9. 𝐀𝐟𝐟𝐚𝐫𝐢 𝐢𝐥𝐥𝐞𝐜𝐢𝐭𝐢

UNKNOWN POV

Più si addentrava in quei vicoli e più gli edifici sembravano incombere sulla sua umile e misera figura. La luna, brillante sopra i tetti scoloriti, raggiungeva in alcuni punti il duro ciottolato coi suoi raggi. Per quanto tuttavia questi ultimi tentassero e ritentassero, il buio tra i palazzi riusciva ad essere squarciato solo per metà. Quando veniva la notte, smascherare ogni ombra si trasformava in un complesso gioco, una vera sfida. Non appena la luce acchiappava, l'oscurità nascondeva, portando tutto via con sé. Quando il sole calava, la realtà mostrava il suo volto: non solo bianco o nero, ma un perfetto chiaroscuro, bene e male mescolati come nel più impeccabile degli infusi.

Schivava uno dopo l'altro i palazzi, vestito del suo mantello e di quello che le tenebre avevano steso per lui. Scappava dalle voci della gente, ormai ridotte solo a mormorii sfumati dal vento. Camminava a passo svelto, seguendo con la coda dell'occhio la sua ombra, nero riflesso e silenziosa compagna in quella fresca serata berlinese.

Da tre mesi era tornato finalmente a respirare l'essenza del mondo al di fuori delle quattro mura che lo avevano oppresso per vent'anni. Il fumo che risaliva comignoli verso la volta stellata aveva sostituito il soffitto di pietra, così come l'aroma del terreno bagnato aveva fatto con l'odore di chiuso e pane stantio. Ora che l'aveva persa e riconquistata, la libertà aveva tutto un altro sapore, un altro fascino. Bisognava ammettere inoltre che gli si addiceva.

Immaginò che ogni suo passo lo portasse sempre più vicino al suo obiettivo, quello che per due decenni si era prefissato. Non era solo una promessa fatta al vecchio se stesso, era un suo diritto. Vendicare l'anima che era stata fatta a brandelli dalla reclusione, pugnalata alle spalle e poi abbandonata al suo destino. Quella stessa che nonostante tutto aveva trovato un antidoto per il dolore, che si era nutrita della rabbia imparando a sopravvivere.

Il trascorrere del tempo non aveva affievolito nulla, né la sua decisione, né tantomeno la sua brama di vendetta. Il leone era stato tenuto in gabbia troppo tempo. Ora giungeva il momento per lui di mostrare gli artigli e rispondere ai suoi istinti. Quel felino, più forte, reclamava di nuovo il posto che gli spettava. Come nella vecchia canzone del quale aveva un ricordo effimero, poche strofe che la sua mente non riusciva quasi mai interamente a cogliere. Parole mormorate dolcemente da una donna, che cullava un fagotto dannato, destinato a diventare uno scarto del mondo mascherato da un guscio d'ira.

Wenn Rache ist, was du willst,
Rache ist, was du bekommst.

Se vendetta è ciò che vuoi,
vendetta è ciò che avrai.

La sua meta non doveva ormai distare molto. Cosa aveva detto l'uomo sul ciglio della strada?
Geradeaus, links, geradeaus bis zum Laden, dann rechts.
Doveva solo arrivare alla bottega e svoltare a destra. A meno che il mendicante non gli avesse mentito, sarebbe giunto alla locanda prima che la luna avesse raggiunto il suo zenit. Sperò solo che quell'incontro risultasse ben più proficuo del precedente. Si tastò la tasca e il contatto con l'impugnatura del coltello allontanò ogni sua preoccupazione.

Udì un battito d'ali avvicinarsi, smuovendo l'aria intorno a lui, ma non si voltò. Lasciò che il corvo si appollaiasse sulla sua spalla mentre percorreva quel vicolo buio, illuminato solo dalla sfarfallante luce di un lampione. Lo percepì aggrapparsi con gli artigli, affondarli nel tessuto del mantello, scrollandosi dalle piume quella che pareva fuliggine. Arrestò il passo seccato, rivolgendo al volatile un'occhiata torva.
«Era proprio necessario?»

