34. 𝐒𝐞𝐠𝐫𝐞𝐭𝐢

NEWT'S POV

La strinse di più a sé, iniziando ad accarezzarle i capelli. La testa di lei era posata contro il suo petto, ascoltava i battiti del suo cuore a occhi chiusi. Newt godette per un po' di quella vista, poi alzò lo sguardo al soffitto, sospirando beato.
Era stato strano all'inizio, per tutti e due. Ma a conti fatti, avessero potuto tornare indietro, lo avrebbero rifatto, Newt ne era certo.
Oh, se lo avrebbero rifatto.

Non ricordava più come fosse. La prima volta era stata durante uno dei suoi viaggi in giro per il mondo. Un'indigena si era infatuata di lui, l'aveva ospitato a casa sua, gli aveva rifilato con l'inganno un filtro d'amore e la mattina dopo, Newt si era risvegliato nel suo piccolo giaciglio. Una storia imbarazzate che non aveva mai raccontato a nessuno, e con ragione.
Aveva esitato perché non sapeva se lei fosse pronta, se fosse d'accordo. Si era sentito trafiggere da una scarica di passione e aveva dovuto resistere a fatica, imponendo a se stesso di andare piano. Lei le aveva comprese fin da subito, le sue intenzioni. Era intelligente, Tina, e questo era uno dei mille motivi per cui lui l'amava così tanto. Non ci aveva sperato, eppure lei gli aveva concesso di più, sempre di più, finché non erano finiti in mezzo a quelle coperte bianche, travolti dallo stesso desiderio.

Le sue labbra avevano lasciato segni invisibili sul suo corpo, e lei si era lasciata marchiare. Ardeva per lui come lui ardeva per lei, era sempre stato così. Si erano dati tempo per arrivare a quel momento, il tempo era trascorso, si erano lasciati andare, così come era scritto nel destino. Rimasti da soli, avevano consumato l'atto culminante di un amore che durava da anni, e che si sperava durasse per sempre. Quella notte era la loro e la loro soltanto. E agli occhi di Newt non c'era consapevolezza più dolce.

Continuò ad accarezzarle i capelli. Di tanto in tanto le posava un bacio sulla fronte. Avevano iniziato una conversazione sul futuro, una volta esaurita l'energia per quel gioco di sussurri e tenerezze in cui si erano dilettati con tanto ardore. Lei era ancora più bella, scaldata dal piacere. Profumava di buono, fiori di pesco, come quella volta sulla spiaggia. La sua pelle morbida a contatto con quella di lui risvegliava i suoi sensi, gli provocava un brivido ogni volta che lei emanava un respiro.

Aveva dimenticato quello di cui stavano parlando. Di case, forse. Sì, era stato quello l'argomento del loro discorrere. Tina gli aveva chiesto se avrebbe preferito continuare a vivere a Londra o trasferirsi. Newt provò a riprendere il filo del ragionamento, mentre la cullava tra le sue braccia.
«Okay... che ne dici del Dorset?»
«Una casa nel Dorset?»
«Sì. Insomma, è un posto tranquillo. Non è molto lontano da Londra o da Southampton. È un posto carino dove vivere. Almeno credo. I miei sostengono che lo sia.»

Tina riaprì gli occhi, cercò i suoi, poi lo baciò agli angoli della bocca. Le loro fronti si scontrarono, sentì il suo fiato sul viso, Newt la tirò un po' più a sé. Risero entrambi.
«Quando questa storia sarà finita», le sussurrò, «potremmo cercare una casa, costruire una famiglia... Magari avere dei bambini.» Lei si ritirò di scatto, squadrandolo con un'occhiata di rimprovero. «Che c'è? Che ho detto di sbagliato?»
«Sai che non sono pessima, coi bambini!»

Newt rifletté su quello che aveva detto. In effetti, nemmeno lui brillava in quanto a capacità di provvedere a pargoletti umani. «Ora che mi ci fai pensare, lo sono anche io. So accudire le creature, sono un po' come figli per me... ma credo non sia esattamente la stessa cosa.»
«Lo credo anch'io.»
«Sai che c'è? Saltiamo questa parte...»
«Concordo.»
«Sì, saltiamo la parte dei bambini.»

