vestiti puliti, e mi sistemai un asciugamano tra i capelli, cedendo il bagno.
Sbloccai lo schermo del mio cellulare e notai un messaggio da parte di Mya. Lo aprii e lo lessi:

In che senso "farmi" delle amiche? Nel senso che hai intenzione di portartele a letto? Signorina Telesco, non è da lei una cosa del genere! E io che pensavo fosse pura e innocente, devo essermi assolutamente sbagliata!

PS: Stai attenta, tieni gli occhi aperti anche tu. Odio doverlo ammettere, ma sono preoccupata. Tu sei lì, io sono qui, e non posso tenere tutto sotto controllo. E sai quanto detesto avere le cose fuori controllo. Buonanotte, dolcezza.

Mi morsi il labbro inferiore e scossi la testa, sorridendo. Era sempre la solita.
La stanza era deserta, Shane ed Alice non c'erano, mentre Dana aveva appena preso il mio posto. Mi guardai un attimo intorno, poi decisi di fare una passeggiata lungo i corridoi dell'hotel, magari le avrei ritrovate e avrebbero proposto qualcosa da fare per la serata.
Ogni corridoio sembrava infinito, le pareti erano tappezzate da quadri d'epoca dipinti in oro, rosso, beige e marrone, colori caldi che davano una sensazione di calore fantastica. Cominciavo a credere che fosse una vera e propria strategia, quella.
Passai di fronte a diverse camere, da alcune non proveniva nessun suono, da altre qualcuno rideva, altri probabilmente si stavano inseguendo visti i rumori.
Improvvisamente intravidi una testa bionda e sorrisi, riconoscendo Alice.
«Ehi, ragazz...!».
Qualcuno mi afferrò bruscamente per un braccio e mi strattonò, tirandomi verso destra. Inciampai sui miei piedi e caracollai in avanti, rischiando di cadere a faccia in giù; chiusi gli occhi per lo spavento, ma quando mi resi conto di essermi salvata la faccia ed ebbi il coraggio di riaprirli mi ritrovai in una stanza d'albergo quasi completamente buia - se non fosse stato per la luce tenue che proveniva dal bagno - e mi mossi a scatti, cercando di capire chi mi avesse trascinata lì dentro.
Intravidi nella penombra dei capelli scuri, una maglietta chiara, delle gambe nude. Cercai di mettere a fuoco meglio il viso, ma solo alcuni tratti erano chiari mentre il complesso mi rimaneva sconosciuto.
Solo quando rise e disse "ciao" riconobbi chi avevo di fronte.
Scarlett Manson mi aveva praticamente attirato in trappola... e io stavo cominciando a sudare freddo.
«Mi volevi parlare?», cercai di mantenere una calma che non possedevo e per questo apparsi fin da subito poco credibile.
«In realtà no, volevo soltanto farti i miei complimenti».
Aggrottai le sopracciglia, confusa.
«A che ti riferisci?», fece spallucce ed uscì fuori dall'oscurità, superandomi e venendosi a sedere sul letto matrimoniale, accavallando le gambe nude. Parve rifletterci su, fissando un punto indistinto sulla parete nord.
Aveva la solita bellezza magnetica che toglieva il fiato, ma quella sera sembrava sciupata, per niente in forma.
«Per avermi rubato l'unica ragazza che mi abbia mai amato con così tanta facilità. Anche io avevo quel bel viso d'angelo che ti ritrovi, sai? Era solo un po' più incazzato», mi guardò finalmente, sorridendo malefica. Mi spaventava, dovevo ammetterlo...
Aveva i capelli scompigliati, ombre scure le incorniciavano gli occhi, la pelle sembrava madida... per un attimo pensai avesse la febbre, ma il suo sguardo era troppo delirante per essere afflitta solo da quello.
Non osavo pensare a cosa avesse assunto.
La cosa che però mi colpì fu la malinconia in fondo alle iridi, un sentimento che non avevo mai scorto in lei prima di allora, come se nel suo cuore e nel suo cervello non ci fosse altro che ghiaccio.
«Non te l'ho rubata, se n'è andata perché tu l'hai costretta ad andare via», mi sorpresi di me stessa e del coraggio che riuscii a racimolare non appena nominò Mya, che era diventata ormai per me di fondamentale importanza.
Fu come se qualcuno mi avesse appena toccato una ferita ancora dolorante.
Mi guardò, corrucciando le sopracciglia. Aveva l'aria di una che non capiva di cosa stessi parlando.
«Lei se n'è andata perché è una codarda, perché quando le cose si fanno difficili preferisce scappare anziché affrontare la realtà di petto, e si è rifugiata in te perché tu sei ciò di cui una come lei ha bisogno, e cioè una storia senza problemi! Ma non appena anche tu avrai le tue, non appena ti capiteranno delle difficoltà, ti pianterà in asso come ha fatto con me, e scapperà da un'altra! Perché è così che fa lei!», urlò.
Mi sentii sopraffatta da quelle parole, ogni singola lettera mi tolse il respiro come la lama di un coltello che affonda tra i polmoni e non accenna a fermarsi. Non riuscivo a respirare, provai e riprovai ma era come se l'aria scappasse via.
Strinsi i pugni e scossi la testa, cercando di riprendere il controllo di me.
«Non è affatto così! E io ne ho avuto la dimostrazione!», dissi ad alta voce, riflettendo su ciò che Mya aveva fatto per non perdermi nei giorni passati, quando avevo addirittura deciso di non frequentarla mai più. Se fosse stato come diceva Scarlett avrebbe dovuto arrendersi anche con me, scappare via perché anche io ero diventata un problema, e rifugiarsi in qualcun altro.
Lei rise e scosse la testa, posandosi una mano sulla fronte.
«Ti sei presa una bella sbandata per quella lì, eh?».
Arrossii di imbarazzo e di rabbia.
«Non sono affari che ti riguardano».
Si alzò in piedi e venne verso di me. Sgranai gli occhi quanto più possibile per riuscire a vedere ogni singola parte di lei, ogni movimento, ogni mossa, mentre la paura mi montava dentro.
«Tu sei solo una stronza. Ti auguro di soffrire cento volte di più di quanto ho sofferto io, perché solo così capirai cosa vuol dire sentirsi morire dentro per qualcosa. E quando nessuno sarà disposto a starti accanto e ti sentirai impazzire, allora penserai a me e al fatto che forse avevo ragione». Trattenni il fiato: il suo viso era a due centimetri dal mio, il suo corpo emanava rabbia e violenza e mi spaventava a morte.
Avrei voluto dire qualcosa di coerente, qualcosa che la rimettesse al suo posto, ma la lingua sembrava incollata al palato e non riuscivo a muovere le labbra.
«Sono sicura che Mya ti ha raccontato la verità su ciò che è successo a casa sua, se vi frequentate ancora. Beh, sappi che non sono affatto pentita di ciò che le ho fatto. Se lo meritava. Mi ha fatto un sacco di promesse che non ha mai mantenuto e per questo, ancora oggi, spero che soffra. Sono una che porta rancore, mi dispiace», fece spallucce. «E poi, lascia che ti confessi una cosa: non le è affatto dispiaciuto il servizietto che le ho riservato, per un attimo mi è sembrato di tornare ai vecchi tempi. Lei era così calorosa, eccitata, mi voleva da morire...», alitò, mandandomi in bestia.
Reagii senza pensarci due volte, mandai al diavolo la mia razionalità e presi posizione.
La spinsi via, piantandole due pugni sulle spalle, il viso rossissimo, le mani che formicolavano.
«Tu non sai un cazzo di lei! Ne hai solo approfittato!», la spinsi nuovamente e lei caracollò all'indietro, senza stabilità sufficiente per stare in equilibrio. Le diedi un altra spinta e cominciai ad urlare. «Le hai fatto del male, l'hai ferita, l'hai tradita a destra e a manca con chiunque e pretendevi che continuasse a starti accanto! Ha fatto bene a lasciarti! Tu non vuoi qualcuno che ti ami, tu vuoi distruggere chiunque abbia una vita decente perché tu non ce l'hai più e questo ti fa male! Allora sai cosa ti dico?! Io non ti auguro di soffrire, piuttosto ti auguro di non trovare mai più qualcuno che ti ami tanto quanto ti abbia amato lei finché non capirai il valore di una persona disposta a tenderti la mano quando hai bisogno di aiuto, perché se la trovassi adesso saresti capace soltanto di strappargliela a morsi, quella mano! Ti auguro di restare sola, sì, sola per sempr...!».  

