5




«Cazzo, ma sei lentissimo.» si lamentò Yoongi, con le braccia incrociate, in mezzo alla strada. Le luci di natale illuminavano insieme ai lampioni i giardini delle piccole villette del quartiere: semplici decorazioni luminose ad intermittenza, Babbi Natale che salivano scalette sotto i faretti, gli alberi addobbati alle finestre; ci si era messa anche la luna, insieme alle stelle, a far sì che la via fosse ben visibile e, così come la carreggiata, anche Jimin che, a vari metri di distanza dallo strano personaggio, trascinava sull'asfalto l'enorme sacco verde.

Lo sguardo nero e cupo del ventenne si alzò sull'altro solo quando finalmente lo raggiunse; l'odio che provava per la persona - se così si poteva definire - che prima l'aveva magicamente congelato, poi l'aveva baciato e, infine, lo aveva schiavizzato come portaborse stava crescendo a dismisura, casa per casa, istante per istante, parola dopo parola. Non vi era una sola frase detta con quella voce ironica e bassa che non fosse detta per prenderlo in giro, per dargli fastidio, per farlo imbarazzare come mai prima d'ora e, soprattutto, era bravissimo a farlo: Jimin non lo sopportava più.

«Sei già stanco?» di nuovo utilizzò un tono denigratorio, lo guardò arricciando le labbra, con espressione leggermente schifata.

Jimin sentì tanta voglia di non rispondergli affatto - in realtà prima di tutto sentiva voglia di prenderlo a sberle, ma sarebbe stato controproducente probabilmente - e passargli semplicemente a fianco, andando alla casa successiva, ma la stanchezza e il freddo ebbero la meglio: si fermò a due passi da lui, fece profondi respiri e, in tutta sincerità, disse solo: «Sì». Non aveva più neanche la forza di camminare, figurarsi di ribattere alle sue cattiverie.

Il freddo si alzò ancor più gelido, così come lo sguardo freddo del figlio di Babbo Natale si fermò sul corpo del giovane porta-sacco; rimase in silenzio un paio di secondi, poi fece spallucce: «Va bene, facciamo una pausa». Jimin strabuzzò gli occhi alle sue parole, boccheggiò un istante, poi scosse il capo.

«Non serve, finiamo prima». Yoongi sollevò gli occhi, sospirò silenzioso, stette per dire qualcosa, ma Jimin lo bloccò, prendendolo in contropiede: «Non voglio perdere tempo, c'è ancora tanto lavoro da fare».

Strinse il sacco alla sua estremità, se la portò alla schiena e fece un primo passo, verso la casa successiva, pronto a continuare il lavoro nonostante l'aria fredda gli penetrasse nelle ossa, passasse sotto i suoi vestiti, gli graffiasse le caviglie. Avrebbe continuato a camminare verso la casa successiva se solo Yoongi non gli si fosse parato davanti: «C-cosa?» balbettò il moro, schiudendo le labbra in un'espressione stupita.

«Perdere tempo?» chiese il figlio di Babbo Natale, mostrando un sorrisetto ironico. Jimin odiava quel sorrisetto e avrebbe voluto strapparglielo dalla faccia, ma l'unica cosa che fece fu chiudere gli occhi un istante, fare un respiro e riaprire gli occhi, annuendo subito dopo. Yoongi scoppiò a ridere. Jimin digrignò i denti. «Quanto tempo pensi sia passato, tipo violento?»

Jimin era una persona calma - di solito - e preferiva evitare le discussioni - di solito -, ma non ci fu modo per bloccare quello sguardo pieno di fastidio che gli donò: «Non. Lo. So.» disse in un primo momento, scandendo bene le parole «Due o tre ore?»

Le braccia di Yoongi si portarono al proprio volto, se lo stropicciarono come se non credesse alle sue orecchie, scosse il capo: «Oh Park Jimin, ma sei proprio tonto».

Due occhi neri sembrarono uscire dalle loro orbite. «Tonto sarai tu!» sbottò, il ventenne, lasciando andare il sacco e avvicinandosi all'altro con aria minacciosa; le mani andarono istintivamente alle spalle dell'altro e diedero una spinta violenta e improvvisa. Yoongi si tolse le mani dal volto per tenersi in equilibrio sbracciandosi, fece un passo indietro riuscendo a rimanere in piedi.

