Ignobile amarezza
Se ne andò via da lei, si chiuse la porta alle spalle e lasciò dentro ciò che riteneva il male.
Con l'intento di liberarsi la mente, si accese una sigaretta e camminò con passi pesanti e svelti verso una meta indefinita. A ogni passo inalava un po' di nicotina per poi espellere il fumo dal naso con un soffio irato. Desiderava solo placare il mal di testa e il senso di vuoto.
Vincent non riusciva a calmarsi. Non si aspettava che la sua creatura potesse eseguire un simil atto. Non se lo aspettava affatto.
Ora che era stato tradito, però, nulla gli parve aver più senso.
Tra un tiro e l'altro, mentre la nicotina faceva il suo corso, egli rammentava, rammentava attimi felici; come quella volta quando aveva tentato di render tutto un po' più limpido.
Claudette avrebbe dovuto prenderlo come un complimento quel "Bellissima" che Vincent le sussurrò in un pomeriggio di pioggia e vento, mentre il viso della piccola creatura, così la chiamava lui, si arrossava a causa del freddo e le sue labbra divenivano violacee dall'aria gelida.
"Sei bellissima", le sussurrò a un soffio di distanza dalle sue labbra. "È un complimento, perché non sorridi?" chiese Vincent, accarezzando il viso grondante di Claudette.
I loro occhi si sfiorarono l'anima e il sorrisino dolce e debole del più grande fecero tremare gambe e cuore della più piccola. Era un complimento e Vincent, che non faceva mai lusinghe, lo aveva appena pronunciato.
Claudette era arte e quell'arte, in quell'istante, raffigurava un quadro perfetto di timidezza con i suoi occhi grandi spalancati, le gote arrossate e i capelli prima mossi adesso lisci, intrisi d'acqua piovana.
Agli occhi di Vincent non era altro che un capolavoro scolpito al punto giusto, pareva una bambina, in quell'attimo, delicata e sguarnita.
Il maggiore lottava contro la forza, che nel petto gli premeva, di avvolgerla tra le sue braccia.
"Perché non sorride?" si chiedeva mentre la gustava con gli occhi. Gemme dal colore della birra guardavano in quelli dell'altro impregnati dalla pece, ogni tanto attraversati da stelle scintillanti.
"Non mi vedi? Sono qui", diceva Vincent sotto il fruscio della pioggia. Erano nascosti dal mondo intero mentre il cielo piangeva.
Claudette lo guardava e non poteva fare altro, il suo cuore urlava nel petto e le gambe non le davano pace. Quell'essere piccolino che non aveva mai compreso cosa fosse l'amore, cosa significasse tenere così tanto a qualcuno, adesso si trovava faccia a faccia con un ragazzo che di giovanile non aveva altro che il suo cuore e la sua voce, la restante parte pareva solo un racconto fiabesco.
"Ti vedo", sussurrò la giovane con un filo di voce tanto che le sembrò che il più grande non l'avesse udita, invece l'aveva ben compresa, poiché nonostante il suono della pioggia fosse assordante, la voce della rossa era come un sussurro nella quiete.
"Sì, sono proprio qui. Sto provando a rendere tutto più chiaro", era lì, diceva Vincent e ancora Claudette non poteva credere alle sue parole e ai propri occhi.
"Avere metà di te, non é abbastanza per me", continuò con un sorriso sincero e adorabile il ragazzone dagli occhi della notte.
"Non hai metà di me, hai tutto di me", sussurrò risoluta con un tono pieno d'imbarazzo. Il nervosismo la portò a martoriarsi le labbra con i suoi denti e Vincent non poté fare a meno di assaporare con gli occhi quella visuale che tanto gli pareva dolce e incantevole.
Quel ricordo sfumò dalla sua mente quando si rese conto che aveva percorso diversi chilometri, ritrovandosi accanto alle rive del fiume. Si sedette a terra, sul terreno secco, e si prese la testa fra le mani. Quella volta aveva tentato di dare un nome alla loro relazione e ciò portò solo a distruzione.
I sentimenti erano di troppo in lui. Si rifiutava di amare, aveva preso un'altra strada ora che l'unico amore delle sua vita aveva tradito quel sentimento che tanto preservava. Arrivò alla tanto sofferta decisione che fu una scelta sbagliata commettere quell'atto sotto la pioggia.
Sarebbe stato meglio lasciare la loro situazione per com'era: incerta, fatta di incontri occasionali e di percezioni probabilmente finte, ma lei era così bella e quello che sentiva era meglio dell'ecstasy, solo che, come la pillola, lei provocava effetti collaterali.
Avrebbe voluto stare con lei sempre. Desiderava per tale motivo rendere le cose chiare tra loro. "Il "sempre" non esiste, è una finzione degli uomini che si accontentano", pensava.
Voleva smetterla di amare, di amarla.
La sigaretta che teneva fra le dita era ormai terminata a causa del venticello che soffiava sofferenza. Decise di smetterla di continuare con quella frastornante finzione. Voleva andare a casa e affogare i suoi peccati in una pasticca, in qualcosa che avrebbe cambiato il suo umore.
Non era una scelta saggia, ma non aveva nulla da perdere, ormai. Aveva solo voglia di smetterla di star male.
Prese un taxi che lo portò davanti casa, la sua vecchia casa che aveva lasciato per stare con la sua creatura. Una volta lì, la osservò e finalmente accennò un sorriso nell'odorare la natura che lo circondava, fu un sorriso fugace, impercettibile. Aprì poi la porta di casa e corse verso il suo cassetto fidato.
Non c'era. Dannazione, non c'era! Dove l'aveva lasciata?
Guardò sotto il letto, dentro l'armadio ma non trovò altro che una una siringa già dosata con quella droga che faceva di tutto per rendere euforici: la cocaina.
Non ci pensò due volte, prese quella merda e la iniettò nel suo sangue. Il suo corpo, pochi minuti dopo, avrebbe reagito alla sostanza e lui, nel frattempo, non faceva altro che prendere un'altra siringa dosata da quel pacco trasparente e uscire come una furia dall'abitazione.
Si sarebbe diretto nel luogo dove tutto ebbe inizio. A piedi, tra l'effetto dell'euforia e la voglia di fare qualcosa di tremendamente rischioso, s'incamminava in quel parco sperduto dove aveva tentato di chiarire la loro relazione.
Una volta arrivato, si sedette su una di quelle panchine e sorrideva come se non ci fosse cosa migliore al mondo; peccato che la voglia di volerne ancora non si arretrava.
Pensava che la solitudine si fosse impadronita del suo essere, che fosse diventata un tutt'uno con la sua anima. "La solitudine non è altro che un punto di forza, poiché colui che si circonda di gente che ama diviene inevitabilmente fragile, il suo cuore lo è, l'amore rende tali; ma la solitudine... quella rende forte chiunque", sorrideva con quel pensiero folle in mente, mentre osservava il cielo reso rosso dal sole calante.
Con quella riflessione che gli martoriava la testa, s'iniettò un'altra dose a distanza di poche ore e svenne lì, in quel parco, tra la sofferenza repressa e l'euforia di un uomo la cui coscienza si era ormai perduta tra le vie della viscida e ignobile amarezza.
Lo spazio di Cenere
Buon pomeriggio, miei cari amici!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Cosa pensate che accadrà a Vincent? Che idea vi siete fatti di lui?
Lasciatemi la vostra opinione, in cambio avrete un posto speciale nel mio cuore, ci state?
Vi aspetto la prossima domenica con la terza parte di Gioia Insana, non mancate!
- Cenere
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