13


Jimin camminava al fianco di Yoongi, indossando i suoi maglione natalizio più bello, quello bianco e rosso con le renne, fatto a mano; i disegni cuciti da sua madre erano però invisibili a tutti perché il proprietario di quel maglione teneva le mani al petto, nervosamente, provando a calmare il proprio cuore che batteva sempre più velocemente. Camminava lentamente, quasi come stesse andando verso il patibolo, quasi come se non volesse davvero arrivare alla meta, troppo spaventato da ciò che avrebbe potuto trovare. C'era silenzio, un silenzio strano e angosciante. Gli elfi nel corridoio non fiatavano, rimanevano appoggiati al muro, fissandoli con sguardo serio, senza sorridere, come se la sacralità del momento non dovesse essere interrotta da stupidi saluti gioiosi o domande inconcludenti. Chiedergli come stesse proprio mentre camminava verso l'imponente portone rosso in fondo al corridoio non sembrava una buona idea. Certo Jimin avrebbe forse preferito un ambiente più gioioso, più festivo e magico, così da poter ignorare quella tensione che provava, ma si era ritrovato a dover sollevare pesantemente i piedi dal pavimento, come se passeggiasse nelle sabbie mobili, e a dover proseguire in una aria tesa e fitta d'ansia simile ad una ragnatela che lo rallentava sempre di più.

Quando furono a pochi passi dal portone rosso Jimin si dovette fermare: il suo cuore batteva così forte da spaventarlo, respirare era più difficile del solito e sentiva i pensieri annebbiati. Chiuse gli occhi, deglutì a fondo e strinse i pugni al petto. Aveva una gran paura di aprire quella porta, una folle paura di non trovare ciò che cercasse.

Fu quasi preso dalla voglia di indietreggiare, di girarsi e scappare via correndo, ma un tocco gelido sui suoi polsi lo obbligò a riaprire gli occhi: Yoongi si era messo davanti a lui, osservandolo con sguardo confuso ma dolce, e gli stava prendendo le mani delicatamente. Jimin lasciò che le loro dita si incrociassero, osservò gli occhi di ghiaccio cercandoci riparo, si sentì subito meglio.

«Non aver paura, ci sono io». Quella frase non aveva nessun senso, non con il loro rapporto, non se le loro ultime frasi pronunciate erano insulti, ma Jimin le sentì così vere che il suo cuore si calmò all'istante e si ritrovò ad annuire schiudendo le labbra. «Andiamo».

Yoongi aprì la porta, Yoongi gli strinse la mano e fece il primo passo e, entrambi, si ritrovarono nell'ufficio di Babbo Natale: le finestre sui muri erano piccole, ma tante da illuminare la stanza perfettamente; ghirlande di natale, disegni infantili colorati del proprietario della stanza e intagli di legno con auguri natalizi erano appese alle finestre. Vi era un enorme scaffale pieno di grossi libri per bambini sulla festività in corso, un albero di natale enorme e decorato al meglio in un angolo e una grossa scrivania al centro della stanza: lì, seduto a quella scrivania, un uomo anziano, vestito di rosso e bianco, con una lunga barba bianca, due piccoli occhiali tondeggianti appoggiati al naso tozzo e una pancia imponente sorrise ad entrambi. Babbo Natale era esattamente come lo ci si aspettava, con quell'aria buona e l'enorme sorriso gentile.

«Oh! Oh! Oh!» la risata tipica che lo contraddistingueva nei film, nelle pubblicità e in qualsiasi video e racconto avesse visto o sentito riempì l'aria, grave e profonda «Jimin! Piacere di conoscerti!»

Yoongi si ritrovò a sorridere dolcemente, fissando il padre. Si era immaginato tante volte l'espressione di pura gioia sul volto di Jimin nel poterlo conoscere, le lacrime di commozione, i ringraziamenti; si era immaginato di uscire insieme da quell'ufficio dopo averlo salutato e ridere del ventenne in modo giocoso, prenderlo in giro per le sue espressioni contente, per l'emozione immotivata solo per aver conosciuto uno dei suoi genitori. Si era immaginato - ma su quel pensiero ci era andato cauto, centellinando l'immagine nella testa per non rovinarla - di trovarselo stretto in un abbraccio mentre lo ringraziava, di poter sentire la sua voce tremante dirgli quanto fosse stato bello incontrarlo. Gli occhi di ghiaccio - uguali a quelli del padre - vennero allontanati dalla figura imponente e anziana dell'uomo che lo aveva cresciuto e, piano come sempre, portò lo sguardo sul volto del ragazzo al suo fianco. E il suo sorriso si spense all'istante.