  La sua mano mi colpì in pieno viso così forte da stordirmi completamente; distrattamente sentii qualcuno spalancare la porta alle mie spalle e chiedere con allarme cosa stesse succedendo, ma ero troppo preoccupata per me stessa per percepire qualcos'altro oltre la mia faccia che formicolava e bruciava.
Qualcosa mi pizzicava all'angolo sinistro delle labbra, ma ciò che mi premurava di più era riuscire a mettere a fuoco di nuovo la stanza in modo da cercare i miei occhiali, che erano volati da qualche parte sul pavimento.
Qualcuno me li porse, e quando l'inforcai vidi gli occhi preoccupati di Alice su di me. Mi fece una carezza, poi rivolse uno sguardo interrogativo a Scarlett.
«Sei impazzita, per caso?», mi sospinse verso la porta della camera dove il braccio di Dana mi si strinse intorno alle spalle. Scarlett non rispose, ma non appena uscimmo tutte ed Alice richiuse la porta, Sclarlett cominciò ad inveire contro di me facendo volare insulti pesantissimi, continuando a ripetere che le avevo rubato Mya e che non sarebbe mai stata mia perché apparteneva a lei.
Me ne tornai di corsa in camera, con la seria intenzione di non uscire più se non per dedicarmi alle escursioni.
Shane era sdraiata sul letto con un paio di pantaloncini e una canottiera bianca, beveva qualcosa da una lattina e guardava la tv. Non appena mi vide mi rivolse uno sguardo interrogativo e disse: «Wow, ti conviene mettere un po' di acqua fredda su quella bocca se non vuoi che domani ti si gonfi come un palloncino!», m'infilai direttamente in bagno e seguii il consiglio solo dopo aver appurato che l'angolo sinistro delle mie labbra fosse spaccato. Maledii Scarlett con tutta me stessa, rivolsi il viso sotto il getto dell'acqua fredda per una manciata di minuti, poi bagnai un asciugamano e me la posai sulla guancia, cercando di alleviare il dolore. Fortunatamente, a causa delle temperature l'acqua era davvero gelata altrimenti avrei dovuto chiedere ai professori di procurarmi una borsa con del ghiaccio e spiegare il motivo della mia necessità sarebbe stato un po' complicato.
Rimasi in bagno finché non udii più alcun rumore provenire dalla stanza, poi emersi. Non volevo dare nessun tipo di spiegazione. Ma quando posai le spalle sul letto e mi sistemai accanto a Dana, Alice si girò lentamente verso di me, facendo attenzione a non svegliare Shane, e sussurrò: «Non sperare che farò finta di non aver assistito a niente, stasera. Domani voglio sapere perché eravate sul punto di picchiarvi e che diavolo è successo!», successivamente ritornò nella sua posizione e anche io mi arresi al sonno.  