"È il prezzo del mio servizio, umano", gracchiò Orias con sicumera. "La strada è libera."

Lui alzò gli occhi al cielo. «Se non la smetti di gracchiare ci sentiranno.»

"Nessuno ci sentirà, rilassati."

«Noto con piacere che non hai imparato un bel niente sugli Auror in questi tre mesi, Orias.»

"Non sono certo un mio problema."

«Naturalmente» ribatté ironico, tenendo gli occhi sulla strada.

"Perché ti preoccupano tanto?"

«Quelli sono degli infami. Spuntano fuori quando meno te lo aspetti, sono addestrati come segugi da caccia. Ti assicuro che se mi trovassero non esiterebbero un istante a mettermi le mani addosso e sbattermi di nuovo in galera.»

"Siamo stati più furbi di loro alla prigione."

«Da quando sei così ottimista?»

Si fermò all'altezza di un incrocio, guardandosi attorno. La strada a sinistra era più illuminata, quella a destra portava sicuramente verso la periferia. Una piccola bottega piuttosto malconcia faceva angolo, affacciandosi sui vicoli deserti e quieti. Le vetrine erano appannate, ma dentro di esse si intravedevano prodotti di vario tipo, non solo alimentari.

Senza esitare imboccò il sentiero a destra, nascondendosi il più possibile nel mantello. Sapeva di dover far sì che il silenzio di quella zona della città fosse suo amico, non suo nemico. La taglia che il Ministero tedesco aveva messo su di lui era abbastanza elevata da esporlo ad un grosso rischio in caso di imboscata. Non a caso, la prima cosa che fece fu comunicare mentalmente con Orias, chiedendo lui di chiudere il becco. Naturalmente il corvo ebbe di che lamentarsi, ma alla fine obbedì e si sistemò per il cammino, adagiandosi accanto al suo orecchio sinistro. Finalmente la tranquillità tornò a regnare in quella oscura periferia, provocando e scuotendo onde di pensieri rimaste confinate in un angolo della sua mente.

Caro, vecchio silenzio. Dev'essere sfiancante, non è vero? Esistere per essere spezzato in continuazione. Sei così prezioso, eppure gli uomini non comprendono il tuo valore. Non ti portano rispetto, invadono il tuo spazio con le loro superflue parole. Ma io ho imparato ad apprezzarti e ti lascerò dominare. Perciò, ti prego, non m'ingannare.

Avanzò lasciandosi guidare dal suo impulso naturale. Seguì il buio come aveva sempre fatto, anche da giovane. Tra le molte cose che lo rendevano diverso ce ne era una, la più strana: trovare in ciò di cui gli altri avevano paura una guida, un insegnante. Se le persone scappavano dell'oscurità e dai mostri che essa celava, lui imparava invece a conoscerli, a vivere in essi. In fondo, si ripeteva sempre, la paura è solo un'illusione della mente umana. È un fraintendimento nella comprensione di un normale qualcosa, che diventa tuttavia per il cervello uno spaventoso qualcosa, a volte senza nemmeno un motivo. Perché allontanare un elemento che può essere invece sfruttato per colpa di uno scherzo del cervello? Questa era la vera domanda.

Si accorse solo una volta calmato quello scorrere di considerazioni che una luce giallognola stava illuminando debolmente la via. Fissò lo sguardo in avanti, e intravide così in lontananza quello che pareva l'uscio di uno sciatto locale. L'edificio che ospitava l'ostello sembrava star cadendo a pezzi. La vernice grigia si staccava dalla pietra scrostata, ricadendo sulla strada in consistenti pezzi. L'entrata era arredata con due cespugli di rose annerite, in fin di vita, e delimitata da due grossi paletti di legno che sorreggevano una pensillina alla quale mancava un asse. A completare quell'opprimente quadro vi era l'insegna penzolante dalle scritte scolorite, sulla quale era disegnata anche una rosa quasi del tutto cancellata.