Il volto di Jimin era fermo nel tempo, come congelato, e nessun sorriso sembrava voler curvare le sue labbra che, invece, continuavano a tendere sempre più verso il basso. Le guance pallide erano pallide e gli occhi che si era immaginato pieni di lacrime erano presenti, ma non sembrava un pianto di felicità: un'assoluta angoscia e tristezza lo faceva sembrare disperato, invecchiato, stanco di ogni cosa e malinconico. Le lacrime salate colavano sulla sua pelle finendo sulle labbra che, solo allora, Yoongi si rese conto tremassero, esattamente come tutto il suo corpo e il suo petto ad ogni respiro; sembrava tanto provare a bloccare un pianto isterico e disperato, pronto a liberarsi in un sol attimo, devastante. Il figlio di Babbo Natale spalancò la bocca incredulo, senza capire cosa succedesse, senza saper cosa dire e nulla avrebbe potuto comunque pronunciare perché, prima di aver tempo di processare, Jimin chiuse gli occhi con foga, si girò e scappò senza dire niente dalla porta alle loro spalle, facendo risuonare i suoi passi nel corridoio e sparendo giù per una rampa di scale alla vista di Yoongi, immobile e con occhi spalancati.

Ci fu silenzio per un paio di secondi, poi il ragazzo di ghiaccio si volse verso il padre con volto confuso: «I-io non...» scosse il capo «Ti giuro, papà, non capisco che gli prenda. Non vedeva l'ora di conoscerti...»

L'anziano signore, che sembrava però più sveglio e arzillo che tanti altri giovani al mondo, sorrise al figlio in modo affettuoso: «Forse le sue aspettative sono state deluse?»

Yoongi sembrò infastidirsi a quelle parole, raddrizzò il corpo e sollevò il capo, con orgoglio: «Perché dovrebbe? Sei esattamente come ci si aspetta, anche meglio!» disse con sicurezza, mostrando l'affetto che aveva per il padre, quasi protettivo nei suoi confronti.

«Perché non provi a chiederglielo?» gli propose l'uomo senza perdere la sua calma e l'aria gentile.

Yoongi boccheggiò a vuoto, crucciò la fronte e chiese, quasi in un sussurro: «Sai qualcosa che io non so?»

Ma non ottenne risposta, semplicemente una grossa risata tipica, mentre gli faceva segno di uscire. Yoongi rimase qualche istante immobile, provando a capire, ma poi annuì semplicemente e, con passo svelto - cosa non da lui - cominciò ad incamminarsi per il corridoio, scendendo le scale che l'altro aveva percorso. Girò per ore - o minuti, o forse giorni, non c'era un vero e proprio tempo in quel luogo - in lungo e in largo alla sua ricerca, chiedendo informazioni agli elfi che a volte rispondevano tristemente di non averlo visto mentre, più raramente, gli rispondevano gioiosi di averlo notato correre in lacrime verso una direzione. Il figlio di Babbo Natale seguì le tracce e i consigli finché, ad un certo punto, non servirono più: un lontano lamento singhiozzante e disperato gli giunse all'orecchio e i suoi passi rallentarono nel seguire quel rumore. Yoongi aprì la porta dietro la quale sentiva quel triste pianto, con delicatezza, ma senza farlo così piano da non essere sentito; non era sua intenzione arrivare a lui senza che se ne accorgesse.

La stanza che Jimin aveva trovato vuota era un'enorme biblioteca, alta decine di metri e con scaffali dal pavimento fino al soffitto, pieni zeppi di libri tutti diversi. Un tempo quella era una delle stanze più utilizzati dagli elfi in tempo di natale, sempre rifornita con migliaia di copie diverse, già pronte da essere impacchettate, ma da molti anni, ormai, erano poche le richieste di libri e quella stanza, spesso, prendeva polvere. Gli occhi di ghiaccio si spostarono a destra e sinistra, in alto e in basso, alla ricerca della figura del giovane, seguendo l'eco dei suoi singhiozzi, finché non riuscirono a trovarlo: tra due scaffali altissimi, lo spazio di circa un metro e mezzo lasciava ad una vetrata opaca il compito di illuminare la stanza e, a terra, vi erano posati una manciata di enormi cuscini a coprire il pavimento; Jimin era seduto lì, sopra il morbido, con le ginocchia al petto e la tempia appoggiata al vetro. Yoongi si avvicinò a lui, i suoi passi risuonarono nel silenzio, finché non lo raggiunse. Nessuno dei due disse nulla. Il ragazzo di ghiaccio si sedette, dalla parte opposta, allungando i piedi fino allo scaffale al quale era poggiata la schiena di Jimin; poggiò anch'esso la fronte sul vetro e osservò l'altro in modo triste: «Che è successo?»