  ~∞~  

  «Questa popolazione normanna costruì qui i suoi primi insediamenti. Erano uomini intelligenti, avevano una vasta conoscenza della roccia e sapevano diffidare dalle zone ad alto rischio di frana. Piuttosto costruivano le loro abitazioni in luoghi fortificati, scavavano delle profonde grotte nelle pareti delle montagne più possenti proprio per evitare di venirne travolti. Tutta la loro vita girava intorno alla pietra, dagli strumenti per cacciare a quelli per lavorare la terra. Possiamo notare su queste pareti dei disegni rurali dell'epoca, dove tutto veniva trascritto come testimonianza per i posteri. I colori venivano presi dai fiori, bagnati nell'acqua e poi strizzati. Ne venivano fuori dei pigmenti leggerissimi, ma efficaci. Ovviamente il loro modo di fare è lontano da quello dei primi uomini esistiti nel corso della storia; erano molto più sviluppati, intelligenti, sapevano come muoversi e soprattutto non erano terrorizzati da ogni cosa. Ma a differenza di altre popolazioni amavano le tradizioni, quindi cercavano di conservare tutto ciò che era in loro possesso come un dono...».
La guida continuava a spiegare tutto ciò che c'era da sapere sulla montagna lungo cui stavamo salendo a fatica, affondando con le scarpe nella neve e stringendoci nelle nostre giacche felpate. Faceva piuttosto freddo, ma fortunatamente il sole non era coperto dalle nuvole, e quindi i suoi raggi ci riscaldavano. Prendevo appunti su un blocchetto quadrato, tenendo d'occhio Scarlett Manson per paura che potesse dare di matto da un momento all'altro. Quella mattina Shane aveva voluto sapere in che condizioni avessi trovato Scarlett la sera precedente, e una volta raccontatole tutti i dettagli mi aveva confidato di essere quasi certa di sapere cosa avesse assunto. L'aveva vista molto spesso uscire fuori dal bagno della scuola con dei sacchettini minuscoli che prontamente si era infilata tra le coppe del reggiseno... Era chiaro che non si trattasse di alcol e l'erba non era così forte da causarle sudore freddo, occhiaie e pallore - almeno, così avevo sentito dire. Di certo era qualcosa di più forte, forse un mix di stupefacenti che era riuscita a nascondere piuttosto bene.
Volevo tenermene quanto più alla larga possibile.

