37. 𝐏𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐥 𝐝𝐢𝐚𝐯𝐨𝐥𝐨

GRINDELWALD'S POV

«Le persone stanno affollando la stanza...»
«Oui, tutto secondo il piano!»
«Voi due, non cantiamo vittoria prima del tempo. Non abbiamo neanche cominciato lo spettacolo.»
Sia Credence Barebone che Vinda Rosier indietreggiarono di un passo per lasciarlo sbirciare attraverso la tenda. Sempre più prestigiose personalità, spinte forse dalla curiosità, si erano avventurate lungo la ripida scala, giungendo in quel piccolo teatro abbandonato. Solamente il palcoscenico aveva superato la prova del tempo, resistendo in qualche modo alla pungente umidità di quell'angolo ritagliato dal sottosuolo.

La luce delle candele s'infrangeva sui visi divertiti delle signore e quelli seri di mariti e figli, che discutevano tra loro lanciando sguardi circospetti al palco. Li passò in rassegna tutti, dal primo all'ultimo, finché in mezzo all'entusiasmo non percepì una consistente dose di paura.
Due donne cercavano di ricavarsi uno spazio nella confusione. La più anziana avanzava con passo sicuro, strisciando tra la gente e trascinando l'altra, che cercava di nascondere il proprio smarrimento dietro un sorriso abbozzato.
«Bene, direi che siamo al completo», annunciò, sorridendo a Credence e Vinda, che immediatamente afferrarono il segnale.

Credence offrì la mano al serpente che strisciava ai suoi piedi, e quello risalì il suo braccio fino alla spalla. Non lo attaccò, né lo morse: parve anzi rilassarsi appena il ragazzo gli accarezzò la testolina. Grindelwald gli si avvicinò. prendendolo in disparte sotto lo sguardo attento della francese, che scrutava in particolare Credence con un certo disappunto.
«Tieni a mente quello che ti ho detto, ragazzo. Spero non sarà necessario arrivare alle maniere forti, ma bisogna sempre essere preparati. L'abbiamo tra le mani e non possiamo lasciarcela sfuggire per nessun motivo. È chiaro?»
«Sì, signore.»
Un ultimo cenno d'approvazione, dopodiché Grindelwald indossò di nuovo la giacca nera e attraversò a testa alta le tende di velluto.

Si aspettava un caloroso benvenuto come quello ricevuto a Parigi e Rio, invece l'intero pubblico si chiuse nel silenzio non appena la sua figura apparve sul palco. Ci fu solo una voce fuori dal coro, che intonò un: «Grindelwald! Grindelwald!». Nessuno lo imitò.
"Che pubblico scadente", giudicò tra sé e sé. Quei nobili con la puzza sotto al naso non erano in grado di mostrare il minimo entusiasmo. Perlomeno erano facili da corrompere, si consolò.
Afferrò l'asta del microfono lanciando un'occhiata all'impassibile Anton Vogel, in prima fila accanto alla sua attempata consorte. Avrebbe analizzato ogni sua parola, decifrato ogni messaggio tra le righe, più attento di un falco che controlla la sua preda in attesa di affondare in lei gli artigli.

Che provasse pure a remargli contro. Vogel non aveva nemmeno una carta buona tra le mani, mentre lui aveva una scala reale e decisamente più assi nella manica.
«Lasciatemi dire prima di cominciare che è davvero un onore poter parlare di fronte ad un pubblico di tale spicco» esordì con un sorriso. «In questa sala stasera si trova la crème de la crème dell'alta società, intellettuali rinomatissimi, politici facoltosi... Insomma, coloro che nella storia tengono banco. Dovreste andarne fieri, sapete? Il mondo è praticamente ai vostri piedi, signori miei. Vi basta muovere un dito per cambiare le regole del gioco a vostro favore. Non tutti sarebbero in grado di sfoggiare un tale potere con tanta disinvoltura, senza crollare sotto il peso delle responsabilità che esso comporta. Eppure eccovi qui riuniti, avvolti nei vostri frac, gonne e copricapi sfarzosi. Tutti così sereni... e con un'ottima cera, azzarderei.»