Le labbra di Jimin tremarono: «Sono solo un idiota, tutto qui».

«Dimmi qualcosa che non so.» lo disse con modo dolce, provando a farlo ridere, abbozzando un sorrisetto, ma quando l'altro non reagì, continuando a piangere, anche il suo volto divenne triste. «Jimin, non capisco.» si bagnò le labbra lentamente, pensando alle parole giuste «Cos'è successo?»

«Te l'ho detto.» disse freddamente il ventenne, cercando di mantenere il controllo «Sono solo un idiota», ma a quelle parole non riuscì a mantenere saldi i nervi e chiuse gli occhi. Il petto tremò, piegò la testa e poggiò la fronte sul vetro, si lasciò sfuggire l'ennesimo singhiozzo: «Sono così stupido, sono il più stupido idiota di questo mondo».

Lo disse con tale cattiveria verso sé stesso, con tale rabbia e odio, che Yoongi si sentì in dovere di proteggerlo; scosse il capo, si staccò dalla scrivania e si avvicinò a lui, poggiandogli le mani sulle ginocchia e riappoggiando la tempia al vetro, più vicino: «Ehi, smettila, non è vero».

«Invece è così.» fece un profondo respiro tremante «Mi aspetto sempre le cose più impossibili, credendoci davvero e creandomi mille sogni impossibili da realizzare e, alla fine, rimango sempre deluso». Si portò una mano al volto, si asciugò gli occhi, ma continuò a piangere: «E ci credevo anche questa volta, anche se era la cosa più impossibile, anche se sapevo non sarebbe successo, ma ci sono rimasto di merda lo stesso...»

«Jimin, i-io non sto capendo...»

Il ventenne, per la prima volta, staccò la testa dal vetro; poggiò la nuca sullo scaffale dietro di lui e incastonò lo sguardo triste negli occhi di Yoongi. Jimin fece un profondo respiro, che terminò con uno sbuffo, poi chiese: «Lo sai perché amo il natale?» Yoongi scosse il capo. Non si era mai chiesto se ci fosse un vero e proprio motivo, il natale era una festa di gioia e piaceva a tante persone, senza un motivo particolare. «Quando ero piccolo era la festa più bella in assoluto. Certo c'erano i regali ed erano sempre quelli che volevamo, ma la cosa che mi piaceva di più era stare tutti assieme, ballare, mangiare, giocare e suonare canzoni». Yoongi rimase in silenzio, ad osservarlo. Jimin sorrise come a volersi prendere in giro, come se si stesse dando dell'idiota solo con un'espressione. «Starai pensando che è una cosa normale che ai bambini piaccia il natale, hai ragione, ma sai qual era la cosa che più mi piaceva?» fece una pausa, ma non aspettò che l'altro rispondesse «Quando arrivava Babbo Natale dopo cena e ci portava i doni, mangiava il dolce con noi e mi prendeva sulle sue ginocchia». Yoongi crucciò la fronte confuso e Jimin ridacchiò nervoso alla sua reazione. «Quando capii che era mio fratello maggiore che si travestiva non dissi nulla, feci finta di niente. Mia sorella ci credeva ancora, era piccola, e a me piaceva vederlo impegnarsi a fare la voce grossa e mi divertivano le sue bugie sul fatto che dovesse andare in bagno o che andava a fare una telefonata.» ridacchiò allegro al ricordo «E ogni volta che tornava si lamentava di non averlo visto neppure quell'anno, che coglione».

Yoongi gli accarezzò il ginocchio con il pollice, sussurrò debolmente: «Non sapevo avessi un fratello».

«Infatti non c'è l'ho più». Jimin trattenne il respiro, Yoongi fermò il pollice all'istante, colpito dalle sue parole. «È morto quando avevo dieci anni, d'estate». Una nuova lacrima gli solcò la guancia. «Quel natale provammo a festeggiarlo lo stesso. I miei genitori organizzarono tutto, ma mio padre non se la sentì di travestirsi. Dopo la cena mia sorella chiese se sarebbe venuto Babbo Natale...» Jimin deglutì con forza, chise gli occhi, poi li riaprì ancor più lucidi «Mia madre scoppiò a piangere, passò il resto della serata a letto, con la foto di mio fratello tra le braccia.» i ricordi erano vividi, ma il ventenne provò a scacciarli scuotendo il capo «Da quell'anno mi ripromisi di creare ogni Natale come quello più perfetto, per lui, per noi tutti, per ricordarlo e per...» riappoggiò la fronte sul vetro, chiuse gli occhi e sospirò a fondo «Sapevo che non poteva essere lui, ma quando ho visto tutta quella magia, quelle cose incredibili ho pensato che, forse, potevo sperare di salutarlo un'ultima volta...»