Gli effetti collaterali dello schiaffone erano stati minimi, vista la velocità con cui avevo atrofizzato la ferita con l'acqua congelata. Era rimasto un po' di rossore che Alice aveva nascosto con del fondotinta, ma qualcuno aveva giocato a fare il buon osservatore e mi era toccato inventare che fosse tutta colpa del freddo.
«T'immagini vivere in posti come questi?», Alice mi affiancò all'improvviso, storcendo il naso e strofinandosi energicamente le mani nascoste dalle muffole. «Senza luce, acqua, un bagno... una doccia!», fece una boccaccia schifata e scosse energicamente il capo, quasi come a voler scacciare via quel pensiero.
Le sorrisi, sorpresa del fatto che continuasse a voler intraprendere un rapporto con me nonostante la poca confidenza instauratasi durante tutto il periodo scolastico.
«Eppure loro riuscivano a sopravviverci, Alice. Sono sicura che hai una visione così estrema delle cose solo perché sei nata in un'epoca diversa. Pensi che loro non correrebbero via scandalizzati, se realizzassero di poter far scorrere l'acqua da un rubinetto a loro piacimento e di poterla richiudere allo stesso modo?», ridacchiai.
«Dai, lumache! Sollevate quei piedi, mia nonna saprebbe essere più veloce di voi!», Dana ci superò, esclamando ciò in nostra direzione e prendendo posizione in testa alla fila di alunni.
Alice sminuì le sue parole con un gesto della mano, col fiatone.
«Solo perché tu sei così atletica...», ansimò, cercando di tenere il passo. «... non significa che tutte possono sostenere i tuoi ritmi!», ma Dana era troppo lontana per sentirla.
Dalla mia posizione riuscivo a scorgere Eric accanto alla guida, gli occhi piantati sulle montagne e la mano che scriveva frenetica sul suo blocchetto; Scarlett continuava a passeggiare tranquillamente, come se non avesse nessun pensiero per la testa; Dana capeggiava su tutti, a grande dimostrazione della sua resistenza; Alice era al mio fianco e borbottava qualcosa di incomprensibile e dietro di noi Shane camminava un po' infastidita, le mani nascoste dentro le tasche dei jeans, un cappello di lana le copriva le orecchie e la fronte, una grande felpa le arrivava a metà coscia e una ragazza del mio corso le stava alle calcagna.
M'incuriosii e mi voltai un paio di volte verso di lei, per cogliere brandelli di ciò che quest'ultima le stava dicendo, ma Alice s'intrufolò tra i miei pensieri.
«Ehi, stai con noi a pranzo?».
Le rivolsi uno sguardo interrogativo.
«Intendi, tu, Shane e Dana?».
«Certo, siamo una squadra e non ci dividiamo», mi diede una spintarella e per un attimo immaginai che forse volesse che anche io diventassi parte del loro gruppo, ma fu un pensiero che accantonai subito per evitare di illudermi e di starci male successivamente.
Alla fine accettai e il pranzo passò piuttosto bene. La cucina del luogo non eccelleva particolarmente, ma almeno i pasti venivano serviti caldi e ciò m'importava molto più del gusto stesso del piatto. Contribuiva decisamente a riscaldarci.
Per tutta la durata del pranzo me ne stetti in silenzio, ad ascoltare Shane, Dana ed Alice che chiacchieravano, cercando di carpire quante più informazioni possibili su di loro:
«Non hai gli allenamenti di pallavolo, la prossima settimana?», chiese Alice.
«Sì, se voglio vincere le nazionali devo assolutamente allenarmi», e Dana sospirò, pasticciando con la sua carne.
«Vedete quella seduta al tavolo lì sotto?», Shane si nascondeva dietro la brocca dell'acqua, mantenendo un profilo basso. Tutte si voltarono nella direzione che aveva appena indicato con un cenno del capo. «Mi sta col fiato sul collo, non mi lascia via di scampo. Vuole assolutamente un altro appuntamento, ma Cristo, non voglio darglielo! Siamo uscite una volta, ha voluto darmela, perché dovremmo uscire ancora?! Se avesse voluto qualcosa di più serio avrebbe aspettato almeno il quinto appuntamento per venire a letto con me, giusto? Invece no, me l'ha subito sbattuta sotto il naso! Cosa pretende adesso?», gesticolò, strozzandosi di cibo e abbassandosi il cappellino sulla fronte.
Strabuzzai gli occhi, sorpresa di vedere con quanta facilità avesse appena parlato delle sue esperienze di vita quotidiana - sentimentali e sessuali - allo stesso tavolo con le sue amiche e un'estranea.
In un attimo aveva appena confermato la mia ipotesi sul suo orientamento sessuale e smontato la mia convinzione secondo cui ci sono delle cose nella vita che non si possono raccontare così ad alta voce a nessuno, nemmeno alle amiche, e cioè chi ti porti a letto al di fuori di una relazione stabile e chi ti piace portarti a letto, a seconda dei tuoi gusti.

Forse nel mondo di Alice, Dana e Shane quella era la normalità, e l'unica cosa strana era la mia bocca chiusa e il mio strano modo di chiudermi a riccio.

Ad ogni modo, sebbene la sera prima mi fossi rifiutata di giudicare il libro dalla copertina, alla fine dovevo ammettere che non ci avevo visto poi così tanto male. Shane era davvero ciò che all'apparenza sembrava, ma nonostante questo ero comunque curiosa di conoscerla meglio. Poteva essere una finestra attraverso cui affacciarmi ad un nuovo mondo.
«... davvero l'ha fatto? Non ci posso credere», stava dicendo Alice.
«E' la cosa meno romantica che abbia mai visto fino ad oggi!», borbottò Dana, masticando un pezzo di pane.
Shane scosse la testa, le braccia incrociate al petto.
«Già», sussurrò soltanto.
Evidentemente la loro conversazione era andata avanti e io, come al solito, mi ero persa tra i miei pensieri.
Nel pomeriggio mandai un messaggio di testo a Mya, raccontandole cos'avevamo fatto nella mattinata e cosa avevo scoperto su Shane. Non le raccontai di Scarlett per non farla preoccupare, perché conoscendola sarebbe stata capace di farsi prestare l'auto e di venirmi a prendere di peso fino alla cima della montagna, ma non era questo ciò che volevo... nonostante mi mancasse. Quindi omisi quella parte e decisi che gliel'avrei raccontata non appena sarei tornata a casa.
La sua risposta fu: Divertiti, ma tieni gli occhi aperti. Sapere che sei in camera con una lesbica non mi fa di certo stare tranquilla.