"Sicuro sia questo il posto?" Gracchiò Orias, il quale non pareva molto rassicurato da quell'immagine.

«Deve esserlo. Starà aspettando dentro» affermò lui con sicurezza, aguzzando la vista per tentare di leggere le scritte sbiadite sul legno.

Der Rosenbusch
Wirtshaus und Übernachtungen

Al cespuglio di rosa
Locanda e pernottamenti

Il corvo sopra la sua spalla cominciò ad agitarsi, perplesso. "Cosa ci andiamo a fare in una locanda da quattro soldi ad inseguire un tizio che potrebbe star prendendosi gioco di noi?"

La sua risposta fu secca e concisa. «Primo, so quello che faccio e secondo, sai bene quel che stiamo cercando. Ci servono alleati, Orias, e non alleati qualsiasi. Non possiamo prendere il primo che passa e minacciarlo. Abbiamo bisogno di persone del mestiere.»

"Noi siamo del mestiere."

L'impulso di prendere il suo pugnale e strappare una ad una le preziose piume nere del suo compagno alato divenne quasi irrefrenabile. Riuscì fortunatamente a trattenersi, facendo appello alle sue riserve di pazienza. Ancora non si capacitava di quanto smisurata potesse essere l'arroganza di quel corvo. Certo era orgoglioso anche lui, ma riconosceva i suoi limiti. Era ricercato in più di mezza Europa e le uniche due risorse sulle quali poteva contare risultavano essere se stesso e un volatile decisamente troppo superbo. Si era presto reso conto di non poter portare avanti il suo progetto in solitaria. Naturalmente avrebbe di gran lunga preferito lavorare da solo, ma era stato costretto ad accettare la realtà dei fatti e, una volta rassegnatosi, a riconoscere la necessità di dover trovare qualcuno disposto a dar lui una mano. Lo aveva ammesso a malincuore, ma alla fine lo aveva ammesso. Cosa che a Orias sembrava non andare giù.

Abbassò la voce, guardando duramente il corvo e agganciando le sue pupille nere con il proposito di avvertirlo. «Ascoltami bene, testa piumata. Se vuoi che ti dica che siamo una bella squadra insieme te lo dirò. Siamo una bella squadra, ma se vogliamo davvero raggiungere l'obiettivo avremo bisogno di una mano ancora più esperta della mia. Prima lo accetterai e meglio sarà per entrambi. Intesi?»
L'animale non gracchiò. Rivolse il becco all'indietro, come stizzito, cosa che lo fece innervosire anche se non lo diede a vedere. In silenzio si avvicinarono all'edificio.

L'uscio era socchiuso e i vetri delle poche finestre appannati, nonostante la serata non fosse fredda. Si tolse il cappuccio dalla testa, scoprendo il volto nel buio. Seguì per un'ennesima volta la grossa cicatrice sul suo viso, quella stessa che, ad ogni vita che la sua lama consegnava alla morte, pareva allargarsi insistentemente. Negli occhi scavati, stanchi e pieni di freddezza, e nell'animo, che non lasciava ormai più spazio a perdono e rimpianti, non vi era davvero più traccia di quel che era stato un tempo. C'era solo quella nuova versione di lui, il frutto marcio gettato via dal suo contadino, da colui che lo aveva coltivato con sapienza per poi lasciarlo andare a male.

Ciò che cercavo era solo fiducia, e cosa ho ottenuto al suo posto?
Come mi sono ridotto? Cosa è rimasto di me?
Oh, lo vedrai coi tuoi occhi una volta che sarò al tuo cospetto. Perché lo sai, sai bene di essere il sovrano illegittimo di un impero che non ti appartiene. E io... Io sono il prodotto dei tuoi crimini e sarò la mano che spezzerà il tuo respiro.

Ebbe un secondo di esitazione, il che non era da lui. Rivolse un ultimo sguardo alla strada, poi uno al cielo. La luna risplendeva esattamente sopra la sua testa, segno che la notte sarebbe stata ancora lunga, ma forse non abbastanza.