Alcune fronti si alzarono altezzose, qualcuno si sistemò gli occhiali, qualcun altro gonfiò il petto, sentendosi scaldato dalle sue adulazioni. Incredibile come bastasse qualche commento ipocrita per sollevare l'ego di quei re senza corona e critici senza spirito interpretativo. Se quelle erano le premesse, sarebbe stato disgustosamente facile contaminare le loro idee con le sue.
«Non sono qui tuttavia per impartire complimenti. Come il mio rispettabilissimo interlocutore ha tenuto a sottolineare di sopra poco fa, questa è una serata di dialogo tra le parti. Perciò lasciate che esponga davanti a tutti voi le ragioni che mi hanno spinto ad essere qui oggi.»
Un leggero brusio si sollevò dal fondo della sala, da un gruppo di ministri che faceva capo ad Anton Vogel. Attendevano pazienti che lui facesse un passo più lungo della gamba per puntargli il dito contro e tirarlo via dalla scena, ma lui non gli avrebbe dato alcuna soddisfazione.
Gli avrebbe anzi offerto uno spettacolo che non avrebbero scordato tanto facilmente.
«Sappiamo tutti che cosa si trova al di fuori di queste mura. Fuori da questi luoghi nei quali ci sentiamo al sicuro in mezzo ad anime affini alle nostre si trova un mondo crudele, abitato da una società altrettanto crudele. Persone che non hanno fatto altro che voltarci le spalle, a cui noi stiamo lasciando scrivere la prossima pagina della storia. Persone che ci hanno chiamati mostri dopo averci gettati nei cantoni delle loro città e condannati all'esilio!»

Quell'ultima parola, esilio, rimbalzò sui muri di pietra del teatro finché non svanì come le altre, trascinando dietro di sé un silenzio di tomba.
«Ritengo, cari illustri governatori, rappresentanti di tutte le nazioni, che noi vostri sottoposti abbiamo già sofferto abbastanza. Camminiamo ogni singolo giorno su strade dove nessuno ci porta rispetto, dove ci sentiamo più riparati nell'ombra, sotto false identità. Ma soprattutto, viviamo in un mondo dove, giorno dopo giorno, ci si chiede di nascondere quello che siamo davvero: non mostri, ma anime elette dalle straordinarie capacità.»

Si udirono cenni di assenso per tutta la sala. I ministri che si erano mostrati scettici ora pendevano dalle sue labbra, e le dame... Non riuscivano a levargli di dosso gli occhi, talmente erano rimaste sedotte da quelle poche frasi.
Gettò un'ultima occhiata al pubblico e poi riprese, con lo stesso tono provocante e sicuro di quando aveva iniziato. «Credetemi fratelli miei, e permettetemi di chiamarvi così, giacché sono anche io uno di voi. Ho fede in poche cose, ma non biasimatemi: con i tempi che corrono non ci si può certo affidare alla prima ancora. Sono convinto e ho fiducia però nel fatto che saremmo in grado di migliorarlo noi da soli questo mondo, se solo i babbani ci facessero tenere le redini del loro vacillante sistema. Mi chiedo fino a che punto arriveranno i loro scienziati, i loro assassini con le loro armi e bombe. E mi chiedo subito dopo: quante di queste bombe ci faremo gettare ancora addosso prima di reagire?»

Qualcuno strinse le braccia al petto, qualcuno scambiò uno sguardo col vicino. La maggior parte rimase però a labbra serrate al suo posto. Grindelwald conosceva gli orrori ai quali i figli di quei potenti avevano assistito. Di tutti quelli che erano stati chiamati a difendere la comunità magica, solo qualcuno era sopravvissuto abbastanza a lungo per raccontare ciò che era davvero accaduto sui quei confini. All'epoca lui era in fuga, ma era venuto a conoscenza di tanti suoi coetanei e compagni di scuola che avevano perso la vita a causa di gas e pallottole. Armi letali e sconosciute create dai babbani su misura per stanare e decimare innocenti.

