Capitolo 9

Il lunedì, Lauren lasciò il suo appartamento con un sorriso sul viso. Fermò un taxi con la mano e diede la direzione verso cui stava andando. Le strade erano coperte di neve, in alcuni punti c'erano le loro migliori decorazioni natalizie e ogni albero che vedeva era più grande ed esuberante dell'altro, mentre non lei aveva nemmeno una luce di Natale in casa. Tragico.

Pagò l'autista e scese. Alzò gli occhi, rendendosi conto di quanto fosse alto quell'edificio. Sei a New York, si ricordò ancora una volta, poiché c'erano volte in cui era sorpresa di vedere strutture così alte, anche se era sempre circondata da esse.

Entrò nell'edificio, si diresse verso l'ascensore e schiacciò il ventitreesimo piano. Lungo la strada, si fermò tre volte per far scendere cinque persone al dodicesimo piano e altre due al settimo piano. Condividere l'ascensore con più persone non era la sua attività preferita e fermarsi così tante volte non era in cima a quell'elenco.

Quando raggiunse la sua destinazione, e infine, scese dall'ascensore, fu accolta dall'addetta alla reception che sembrava non muoversi dalla sua scrivania nemmeno per caso. Si annunciò e le disse che Camila la stava già aspettando. Camminò lungo il corridoio, finché non raggiunse l'ufficio di quella che era diventata la sua fotografa preferita e bussò alla porta due volte, fino a quando sentì un 'avanti'.

"A che ora è il tuo pranzo?", chiese Lauren in segno di saluto.

"All'ora che voglio."

Lauren sollevò un sopracciglio e sorrise divertita.

"E perché sei ancora qui?"

"Devo consegnare una cosa prima delle tre."

"Mm, interessante. Cosa vuoi mangiare?"

Camila si accigliò e, per la prima volta, alzò lo sguardo per incontrare Lauren. Quel giorno indossava scarpe da ginnastica bianche, jeans neri e una camicetta dello stesso colore delle scarpe e per combattere l'inverno indossava un lungo cappotto rosso.

"Non posso uscire a mangiare fino a quando non avrò finito questo", le ricordò.

"E chi ha detto che saresti uscita? Non ho niente da fare e posso facilmente andare a comprare cibo e portartelo."

"Sarebbe troppo disturbo."

"Certo che no, Camila", le assicurò. "Devi avere fame, non mi piace mangiare da sola e devo andare a comprare qualcosa per me stessa. Vedi? Ne usciamo tutti vincitori."

"Non si preoccupi."

"Che cosa vuoi mangiare?", ripeté la sua domanda iniziale, sfidandola. Sicuramente vedere Camila irritata era diventato uno dei suoi hobby preferiti. "Se non mi dici, ti porterò una qualsiasi cosa e ancora non ti conosco abbastanza bene da sapere se ti piacerà o no."

Camila roteò gli occhi. Quella donna era davvero persistente e non accettava un 'no' come risposta.

"Che mangerà lei?", Camila si arrese, sapendo che, se avesse insistito che non voleva che lei portasse il suo cibo, Lauren lo avrebbe comunque fatto.

"Non so, è uguale", scrollò le spalle.

"Un hamburger", decise Camila. Lauren sorrise. Un hamburger non era solo la cosa più semplice che si potesse trovare a New York, ma era anche uno dei suoi cibi preferiti.

"Lo vuoi da un luogo specifico?"

"No, qualunque cosa lei scelga, per me va bene."

"Qualche richiesta speciale?"

"Senza cipolla, né senape."

Lauren annuì e lasciò l'ufficio, alla ricerca di un hamburger. Ma quella che sembrava la cosa più semplice da ottenere, si rivelò essere un bel viaggio. Nessuno dei luoghi in cui aveva mangiato prima sembrava così bello da comprare cibo per Camila in nessuno di essi. Semplicemente pensava che nessun posto fosse abbastanza per lei.