Tina si sdraiò di nuovo accanto a lui. Si fissarono per un po' in religioso silenzio. Lei sorrideva nella sua direzione, lui la guardava come se fosse il diamante più prezioso del mondo. Perché per lui lo era.
«Sei bellissima.»
«Lo so.»
Quella risposta lo sorprese. Conosceva Tina, era sempre stata insicura del suo corpo, del suo aspetto. Aveva sofferto del paragone con la sorella, bionda, occhi azzurri, mentre lei era mora e meno avvenente. O almeno, così pensava.
«Questa non me l'aspettavo...»
«Che vuoi, ho ripreso delle vecchie frequentazioni, qui a Londra.»
«Mh... Devo preoccuparmi?» domandò, fingendo di essere un po' colpito e un po' geloso.
«Rilassati, è tutto a posto.»

Entrambi rivolsero lo sguardo al soffitto, in contemplazione. Stavano un po' stretti, il letto era piccolo, ma a nessuno dei due quella vicinanza pareva dare fastidio. Tutt'altro.
«Charlotte è una brava ragazza» osservò Tina, assorta in chissà quali pensieri riguardanti l'amica. «Anche se dovrebbe imparare ad aprirsi di più con gli altri.»
«Non mi sorprende che vada tanto d'accordo con mio fratello. Quei due sono identici, come fossero la stessa persona messa in due corpi diversi... Il che è assurdo, se ci pensi.»
«L'unica cosa che trovo assurda è che non stiano ancora insieme.»
«Credo che nessuno dei due voglia una relazione, per il momento. Ma Londra tifa per loro.»
«Sul serio?»
«Aha. Dovresti vedere quello che scrivono i giornali. Spero vivamente che nessuno dei due abbia letto quegli articoli!»

Tina gli si avvicinò, disegnando con le dita dei piccoli cerchi sul suo petto. Il cuore di lui prese a battere più forte quando lei, torreggiando sulla sua figura, gli sussurrò in tono seducente qualcosa a fior di pelle.
«E cosa scrivono di noi, i giornali?»
«Non lo so. Non lo so» mormorò lui, incantato dalle sue labbra. «Ma francamente, non mi interessa.»

Prima che lei potesse dire qualunque altra cosa, Newt le prese il viso tra le mani e la baciò con crescente foga. E il loro gioco ripartì, e così andarono avanti fino a che il sole non sbucò di nuovo dietro i tetti della città.

Nessuno spiraglio di luce sarebbe mai arrivato in quella stanza, perciò fu Pickett, la mattina seguente, a prendersi la briga di svegliarlo. Newt avvertì i suoi pizzicotti che inizialmente lo irritarono. Ritirò il braccio e si voltò dall'altra parte. Aprì gli occhi quando si accorse di essere rimasto da solo sotto alle coperte.
«Che ore sono, Pickett?» Mugugnò, tra uno sbadiglio e l'altro.
L'Asticello squittì, perplesso.
«Devo trovare il modo di farti imparare i numeri» si appuntò nella memoria, alzando lo sguardo verso l'orologio e mettendosi a sedere di scatto. «Per la barba di Merlino!»

L'orologio segnava le nove in punto.

Si liberò delle coperte. Afferrò la camicia dal pavimento, gettando occhiate nervose alle lancette che proseguivano a muoversi.
«Perché non mi hai svegliato prima?» Domandò, rivolto al suo piccolo amico, che nel frattempo si era arrampicato sul piccolo comò. Per tutta risposta, Pickett squittì di nuovo.
«Sai, devo dire che non hai torto, piccoletto» dovette ammettere. Lo lasciò salire sulla sua mano, si sistemò le bretelle e prese le scale. Ipotizzò che la sua ragazza fosse di sotto ad attenderlo o stesse facendo colazione con Jacob.

La trovò in salotto insieme al suo migliore amico e ad uno stuzzicante odore di crostata appena sfornata. Quando lei lo vide, il suo viso s'illuminò e il suo sorriso si allargò.
«Ciao!»
«Ciao...»
«Buongiorno, Maestà!» Lo salutò Jacob appena lo vide sbucare dalla porta.
Newt decise di ripagarlo con la stessa moneta. «La torta si sta bruciando.»
«Santo cielo!»
Lo scherzo sortì l'effetto sperato. Il pasticciere corse a controllare la sua opera, scoprendola sana e salva. A quel punto il suo migliore amico si voltò di nuovo e lo fulminò con un'occhiataccia, che lui ricambiò con un risolino soddisfatto.