I suoi occhi caddero sulle due donne che avevano catturato la sua attenzione dall'inizio. Elfrida Malfoy guardava soggiogata dinnanzi a sé stringendo il braccio della figlia. Quest'ultima, pallida in volto, ancora tentava di celare il terrore dietro un sorriso che non reggeva però il suo sguardo attento. Sbarrò gli occhi appena comprese che quello sguardo era rivolto a lei e a nessun altro nella sala. Quel contatto durò il tempo sufficiente per permettergli di percepire il suo reale stato d'animo. La ragazza temeva le sue parole, temeva la sua presenza. Sospettava della madre in piedi al suo fianco, e soprattutto, soffriva la distanza dai suoi amici e non osava pensare alla loro e alla sua sorte.
E tutte quelle diverse paure Grindelwald le respirò, gonfiandosi di soddisfazione. Quello era il profumo del successo.

Il microfono gli parve più leggero, allorché lo riprese in mano, aggrappandovisi con le dita come fosse un tesoro di inestimabile valore.
«Riflettiamo dunque col senno di poi, fratelli miei: siamo davvero noi il problema? Siamo davvero noi maghi ad avvelenare questa terra? Non siamo forse da secoli noi quelli perseguitati e minacciati, le cui comunità sono in costante pericolo? Non ci meritiamo forse un posto migliore di quello che ci è concesso? Io penso di sì. Dobbiamo riprenderci il territorio che ci è stato strappato via, alzare la voce e insorgere contro l'oppressore. Non è saggio sbranarci tra di noi per decidere quale mezzo sia il migliore da utilizzare. Ahimè, come più volte la storia ci ha dimostrato, alcuni scopi richiedono un approccio più fermo. Cessiamo quindi i dibattiti che dilaniano la nostra comunità e uniamoci contro il vero nemico, quello comune, che è là fuori e attende soltanto che noi ci accaniamo l'uno contro l'altro. Non diamogli questa soddisfazione, siete d'accordo?»

Si alzò un primo applauso, poi un secondo. Pian piano il piccolo teatro si riempì di suoni, di voci che inneggiavano al cambiamento, alla ribellione contro i babbani. Anton Vogel lanciò verso il palco un'occhiata circospetta, che lui ricambiò con un sorriso beffardo. Il capo della Confederazione Internazionale dei Maghi seguì poi l'esempio della sua consorte e dei suoi ministri, lasciandosi andare in un applauso dapprima debole, poi sempre più sentito. Che l'applauso fosse sincero o meno non aveva importanza. L'importante era che in quel momento lo stesse lodando insieme a tutti quanti i presenti. Era così che ti guadagnavi il diritto di parola in mezzo a quelli come Vogel. Conducevi le persone intorno a lui dalla tua parte in modo che il consenso si spostasse, e il politico fosse obbligato a spostarsi con questo.

Il vigore crescente delle grida e degli applausi arrivò quasi a coprire l'ultimo pezzo del suo discorso, che fu la ciliegina sulla torta.
«La mia azione non era contro nessuno di voi, bensì mirava ad essere un esempio. Io non sono mai stato vostro nemico, allora come ora: voglio solo una cosa, e cioè che noi maghi torniamo a ricoprire il ruolo di prim'ordine al quale siamo stati da sempre destinati. Ma non possiamo più farlo con le parole. È giunto il momento di agire, amici miei. Mi affido a voi, che siete il pilastro di questa comunità, nella speranza di riportare l'equilibrio in questo mondo stanco di essere guidato da persone che non ne hanno la stoffa. Se cominciamo da ora potremo presto riavere ciò che è nostro!»

Lasciò il microfono e si godette lo spettacolo sotto di lui. Le persone lo acclamavano, ripetevano le sue parole, qualcuno osava addirittura pronunciare il suo nome. Sapeva già che i nobili purosangue sarebbero stati semplici da manipolare, ma non immaginava che lo potessero essere a tal punto. Non c'era storia, il suo discorso li aveva colpiti tutti, dal primo all'ultimo. Era la sua grande abilità quella di capire sempre che cosa desiderava il suo uditorio e soprattutto, di capire come smuoverne le emozioni. Il resto veniva da sé: era talento naturale, sempre se così si potesse definire. In ogni caso, la sua eloquenza era ciò che lo rendeva tanto pericoloso agli occhi di tutti i suoi nemici.