«Ecco! Ecco che esce fuori il tipo violento che è in te!» si guardarono in cagnesco per un paio di secondi, poi il volto di Yoongi cambiò del tutto, un sorriso gentile gli crebbe sul volto «Non sai che a Natale si è tutti più buoni?»

Jimin si bagnò le labbra con la lingua in un gesto veloce e nervoso: «Non oso immaginare che razza di stronzo sei il resto dell'anno allora».

«Touché!» esclamò Yoongi contento, alzando l'indice ed indicandogli il petto. Abbassò la punta del dito sulla mano di Jimin e ordinò «Guarda che ore sono». Jimin era stanco, ma forse proprio per quello fece come richiesto senza obiettare, alzando il polso e spostando la manica del pigiama natalizio, scoprendo l'orologio da polso. Quando gli occhi neri del ragazzo videro l'orario la sua espressione rabbuiata svanì in maniera istantanea, lasciando solo stupore.

«M-ma, non è possibile.» balbettò sollevando lo sguardo in quello dell'altro «È ancora l'una passata da poco».

I loro occhi si incrociarono, il sorriso di Yoongi si allargò ancora, si avvicinò all'espressione stupita dell'altro pericolosamente, tanto che Jimin ritirò la testa nelle spalle, in soggezione. La voce profonda del figlio di Babbo Natale si fece sentire in un sussurro: «È la magia del Natale, tizio violento».

Jimin fece un passo indietro, a disagio, mentre le sue guance provavano a farsi più rosse di quanto già non lo fossero per il freddo: «Ah i-io-» balbettò preso in contropiede, dandosi dello stupido mentalmente. In effetti come avrebbe potuto fare un sol uomo a girare tutto il mondo in una notte, entrando casa per casa a consegnare un regalo alla volta? Anche aiutato dai suoi figli - sempre che Yoongi non fosse figlio unico - non ci sarebbe stato il tempo.

«Quindi ora andiamo a casa tua e poi andiamo a riposarci un po'».

Yoongi non fece neanche in tempo a dirlo che la mano di Jimin si mosse: le sue dita andarono a circondargli il polso, stretti in una morsa, mentre gli occhi neri si spalancarono insieme alle labbra. «Dove pensi di andare tu!?»

Il volto del figlio di Babbo Natale si stupì per un istante, i suoi occhi si abbassarono sul proprio polso imprigionato poi tornarono sul volto dell'altro: «Hai la mano calda». Jimin mollò immediatamente la presa, incrociò le braccia al petto e boccheggiò a vuoto. «Ho detto che andiamo a casa tua e poi andiamo a dormire un po'».

Una risatina riempì l'aria, sembrò quasi vera, ma scemò di tono alla fine, con una nota di disgusto: «Prima mi baci e ora vuoi dormire con me?» scosse il capo seccato, sicuro di ciò che stava dicendo «Tu non vieni proprio da nessuna parte».

«In che senso non vengo?»

«In che senso in che senso?»

Si guardarono negli occhi, fissi: Yoongi aspettò che l'altro capisse il doppio senso, ma questo non avvenne mai e lasciò perdere la facile presa in giro - spiegarla avrebbe rovinato tutto. Il biondo ruotò gli occhi, stanco, poi disse semplicemente: «Andiamo a casa tua così che tu ti possa cambiare, poi andiamo a riposarci a casa mia».

Jimin drizzò la schiena, si fece più attento: «A casa tua!?» chiese, per sicurezza, quasi non ci credesse per davvero. L'altro annuì semplicemente. «E perché devo cambiarmi?»

Gli occhi ghiaccio dell'altro si abbassarono sulla sua figura, partendo dalle ciabatte che aveva ai piedi e salendo osservando ogni renna sul suo pigiama, fino ad arrivare al suo volto rossiccio: «Vuoi incontrare mio padre conciato così?»

Jimin sollevò il sopracciglio: «Sono natalizio».

«Sì, ho capito, però...»

Rimasero in silenzio per una manciata di secondi, incerti, aspettando che l'altro gettasse per primo la spugna. Yoongi ebbe la meglio.

«Va bene, mi cambio.» annuì, fece per prendere l'estremità del sacco, ma Yoongi borbottò qualcosa di sbiascicato che, all'altro, sembrò tanto uno "faccio io o ci mettiamo altre due ore". Avrebbe tanto voluto mandarlo a quel paese e dirgli che poteva benissimo farcela da solo, ma era troppo stanco per stare ad ascoltare il proprio orgoglio. «Grazie.» gli sfuggì, facendogli sollevare lo sguardo e stringere la mascella; era troppo gentile per tenergli testa.