Finalmente trovò un piccolo locale in cui le piacevano gli hamburger. Ordinò e attese che tutto fosse pronto per tornare allo studio di Camila. L'intero viaggio durò quaranta minuti, abbastanza tempo per Camila per finire di scegliere le fotografie dell'ultima rivista con cui aveva lavorato. Colpì 'invia' nello stesso momento in cui Lauren bussò alla porta del suo ufficio.

Era caricata con due grandi buste e Camila spostò tutte le cose dalla sua scrivania in modo che potessero mangiare lì. Lauren passò una delle borse a Camila e la fotografa iniziò a estrarne il contenuto. Trovò un doppio hamburger di manzo, patatine extra-large, un'insalata caesar, una bottiglia d'acqua e un pezzo di torta al cioccolato. Guardò sorpresa da Lauren, che si strinse nelle spalle.

"È quello che mangio io, e non sapevo quanto mangiassi tu", spiegò il motivo di tutto il cibo che aveva comprato compulsivamente. La verità era che aveva anche ordinato altre cose nel caso a Camila non fosse piaciuto l'hamburger.

"Quanto le devo?", chiese Camila. Lauren negò.

"Io invito."

"Potrebbe lasciarmi pagare qualche volta?" –

"Puoi darmi del tu?"

"No."

"Ecco la tua risposta", rispose Lauren con un sorrisetto. Camila roteò gli occhi e cominciò a mangiare in silenzio.

In meno di venti minuti, Lauren aveva mangiato un ordine pari a quello di Camila, tranne per il fatto che la sua aveva una porzione più grande di insalata. Mentre Camila cercava di fare spazio per mangiare tutto.

"Hai già finito?", chiese Lauren dopo aver raccolto i contenitori del suo cibo e averli messi nella borsa.

"Non credo di avere abbastanza spazio", scherzò Camila, sebbene fosse vero.

"No, intendevo il lavoro."

Camila annuì imbarazzata per aver nuovamente frainteso ciò che Lauren stesse dicendo.

"Allora andiamo."

"Dove?", Camila alzò un sopracciglio.

"A comprare un gelato", rispose Lauren in modo ovvio. "E non accetto un 'no' per risposta."

"Devo ancora lavorare."

"No, non devi farlo. Ho chiesto alla tua assistente se fossi impegnata per il resto del pomeriggio e lei ha detto che non hai nient'altro", mentì Lauren, anche se Lilly realmente aveva detto "non ha confermato nessuno degli altri impegni che ha per oggi, quindi immagino non abbia nient'altro da fare."

"Posso pagare io?", chiese Camila.

"Se te dico di sì, accetti di venire con me?"

"E come faccio a sapere che dopo essere andate, mi lascerà pagare?"

"Non ti fidi di me?", Lauren restituì alla domanda.

"Dovrei farlo?"

"Sembro così una cattiva influenza?"

Camila stava per rispondere con un'altra domanda, ma un bussare alla sua porta la interruppe. Lilly entrò dopo che Camila le disse che era aperta e andò alla sua scrivania con l'agenda che sembrava essere incollata alle sue mani.

"Hai un secondo?"

"Sì, dimmi", rispose Camila. Lauren spalancò gli occhi, perché era la prima volta che sentiva Camila dare del tu a qualcuno.

"La signora Hooke ha un appuntamento con te alle tre e mezza, ma non l'hai ancora confermato. Devo dirle di venire o no?"

Camila fece un respiro e rifletté su cosa avrebbe detto dopo. Sarebbe potuto essere qualcosa di cui si sarebbe pentita più tardi, o una delle migliori decisioni della sua vita, non importava quanto drammatico suonasse.

"Annulla tutti i miei appuntamenti... Torno a casa presto, e anche tu."

Lilly inarcò le sopracciglia e annuì, poi lasciò l'ufficio. Chiaramente, qualcosa era accaduto al suo capo perché non aveva mai sentito quelle parole uscire dalla sua bocca; in effetti, Camila aspettava che fossero le quattro in punto per uscire. Non un minuto in più, non uno in meno, e tutti coloro che lavoravano lì dovevano aspettare fino a quell'ora per andarsene.

