Parte 3

Il giorno successivo Ade provò nuovamente ad aprirsi un varco attraverso le rose e le strutture in legno che delimitavano la sua rigogliosa prigione.

Non gli andava a genio di essere stato rinchiuso. Non aveva tutta questa gran voglia di tornare nel sottosuolo a lavorare e non trovava così orribile quel giardino in cui era, ma non gli piaceva l'idea di essere prigioniero lì. Di non poter scegliere dove stare, più che altro.

Non aveva potuto scegliere nulla della sua vita fino a quel momento. Quella era un'ulteriore limitazione, sebbene più piacevole.

Provò di nuovo ad usare i suoi poteri su ogni angolo della barriera, ma come Persefone già gli aveva detto, lì dentro non avevano alcun effetto. Non funzionava nemmeno mettere fuori le mani e cercare di distruggere i rami dall’esterno. Alla fine non gli rimase che prendere i rami di forza e tentare di strapparli.

Essi erano però duri come potevano esserlo le catene forgiate nel Tartaro. Non era possibile spostarli nemmeno dalle loro posizioni, si muovevano solo le rose ai capi dei rami, scosse dal vento e dai suoi movimenti.

L’ultimo tentativo che poteva fare era di provare ad arrampicarsi fino in cima alla cupola, dove c’erano dei buchi abbastanza grandi da farlo passare, ma avrebbe dovuto posare mani e piedi sui rovi e lui non era mai stato granché ad arrampicarsi. Decise di non provarci nemmeno. 

Quando Persefone tornò al giardino, trovò Ade seduto sulla panchina sotto al gazebo, le mani in grembo, la testa buttata all'indietro a fissare il tetto e il cielo.

«Ade.» lo chiamò. Il dio sollevò il capo, osservando la sua carceriera oltre le rose alla sua destra.

Sapeva cosa stava vedendo. Vedeva che le rose e i loro rami brillavano d'oro, così come il suo chitone nero, così come i suoi capelli. Fino a neanche un'ora prima anche le sue mani e la sua faccia brillavano d'oro, ma se li era lavati nella fontana alle sue spalle, cercando di ripulirsi dall’icore dove possibile.

«Persefone.» rispose lui atono.

«Vieni qui, per cortesia.»

«Perché?»

«Le mie rose sono coperte d'icore. Anche i tuoi vestiti e i tuoi capelli. Credo le tue mani abbiano bisogno di cure.»

Ade abbassò lo sguardo sulle sue mani. Le aveva lavate, non sanguinavano più da un po’.

«Le ho sciacquate nella fontana. Non sanguinano più.» disse infatti.

«Ho con me delle miscele naturali che ti daranno sollievo dal dolore e che velocizzeranno la cicatrizzazione. Non resteranno nemmeno i segni. Non sei interessato?»

Ade guardò la dea un momento. Alla fine si sollevò e avanzò verso di lei con passo incerto, come non fosse sicuro che andare da lei fosse la scelta giusta da fare. Non ne era effettivamente certo.

Infine le fu davanti, solo la barriera di rose a dividerli. Persefone infilò le mani tra i rami e gli prese una delle mani, girandola con il palmo verso l'alto.

La mano era cosparsa di tagli, alcuni lunghi come graffi, altri più profondi e meno spessi. Bruciavano tutti, anche dopo averli lavati, e bruciarono anche quando Persefone li sfiorò con il pollice, uno dopo l'altro.

«Desideri così tanto andartene? Tanto da ferirti le mani a questo modo?» chiese lei mentre gli lasciava la mano per poter aprire il vasetto della crema.

«Per quanto rigogliosa e profumata, questa è una gabbia. Non mi piace essere rinchiuso.» rispose lui con un tono seccato appena udibile, lasciando che Persefone prendesse di nuovo la sua mano per cospargerla di crema.

Il sollievo fu immediato, contro ogni sua aspettativa.

«Credo che rispetto agli inferi sia una prigione molto più accogliente. Almeno non devi lavorare, c'è sole, c'è profumo, non è buia e non odora di zolfo.» disse lei con leggerezza

Ade la guardò di sottecchi. «Sei passata dagli inferi, da sapere che odorano di zolfo?»

«Mia madre avrebbe dato di matto se avessi fatto una gita nel mondo dei morti. No, sei tu ad odorare di zolfo. Beh, odoravi di zolfo sul campo di battaglia, almeno; ora non si sente più così tanto.»

Ovviamente Ade sapeva che il mondo dei morti aveva quell’odore, ma era da qualche millennio che nessuno glielo faceva notare. L'unico ospite che passava ogni tanto era Ermes, ma non vedeva da parecchio tempo nemmeno lui.

«Ecco fatto. Entro domani sarai guarito. Verrò a controllare. Cerca di stare attento a non ferirti di nuovo, magari.»

Gli sorrise. Ade stavolta non la ricambiò.

«Oh, giusto, domani ti farò una piccola sorpresa.» aggiunse poi lei, radiosa. «Nessun indizio su cosa sia, ovviamente.»

Gli fece l'occhiolino, poi gli lanciò un bacio e corse via, allegra come una bambina.

Ade la guardò andare via, sentendosi non tanto irritato o impotente quanto più rassegnato.

Aveva la sensazione che da lì non sarebbe uscito molto presto.

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