«Prego, tipo violento con il pigiama con le renne».

«Non è un po' troppo lungo come soprannome?»

«Ho tutto il tempo del mondo».

I due si incamminarono verso casa sua e, come già si ere immaginato Jimin, il sacco venne trascinato con una semplicità tale da sembrargli pieno di piume, sebbene lui stesso avesse constatato che la realtà del suo peso fosse un'altra. Il moro si chiese se non l'avesse semplicemente alleggerito con la magia - o qualsiasi cosa fosse -, ma preferì non chiedere, temendo che se la risposta fosse stata affermativa l'avrebbe soltanto fatto arrabbiare di più. Avrebbe potuto semplicemente schioccare le dita e far sì che non si dovesse spezzare la schiena, ma aveva preferito aspettare che si trascinasse tutti i regali come un mulo.

Jimin sentì che mai aveva odiato così tanto qualcuno, mai aveva conosciuto persona più fastidiosa, arrogante e ineducata; aprì la porta di casa: «Prego, entra».

Yoongi trascinò il sacco nel caldo ingresso, lo posò senza fretta, si girò a guardare l'altro chiudersi la porta alle spalle, girare la chiave nella toppa: «Mettiti anche una giacca».

«Perché?» chiese Jimin, stanco. Mai aveva incontrato una persona che impartiva ordini come fosse l'imperatore del mondo, come se tutto gli fosse dovuto.

Yoongi gli si avvicinò serio, gli prese le mani tra le sue, le portò alla bocca e ci alitò sopra fiato caldo: «Perché fa freddo». Jimin si immobilizzò, strabuzzando gli occhi; il suo volto si fece rosso, il cuore cominciò a battergli nel petto furiosamente, più forte di quando trascinava con fatica il sacco lungo la strada. Il ventenne rimase a fissare le mani sottili e grandi dell'altro sopra le proprie, appoggiate delicate, senza stringerle troppo; rimase a fissare le sue labbra aprirsi e lasciare che un debole vento tiepido gli regalasse un po' di tempore alle dita. Jimin deglutì.

Mai aveva incontrato una persona tanto strana e bipolare.

Il ventenne strattonò le mani verso il basso, sfuggendo alla presa dell'altro: «I-io-» si schiarì la voce con un colpo di tosse sotto lo sguardo stranito del figlio di Babbo Natale «Vado a cambiarmi». Il giovane proprietario di casa lasciò lo strano tipo nel salotto, salendo le scale piano, provando a non far rumore; raggiunse la propria stanza, chiuse la porta dietro di lui e ci si appoggiò con la schiena, chiudendo gli occhi e stropicciandosi il volto. Confuso, incredulo, pieno di timori e incertezze si chiese perché avesse accettato la sua proposta, perché avesse chiesto lui stesso di fargli incontrare il padre - sempre che lo fosse davvero, il figlio di Babbo Natale. Mille pensieri cominciarono a vagargli nella mente nel frattempo che si spogliava, che prendeva dei vestiti puliti dall'armadio: l'idea che potesse essere un impostore, che potesse essere malvagio, che avrebbe potuto fare del male a lui o alla sua famiglia. Eppure sentiva che non stava correndo nessun pericolo, che era - quasi - al sicuro, insieme a lui. Non era un pensiero razionale, ovviamente, solo una sensazione. Jimin fece di quella sensazione l'unica ragione della serata, evitando di pensare al peggio, sebbene solitamente sarebbe stato più prudente. Quando si rese conto di essere stato in stanza fin troppo tempo alzò inconsciamente il polso, guardando l'orario sul quadrante, ma i minuti non sembravano essere passati e un sorrisetto stupito gli riaffiorò sul viso; si guardò nuovamente allo specchio, si mise a posto i capelli con le dita e riaprì la porta.

Scese le scale, facendo di nuovo attenzione a non far troppo baccano per non svegliare i suoi genitori, e una volta arrivato al piano di sotto girò l'angolo e si ritrovò in salotto: Yoongi se ne stava seduto sul divano, chinato in avanti con un biscotto nella mano destra e un bicchiere di latte nella sinistra.

«Ti piacciono?» chiese bonariamente il ventenne, avvicinandosi a lui.