"Allora... andiamo?", offrì Lauren, alzandosi per prendere il cappotto. Camila annuì e, dopo aver spento il computer, prese le sue cose e lasciò l'ufficio.

Lauren era completamente pazza per voler andare a comprare un gelato con il clima che c'era, e Camila e la ragazza che le aveva servite nella gelateria erano d'accordo.

"Un gelato, in inverno", Camila rise, sottolineando l'ironia della situazione.

"Ma è il miglior gelato che hai mangiato nella tua vita, o sbaglio?", chiese Lauren retoricamente. Dal venerdì aveva cercato di mantenere al limite le frasi da flirt e il tono civettuolo, perché era funzionato molto più il trattamento per Camila allo stesso modo in cui lo aveva fatto con Dinah o Normani, piuttosto che flirtare costantemente con lei. Certo, a loro non guardava così tanto il sedere, ma quello era un altro argomento. Chi poteva biasimarla perché le piaceva apprezzare l'arte?

Il telefono di Lauren squillò, spaventando entrambe le donne e attirando l'attenzione dell'unica persona nella gelateria. Lauren si scusò, mentre faceva manovre per sfilarlo dalla tasca senza far cadere il suo gelato. Camila vide lo sforzo che Lauren stava facendo e si offrì di tenere il suo gelato in modo da poter tirare fuori il telefono e rispondere senza problemi.

"Che?", Lauren salutò Dinah.

"Buon pomeriggio anche a te, rana. Come stai? Hai mangiato? Ti sei allenata bene? Hai migliorato il tuo tempo?", chiese sarcasticamente. 

"A volte non so se ti importa davvero di me o se sei solo sarcastica."

"Nove volte su dieci è sarcasmo", le fece sapere, seguito da una risata. Lauren roteò gli occhi, anche se la sua amica non riusciva a vederla.

"Buono a sapersi... Per cosa mi stai chiamando? Sono un po' occupata...", mormorò, lanciando un'occhiata a Camila che stava ancora mangiando il suo gelato.

"Stavi mangiando la fotografa... Voglio dire, con la fotografa?", le guance di Lauren arrossirono, ed era felice che Camila non l'avesse vista in quel momento, e magari che non avesse neanche sentito.

"Dinah!"

"Lauren!", rimandò. "Bene, quello che succede è che Normani è caduta e ha una distorsione alla caviglia... Sono andata a trovarla all'ora di pranzo, ma devo andare a lavorare e ha bisogno di qualcuno che la accompagni."

"E perché sembro una buona opzione?"

"Perché non lavori nel pomeriggio?"

"Ugh, giusto... Di' a Normani che devo una cosa e poi vengo da lei."

"Quanto tempo ci vorrà?"

"Eh, dieci minuti?"

"Ti aspetto, allora."

Dinah riattaccò e Lauren sospirò. Non era così che si aspettava di trascorrere il pomeriggio, non dopo aver sentito che Camila aveva annullato tutti i suoi impegni per la giornata e aveva accettato di uscire con lei per mangiare il gelato. Immaginava che potessero visitare un museo o rimanere a parlare nella gelateria fino a tardi e avrebbe potuto avere un'altra scusa per passare più tempo con lei, cioè invitarla a cena.

Ma era Normani, e nemmeno la donna che le faceva toccare il cielo era più importante della sua migliore amica; per quanto crudele suonasse.

"Mm, Camila."

"Sì?", Camila si voltò a guardarla.

"Una amica ha avuto un incidente ed è in ospedale... So che sembro una guastafeste, ma devo andare da lei."

"Mio Dio, sta bene? Era grave?", chiese davvero preoccupata.

"Solo una distorsione alla caviglia... È una ginnasta", spiegai.

"Oh."

"Sì... Vuoi accompagnarmi?"

Camila esitò per un momento. Ma poi annuì, dopo tutto, aveva già annullato tutti i suoi impegni e non aveva motivo di tornare al lavoro. Inoltre, non aveva voglia di rinchiudersi nel suo appartamento.