Si avviò verso l'armadio per prendere una giacca, sotto gli occhi attenti di Tina che seguiva ogni suo movimento. Seduta sul divanetto, non smetteva un minuto di squadrarlo da capo a piedi, dando il suo silenzioso giudizio.
«Qualcosa non va?»
«Niente. È solo che gli abiti eleganti non sono nel tuo stile, tutto qui. Non mi abituerò mai a vederti vestito in quel modo!»
«Non dirlo a me...»
«Sì, adesso direi che è perfetta!» Esclamò Jacob dalla cucina, richiamando la loro attenzione su di sé e la sua torta. «Qualcuno vuole una fetta di crostata?»
«Io sto morendo di fame!»

Tina prese posto accanto al pasticciere, mostrando un'energia contagiosa che Newt non aveva mai percepito in modo così intenso. Era felice che si fosse svegliata di buonumore. Significava che la loro prima notte insieme non era stata un disastro, e che lui poteva tirare un sospiro di sollievo.
La domanda di Jacob gli giunse all'orecchio mentre era ancora immerso nei ricordi della sera precedente. «Non ti siedi?»
«Oh, io dovrei andare al Ministero, in realtà...»
«Non sapevo lavorassi di sabato.»
Tina gli rivolse uno sguardo abbastanza circospetto, che per qualche ragione lo lasciò spiazzato.
«Be', non lavoro tutti i sabati» provò a giustificarsi. «Solo qualcuno.»
«In ogni caso, che senso ha? Ormai arriverai in ritardo, amico. Siediti con noi, prendi un giorno di ferie!»

Newt dovette pensarci su. Forse avrebbe potuto presentarsi al lavoro più tardi e ripagare l'assenza con qualche straordinario. Significava allungare di qualche ora la sua giornata lavorativa, ma magari...
"Che t'importa?" si disse, incrociando gli occhi di quelli che erano a tutti gli effetti suoi amici, oltre che suoi ospiti. Al diavolo il Ministero. Detestava quel posto. Meno tempo vi avrebbe trascorso, meglio si sarebbe sentito. E poi la crostata di Jacob emanava un irresistibile profumino...

"Al diavolo il Ministero", ripeté nella sua testa, prendendo posto proprio di fronte alla sua fidanzata.

L'inizio della colazione fu abbastanza imbarazzante. Calò un teso silenzio tra loro, troppo lungo per i loro standard, specialmente per quelli di Jacob Kowalski. Lo sguardo del pasticciere passava da lui a Tina di continuo, cosa che mise Newt piuttosto a disagio. Come se non bastasse, l'osservazione sconveniente di Jacob arrivò senza alcun preavviso, cogliendolo completamente alla sprovvista.
«Quindi... Suppongo vi siate divertiti, ieri sera, voi due.»
Sia Jacob che Tina, alzarono gli occhi verso di lui, che aveva rischiato sul serio di sputare il sorso di tè che aveva bevuto.
«Scusate, deve essermi andato qualcosa di traverso» si giustificò. Era arrossito fino alla punta del naso, poco ma sicuro.

Tina aveva abbassato lo sguardo sulla tazza di tè, mentre il sorriso di Jacob si era allargato in modo considerevole nel giro di pochi secondi. Aveva decisamente sottovalutato l'intuito del suo migliore amico.
«Vi ho messi in imbarazzo, lo so. Ma non mi avrete preso per uno stupido, spero!» dichiarò il pasticciere. Come se avesse letto i suoi pensieri gli fece l'occhiolino, scoppiando a ridere. «Non vi giudicherò. Insomma, perché dovrei? Sono davvero felice che almeno tra voi le cose vadano bene. Dico sul serio.»
Fu tutto abbastanza veloce, tanto che Newt non riuscì a dire nulla di confortante sul momento. Sul viso di Jacob passò una nube nera di sconforto, che si rifletté nel tono della sua voce, più grave mentre pronunciava le parole con le quali si congedò.
«Perdonatemi. Credo di aver un'altra cosa nel forno, torno subito.»