Yoongi sollevò lo sguardo, osservandolo in silenzio: si soffermò in un primo momento sugli stivaletti marroni chiaro, salì con gli occhi di ghiaccio oltrepassando i semplici jeans, puntò l'azzurro chiaro sul maglione che aveva deciso di indossare: «È un maglione di Natale.» osservò in modo semplice, senza troppa intonazione nella voce. Jimin annuì, rimase in attesa. Si guardarono negli occhi: «Penso che a papà piacerà».

Jimin sorrise lievemente anche se provò a non farlo: «Non mi hai risposto».

«Ho mangiato di meglio».

«Mi sembrava di averti sentito dire che fossero buoni».

Yoongi sembrò staccare lo sguardo all'improvviso e Jimin sorrise sotto i baffi soddisfatto, immaginandosi fosse per l'imbarazzo di essere stato colto sul fatto. Il figlio di Babbo Natale portò l'ultimo pezzo di dolce alle labbra, lo masticò piano, deglutì e bevve l'ultimo sorso di latte rimasto nel bicchiere, poi si alzò: «Vogliamo andare?» appoggiò il bicchiere di vetro sul tavolino, a fianco al piattino ormai vuoto, e si colpì i fianchi con le mani per far cadere i residui di briciole a terra.

«Andiamo».

Jimin si incamminò verso la porta d'ingresso, prese il suo giubbotto così come gli era stato consigliato dall'attaccapanni a fianco alla porta e appoggiò la mano sulla maniglia. La voce di Yoongi, alle sue spalle, lo interruppe i suoi movimenti: «Passiamo dal retro». Un ordine, uno dei tanti di quella serata, che al posto di far innervosire il ventenne lo resero semplicemente confuso. Jimin si girò verso l'altro ragazzo, piegò la testa di lato e rimase in attesa, ma Yoongi non sembrò intenzionato a spiegarsi e gli fece solo un cenno con il capo. Camminarono per la casa illuminata solo dalle luci dell'albero, arrivando fino alla cucina e alla porta chiusa che dava sul giardinetto sul retro di casa. Il biondo ragazzo dagli occhi color ghiaccio la aprì con semplicità, come se fosse sempre stata aperta e Jimin non si sprecò neppure a chiedere come avesse fatto, sebbene sapesse di averla chiusa lui stesso. Quando uscirono di casa il freddo gelido di dicembre ormai alla fine li colpì all'istante: Yoongi non sembrò neanche accorgersene, il giovane primogenito della famiglia Park si strinse tra le spalle, infilando le mani nelle grosse tasche tiepide.

Jimin si sarebbe girato per chiudere la porta - sebbene quella fosse già chiusa a chiave -, ma qualcosa di molto più incredibile di una magia all'ingresso lo distrasse: «Cazzo».

«Ti piace? L'ho appena lavata».

Una frase del genere se la aspetterebbero tutti dal proprietario di una macchina ultimo modello, un bolide rampante appena uscito, pagato fior fior di quattrini, ma, nel centro del giardino, nessuna automobile li stava aspettando bensì un'imponente slitta rossa con tanto di renne accucciate a terra: le luci natalizie appese ai balconi e alle finestre facevano brillare il colore lucido, le decorazioni dorate impreziosivano l'imponente mezzo, molto più grande di quello che si sarebbe aspettato; dalla parte davanti partivano due corde eleganti e sottili, legate intorno agli otto animali a riposo da piccole imbragature, unite alla punta alla nona renna che, sebbene anch'essa fosse a terra, osservava il cielo puntando il muso verso l'alto.

Jimin portò le mani alla bocca, la coprì mentre questa non faceva che allargarsi dallo stupore, esattamente come i suoi occhi scuri, ammaliati da ciò che osservavano: «Non ci credo». Anche se Babbo Natale senza slitta e senza renne magiche non si poteva chiamare tale, alla fine, quello con cui aveva passato le ore presedenti non sembrava il tradizionale portatore di doni natalizi e, perciò, l'idea di poter vedere un'autentica slitta volante non gli era passato per la mente. Eppure era lì, davanti a lui, in tutta la sua magnificenza, così vera che gli sembrò quasi troppo reale. Jimin rimase semplicemente immobile, sul posto, fissandola, mentre Yoongi si avvicinò al retro del mezzo di trasporto: infilò al suo interno il sacco verde con facilità, ne prese un altro molto più piccolo completamente nero e si avvicinò alle renne, abbassandosi da ognuna per dar loro da mangiare, tirando fuori dal sacchetto un mazzolino di foglie e licheni, lasciando che si nutrissero dal suo stesso palmo. Gli occhi scuri del ventenne osservarono la scena, i suoi piedi si fecero coraggio, muovendosi in sua direzione e fermandosi qualche metro dietro di lui: «Quella è Rudolph?» chiese guardando Yoongi dar da mangiare a quella in cima alla fila.

