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Il centro commerciale, quel periodo, sembrava un posto completamente diverso: le persone spingevano i loro carrelli più lentamente, prendendosi il loro tempo per osservare le vetrine con il sorriso; i bambini correvano tra la folla o chiedevano regali ai genitori tenendoli per mano. La musica jazz di sottofondo era stata sostituita con basi orchestrali di musiche di Natale, appena udibili nella folla chiassosa, e luccicanti decorazioni a forma di fiocchi di neve addobbavano il soffitto rendendo i corridoi più luminosi. Un trenino rosso faceva il giro completo del centro commerciale portando con sé piccoli visitatori insieme alle mamme o ai papà; nel centro, al piano terra, un uomo con indosso un vestito rosso e bianco rideva con voce profonda ogni qual volta un bambino gli veniva fatto sedere sulle gambe, chiedendogli cosa desiderasse sotto l'albero.

Il centro commerciale, così come ogni cosa e ogni luogo, in quel periodo, sembrava essersi magicamente trasformato, rendendo ogni particolare più bello e felice, più familiare. Si percepiva, nell'aria, un senso di pace, anche in quelle persone di fretta che cercavano qualche giocattolo rimasto per gli ultimi regali d'emergenza.

«Quanto è bello il Natale». Jimin poggiava i gomiti sul proprio carrello, spingendolo piano tra la folla, guardandosi intorno con sguardo adorante ogni qual volta incrociasse una giovane negoziante vestita da elfo, un bambino che saltellava gioioso tenendo un gioco tra le braccia, un uomo di famiglia che portava sacchetti in modo faticoso, ma con un sorriso sulle labbra.

Il giovane ventenne si fermò davanti ad una vetrina, si guardò riflesso e si sollevò dal carrello per sistemarsi i capelli neri, per ridacchiare fiero del suo maglione rosso fatto a mano, con delle simpatiche renne cucite sopra: «Speriamo che mamma ce ne abbia fatto un altro quest'anno».

A differenza dei suoi amici e dei ragazzi della sua età, Jimin amava il Natale con tutto sé stesso: aprire i regali, magiare in famiglia, cantare canzoni caratteristiche, il rosso e il verde ovunque; non c'era cosa che non amasse di quella festività.

«Signore?» una gentile voce femminile lo distrasse del proprio riflesso, facendo puntare il suo sguardo sulla giovane negoziante della vetrina che stava usando da specchio «Vuole entrare? Le interessa qualcosa?»

Jimin le donò un enorme sorriso felice, scosse il capo: «Mi stavo solo guardando, mi scusi».

La giovane fanciulla, però, non ricambiò il sorriso ma, anzi, gli mostrò uno sguardo gelido: «Potrebbe spostarsi dalla vetrina allora? Se non le dispiace».

Il volto del moro si sporcò di un leggero rosso d'imbarazzo e, scusandosi, si spostò immediatamente, facendogli degli auguri di Natale non ricambiati e continuando il suo viaggio, spingendo il carrello. Quando fu abbastanza lontano borbottò un infastidito: «Non tutti riescono ad apprezzare la bontà del Natale, a quanto pare».

Che motivo c'era, in quel periodo, di essere così scorbutici?

Jimin arrivò insieme al suo carrello pieno fino all'ingresso, lo superò, alzando subito lo sguardo al cielo, ma notò con dispiacere che, ancora, non sembrava voler nevicare: «Sarebbe perfetto...» sussurrò, raggiungendo in pochi minuti la sua macchina, parcheggiata nell'unico posto libero trovato in fondo allo spiazzale. Il ventenne caricò il bagagliaio, mise il resto dei sacchetti, quelli che non entravano nel retro dell'auto, nei posti dei passeggeri posteriori e riportò il carrello al suo posto, tornando in un baleno alla sua automobile.