Lui e Vogel si scambiarono un ultimo sguardo, dopodiché la sua attenzione si concentrò solo sulla coppia madre e figlia. Questa volta lo scambio fu più prolungato. La ragazza era stata l'unica a non muovere un dito per applaudirgli. Forse era colpa del suo animo ribelle, ma Grindelwald comprese che c'era di più dietro a quella sorta di mutismo selettivo, fatto solo di rapide occhiate a destra e a sinistra. Cercava il momento buono, l'attimo giusto per liberarsi dalla stretta di sua madre, disperdersi tra le persone e fuggire di nascosto. Era troppo sveglia per stare in mezzo a quella gente. Forse si credeva persino più scaltra di lui. La cosa non lo avrebbe sorpreso granché: era abituato ad essere sottovalutato. Usava anche questo come arma a proprio favore, per incastrare i suoi avversari.

Conosceva a memoria ciò che sarebbe accaduto a seguito di quel momento di elogio. Aveva chiesto a Credence di aspettare quel preciso istante per lasciare libero il serpente. Si voltò indietro per guardare al di là della tenda: l'animale era sparito dalla spalla del ragazzo, il quale gli fece cenno di rivoltarsi verso il pubblico. Era il segnale.
«Signori, la notte è giovane, e sono certo che il nostro ospite abbia ancora in serbo delle sorprese per tutti noi» proclamò indicando Basilius Fancourt, che alzò la testa con fierezza e annuì. «Andate e non dimenticate che avete un compito importante: portare il cambiamento.»

Il pubblico si trattenne per un ultimo partecipato applauso, accompagnato da fischi e sorrisi di approvazione. Grindelwald si lasciò andare. Salutò la platea con un elegante cenno del capo e della mano, prima di scomparire dietro le tende di velluto e indossare di nuovo il suo vero volto.
«Sono tutti in posizione, signore» annunciò Credence Barebone, afferrando la giacca che lui gli porse.
«Eccellente. Suppongo non ci siano intralci, giusto?»
«Nessun intralcio, mio signore. I suoi amici sono sorvegliati dalle nostre spie. Non la raggiungeranno facilmente, i nostri ne impediranno la materializzazione il più a lungo possibile.»
«Nulla può andare storto, dunque. Questa sì che è una bella notizia.»

Credence rimase immobile per qualche secondo, a studiarlo dal posto mentre lui si sistemava i polsini della camicia.
«Direi che è giunto il mio turno», affermò, con un finto sospiro dolente. In realtà non era per nulla addolorato, anzi. Era determinato a vincere una volta per tutte la partita contro Albus Silente. Questa volta, la sua mossa sarebbe costata al professore uno dei suoi alleati più in gamba. Un vero peccato sprecare tanto talento per gettarlo in mezzo ad un patetico ammasso di eroi per caso.
«Vieni con me, ragazzo. Andiamo a prenderci questa vittoria insieme.»
«Io... Vuole che venga anche io?» Domandò Credence, che si guadagnò subito un'occhiata perplessa. «Insomma, credevo che sarei rimasto in disparte per...»
«Assolutamente no. Voglio che tu sia alla mia destra quando ci sarà da festeggiare il trionfo.»

Seppure un po' titubante, alla fine il giovane gli si affiancò, proprio come lui gli aveva suggerito. Aveva fatto molta strada al suo fianco, Credence, e Grindelwald sperava ne avrebbe fatta tanta altra ancora. Ne aveva passate troppe per la sua giovane età. Covava dentro di sé una rabbia distruttiva, che era la sua maledizione ma soprattutto la sua benedizione: lo rendeva più forte, più spietato.
Quel ragazzo era l'arma più potente del mondo. Finché l'avrebbe avuta tra le sue mani, nessuno avrebbe osato mettere in discussione il loro, il suo potere.
Finché avrebbe avuto la piena fiducia di Credence Barebone avrebbe tenuto il mondo sotto scacco.