La batteria del cellulare era quasi morta, quindi rastrellai la valigia in cerca del caricabatterie, ma con mia grande sorpresa mi resi conto che non c'era. Controllai ogni tasca, ogni angolo, tra i vestiti, tra la biancheria, tra i saponi, ma del caricabatteria non vi era nemmeno l'ombra.
Poi ricordai: la mattina della partenza l'avevo dimenticato sul comodino accanto al letto.
Che stupida!
E dire che l'avevo sistemato lì proprio per non dimenticarlo!
Gettai un'occhiata ai comodini delle altre ragazze, ma nessuna di loro aveva il mio stesso modello di cellulare e quindi non avevano nemmeno un caricabatterie simile. Di certo non sarei potuta andare in giro per l'hotel a chiedere un caricabatterie, visto che non ero amica di nessuno e solo in quel momento stavo tentando di allacciare un rapporto con quelle tre ragazze, quindi non mi restava che avvisare Mya del fatto che non avrei potuto farle sapere più nulla per i due giorni seguenti.
Afferrai il cellulare, composi il suo numero e la chiamai direttamente, sperando che il dispositivo non si spegnesse e mi abbandonasse una volta per sempre.
«Nana? Che succede?».
«Ho dimenticato il caricabatterie!».
«Eh?».
«Scusa, credevo di averlo preso la mattina della partenza, invece l'ho dimenticato!».
«E non c'è nessuno lì che può prestartene uno?».
«Nessuno ne ha uno simile!».
Imprecò dall'altra parte del telefono.
«Va bene, ascolta, scrivi da qualche parte il mio numero e se succede qualcosa prendi in prestito il telefono di qualcuno e chiamami. Non fare stupidaggini del tipo "mi vergogno a chiedere" o "ma non ho amici, chi mi presterebbe il suo telefono?", perché mi incazzo. Se succede qualcosa non esitare a chiedere aiuto», ma non feci in tempo a rispondere che la voce di Mya si spense e qualsiasi mio tentativo di riprendere i contatti fu inutile.
Non ero riuscita nemmeno a trascrivere il suo numero. 
Per la prima volta, sebbene riconoscessi che fosse una situazione non troppo seria, mi sentivo realmente lontana da Mya, come se fossimo in due parti del mondo diverse, troppo lontane per comunicare con gli apparecchi comuni, e non a qualche chilometro di distanza.
Mi resi conto che starle lontano mi spaventava, mi toglieva sicurezza... Era come se fossi tornata ad essere sola.
All'improvviso Alice e Shane entrarono in camera, irrompendo con forza.
«Stasera si festeggia!», urlò la prima. Lanciai il telefono sul comodino, per niente in vena di festeggiare, ma mio malgrado sospirai e le stetti ad ascoltare, cercando di non essere maleducata.
«Cosa si festeggia?».
«La new entry della nostra squadra!», le guardai confusa.
Alice mi rivolse due sguardi complici che però non afferrai, e alla fine sbuffò, si richiuse la porta alle spalle e fece spallucce.
«Okay, ti spiego meglio. Ieri notte la signorina Shane ci ha svegliate tutte perché diceva di averti sentito parlare nel sonno, al che abbiamo deciso di verificare che fosse vero ed era proprio così, in effetti. Ti sei lamentata un paio di volte, perlopiù, ma ad un certo punto hai detto "baciami, Mya"», sorrise maliziosa, mordendosi il labbro inferiore.
Arrossii fino alla radice dei capelli e il mio piede cominciò a tamburellare da solo, le mani si torsero tra loro e non riuscii a spiccicare una sola parola.
Davvero avevo detto così?
Beh, certo, avevano fatto il nome di Mya e non la conoscevano, l'unica che poteva averla nominata ero io...
Accidenti!
«Quindi dobbiamo festeggiare te! Benvenuta nel club delle lesbiche che vogliono restare nell'anonimato. Beh, tranne Shane... Lei è... », la squadrò, poi sollevò gli occhi al cielo. «Meno anonima», Shane sorrise ed Alice fece spallucce.
Guardai entrambe con la bocca spalancata e per poco la mascella non mi rotolò sul pavimento.
Tutte e tre?
Alice, Dana e Shane erano... tutte e tre lesbiche? L'avrei detto di Shane, ma mai di Dana e mai di una come Alice, tutta gonne e giacchini!
Avevo fatto bene ad eliminare dalla mia mente qualsiasi tipo di stereotipo.
«Non c'è niente da f-festeggiare, io non so ancora se sono... Cioè, io non ho ancora...».
Alice mi guardò con consapevolezza ed annuì.
«Ah, sì, capisco. Sei ancora nella fase della sperimentazione? Vedrai, ti ci vorrà poco per stare solo dalla nostra parte. Ma noi festeggiamo comunque stasera, che ti piaccia o no! Shane, tira fuori la roba!».
Quest'ultima s'infilò una mano dentro il colletto della felpa e tirò fuori una bottiglia d'alcool, tre bicchieri rubati al piano di sotto e un pacco di patatine.
Oh, no...
«No, ragazze, io non...»
«Oh, guarda. Si chiama... "La Grappa dei Normanni", wow, pensi che sia di loro produzione, Shane?».
«Non lo so, non credo...».
«Magari la ricetta era la loro, ma poi chi ne ha comprato i diritti l'ha migliorata, tu che ne pensi?».
«Ragazze, davvero, non posso bere questa roba perché...»
«Forse, potrebbe darsi!».
«Un nome davvero originale! Credo proprio che abbia a che fare con ciò che ci ha detto la guida oggi!».
«Per forza, Alice, l'abbiamo comprata in un negozio di souvenir».
«Vi prego, non ignoratemi...».
«Lo senti, Shane? C'è una mosca astemia che continua a ronzarci intorno, non è fastidiosa?».
Shane si guardò intorno.
«Io non vedo nessun... ahia! Sì, sì, che gran fastidio, uh!».
Alzai gli occhi al cielo e incrociai le braccia, aspettando che finissero.
Nel momento stesso in cui chiusi la bocca si voltarono immediatamente verso di me.
«Mya potrebbe essere anche mia sorella, qualcuno che è tornato da un lungo viaggio e da cui voglio assolutamente un bacio, un parente, un'amica, come avete fatto a capire che fosse qualcosa di più?».
Le squadrai ed Alice passò la parola a Shane, che stava già armeggiando con la bottiglia di grappa.
«Per non commettere alcun tipo di errore, stamattina ho parlato apertamente a tavola della mia tresca con quella ragazza della nostra classe e tu hai ascoltato attentamente e hai solo annuito, poi ti sei persa nei tuoi pensieri e non hai detto nient'altro. Se non fossi stata una lesbica avresti cominciato a fare domande del tipo: "scusa, come? Ti piacciono le donne? Ma non ti fai schifo? Come puoi rinnegare i ragazzi? Sei un mostro!" o, nel caso in cui ti fossi fatta prendere dall'isteria, saresti scappata semplicemente via. Oppure, considerando una terza ipotesi, avresti potuto essere più galante e dire "scusatemi, devo andare a vomitare". Mi è capitato, sai? O se vogliamo abbandonare la posizione omofoba, avresti almeno avanzato qualche domanda curiosa. Invece non hai detto niente. Eri praticamente già parte di noi. E poi, prima hai detto che non sai ancora se sei lesbica. Se non lo fossi stata ti saresti messa a ridere e avresti dato ad Alice della pazza, invece hai confermato ulteriormente la nostra ipotesi. Ti sei messa nel sacco da sola, Dandelia», ridacchiò e stappò finalmente la bottiglia di vetro.
«Ally», la corressi, impressionata da come fosse riuscita a macchinare tutto quel piano strategico solo per scoprire a quale sponda appartenessi.
«E' uguale».
«Comunque, non posso bere quella roba, davvero, è troppo...!».
«La la la!».
«Come è bello passeggiar con Mary, Mary ti sa rallegrar!...».
«Non ti sento, non ti sento!».
«... Anche quando è un giorno dei più neri, Mary il sole fa spuntar!».
«Va bene, va bene, smettetela, l'assaggio!», mi arresi, esasperata dal loro comportamento.
Esultarono, mentre Dana faceva il suo ingresso in camera e sorrideva, roteando gli occhi. Sembrava conoscerle alla perfezione e sapeva che quello era uno dei loro giochi preferiti.
Si rivolse a me e disse: «Benvenuta nella squadra», ma si vedeva che in fondo era scettica quanto me riguardo a quella storia della squadra, nonostante lei ci stesse dentro da molto più tempo.