Il viaggio di ritorno fu lento e, sebbene normalmente dal centro commerciale a casa sua ci volessero meno di venti minuti, dopo una buona mezz'ora era ancora fermo nel traffico, a metà strada. La musica nell'abitacolo lo deliziava con le canzoni del suo cd di Natale preferito, quello storico che tanto amava e che rifaceva ogni anno, dato che durante i mesi estivi finiva sempre per graffiarsi o rovinarsi in qualche altro modo.

Dieci minuti buoni dopo, arrivato alla piazza del centro città, al posto di continuare il suo viaggio verso casa, parcheggiò in doppia fila proprio davanti alla casetta di Babbo Natale, non trovando un parcheggio velocemente, e scese dall'abitacolo, mettendo le quattro frecce. Jimin si incamminò contento verso il gruppo di famiglie intorno alla piccola abitazione in legno montata qualche giorno prima, mettendosi in fila dietro tutti i bambini, stringendo tra le mani una piccola busta bianca, chiusa, con sopra scritto "per Babbo Natale". La piccola abitazione dell'uomo che, quella notte, avrebbe girato il mondo per dare ai bambini buoni ciò che desideravano, era circondata da un recinto basso, leggermente instabile; nel centro della recinzione vi era un grosso albero di natale pieno di palline colorate e luci intermittenti, insieme a tre ragazzi dall'aria annoiata, vestiti con cappellini verdi a punta e tute dello stesso colore.

Jimin aspettò pazientemente il suo turno, almeno quindici minuti, prima di fare un passo e fermarsi all'ingresso, appena il bambino davanti, insieme al padre, furono fatti entrare nella casetta di Babbo Natale.

«Tuo figlio?» chiese il ragazzo-elfo guardandosi intorno.

Jimin crucciò la fronte confuso un primo istante, poi ridacchiò e scosse il capo: «Oh no, è per me.» alzò la letterina e la sventolò all'aria racchiusa nelle dita guantate «Sono stato bravo, giuro!»

Il ragazzo all'ingresso lo guardò prima spaesato, poi semplicemente stanco: «Cioè la lettera è per te? Non per tua sorella o tuo figlio o che so io?» chiese, per sicurezza, assicurandosi di aver capito bene.

Jimin annuì con convinzione, mostrando un sorriso sincero e gentile ma, anche questo, non ottenne una risposta altrettanto educata: «Senti, hai visto che fila che c'è?» indicò dietro di lui; Jimin ruotò sul posto, osservò per un istante tutti i bambini in fila, poi tornò a guardare il finto elfo, annuendo confuso. «I bambini vogliono dare la lettera a Babbo Natale, non sei troppo grande?»

Jimin deglutì in imbarazzo, abbassò lo sguardo per un istante, poi lo risollevò sicuro e fece spallucce: «Non importa...» rispose a voce bassa, rimanendo al suo posto.

Il ragazzo-elfo avrebbe pure lasciato perdere, ma il padre dietro Jimin, che aveva sentito la loro discussione, toccò in modo sgarbato la spalla del ventenne, obbligandolo a girarsi: «Mio figlio sta aspettando da mezz'ora, perché non lasci il posto ai bambini invece di far perdere tempo ai ragazzi che stanno lavorando?»

Jimin si morse il labbro inferiore, strinse la lettera tra le dita e provò a non diventare troppo rosso in volto: «Voglio solo consegnare la mia letterina, uscirò in un attimo».

La voce di un secondo genitore, quella di una donna, qualche bambino più indietro, si alzò irritante e infastidita: «Questi giovani d'oggi che non hanno nulla da fare!» sbottò guardandosi intorno «È il giorno della vigilia! Sai quante cose dobbiamo ancora organizzare? Stai facendo perdere tempo anche a noi!»

Fu un coro sbiascicato di assensi, non di tutti i presenti, ma di abbastanza persone da metterlo in soggezione, a convincerlo a nascondere il volto dai capelli neri, chinando il capo, prima di infilarsi la lettera in tasca e borbottare un veloce e pieno di imbarazzo: «Va bene! Va bene!»