Scesero le scale dietro le quinte, entrambi quasi rincuorati dalla presenza dell'altro. Grindelwald strinse la mano a Fancourt e a un paio di altri nobili, di quelli che ancora affollavano la sala ma che stavano lentamente convergendo verso l'uscita.
L'unico scambio interessante che ebbe durante quel breve giro di ricognizioni e cerimonie fu quello con Anton Vogel, breve ma intenso.
«Un discorso molto sentito, devo ammetterlo» fu la sentenza del tedesco. «Bisogna convenire che lei ci sappia fare sul serio, con le parole.»
«E la Confederazione? Ha sentito il discorso?»
Vogel non ricambiò il suo sorriso, rimanendo impassibile. «La Confederazione ci rifletterà su.»

Anton Vogel lo squadrò dal basso verso l'alto. La sua consorte lo imitò, poi si allontanarono insieme.
«Secondo lei ha abboccato?» Lo interrogò ancora Credence.
«Altroché. È solo questione di tempo, mio caro ragazzo.»
Si scambiarono un sorriso, dopodiché le orecchie di entrambi furono attirate da due voci acute coinvolte in un aspro litigio.
«Il discorso è finito!»
«Suvvia tesoro, non essere irragionevole...»
«Non puoi forzarmi a rimanere, mamma. Me ne voglio andare e intendo farlo immediatamente.»

Non attese di vedere la chioma biondo platino scappare dalla sua visuale. Fece cenno a Credence di seguirlo e si aprì la strada tra i pochi invitati ancora rimasti nel teatro, che tra non molto sarebbero tornati tra lo sfarzo del salone delle cerimonie di Basilius Fancourt.
Mentre avanzava concentrò la mente sul brusio intorno a lui. Tra le decine di frequenze ordinarie non fu difficile trovare quella più anomala, contraddistinta dalla presenza di panico e angoscia in quantità non indifferenti. Una volta sintonizzatosi su quell'unica sorgente, non gli rimase altro che sfoggiare tutto il proprio fascino ammaliatore.
«Qual è il problema, signore mie? Qualcosa non va?»

La più vecchia delle due, imbellettata da capo a piedi e adorna di vistosi gioielli, rimpiazzò subito l'espressione di rimprovero con un tono di sorpresa che gli parve eccessivamente forzato.
«Grindelwald in persona! Quale onore conoscerla!» Esclamò, sull'orlo dell'emozione. Non si sforzò nemmeno di sembrare credibile. Per fortuna, quella recita avrebbe dovuto reggere solamente qualche altro secondo.
«L'onore è mio. Ma le suggerisco di lasciare a più tardi i convenevoli... Pare che sua figlia si senta poco bene.»

Charlotte Malfoy si reggeva in piedi a malapena. Con le poche forze rimastole tentava di rimanere in equilibrio, gemendo e ansimando a causa del dolore. Si era portata una mano al cuore e fissava un punto indefinito della stanza con gli occhi sbarrati dal terrore.
Provò a cercare sostegno nella madre, la quale tuttavia temporeggiò prima di offrire il braccio alla figlia. Dalle labbra di Elfrida Malfoy non uscì una sola parola di conforto. La donna gettava occhiate nella sua direzione, come pronta a ricevere un comando da lui.

Il teatro era di nuovo piombato nella più totale quiete. Vogel se n'era andato da un pezzo, seguito a ruota da tutti i suoi ministri, impazienti di udire da lui un verdetto. Gli altri aristocratici non avevano motivo di sprecare ancora un minuto di più in quel buco ritagliato nel sottosuolo: già sentivano la mancanza delle tende di velluto e delle torri di champagne.
La sola cosa di cui star certi era che nessuno sarebbe venuto a soccorrere la povera lepre caduta nella trappola del lupo.