*

All'arrivo in ospedale, Lauren trovò Normani in una stanza d'emergenza con il piede alzato e bloccato, ascoltando la musica attraverso le cuffie. Dinah era accanto a lei, stava usando il suo telefono e si alzò dalla sedia quando Lauren entrò.

"Guarda Normani, la rana è rivissuta", la prese in giro, senza nemmeno notare la presenza di Camila.

"Non riesco a credere di venire ad risollevarti e tutto ciò che fai è attaccarmi."

"Sembra che questa volta non vincerai una medaglia d'oro", la derise Dinah.

Dinah Jane Hansen era nata alle Hawaii. I suoi genitori possedevano un hotel che offriva ai visitatori un'esperienza autentica e indimenticabile in quell'isola paradisiaca. Ma Dinah aveva sempre pensato di non appartenere lì, infatti, non le piaceva nemmeno la spiaggia. E quando compì diciotto anni, l'anno in cui avrebbe iniziato ad avere più responsabilità in hotel, trovò una via di fuga: suo zio Nick si era offerto di prendersi cura di lei a New York, di pagare per la sua università e tutte le spese collaterali che avrebbe potuto avere . Tre mesi dopo, Dinah fu accettata all'università per studiare Interior Design.

Nel suo tempo libero, aveva accompagnato suo zio al club dove allenava. Semplicemente perché era l'occasione perfetta per vedere ragazzi carini in costume da bagno, che tra l'altro erano fantastici. Anche se suo zio si era offerto di allenarla innumerevoli volte, perché tutto ciò di cui aveva bisogno era fare tempi relativamente buoni e il resto era organizzato da lui con i contatti che aveva già; ma aveva sempre rifiutato l'offerta. Dinah odiava l'acqua e tutto ciò che era collegato ad essa.

In una delle volte in cui aveva accompagnato suo zio, aveva visto una ragazza, che doveva avere più o meno la sua stessa età, nuotare come se il mondo stesse per finire. E anche dopo che non era rimasto nessuno, la ragazza restava ancora ad allenarsi. Il giorno dopo accadde la stessa cosa e il giorno dopo ancora. Dinah trovava affascinante il modo in cui nuotava, il modo in cui faceva sembrare tutto così semplice e leggero. Quindi era un'abitudine stare fino a tardi seduta sugli spalti, mentre la guardava nuotare.

A Lauren non passò inosservato il fatto che la stessa ragazza rimanesse fino a quando lei se ne andava, per oltre un mese. E un giorno decise di parlarle e di chiederle perché lo facesse. La conversazione, che non sarebbe dovuta durare più di cinque minuti, si rivelò essere una da due ore, che si concluse con una cena.

Giorni dopo il loro primo incontro, avevano mantenuto la stessa routine durante i giorni in cui Dinah non aveva lezioni di sera.

Dopo la laurea, Dinah aveva iniziato a lavorare e non aveva tutto il tempo libero di prima per accompagnare Lauren ai suoi allenamenti, ma ogni volta che poteva, faceva spazio per uscire con lei e recuperare il ritardo.

Dinah era alta, bionda e snella. Aveva il tipo di corpo che tutte le donne, compresa Lauren, desideravano avere. Sembrava che fosse stata presa dalla copertina di una rivista e che potesse sembrare bellissima anche senza trucco. Oltre ad avere attributi fisici molto buoni, c'erano anche altri aspetti che erano importanti da evidenziare; come quanto fosse intelligente, onesta, intraprendente, generosa ed entusiasta. Sicuramente qualcuno apprezzerebbe avere qualcuno come Dinah nella sua vita.

"Non so nemmeno perché siamo amiche."

"So che mi ami... Ora, perché non ci presenti la tua amica?", chiese lei, con un sorriso sornione. Il divertimento era che avrebbe infastidito Lauren con la sua crush.