Jimin lasciò il suo posto in fila, incamminandosi nuovamente verso la macchina, raggiungendola senza aver concluso nulla e aprendola infastidito; si sedette al posto del guidatore, ma prima che potesse infilare le chiavi nel quadro per accenderla notò un foglio di carta infilato nel tergicristallo: «Cazzo!» sbottò, sospirando e scendendo di nuovo dalla macchina per prendere la multa, risalendo in auto decisamente più nervoso di prima. «Che succede oggi?» si chiese, leggendo velocemente i soldi che avrebbe dovuto pagare entro trenta giorni e appoggiandola sul cruscotto per non dimenticarsela.

Sospirò di nuovo, si massaggiò gli occhi, poi fece un enorme sorriso, accendendo il motore e la radio subito dopo: «Non importa, la imbucherò in una buca per le lettere normale.» annuì sicuro «Non cambia nulla, è la stessa identica cosa, no?»

Si immise nel traffico dopo un paio di tentativi, ringraziando con la mano la gentile signora che si era fermata per farlo passare: «Le multe capitano, ero comunque in doppia fila, non è niente di grave.» si fermò al semaforo, alzando il volume della musica «È Natale! Non mi abbatterà nulla!»

Arrivò faticosamente nei pressi di casa sua, trovando ogni semaforo rosso e ancor più traffico di quando era partito dal centro commerciale, fermandosi davanti alla posta e scendendo velocemente per imbucarla nella grossa cassetta rossa: «Ecco fatto!» disse ridacchiando e battendo le mani tra loro. Il sorriso sul volto durò poco, però, perché appena si girò per tornare alla macchina - che aveva lasciato aperta - la figura di un uomo incappucciato che prendeva due sacchetti dai sedili posteriori della sua macchina lo fece bloccare sul posto.

«C-cos?» balbettò un istante prima di urlare «EHI! LASCIA STARE LA MIA ROBA». Cominciò a correre verso la macchina, ma l'uomo scappò via velocemente, lasciando la portiera aperta. La ragione ebbe la meglio sulla foga e la rabbia di quel momento, su Jimin, che si frenò dall'inseguirlo, lasciando la macchina aperta. Gli occhi neri del ventenne si fissarono sulla schiena dell'uomo, incredulo dal gesto al quale aveva appena assistito: «Ma che cazzo?» si portò le mani al volto, gli venne voglia di piangere dal nervoso, ma respirò a fondo, piano, cercando di calmarsi «Erano solo addobbi, solo addobbi Jimin, non fa niente...»

Se lo ripeté a lungo, anche se comunque erano soldi persi e l'essere derubati non era comunque piacevole, anche mentre risalì in auto, mentre continuò il suo viaggio fino a casa, e anche mentre parcheggiava in garage della piccola villetta dei suoi genitori, sua e di sua sorella: «Il cibo era nel bagagliaio, non è successo nulla.» continuava a ripeterselo, sorridendo freddamente.

Scese dall'auto, schiacciò il tasto di chiusura automatica del garage e accese le luci, prendendo il resto dei sacchetti dal bagagliaio: «Buon Natale, Jimin.» si disse ironicamente, ridacchiando della sua eterna sfiga e salendo le scale interne, arrivando nel salotto.

«Sono a casa.» disse a voce alta dirigendosi in cucina, trovandoci sua madre già intenta a cucinare «Che buon profumo!» disse in modo gentile, poggiando sul tavolo i sacchetti e avvicinandosi alla donna «Hai bisogno di aiuto?»

«Tesoro mio, assaggia la salsa.» chiese semplicemente la donna, prendendone un po' con il mestolo e soffiandoci sopra, prima di allungarlo verso il figlio tenendo l'altra mano aperta, sotto, per evitare di sporcare a terra.

Jimin assaggiò come richiesto, le fece un grosso sorriso: «È perfetta, come sempre».