Gettai uno sguardo sul comodino mentre dalla finestra il sole calava e si preparava la sera; Mya era preoccupata al pensiero che avrei condiviso la stanza con una lesbica, ma se avesse saputo che in realtà le lesbiche si erano triplicate come l'avrebbe presa?
Mi avvicinai ad Alice e al bicchiere che mi stava già porgendo. La pregai di versare pochissimo liquido, ma lei non mi ascoltò e alla fine lo riempì per metà.
Fece lo stesso col suo, con quello di Shane e con quello di Dana.
«Alla salute!», esclamò Alice. Portò il contenuto alle labbra e lo sorseggiò piano piano fino a consumarlo tutto, seguita dalle altre due. Annusai l'odore del liquido e storsi il naso, sentendo già la pelle accapponarsi. Dovevo farlo per forza?
«Forza, Ally, tocca a te!», gracchiò Dana, posando il suo contenitore sul comodino accanto al nostro letto.
Gettai un'ultima occhiata al mio bicchiere, poi lo portai alle labbra, mi tappai il naso e chiusi gli occhi, sperando di bere tutto quello schifo il prima possibile.
Mille brividi mi attraversarono la schiena non appena il liquido mi oltrepassò la gola, e per un attimo ebbi l'impulso di sputare tutto fuori e di correre in bagno a sciacquarmi la lingua, ma resistetti.
Le ragazze m'incitarono con gridolini e "vai! Bevi tutto!", e alla fine svuotai il bicchiere e lo lanciai il più lontano possibile da me, scuotendo la testa e cercando di liberarmi di quella sensazione nauseante che avevo dentro.
«Che schifo...», mormorai, scuotendo le spalle.
«Su, non era nemmeno un bicchiere intero!», mi rimproverò Alice, mentre io mi sedevo sul letto e fermavo un capogiro.
«Era troppo forte», le lanciai un'occhiataccia tra l'arrabbiato e il disperato, pentita di aver ceduto.
«Per forza era forte, è grappa! Ma guarda il lato positivo: adesso sei nella nostra squadra! Quattro è un numero decisamente più bello di tre», affermò felice, sedendosi accanto a me.
«E' lesbica al cento percento?», Dana nascose la bottiglia di grappa dentro una busta di plastica nera.
«Non ne è ancora certa, vero Ally?», m'interrogò Alice e in assenza di mie risposte, troppo concentrata sull'instabilità del mio corpo, annuì in direzione di Dana. «Sì, è così».
«Oh, capisco... E' ferma alla fase "sono lesbica, ma non ho il coraggio di dirlo ad alta voce, quindi preferisco dire che sono confusa"», Dana sminuì la cosa con un gesto della mano e per un attimo pensai che fossero tutte e tre pazze, ma che ancora più folle fossi io ad aver accettato di unirmi a quella cosca!
«Allora...», fece Shane, sedendosi sul letto che condivideva con Alice seguita immediatamente dopo da Dana. «... perché non ci racconti un po' di questa Mya, Dandelia?».