Entrambi seguirono con gli occhi la sua figura che si allontanava. Newt udì un sospiro sommesso provenire dal lato opposto del tavolo.
«Non c'è nient'altro in forno, vero?» Chiese.
«No, niente.»
Si lanciarono un'occhiata di mesta intesa. Tina rivolse poi di nuovo la sua attenzione alla cucina, dove Jacob stava armeggiando con il forno vuoto. «Forse uno di noi dovrebbe andare a consolarlo... Che so, dirgli qualcosa.»
Newt abbassò un po' la voce, cosicché la sua rimanesse tra loro. «Non avete più avuto notizie di Queenie?»
«No. Non da dopo la lettera.»

Ancora un sospiro. Non erano abituati a vedere il loro amico in quello stato. Jacob aveva sempre un sorriso sul volto, persino nei suoi giorni più bui aveva tentato di non lasciarsi abbattere... Ma le riserve di un uomo, per quanto pieno di volontà, tendono prima o poi ad esaurirsi, e la tristezza a prendere il sopravvento, una volta insinuatasi tra i vuoti. La lontananza prolungata di Queenie stava prosciugando le ultime scorte di vivacità rimaste al povero pasticciere. Newt temeva che lo stare a stretto contatto con lui e Tina, felicemente innamorati, lo rendesse più vulnerabile al pensiero dell'amore che non aveva potuto vivere.
«Vado a parlargli» dichiarò Tina, alzandosi dal proprio posto.

Newt piombò nel silenzio. Jacob era il suo migliore amico. Sarebbe dovuto spettare a lui il compito di consolarlo. E invece, non riusciva a formulare nella sua testa nemmeno una frase che avesse potuto aiutarlo a stare meglio.
Forse, si disse, lasciar parlare per quella volta Tina Goldstein si sarebbe rivelata la scelta più saggia. Dopotutto, anche a Tina mancava da morire la sorella. Sì, lei avrebbe saputo cosa dire. Magari con Jacob, lui avrebbe parlato quella sera.
«Tina?» La donna si voltò. «Volevo chiederti una cosa, prima che tu vada. Ti andrebbe, insomma... di andare da qualche parte? Ho in mente un bel posto sulla riva del fiume, voglio portartici. Facciamo fra tre giorni, quando il tempo si sistemerà. Ti va?»
«Fra tre giorni... Il cinque di maggio?»
«Sì, credo sia il cinque di maggio. Pensavo a qualcosa di tranquillo, una passeggiata...»
«Io...» cominciò la donna, «il fatto è che ho da fare, il cinque di maggio, Newt. Mi dispiace davvero tanto.»

Newt la squadrò da capo a piedi, alzandosi dalla propria sedia. Sapeva che stava dicendo la verità, ma il modo in cui aveva esitato... C'era qualcosa d'insolito nella sua voce. Di solito non gli importava sapere quale tipo di impegni tenesse Tina occupata, ma quella volta sentì i suoi sensi entrare in allerta.
«Esci con Sam?» Domandò.
«Sì... No, diciamo più o meno.» La donna gli si avvicinò, afferrando entrambe le sue mani e spingendolo a guardarla negli occhi. «È una questione privata, di poco conto. Nulla di cui tu debba preoccuparti.»
«Capito.» Cercò di abbozzare un sorriso, nonostante la risposta di Tina non lo avesse convinto a pieno. «Sicura che non devo preoccuparmi?»
«Mai stata più sicura di così. Tu hai intenzione di restare?»
«Penso che andrò al Ministero. Vedo quello che posso recuperare.»

Tina gli sorrise, sistemò il nodo della sua cravatta e poi lo baciò appassionatamente. Newt ricambiò il bacio, seppur scosso e piuttosto inquieto. "Una questione privata".
«Ci vediamo più tardi, allora.»
«A più tardi.»

Lei si allontanò con un ultimo sorriso, alla ricerca di Jacob Kowalski, mentre lui imboccò la direzione opposta, immerso in una miriade di pensieri, tutti differenti tra loro, che nel complesso provocavano in lui un'assillante senso di turbamento.