La madre di Jimin mostrò un'espressione soddisfatta, poggiò il mestolo nel lavandino e ne prese un altro dal primo cassetto, per continuare a girare la salsa che sobbolliva in pentola: «Come è andata?»

Jimin sospirò, si avvicinò ai sacchetti e cominciò ad estrarre il cibo per la sera e per il pranzo del giorno dopo: «Una ragazza mi ha cacciato da davanti ad una vetrina, c'era un sacco di traffico, non mi hanno lasciato consegnare la letterina a Babbo Natale e mi hanno rubato due sacchetti.» spiegò velocemente e con un tocco di ironica nella voce.

La donna si girò stupita, lo guardò quasi spaventata: «Ti hanno derubato amore mio? Stai bene?»

Jimin annuì e le donò un sorriso: «Sì, ero solo sceso dalla macchina e nel frattempo hanno preso dei sacchetti, ma erano addobbi».

«Amore di mamma, ne abbiamo già tanti, non ti preoccupare.» si avvicinò al figlio e gli accarezzò la guancia «Basta che stai bene».

Jimin annuì: «Ah! Ho preso anche una multa!» sollevando gli occhi al cielo e portando alcuni alimenti nel frigo.

«Proprio una giornata di merda.» osò dire la donna, facendo ridere sia lui che sé stessa.

Una voce femminile, più giovane, risuonò nella stanza: «Chi ha avuto una giornata di merda?» una ragazzina entrò nella cucina, vestita di tutto punto: un paio di stivaletti neri, un paio di calze scure e un vestitino verde a maniche lunghe, una fascia a cingergli la vita.

«Yeji, assaggia la salsa.» le disse velocemente la donna, aggiungendo subito dopo «Tuo fratello ha avuto un sacco di sfortune oggi».

La ragazzina si avvicinò alla donna e assaggiò dal mestolo, si fece pensierosa poi fece spallucce: «Non male, l'anno scorso però era più buona».

«Ehi!» Jimin le si avvicinò e le diede un buffetto sulla nuca «Non dire così che mamma ci crede».

La donna buttò il secondo mestolo nel lavandino, si avvicinò ad esso e ridacchiò: «I sedicenni dicono sempre la verità, sei tu che non me la racconti giusta, è sempre buona uguale.» aprendo l'acqua del lavello e passando i vari piatti sotto il getto d'acqua.

«Perché è vero, mamma.» disse semplicemente il figlio maggiore, ricambiando la linguaccia della sorella in modo amorevole «Dice così ma vedrai stasera come litigheremo per finircela...» avrebbe voluto aggiungere "come sempre", ma la voce della sorella interruppe il suo discorso.

«Veramente avrei una cosa da chiedere...» la giovane ragazza si avvicinò alla mamma, le si mise a fianco, appoggiando la schiena al bancone della cucina e guardandola speranzosa «I miei amici fanno una cena di Natale stasera...» non servì dire nient'altro.

Jimin sbuffò infastidito, scosse il capo e si avvicinò di nuovo ai sacchetti: «Non hanno una famiglia i tuoi amici? Cazzo, è Natale...» prese la carne in busta e si riportò al frigorifero, cercando un punto in cui infilarceli faticosamente.

«Sì, hanno una famiglia scemo!» rispose lei infastidita, incrociando le braccia al petto «Ma siamo grandi, non è che dobbiamo stare sempre in famiglia alle feste, no?» lo sguardo si posò sul fratello maggiore, Jimin non la degnò di una sola occhiata, intento a spingere la carne in un piccolo spazio che aveva trovato tra le verdure e i salumi «Insomma, noi stiamo sempre insieme, però mi perderei un'esperienza...»

Gli occhi neri della giovane si puntarono sul volto della madre, rimasta in silenzio a pulire i piatti, ne gioia ne tristezza trasparivano sul suo viso.

Jimin provò a rispondere per lei: «Natale si passa in famiglia.» sembrava un'imposizione, Yeji stava già per sospirare, lasciando perdere, quando la donna ridacchiò e girò il volto verso di lei.