Oh oh.
Fantastico.
Avevo bevuto mezzo bicchiere di grappa, la testa mi girava un po', mi veniva da vomitare, ero nella stessa stanza con tre lesbiche le quali avevano dato via ad una sorta di rito d'iniziazione, o roba simile, e da cui non sapevo come scappare via e adesso una di loro mi domandava perfino di raccontare dell'unica persona di cui in quel momento non avrei voluto assolutamente parlare.

Avrei preferito gli schiaffi di Scarlett, ad una situazione come quella.
«E va bene», sospirai, lasciandomi cadere all'indietro sul materasso. «Mya è una ragazza universitaria, lavora come barista in una discoteca del centro ed è... molto carina», mi scappò un sorriso.
Shane fischiò.
«Guardala, come sorride», Alice si sdraiò a pancia in giù, posandosi le mani sotto il mento.
«E lei ti piace?», domandò Dana.
«Sì, credo di sì...».
Alice mi guardò male, facendo un respiro secco.
«Che vuol dire "credo"?».
«Mi piace... come mi guarda, mi piace il suo modo di vestire, di parlare, di prendermi in giro, di essere. E mi piacciono i suoi occhi, le sue mani...», fantasticai, chiudendo gli occhi e provando a placare i leggeri capogiri.
«... e le sue labbra...», m'imitò Dana.
«... e come bacia...», Shane stese le labbra in avanti.
«... e come mi tocca...», fece Alice.
«Ragazze, smettetela!», le ammonii, il viso arrossato.
Ridacchiarono e mi lanciarono due cuscini contro; cercai di scansarli, ma malamente poiché non riuscivo a coordinare benissimo tutti i movimenti. Quella roba doveva essere stata bella forte, se il mio cervello stava reagendo in quel modo.
«E voi due state insieme?», Dana mi lanciò uno sguardo malizioso, un sopracciglio alzato.
«Io... Ehm... credo di sì, insomma».
«Sì o no?», chiese la biondina.
«Secondo me è cotta», Shane tolse la grappa dalla busta e ne versò un altro po' in un bicchiere, sorseggiandola.
«Ci siamo baciate», asserii sognante, posandomi una mano sugli occhi.
«Ohh! Ma guardatela, come arrossisce!», altri cuscini mi arrivarono addosso, mentre loro se la ridevano a crepapelle.
«Non è divertente!».
«Oh, sì che è divertente! E' sempre divertente vedere una ragazza innamorata che non ammette di esserlo nemmeno a se stessa!».
«Ti brillano gli occhi», Dana mi toccò i capelli.
Non riuscivo a ragionare bene su quello che stavano dicendo, però le loro parole mi colpivano e non riuscivo a capire come da fuori potessi apparire innamorata se io, dentro, non riuscivo nemmeno a capire se quella fosse una semplice cotta o qualcosa di più. Forse dall'esterno si colgono molte più cose di quante se ne colgano dall'interno.
«E sei rossa come un peperone», ridacchiò Shane, passando ad Alice il suo bicchiere. Questa bevve un sorso, lo passò a Dana che fece altrettanto e poi lo passò a me, facendomi bere l'ultimo sorso. Strizzai gli occhi, mentre altri brividi mi percorrevano la schiena.
Era confortante non pensare a ciò che stavo dicendo, avevo la mente troppo sottosopra per soppesare le parole e ciò mi conferiva la capacità di non doverci riflettere sopra.
Scossi la testa, sorridendo per le parole di Shane e scuotendo le spalle per scacciare i brividi.
«Allora state insieme, se vi siete baciate», mormorò di nuovo Dana, continuando a toccarmi i capelli. Feci spallucce, gli occhi chiusi.
«Credo di sì. Prima di partire ha parlato di un nuovo rapporto tra noi due... Ha detto che non l'avrebbe tradito».
«Wow, una ragazza fedele!», esultò Alice.
«Magari capitasse anche a me di incontrare una ragazza così...», Dana rifletteva ad alta voce, sospirando.
«Secondo me se la vuole solo scopare», Shane rise e si venne a sedere sul nostro stesso letto, portandosi dietro Dana.
Quella parola instillò nella mia testa un certo sentore d'allarme che mi mise in agitazione.
Riaprii gli occhi e mi misi a sedere di scatto, cercando con gli occhi Shane, ma ricaddi bruscamente sul materasso.
Risero tutte e tre.
«Lei non vuole fare solo questo!», mi ribellai. «Ha un passato molto brutto alle spalle e dice sempre che io sono la cosa...», mi persi tra le mie parole e i miei pensieri astratti.
«La cosa?».
«La cosa più dolce?».
«Importante?».
«... la cosa più bella che le sia capitata da quando è scappata via», conclusi, sospirando.