Una questione privata.

Quelle tre parole lo avrebbero tenuto sulle spine per tutta la mattinata, ne era certo.

Il Ministero gli parve deserto. Forse era solo una sua impressione, ma i corridoi erano divenuti più silenziosi e meno caotici dopo l'assemblea della Confederazione. Nessuno dei dipendenti aveva voglia di parlare dell'assemblea, e con ragione. Persino Newt, che era sempre stato estraneo alla politica, era rimasto scosso dalla decisione del consiglio di scendere a patti con Grindelwald. Una scelta del genere poteva portare una sola cosa: guai.

Messo piede nel suo ufficio si mise a raccogliere fascicoli qua e là, poi a svolgere il lavoro arretrato. Lo fece per allontanare i pensieri negativi, ma non parve funzionare. Non riusciva a levarsi di dosso l'angoscia, lo strascico che avevano lasciato su di lui le parole pronunciate da Tina. "Una questione privata" ripeté, e le ipotesi iniziarono ad accatastarsi l'una sull'altra e a formare un cumulo disordinato che pesò sulla sua concentrazione già precaria.

Se fosse qualcosa di importante e me lo stesse nascondendo?
Se stesse mascherando tutto quanto dietro quel sorriso per non far nascere in me dei sospetti?
Se fossi solo esausto e stessi vaneggiando?

Si sentì in colpa a dubitare della propria fidanzata. Che razza di gentiluomo lo avrebbe fatto? Nessuno, ecco la risposta. Newt sapeva di potersi fidare di Tina, eppure...
Per la prima volta sospettava ci fosse qualcosa di celato sotto a quel meraviglioso sorriso, qualcosa che Tina non voleva dirgli. Qualcosa di molto, molto importante per cui lui si sarebbe di sicuro preoccupato o che non avrebbe approvato.

Mentre passava in rassegna tutti quei se, cominciò a sentire le palpebre appesantirsi sempre di più, le forze abbandonarlo... Finché la realtà non scomparve d'improvviso dietro un velo nero.
Per la seconda volta.

Alzò gli occhi e si ritrovò seduto alla sua scrivania, ma nel sotterraneo di casa sua. Staccò un disegno che gli si era appiccicato al gomito e sospirò, accasciandosi alla sedia. Non era una scena reale: percepiva una sorta di vuoto intorno a sé e sentiva il suo corpo leggero come una piuma. Inoltre, era circondato da un surreale silenzio.

Scese a cercarla, questa volta senza avere il minimo dubbio che fosse opera sua. La scorse in fondo alle scale, seduta sul bordo della vasca della Kelpie. Se ne stava appollaiata lì, come un bambino che osserva lo specchio d'acqua davanti a sé con attenzione prima di tuffarvicisi per la prima volta. Accanto alla sua mano sinistra era posata una piccola clessidra.
«Una volta non era sufficiente?» Domandò. La sua voce riecheggiò in maniera quasi inquietante.
Mila si voltò, senza però sorridere. «Newt, sei qui», mormorò. Pareva quasi sorpresa di vederlo. «Vieni, siediti.»

Newt le si affiancò. La squadrò un paio di volte, notando in lei qualcosa di diverso dal solito: il suo profilo giovane si era sciupato, gli occhi blu avevano perso la scintilla che li illuminava e non osavano distogliersi dai piccoli cerchi che Mila creava nell'acqua. Nel complesso, la ragazza sembrava invecchiata. Piuttosto ironico, pensò Newt. Quanti anni aveva, Mila Baumer? Sedici? Diciotto? Venti, forse?
«Diciannove.»
Newt sgranò gli occhi per lo stupore. «Come hai fatto? Tu hai... sentito i miei pensieri.»
Lei annuì mestamente. «Sto sviluppando i poteri, e quindi la mia sensibilità quando entro nella testa delle persone.»