«Se ci tieni tanto vai pure, tesoro».

L'acqua continuò a scendere sul metallo di un coperchio, ma nessun altro suono si sentì per i secondi successivi nella cucina di casa Park; Yeji non sembrava crederci, guardando a bocca aperta la donna, Jimin si era bloccato a metà strada tra il frigorifero e il tavolo, girandosi verso di loro, la donna guardava la figlia con dolcezza.

«Cosa?» dissero insieme i due fratelli, ugualmente stupiti, ma con una nota diversa nella voce: Yeji stava davvero sperando andasse tutto bene, Jimin cominciava ad innervosirsi.

«Ma sì! Anche io alla tua età ho fatto qualche Natale tra amici, non c'è niente di male in fondo.» la donna chiuse l'acqua corrente, ma questa volta il silenzio durò pochissimo.

Yeji provò ad aprire la bocca per ringraziarla, ma la voce del fratello la interruppe, nervosa e alta: «Ma cosa significa!?» Jimin batté le mani tra loro «Si fa già Capodanno con gli amici, Natale dovremmo passarlo tutti assieme, come ogni cazzo di anno!» scosse il capo «Papà dirà di no, non è giusto».

La sedicenne guardò il fratello arricciando il naso e con gli occhi sbarrati, quasi a volergli chiedere di smetterla e di sostenerla: «In realtà a papà l'ho già chiesto e mi ha detto di chiedere a mamma».

Jimin rimase immobile, boccheggiò in mezzo alla cucina, spaesato dall'ennesima sfortuna della giornata, prima di parlare direttamente con sua madre: «Ma davvero per te va bene che se ne vada? Davvero?»

La donna si girò e lo guardò tristemente, in modo dolce e apprensivo: «Dai, tesoro, non è niente di grave...»

Jimin alzò le braccia al cielo e scosse il capo, portando lo sguardo su un punto della cucina che non fossero i loro volti: «Fate come volete, rovinate il Natale.» si portò di nuovo alle buste, provò a prendere la bottiglia di Coca-Cola, ma gli scivolò dalle mani, tremanti dal nervoso, ricadendo con un tonfo sul tavolo «Cazzo!» esclamò.

Lasciò tutto lì, sotto lo sguardo apprensivo delle altre due donne di casa: «Dai Jimin, torno verso le due...» provò a spiegare l'adolescente, intristita dal comportamento del fratello.

«Fai come ti pare, hai già avuto il consenso di mamma e papà, il mio non ti serve.» non la guardò, ma indicò il resto delle buste sul tavolo «Visto che neanche sarai qui almeno aiuta prima di andare, metti a posto, vado a farmi una doccia».

«Va bene.» disse subito lei, a voce bassa, osservando il fratello maggiore uscire, dando le spalle ad entrambe.

Rimasero in silenzio qualche istante, sospirarono tutte e due: «Mamma? Pensi sia tanto arrabbiato?»

Il rumore di una delle porte del piano superiore sbattere fu la risposta che cercava. La donna si girò verso Yeji, le fece una carezza sul volto: «Gli passerà, sai che ama questo giorno, è solo dispiaciuto perché ti vuole bene e vuole stare tutti assieme...»

La ragazza si morse il labbro inferiore: «Posso rimanere...» provò a dire leggermente dispiaciuta, preferendo comunque uscire con gli amici.

La madre scosse il capo, le diede un colpetto sul sedere affettuoso: «Tu vai a prepararti per stasera, a tuo fratello farà solo che bene».

Yeji fece un grosso sorriso e abbracciò la donna, stampandole un bacio sulla guancia: «Grazie mamma.» disse in modo dolce prima di scappare fuori dalla cucina.

La donna rimase sola, prese un cucchiaino e si portò la salsa alle labbra, ci pensò un attimo, poi fece un sorrisetto: «È più buona dell'anno scorso, altrochè!»

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