Prima che potesse muovere il suo primo passo una presenza lo sorprese, facendolo quasi sobbalzare. Un omone con indosso un lercio grembiule uscì improvvisamente dalla porta, sistemandosi uno straccio sulla spalla. Era di stazza enorme, ma più che minacciosa la sua espressione sembrava seria. Ciononostante la sua mano scivolò istintivamente sotto il mantello, all'altezza del più grande tra i due foderi della sua cintura. Orias gracchiò contro il gigante biondo, provocando in lui alcuna reazione. L'uomo sembrava star attendendo qualcosa.

Alzò la testa, sperando che chiunque stesse davanti a lui fosse solito accogliere criminali nel suo ostello. «Sto cercando Thomas Brun» spiegò senza nemmeno salutare, mantenendo i nervi saldi. Era così che ti dovevi atteggiare nei quartieri malfamati. I mezzi termini non erano ammessi.
L'omone squadrò dall'alto in basso prima lui e poi il corvo sulla sua spalla. Parlò infine con voce cavernosa, talmente profonda da far venire quasi i brividi.
«Brun attende dentro. L'animale però deve restare fuori.»

Orias aprì leggermente le ali, sporgendosi in avanti. Lui sostenne lo sguardo duro dell'uomo per qualche istante, mollando la presa sul pugnale. Si rivolse calmo al suo compagno piumato, sperando lo ascoltasse.
«Le regole sono regole. Vai, Orias. Cerca un posto qui vicino dove riposare finché non torno.»
Inizialmente il corvo inclinò la testa in segno di rifiuto. L'attimo dopo però le sue pupille nere si spostarono sull'imponente figura dell'oste e l'animale parve cambiare idea.
"Fammi un fischio se hai bisogno di me, umano" fu il suo ultimo pensiero prima di alzarsi in volo lontano dalla debole luce delle lanterne a olio. Fu allora che l'omone con il grembiule fece lui cenno di seguirlo.

Il locale era arredato interamente in legno. Solo il bancone era dipinto, ma in modo approssimativo, tanto che in alcuni punti le striature marroni erano ancora perfettamente visibili. Sopra i tavoli le monete passavano di mano in mano, luccicando alla luce soffusa, e le risate rimbalzavano sui muri, accompagnate da sproloqui e bestemmie. La trascuratezza del locale non stonava affatto con le persone che lo frequentavano, anzi. Quel dettaglio, osservò, doveva renderlo più attraente e sicuro ai loro occhi. Quel cascante edificio alla periferia di Berlino era il nascondiglio perfetto per celare se stessi, i propri debiti e i propri misfatti.

Tra i soggetti nel locale ve n'era uno che si distingueva dagli altri. In attesa al bancone se ne stava un giovanotto smilzo, dai capelli bruni e l'aria malandrina, avvolto in un cappotto elegante di seconda mano. Lo riconobbe immediatamente: Thomas Brun, trafficante, con una grossa cerchia di contatti in tutto il mondo, selezionati tra i più esperti del settore criminale. Doveva essere tuttavia pesantemente stordito dall'alcol, poiché faticava a reggersi in piedi. Non la migliore condizione per tenere una conversazione seria. Poco male, si disse. Con le buone o con le cattive gli avrebbe fatto sputare fuori le informazioni che gli occorrevano.
Non appena lo sentì arrivare il castano si voltò, accogliendolo a braccia aperte con un sorriso sornione stampato in faccia.
«Schau mal! Guarda un po' chi si rivede!»
«Risparmiatelo, Brun.»

Oltrepassò l'uomo e posò le braccia sul bancone, eludendo gli sguardi di un gruppo di curiosi giocatori d'azzardo.
«È così che si tratta un vecchio amico?»
«Non siamo mai stati amici.»
«So che sei contento di vedermi, vecchio simpaticone...»
Ordinò un bicchiere di Whiskey Incendiario, sotto lo sguardo divertito di Thomas Brun.
«È strano vederti a piede libero, sai? L'ultima volta che ci siamo incrociati... eri in prigione, se non sbaglio. Ma adesso sei una celebrità. Tutta Berlino conosce il tuo volto, i tuoi crimini. Per non parlare dei ministeriali, che gradirebbero volentieri la tua testa come trofeo.»