La ragazza fece una breve pausa. Si sforzava di sorridere al suo riflesso, ma il suo era un sorriso stanco, assorto. Risultava forzato, e forse lo era. Lo era quasi sicuramente.
«Adesso sento la voce che hai in questo posto, ma anche le reazioni del tuo corpo reale in trance. Queste versioni di me e te non sono altro che una proiezione del nostro inconscio. Siamo fatti della stessa forma, per questo possiamo comunicare. Ho scoperto di poter avere accesso ai tuoi sogni, ai tuoi ricordi, ma anche ai tuoi pensieri, per tutto il tempo in cui ho il controllo della tua anima. In poche parole, finché sarai qui dentro, sentirò a cosa pensi.»
"Magnifico" osservò Newt tra sé e sé, per poi ricordarsi di quello che aveva detto Mila appena un attimo prima. «Com'è? Poter avere il controllo di tutte quelle cose, com'è?»
«Decisamente non "magnifico". Direi più spossante. È come avere un miliardo di voci e immagini aggrovigliate tra loro nella testa e non riuscire a separarle.»

Ricaddero entrambi nel silenzio. Newt non aveva idea di come dover portare avanti quella conversazione. Decise così di accantonare la questione e aprirne un'altra, seppur più spinosa della prima.
«Quanto tempo resta a te e a tuo fratello?»
Mila non rispose. Si bloccò, smise di spostare piccole quantità d'acqua con i piedi e si concentrò su un punto del candido orizzonte che avevano davanti. Un candido, sterminato orizzonte.
«Prendi la clessidra. Guarda tu stesso.»
Newt obbedì. Prese in mano il piccolo oggetto, leggero come ogni cosa in quella realtà onirica. Osservò i granelli di sabbia che scivolavano sul fondo, veloci, là dove vi era un immenso mucchio di tanti altri minuscoli granelli.

Il messaggio era chiaro. Il tempo rimasto era poco. Newt rimise la clessidra al suo posto, tirando un sospiro. Fu allora che incrociò lo sguardo saldo di Mila, che si espresse con la stessa risolutezza di un generale destinato al fronte.
«Se ti sembro invecchiata è perché probabilmente lo sono davvero. Io e Felix siamo circondati giorno e notte. Li riconosciamo in mezzo alle folle, quando usciamo di casa per andare al mercato. Si travestono e ci pedinano, cercano di seguirci. Abbiamo trovato un modo per seminarli, spesso li conduciamo in vecchi casolari distrutti dalle bombe durante la guerra. Ma non ci vorrà molto prima che scoprano anche l'ultimo dei nostri trucchi. Abbiamo i giorni contati, Newt. La Pietra non è al sicuro, con noi. Non più.»

Lo stava supplicando, anche se non in modo esplicito. Nei suoi occhi si leggevano la paura e l'abbattimento di chi era ormai allo stremo delle proprie forze. I sacrifici dei fratelli Baumer potevano molto, ma non abbastanza contro i loro nemici, mastini addestrati a sbranare tanto quanto lo erano gli Auror a resistere ai loro morsi. Grindelwald sapeva come mettere in piedi un esercito in piena regola. Era un subdolo stratega. E proprio questo lo rendeva così pericoloso e imprevedibile.
«Abbiamo bisogno di portarla via. Se prenderanno il possesso della casa, per me e Felix sarà la fine. Nessuna runa sarà più in grado di proteggerci. Ci tortureranno finché non gli diremo come aprire quel passaggio.»

La voce di Mila si ruppe sulle ultime sillabe, e una lacrima le rigò una guancia, per poi cadere e sparire nel nulla, come se non fosse mai stata versata. Guardandola in faccia, Newt capì quello che non gli era mai stato tanto chiaro fino ad allora: Mila Baumer era solo una ragazzina. E così lo era Felix, suo fratello. Erano due ragazzini soli al mondo, senza una guida, senza punti di riferimento. Erano due ragazzini a cui era toccata la sfortuna di possedere per eredità uno degli oggetti più potenti del mondo. Non meritavano di morire per qualcosa di cui non erano colpevoli.
Non meritavano affatto di morire per mano di pedine asservite a uno spietato giocatore, che tutto possedeva, fatta eccezione per la pietà.