Yoongi era rimasto a fissarlo tutto il tempo, mentre sentiva per la prima volta in vita sua tanto male al cuore da sentirsi morire. Batteva, batteva forte e sembrava così caldo da sciogliere ogni cosa. «Jimin io,» fece una pausa, non sapeva che dire «Se lo avessi saputo n-non avrei...»

Jimin ridacchiò per la prima volta, allegro: «Cosa? Mi avresti specificato che non mi avresti riportato da mio fratello morto?» sospirò e arricciò il naso con espressione dolorosa alla durezza delle sue stesse parole «Ma quale idiota lo crederebbe, al mondo? C'era davvero bisogno di dirmelo?» Yoongi non seppe che dire, troppo impegnato a ributtare nello stomaco le lacrime che sentiva salirgli, la voglia di piangere, di urlargli che avrebbe fatto di tutto per realizzare quel sogno che aveva, ma che non ne era in grado. «Questo natale è stato un susseguirsi di delusioni.» sollevò l'indice sul vetro, cominciò a fare un cerchio, continuando a calcarlo e a tornare al punto di partenza ogni punto dell'elenco «La tizia del supermercato, la fila alla piazza, la multa, il ladro,» sospirò, sentendosi egoista «mia sorella, l'incontro con Babbo Natale...» interruppe il movimento sul vetro, deglutì, sussurrò un debole e conclusivo: «Tu».

Yoongi sentì di aver voglia di prendersi a schiaffi, di chiedergli scusa piangendo, sentì di aver sbagliato tutto, di voler tornare indietro nel tempo per non incontrarlo mai, sentì che era tutta colpa sua: «Mi dispiace...» scosse il capo, i suoi occhi si fecero umidi «Ti ho rovinato il natale».

Jimin era stanco, stanco di ogni sofferenza e di tutte quelle piccole cose che erano arrivate assieme e che non sapeva gestire, era stanco di farsi castelli in aria, di essere così stupido e credulone, era stanco, soprattutto, di non capire che provasse. Si staccò dal vetro, dalla scrivania, si mise in ginocchio e avvicinò il volto all'improvviso a quello dell'altro, puntando gli occhi rossi dal pianto disperato avuto in quelli umidi di Yoongi, che mai in vita sua aveva pianto. «Perché mi hai detto quelle cose stanotte se non vedi l'ora che io me ne vada?» L'altro boccheggiò, provò a dire qualcosa, ma Jimin gli parlò sopra, alzando la voce. «Perché sembri così triste per me? Perché ogni tanto sembri volermi proteggere da ogni cosa? Perché mi guardi in quel modo che mi toglie il respiro? Perché fai tutte queste cose se poi mi odi e non vuoi avermi tra i piedi?»

«Non è vero...» deglutì rumorosamente, una prima lacrima gli solcò la guancia, congelandosi pian piano, cristallizzandosi sul viso bianco come la neve «Non ti odio, n-non è vero che non ti voglio, i-io...»

«Perché mi confondi così?» sollevò la mano, la poggiò sulla guancia dell'altro, il calore della sua pelle sciolse la lacrima congelata, bagnandogli il palmo.

«È complicato, Jimin, i-io...» sospirò, alzò la mano e la poggiò gelida su quella dell'altro, ancora sul suo volto «Non lo faccio apposta, sono fatto in questo modo».

«È la scusa che usano tutti...» Jimin si ritrovò a ridacchiare, nervosamente.

Yoongi scosse il capo con veemenza, gli tremarono le labbra: «Io non sono tutti, i-io sono diverso, s-sono...»

Jimin tolse la mano, stanco, e senza dire una parola fece per alzarsi. Yoongi sentì il cuore battere impetuoso, spaventato, lo sentì raffreddarsi appena il contatto venne meno, si sentì impaurito da ogni cosa al mondo: «No! Aspetta!» allungò la mano d'istinto, gli prese il polso e lo ritirò a sé.

Caddero sui cuscini, Yoongi lo strinse in un abbraccio, lo trattenne al corpo, appoggiò la fronte sulla sua: «Ti prego, ti prego...» scoppiò a piangere silenzioso, respirando a fatica. Jimin ricominciò a piangere con lui, ricambiando l'abbraccio che, da quella notte, gli sembrò più tiepido.

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