Lo avrebbe volentieri strangolato, ma si limitò a fulminarlo con un'occhiata, facendo intendere che non fosse in vena di scherzare.
«Non sono venuto qui per farmi quattro risate. Vado piuttosto di fretta.»
Brun lo osservò. Subito dopo scoppiò a ridere fragorosamente, attirando ancora più sguardi su di loro. Lui ne restò parecchio innervosito. Credeva sul serio che lo stesse prendendo in giro?
«Vent'anni di galera non ti hanno cambiato di una virgola! Non è...?»

Lo tirò a sé per il colletto del cappotto, sfilando con un rapido gesto il suo coltello e puntandoglielo al petto. Lo rimproverò con un tono così tagliente che lasciò persino l'oste dietro il bancone a bocca aperta.
«Ascoltami attentamente, Brun. Questa non è un'allegra rimpatriata nella quale due vecchi compagni di scuola si ritrovano per maledire la politica e raccontarsi un paio di storielle divertenti. Questo è un incontro serio. Quindi ora tira fuori quella lista e lasciami andare via di qui.»

Thomas Brun era paralizzato dalla paura. Non appena ebbe afferrato le sue parole fece due rapidi cenni con la testa, gli occhi ridotti a due sfere di terrore. Lui lo lasciò andare dopo una ventina di secondi, riponendo il pugnale nel fodero, l'espressione che andava inasprendosi. Per qualche attimo vi furono solo brusii, poi tutti i clienti tornarono a concentrarsi sul gioco d'azzardo, come se nulla fosse successo.
L'oste porse un bicchiere di Whiskey a entrambi. Doveva essere abituato a quegli scenari, poiché non disse nulla a proposito di quanto appena accaduto.
«Zwei Gläser Whiskey» annunciò, per poi tornare ad osservare di sottecchi tutto quel che accadeva nel locale.

Brun si spolverò il cappotto, tirando poi fuori da una tasca una lunga lista scritta su un foglio di pergamena bruciacchiato. Si appoggiò al bancone barcollando, segno che tutti i bicchieri di Whiskey e liquore che aveva bevuto stavano pian piano annegando le sue energie.
«Dunque, direi che è il momento di passare alle faccende serie» esordì finalmente il giovane incrociando i suoi occhi grigi, i quali non fecero altro che osservarlo con circospezione.
«Qui ci sono alcuni nomi di persone che potrebbero essere talmente folli... Volevo dire, disposte ad accettare di collaborare con te.»
Lui afferrò la lista dal bancone e iniziò a scorrere i primi nomi.
«Arnd è un ex ministeriale che hanno licenziato per presunta congiura contro il governo. Ora fornisce informazioni riservate, può esserti utile. Winkler invece...»

Mentre ascoltava Brun tentava di memorizzare nomi, cognomi, professioni e posizioni. Arcibald Schubert, Vienna, commerciante e trafficante di cosmetici. Sean Powell, Bath, ex Auror in cerca di un incarico.
Gonzalo Fuentes, da qualche parte in Spagna, proprietario di un locale abusivo. Nessuno di quei nomi fu in grado di attrarlo, e non era affatto un buon segno. Quella era una faccenda seria. Si trattava di una scelta complicata sotto molti punti di vista. Il suo obiettivo era sulle pagine di ogni giornale, un esperto nel campo della manipolazione e, soprattutto, un mago molto potente. Farlo fuori non sarebbe stato un gioco da ragazzi.