Charlotte ritrovò la forza di voltarsi e lo guardò dritto in viso. Lui le sorrise beato come se nulla fosse, come se lei non fosse circondata e il suo destino fosse quello di salire i gradini delle scale e uscire di lì uguale a prima. La rassicurò in silenzio, come se non avesse già ordinato ai suoi al piano di sopra di far saltare la copertura dei suoi tre ingenui amichetti, ancora convinti che quella fosse sul serio una cerimonia ufficiale organizzata per dialogare con la Confederazione Internazionale dei Maghi.
Altro che cerimonia ufficiale. Quella serata era un'imboscata studiata ad hoc per incastrare la ragazza e persuaderla ad unirsi alla sua armata. Stava a lei scegliere se decidere di entrare a far parte del suo esercito con le buone o con le cattive.
«Sei tu...» decretò la giovane Malfoy tra gli affanni, spalancando un po' di più gli occhi. «La stai controllando tu, non sono io, non è un attacco...»
«Perspicace, per essere una ragazzina impaurita.»

Mollò la presa sul suo cuore all'istante, senza lasciarle nemmeno un momento per realizzare quella scomoda verità.
«Così va meglio?»
Ripreso il controllo sul suo respiro, la bionda si divincolò dalla stretta della madre in un ultimo maldestro tentativo di fuga. Peccato che lui avesse previsto tutto quanto.
La giovane Malfoy non fece in tempo ad arrivare alle scale. Rimase bloccata dalla presenza di un enorme pitone sibilante, che le sbarrò l'unico accesso verso l'esterno. D'istinto afferrò la bacchetta che teneva nel fodero sotto il primo velo dell'abito da sera, bacchetta che le fu tolta con rapidità grazie a un incantesimo lanciato da Vinda Rosier, nascosta all'ombra delle candele.
«No!»

Fu in quell'esatto momento che Charlotte Malfoy capì di essere caduta in un agguato. Cercò a destra e a sinistra un altro modo per andarsene, ma le fu chiaro immediatamente che il suo osservare in ogni direzione non l'avrebbe portata a nulla. O perlomeno, a nulla che avrebbe potuto salvarle la vita.
«Mamma...?» Chiamò con voce flebile, soffermando lo sguardo sulla figura che fino a due minuti prima era al suo fianco, pronta a sorreggerla.
Pronta a consegnarla nelle mani del nemico.
«Non prenderla troppo sul personale, tesoro. È per il tuo e il nostro bene.»

Charlotte Malfoy era paralizzata. Grindelwald avvertiva la sua paura crescere secondo dopo secondo, sovrastare tutte le altre emozioni. La povera ragazza si era abbandonata al panico, dimenticando di ascoltare il proprio senno. Chissà, forse quest'ultimo le avrebbe evitato le sviste che l'avevano condotta tra le sue grinfie.
Avanzò di qualche passo verso di lei, mentre quella ancora cercava invano di fuggire e gestire il proprio terrore.
«Non ho intenzione di torcerti un capello, Charlotte. Voglio solo parlare.»

Per reggere il confronto con lui, la giovane fu costretta a prendere dei respiri profondi, alzare il mento e fissare lo sguardo oltre la sua spalla, in una bizzarra ostinazione di coraggio.
«Se vuoi parlare allora perché non ordini ai tuoi tirapiedi di abbassare le bacchette?», chiese. La voce era debole, ma il tono quasi di sfida. Si potevano rimproverare a Charlotte Malfoy una certa leggerezza ed emotività, ma non si poteva negare che avesse una bella faccia tosta. Era esattamente il tipo di persona che Grindelwald cercava: decisa ma facilmente manipolabile.
«Possiamo chiamarla una misura precauzionale.»

La distanza tra loro si accorciò sempre di più, finché a separarli non ci fu appena un metro. Grindelwald premeva per mantenere un certo contatto visivo, che la sua interlocutrice faticava a sostenere.
«Non ho paura di te», azzardò, indietreggiando.
Grindelwald sorrise e scosse la testa. «Oh, invece ne hai. Hai molta, moltissima paura, Charlotte. Riesco a percepirla tutta, sai? Hai paura di me ma soprattutto, hai paura di quello che potrei fare e che tu non potrai prevedere.»
Tremava come una foglia. I suoi occhi spalancati erano lo specchio di un'anima turbata nel profondo, consapevole di non poter gridare aiuto poiché nessuno l'avrebbe udita.