Il magico figlio di Babbo Natale sorrise pacatamente, quasi nascosto, e annuì: «Vuoi accarezzarlo?»

Jimin rimase in completo silenzio, pensieroso e nervoso alla sua proposta, non amando particolarmente gli animali di grossa stazza. Si mordicchiò il labbro inferiore e, data la risposta che tardava ad arrivare, l'altro sollevò il volto dal muso della renna alla figura di Jimin: «Hai paura?» non riuscì a nascondere un sorrisetto beffardo «Non ti fa niente eh». Il giovane era davvero spaventato, ma indubbiamente quel ghigno soddisfatto che aveva imparato ben presto ad odiare fece passare ogni timore in un sol soffio.

«No.» rispose senza troppa euforia, ricominciando a camminare piano verso di lui, passando a fianco agli sguardi curiosi degli animali ancora accucciati; raggiunse il ragazzo dai biondi capelli, si piegò sulle ginocchia e gli si mise a fianco, osservando l'animale. Yoongi gli accarezzava la pelliccia vicino alle orecchie, abbassando il palmo tra gli occhi e arrivando fin sopra il naso rossiccio. Jimin poggiò le mani sulle proprie ginocchia, strinse i jeans e deglutì.

«Guarda, non ti fa niente.» lo rassicurò Yoongi; i suoi occhi di ghiaccio rimasero a osservare il muso del suo animale, i suoi occhi che si chiudevano alle carezze ricevute, le narici che si aprivano e chiudevano in sbuffi compiaciuti. «Vieni,» tolse la propria mano dalla pelliccia, la appoggiò su quella dell'altro, la strinse con gentilezza e la sollevò, «appoggiala». Jimin non oppose resistenza, lasciò che le sue dita vennero a contatto con il morbido pelo marrone chiaro, che la mano dell'altro lo guidasse nel toccare l'enorme animale.

«Che carina.» sussurrò nel vederla docile sotto il suo tocco, con gli occhi chiusi, beata delle coccole dei due ragazzi.

«Già, è il mio ragazzone.» rispose l'altro togliendo la mano da quella piccola del proprietario del giardino nel quale aveva parcheggiato, portando le dita vicino ad un orecchio e grattandolo con vemenza «Vero che sei il mio ragazzone? È vero? Chi è il mio campione?» chiese con voce improvvisamente dolce, leggermente più acuta di come l'aveva impara a conoscere l'altro, riferendosi direttamente alla renna che, per risposta, riaprì gli occhi e sbuffò dalle narici, piegando la testa alle coccole che il padrone gli stava regalando.

Jimin tolse la mano e la riappoggiò sul proprio ginocchio, rimase a guardare l'animale con un sorrisetto pieno d'adorazione in volto, intenerito dalla situazione, finché l'altro non lo riportò alla realtà dei fatti con una sola parola: «Andiamo». Mai una parola singola aveva fatto salire di più l'ansia di Jimin e mai così velocemente. Yoongi si alzò e l'altro seguì i suoi movimenti, il figlio di Babbo Natale si avviò alla slitta e il giovane ne ripeté i passi, il biondo aprì lo sportello e si sedette sulla parca morbida al suo interno, lateralmente, e Park Jimin si sedette a sua volta, in completo e assoluto silenzio, richiudendo la porticina dietro di sé.

Jimin non si aspettava certo cinture di sicurezza o alti vetri di protezione, ma a nulla servì scacciare la sua preoccupazione il pensare che l'altro fosse abituato o che, in fondo, fosse una slitta magica: pensare di volare presto nel cielo su un oggetto di dubbia sicurezza non lo faceva sentire a suo agio. Yoongi prese le staffe tra le mani, le strinse con decisione e diede un colpetto leggero: la corda cominciò a muoversi in movimenti ondulatori, arrivando alle renne che, un istante dopo, si alzarono sulle zampe, scuotendo il corpo e colpendo il terreno con gli zoccoli, riscaldando i muscoli lasciati fermi durante il riposo.