Non seppe cosa lo portò a distogliere la sua attenzione dalla lista e da Brun. Forse furono le inutili chiacchiere e opinioni di quest'ultimo, forse fu pura curiosità. Iniziò di punto in bianco ad origliare i discorsi delle persone nel locale tra un sorso di Whiskey e l'altro e una conversazione attirò particolarmente il suo interesse. Un quartetto di uomini barbuti e trasandati stava discorrendo intorno ad un tavolo colmo di boccali vuoti. In mezzo a loro se ne stava un ometto così smilzo da far tenerezza, seduto nel suo completo stinto. I suoi piccoli occhi scuri correvano in ogni direzione, come se temesse di essere assaltato da un secondo all'altro. Non lo aveva notato prima, ma non doveva essere un cliente abituale del posto.

Tese le orecchie per captare ogni frase, mentre Brun di fianco a lui perseverava nei suoi futili discorsi.
«Il piccoletto vuole prenderci in giro!»
«Sarà solo un'altra idiozia. Ne girano tante, di questi tempi. E sapete cosa penso? Che quelle sui giornali sono le peggiori!»
Il fragore delle risate saturò l'atmosfera, fino a che la pecora nera del gregge non si impose con fermezza.
«Non è una follia. Io l'ho visto.»
Le risa si tramutarono in ironiche espressioni di stupore.
«Perché non ci racconti qualcosa allora, piccoletto?»
«Era qui, a Berlino. L'ho visto sparire sopra i tetti. Doveva essere lui, nessun criminale sarebbe tanto abile da non attirare nemmeno il più minuscolo degli sguardi su di sé.»

Gli uomini si scambiarono sguardi scettici, ma lasciarono parlare il loro esile compagno.
«Non sono mai riusciti a prenderlo, nonostante sia tra i soggetti più ricercati in tutto il mondo. Nessuno sa nulla sulla sua storia o su come sia diventato tanto odiato quanto ammirato. La sua mano è più veloce di un lampo durante un temporale. Quelli che sanno il suo nome tacciono per timore di essere ammazzati da un giorno all'altro. La gente lo chiama Sicario.»
«Quindi è un uomo?»
«Nessuno lo sa per certo. In pochi hanno visto il suo volto, e la maggior parte di loro giace sottoterra.»

Sicario, appuntò nella sua mente, per poi tornare ad ascoltare la fine del racconto.
«Il suo aiuto è stato richiesto dai più grandi criminali del mondo magico e non. Si dice che non abbia mai mancato un bersaglio. Porterebbe a termine persino il più complesso degli incarichi.»
Fissò la lista di Brun, mentre l'intero discorso del giovane riprendeva forma nella sua mente, apparendo come la risposta ai suoi problemi. Sicario... porterebbe a termine persino il più complesso degli incarichi.
«Ti parlerei anche di Kovalenko, ma ha parecchi debiti con questo posto...»

L'espressione di Thomas Brun si fece seria, mentre sul suo volto si allargava un sorrisetto compiaciuto. Piegò la lista e la ripose in una tasca del mantello, poi tracannò il Whiskey in un sorso. Non appena gli sguardi dei due tornarono a incrociarsi, Brun deglutì, come se in qualche modo avesse percepito quale sarebbe stato il loro prossimo argomento di conversazione.
«Kovalenko può aspettare. Voglio che mi parli di Sicario. Dimmi tutto ciò che sai sul suo conto.»

SPAZIO AUTRICE

Ed eccoci qua, ancora in ritardo (alla faccia degli aggiornamenti del sabato proprio 😅).

Questo capitolo è stato una vera sfida. Volevo introdurre al meglio un personaggio che avete già avuto modo di conoscere nell'epilogo di "Sotto la pioggia", senza però dire troppo sul suo conto. Vi avevo anticipato che i misteri sarebbero stati ovunque in questo sequel, no?

Detto questo, aspettatevi moltissimo da quest'uomo, che potrebbe porterà grane non solo alla squadra, ma a tutte le parti in gioco sulla scacchiera.

Fatemi sapere le vostre teorie e opinioni nei commenti e se il capitolo vi è piaciuto lasciate una stellina ❤
Ci si vede la settimana prossima!
- Mavi. 🦋

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