La ragazza distolse per un secondo lo sguardo, fissandolo su Credence, in piedi nel punto da cui lui si era mosso per raggiungerla. Vittima del silenzio prolungato e della tensione spostò subito di nuovo l'attenzione su Grindelwald, il quale rimase in trepidante attesa della fatidica domanda.
«Che cosa vuoi da me?»
«Semplice: voglio proporti un accordo, mia cara.»
L'altra esitò. «E i termini di questo accordo spetta deciderli a una sola delle parti, presumo.»
«Precisamente.»

Le voltò le spalle, per accertarsi che tutti i suoi seguaci fossero in posizione. Vinda affiancava Nagini all'uscita delle scale, e in un cerchio da sinistra a destra se ne stavano Elfrida Malfoy, Leanna Bulstrode e Macduff, tutti e tre con le bacchette puntate verso Charlotte Malfoy.
«La situazione è la seguente: tu e i tuoi amici avete delle informazioni che mi servono. Non fare quella faccia, non puoi ingannarmi e lo sappiamo entrambi. Voi sapete esattamente dove si trova un oggetto che a me serve e che desidero tanto...»
«Questo non ha senso» fu la replica della ragazza. «I documenti del Ministero Brasiliano...»
«Carta straccia. La Pietra non è nelle mani del suo proprietario, perché è stata rubata da qualcuno che non l'ha più restituita. Il Ministero non ha idea di chi sia quel qualcuno, ma voi piccoli ingrati sì. Voi lo sapete, non è vero?»

In quelle ultime frasi rivelò tutto l'astio che provava verso i suoi nemici, che seppure usciti sconfitti dall'ultima battaglia, avevano trovato comunque il modo di rimanere un passo avanti a lui.
«Anche se io ti rivelassi il luogo in cui è tenuta», s'intromise la giovane Malfoy, «non lasceranno mai che tu la prenda.»
«Perciò la prenderai tu per me e me la porterai. Facile facile.»
La lasciò stranita, più di prima. Era certo che avesse compreso dove voleva arrivare. Il punto era se fosse disposta a concedergli la propria fiducia senza bisogno di ulteriori espedienti.
«E se volessi rifiutare l'accordo?»
"Per Merlino, potevamo farla finita subito", pensò tra sé e sé, piuttosto seccato. Quella ragazza era più dura di quanto avesse immaginato.
«Se dovessi rifiutare l'accordo i tuoi amici moriranno. O credevi davvero che sarei cascato nel vostro trucchetto da dilettanti?»

Evocò una piccola nebbia con la bacchetta, proprio davanti al viso di Charlotte Malfoy. La giovane impallidì, immobile e con il fiato sospeso. Lui le si affiancò, assistendo alla stessa scena: in mezzo alla nebbia erano comparse tre figure, circondate da uomini con le bacchette puntate. La visuale era quella di uno dei suoi, nascosto dietro ad una tenda e pronto a lanciare una fattura mortale.
Charlotte si portò una mano alla bocca.
«Non hai molte opzioni. Certo, a meno che io non abbia sottovalutato il tuo egoismo...»
«Loro non c'entrano!» Provò a convincerlo lei. «È me che vuoi! Loro... Hanno già sofferto abbastanza per causa tua!»
«Sta a te decidere la loro sorte. Preferisci tradirli o vederli morire davanti ai tuoi occhi?»

La ragazza sussultò, nel momento in cui la nebbia inquadrò meglio i visi dei tre Auror in mezzo al cerchio. Lui le stava accanto, la scrutava dall'alto, rideva tra sé e sé, crogiolandosi nella consapevolezza di aver fatto centro.
«Sei un mostro...»
«È un ruolo che mi riesce particolarmente bene.» Si chinò vicino al suo orecchio, aumentando nella povera ragazza il senso di disagio. «Ti ho osservata per più tempo di quanto immagini, ragazza mia. E posso affermare che il grande errore che ti ha portata da me è stato cascare nelle trame di quella grande illusione che è l'amore. È facile per un avversario capire quali corde pizzicare, ancora di più quando di mezzo ci sono i sentimenti.»