Ci fu un attimo di silenzio e me le immaginai mentre si guardavano interrogative, con le loro facce in stile cartoon e gli effetti sonori tipici della Warner Bros.
Risi senza motivo, mettendomi le mani di fronte al viso e scuotendo la testa.
«Mi sembra un po' brilla», commentò Dana, sagace.
«Scappata via da cosa?», la ignorò Alice.
«Da Scarlett!», esclamai, come se la cosa fosse ovvia.
«Oh, cazzo... la cosa si fa pesante», commentò Shane, seduta più su della mia testa.
Alice fischiò, incredula.
«Vuoi dire che Mya era la ex di Scarlett Manson? Di quella pazza ninfomane che non fa altro che aggredire chiunque le si avvicini e di scoparselo subito dopo per farsi perdonare? Come ha fatto a starci insieme?».
Feci spallucce, mentre la mia razionalità faceva capolino tra la nebbia creata dalla grappa. Aprii gli occhi e incontrai quelli chiari di Dana, che mi sorridevano rassicuranti.
«Mya dice che era diversa, prima». Per quanto non avessi molta facoltà raziocinante mi sentivo lucida abbastanza da capire quando si stava parlando di me e quando di Mya, e di quando fosse giusto tacere, quindi non approfondii la questione.
«Wow... Io non ce la vedo affatto diversa, una così. Adesso capisco perché ieri sera vi ho trovate nel bel mezzo di un litigio», commentò Alice.
In effetti anche io faticavo a credere che in passato fosse stata una persona perbene, ma mi rifiutavo di credere che fosse sempre stata così sgradevole... e cattiva. Nessuno nasce cattivo.
«Avete fatto sesso?», domandò Shane senza peli sulla lingua, improvvisamente. Arrossii e mi misi una mano davanti alla bocca, ridendo isterica.
«No! Certo che no! Ci conosciamo solo da un mese e mezzo!».
«Beh, io me la sarei già fatta trenta volte in un mese e mezzo», fece spallucce e bevve direttamente dal beccuccio della bottiglia, mentre Alice e Dana le lanciavano insulti e cuscini.
«Non hai cuore!», rise la prima.
«E sei una sfacciata!», la rimproverò la seconda.
Un pensiero mi attraversò la testa, ma non feci in tempo a tenerlo per me che divenne di dominio pubblico.
«Mi piacerebbe farlo però... E' che non so nemmeno come si fa. Lei è una donna... e io sono una donna...».
Una risata generale scoppiò, pungendomi le orecchie.
«Le etero convinte che poi si rivelano lesbiche sono le migliori!», commentò Shane.
Le altre fecero qualche gesto d'assenso. «Te lo spieghiamo noi, Dandelia».
«No, grazie!», arrossii violentemente.
«Basta spogliarla...», iniziò la prima.
«... e toccarle le tette... a proposito, ce le ha grosse?»
«... e toglierle i pantaloni, ma non sfilarle subito le mutandine! Devi farla soffrire un po'...»
«... e giocare con i suoi capezzoli!», rise Dana, nascondendo il viso tra le braccia.
«... poi è tutto un lavoro di dita, Dandelia», fece Shane.
«... e di lingua! Se sai dove mettere la lingua è fatta!».
Arrossii e cercai di mettermi in piedi, reggendomi sul materasso fino ad allontanarmi definitivamente da loro, le guance in fiamme e una risata isterica perennemente presente.
«Sentite, non ne voglio sapere più niente», risi ancora, andando verso il bagno. «Dita, lingua, mutandine e capezzoli... sembrate il cast di un film porno!».
«Sei tu che sei troppo suscettibile!».
«E ingenua».
«E timida».
«E dolce», fece eco Shane, bevendo un altro sorso dalla sua bottiglia senza smettere di guardarmi negli occhi, divertita.
«Possiamo dirti un'ultima cosa?», chiese Alice, cercando di trattenere un sorriso.
Le feci un gesto eloquente, dandole il consenso.
Si voltò verso le altre due, scambiando con loro uno sguardo d'intesa, poi si voltarono verso di me ed esclamarono in coro: «Tu sei innamorata!», poi afferrarono un cuscino e me lo lanciarono contro, ma riuscii a pararmi chiudendomi la porta alle spalle.

Ridacchiai lasciandomi andare contro la porta, poi m'infilai sotto una doccia calda e mi schiarii le idee, pensando a come avrei affrontato il giorno seguente quando tutte queste questioni sarebbero ritornate a galla e la mia mente sarebbe ritornata ad essere quella della razionale, puntigliosa, bacchettona Ally Telesco.

Mi stavo davvero innamorando di Mya Atson?



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