"Ehi, sì", mormorò Lauren nervosamente. Fece segno a Camila di entrare, e Dinah dovette trattenere una risata quando la vide entrare. La conosceva perfettamente, perché quando Camila era arrivata negli Stati Uniti, aveva bisogno di assumere una disegnatrice d'interni per il suo studio. Andò nel luogo in cui lavorava Dinah e, invece di scegliere tutti gli altri designer con più esperienza, scelse lei, che non aveva avuto l'opportunità di progettare qualcosa da sola. Camila fu il suo primo lavoro. E le piacque più di quanto avrebbe dovuto.

A volte andavano a fare shopping insieme perché Dinah voleva che tutto fosse perfetto e che Camila fosse d'accordo e le piaceva quello che stava facendo con il suo studio. Normalmente finivano per mangiare e parlare di qualsiasi cosa. Anni dopo, non erano diventate migliore amiche né erano lontanamente vicine, ma parlavano alcune volte e, se si incontravano da qualche parte, si salutavano.

Per Dinah era ironico che, di tutte le persone in quella città, Lauren avesse notato esattamente quella. E per un momento si sentì male per la sua amica, che era davvero fregata: Camila era completamente etero.

"Deve essere uno scherzo", rifletté Dinah, non credendoci. E salutò Camila con un abbraccio. Lauren e Normani si scambiarono un'occhiata interrogativa e nessuna delle due aveva le risposte.

"Come fate a conoscervi?", chiese Lauren perplessa. Ma allo stesso tempo grata. Forse avrebbe potuto ottenere alcune informazioni da Dinah su Camila.

"Ricordi il primo disegno che ho realizzato? Bene, era lo studio di Camila", spiegò Dinah.

Dopo aver salutato Normani ed essersi assicurata che stesse bene, la fotografo si immerse in una conversazione con Dinah. La vena di Lauren quasi le balzò dalla fronte, rendendosi conto che persino a Dinah stava dando del tu, tranne che a lei. Chiaramente, lo faceva per infastidirla, e ancora non sapeva se le piaceva o la esasperava. Forse un mix delle due.

"Come stai?", chiese Lauren a Normani, che scrollò le spalle.

"Un po' delusa e preoccupata... Non so se sarò in grado di recuperare per le Olimpiadi."

"Ma ti sei già qualificata?"

"Mi mancano ancora alcune gare, ma il mio allenatore parlerà con la federazione per vedere se con il punteggio che ho posso entrare... Perché non ha senso che recuperi – fece le virgolette in aria -, per fare le altre gare per qualificarsi per i Giochi e, quando arrivano, non posso partecipare perché la mia caviglia è ancora dolorante.

"E puoi farlo?"

"Non lo so, non mi è mai successo."

Lauren negò divertita. Normani sembrava non essere così preoccupata come avrebbe dovuto essere per la sua partecipazione alle Olimpiadi, o cosa quell'incidente alla caviglia avrebbe potuto causarle in seguito nella sua carriera.

"Perché non mi hai detto che avevi già fatto le tue mosse?", Normani la prese in giro, riferendosi a Camila.

"Non c'è niente... Non mi dà nemmeno del tu."

"Niente di niente?"

"Venerdì siamo andate a cena fuori e oggi abbiamo mangiato insieme, ma come amiche, niente di più."

"Si inizia da lì", alzò le sopracciglia in modo suggestivo.

"E da quando sei così calma con il fatto che probabilmente mi piace una donna?"

"Da quando ti vedo così sorridente ogni giorno."

"E perché pensi che Camila abbia qualcosa a che fare con questo?"

"Perché non l'ho nemmeno nominata o considerata una ragione della tua improvvisa felicità, e tu l'hai riportata alla conversazione."

"Touché", rispose, non sapendo come difendersi.

"E se ti fa sentire meglio, hai già un vantaggio", Lauren si accigliò. "Un uccellino mi ha detto che l'hai portata in piscina e che a Nick è piaciuta. E io e Dinah la conosciamo già... È come la ragazza perfetta."

"Sì...", mormorò Lauren, con un sorriso sul viso mentre guardò Camila dire qualcosa a Dinah e fare gesti con le mani per spiegarsi meglio.

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