Gli occhi della giovane Malfoy erano lucidi. Continuò a guardare quei volti familiari attraverso la nebbia, sapendo che teneva in mano le forbici e i fili. Anche senza leggerle nella mente come Queenie Goldstein, Grindelwald poteva intuire quello che la ragazza provava in quell'esatto istante. Voleva gridare, avvertire i suoi amici, pregarli di andarsene e non venirla a riprendere.
«Dunque? Cosa scegli, Charlotte?»
La giovane trovò di nuovo il coraggio per incrociare il suo sguardo. Quella che uscì dalle sue labbra fu la supplica che lui attendeva. «Farò quello che vuoi se li lascerai in pace. Ti porterò la Pietra della Resurrezione. Però ti prego, non far loro del male.»
«Sapevo che avresti fatto la scelta giusta.»
Grindelwald sorrise, facendo cenno con la mano a Leanna Bulstrode di venire avanti con la scatola. «Lascia che ti mostri la tua vera strada.»

La mora aprì la scatola con un gesto teatrale, offrendogli la collana. L'oggetto era ancora lì, brillante sopra il cuscinetto di velluto leggerissimo. L'argento non era stato toccato da nessun'altra mano che non fosse la sua. Per qualche strano motivo, questo pensiero lo riempì d'orgoglio.
Nagini girava ora ai loro piedi, strisciando a pochi centimetri dagli orli dei loro vestiti. Charlotte lanciò un ultimo sguardo a sua madre, lontana, che aveva assistito all'intera scena senza muovere un dito per evitare quel destino alla figlia.
«Benvenuta nell'Armata, mia cara» la accolse, circondando il collo della ragazza con l'argento. Doveva ammettere che il simbolo dei Doni della Morte le donasse parecchio. «E ora perché tu e Leanna non rimanete un po' da sole? Immagino abbiate molto tempo da recuperare.»
«Di' ai tuoi di lasciare in pace i miei amici.»

Grindelwald, che le aveva già voltato le spalle, si voltò di nuovo verso la bionda. Esitò di proposito, per vedere fin dove la donna era pronta a spingersi.
«Ci penserò. Voi, abbassate le bacchette!», ordinò. «Non sono più necessarie.»
Con sua grande sorpresa Charlotte Malfoy non demorse, anzi perorò nell'accusa. Nemmeno la figura di Leanna Bulstrode a pochi centimetri distolse la giovane dal suo obiettivo, la figura dai capelli bianchi che si stava allontanando senza mantenere la sua promessa. «Avevamo un accordo!»
«Attenta a non giocare con il fuoco, ragazzina» la avvertì lui, impaziente di terminare quello che aveva iniziato. «La mia pazienza ha un limite e ti consiglio vivamente di non superarlo.»

Non aveva intenzione di portare avanti oltre quell'inutile e superfluo battibecco. Dopotutto non aveva mai promesso nulla a Charlotte Malfoy. E senza promettere nulla aveva ottenuto tutto quello che voleva.
Un piano impeccabile lo aveva guidato alla vittoria.
«Non fargli del male!» Urlò la ragazza, alla quale venne impedita la fuga. Leanna Bulstrode le puntò la bacchetta al collo, tirandola a sé.
«Non credevo fossi passata sull'altra sponda, Charlotte.»
«Nemmeno io lo credevo.»

Fu questo l'unico scambio di battute che Grindelwald udì tra le due. Poi giunse un rumore di passi da sopra le scale, accompagnato da suoni di fatture in lontananza.
«Andiamocene, ragazzo. Non ho intenzione di passare un minuto di più in questo posto.»
«Ma...»
Lanciò a Credence un'occhiata che non ammetteva repliche. L'obscuriale fece correre lo sguardo rapidamente a destra e a sinistra, chiamando a gran voce il nome del serpente che subito rispose ai suoi comandi.
«Nagini!»

Grindelwald non assistette a ciò che accadde dopo, consapevole che con quella mossa aveva già cambiato le carte in tavola a suo favore.
Buona fortuna, Albus, pensò soddisfatto, mentre spariva con il sorriso sul volto.

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