«Oh!» la voce bassa e roca di Yoongi le intimò a prepararsi, mosse le corde con un colpetto ancor più leggero del precedente; le mani di Jimin si poggiarono al bordo della panca ricoperta dal un morbido tessuto imbottito, strinse con nervosismo senza farsi vedere. Il magico ragazzo dagli occhi di ghiaccio osservò il cielo sereno, piegò la testa a destra e sinistra schioccandosi il collo, poi disse con decisione: «Su! Andiamo a casa!» diede un colpetto più forte, le corte si scossero, le renne sbuffarono e cominciarono a trottare sul posto, si mossero leggermente in avanti e, con leggerezza, la slitta scivolò sull'erba. Fu tutto veloce, dopo quel primo movimento, e Jimin non ricordava di provare tanto timore da quando lo avevano obbligato ad andare sui go kart da bambino: le renne fecero un salto, spiccarono il volo, uno strattone fece impennare la slitta, la fece sollevare in aria con velocità. Il giovane umano fu preso dalla paura e dimenticò il suo orgoglio: si buttò verso Yoongi, gli cinse il busto con le braccia, poggiò la fronte sulla sua spalla e chiuse gli occhi. Sentì la sua voce intonare una risata roca e divertita, la sentì dire qualcosa con tono provocatorio, ma la paura di quel momento e il rumore del vento rese tutto confuso. Jimin strinse la presa ancora di più al primo scossone, mugugnò impaurito, strizzando gli occhi più forte che poté, ascoltando il suono del proprio cuore battere furiosamente nelle orecchie.

Jimin rimase attaccato all'altro per vari minuti poi, improvvisamente, tutto sembrò calmarsi: gli scossoni terminarono, così come i continui movimenti ondulatori che gli sembravano farlo scivolare fuori dalla slitta da un momento all'altro; improvvisamente ci fu solo l'aria fresca, il rumor di campanelli.

«Va tutto bene, Jimin.» la voce del figlio di Babbo Natale era calda e premurosa così come lo fu la sua mano che gli toccò gentilmente il dorso «Guarda fuori».

Jimin avrebbe voluto lamentarsi, chiedere di lasciarlo in quella posizione e di starsene zitto e, in realtà, lo avrebbe pure fatto se la sua voce non fosse stata tanto gentile. Ma la sua voce era sembrata più melodiosa delle campanelle, più del vento freddo che gli colpiva il volto nascosto, più della musica di Natale. Staccò la fronte, rimanendo con gli occhi chiusi ancora qualche istante, fece un grosso respiro profondo, calmò il suo cuore e, finalmente, si girò verso le renne e sollevò le palpebre.

La notte davanti a lui era luci e stelle, era pittura fresca che veniva creata in quell'istante; intorno a loro le nuvole sembravano spuma di mare, le stelle sopra di loro erano immense e brillanti, così come lo era la luna che mai gli era sembrata tanto grande e perfetta. Le renne galoppavano nell'aria silenziose, i campanelli sulle loro selle riempivano l'aria di musica, come se la loro andatura creasse magicamente una melodia, una luce rossa apriva la strada, proveniente dal naso della creatura che aveva accarezzato poco prima. Jimin si guardò intorno stupito e tanto era spettacolare la vista che si sentì commosso; i suoi occhi si riempirono di lacrime, ma queste rimasero intrappolate senza mai colar sulle guance, così come era giusto succedesse con i pianti di felicità. Si sporse in avanti, con bocca aperta e occhi brillanti in cui si riflettevano le stelle, poggiando le mani sulla slitta e desiderando di vedere altro: fece leggera forza sulle ginocchia e, tremante, si sollevò; si mise in piedi, nella slitta che ormai sembrava quasi ferma in aria, sebbene le nuvole intorno a loro gli passassero a fianco e venissero separate. Jimin osservò davanti a lui la distesa bianca di cumulonembi riflettersi alla luce della luna, illuminandosi come neve soffice.

E mentre Jimin osservava il cielo due occhi di ghiaccio persero di vista la strada di casa, lasciando il compito di orientarsi alle renne, per osservare il ragazzo moro guardarsi intorno stupito, con gli occhi lucidi e un sorriso che cresceva sempre di più in volto. La luna si rifletteva sulla sua pelle facendola splendere e Yoongi pensò che mai prima di allora quel viaggio era stato tanto bello da guardare, ritrovandosi ben presto a sorridere timidamente, mentre nel suo cuore un secondo ricordo si cuciva irrimediabilmente e per sempre.

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