Newt trovò la forza di metterle una mano sulla spalla. Per un attimo gli parve di sentire il suo dolore, la sua disperazione. "Possiamo comunicare in questa forma", aveva detto lei. Che comunicare significasse anche condividere emozioni?
«Ho detto che vi aiuterò» affermò con prodezza, guardandola negli occhi. «Significa che lo farò. Tu e Felix non vi meritate quello che vi sta accadendo. Potete contare sul nostro aiuto. Porteremo via la Pietra prima che possano raggiungerla loro. Te lo prometto.»
Mila si sforzò di abbozzare un sorriso. Le lacrime sgorgavano ormai dai suoi occhi celesti come una cascata, sparivano a fiotti nel vuoto.

La risposta si fece attendere, tanto che Newt pensò di aver detto qualcosa di sbagliato, o di aver perso la connessione con la ragazzina, per qualche strana e inspiegabile ragione. Non udì una voce ma un sussurro, flebile e implorante. Il tono era quello di una richiesta di grazia, come quelle che gli antichi ponevano alle loro divinità.
«Ti prego, fa' in fretta. Voi siete la nostra unica speranza. Ci affidiamo alla tua parola.»
Disse così, Mila Baumer, prima di avvicinare la mano esile alla sua fronte.

«Newt! Newt, andiamo svegliati!»
Si mise a sedere di scatto, la testa che gli girava e pulsava in modo terribile. Riuscì a capire di essere nel suo ufficio al Ministero, seduto alla sua scrivania. A punzecchiargli la mano era stato Pickett, mentre a riscuoterlo probabilmente suo fratello Theseus. Doveva essere così, sì, a chiamare il suo nome era stato Theseus.
«Per favore, dimmi che non è successo di nuovo...» farfugliò, stropicciandosi gli occhi e prendendosi il viso tra le mani. Era caduto una seconda volta in trance senza potersi opporre al potere di Mila Baumer. Rammentava la sua voce disperata che lo supplicava di raggiungere lei e suo fratello in fretta. C'era stato un riferimento alla Pietra della Resurrezione e ai seguaci di Grindelwald nei loro discorsi.

Quell'accostamento lo fece rabbrividire.

Mise via la penna che teneva in mano e che aveva perso inchiostro, senza però creare grossi danni. Suo fratello lo fissava da un angolo della scrivania, lo sguardo più perplesso che gli avesse mai visto in faccia.
«Di che stai parlando?»
«Te lo spiego un'altra volta...»
«La voglio adesso, una spiegazione» insistette Theseus. «Che è successo, si può sapere? Sei crollato sulla scrivania, e in più questa stanza è un disastro!»
«Le mie stanze sono sempre un disastro. Dovresti saperlo, visto che mi conosci da quando ero nella culla.»

Quell'affermazione così franca zittì per un attimo il maggiore, che poi assorbì il colpo e trovò la forza di replicare. «Lasciando da parte la stanza, il tuo Asticello ha attraversato mezzo Ministero per venirmi a cercare, rischiando di farsi calpestare da chissà quante persone. Quindi suppongo che tu non ti sia accasciato lì sopra per colpa della stanchezza...»
Pickett squittì dalla scrivania. Newt lo fece salire sulla propria mano, non osando immaginare quante volte durante il tragitto la povera creatura doveva essersi vista praticamente spacciata. «Senti, Theseus, giuro che c'è una spiegazione. Ma non posso dartela, non adesso. Adesso devo inviare un messaggio a una persona. E devo farlo in fretta.»

Si fronteggiarono e lui cercò di uscire, ma suo fratello gli si parò davanti sbarrandogli la strada.«Voglio sapere se tu stai bene e sei solo spossato o se sta succedendo qualcosa. Silente è venuto da me qualche settimana fa per avvertirmi di tenere alta la guardia. Ho pensato che stesse delirando, ma adesso la Confederazione vuole scendere a patti con Grindelwald, e io credo che non sia un caso. Silente sapeva che le cose sarebbero degenerate, e se sapesse qualcos'altro lo verrebbe a dire a te, quindi anche tu lo sapresti.»

Volle nascondere il suo stupore, ma la sua espressione evidentemente lo tradì, perché Theseus se ne accorse e assunse un'aria sempre più impaziente. Silente non era stato immediatamente da lui: aveva prima consultato suo fratello maggiore, che doveva averlo rispedito a Hogwarts con un "no" secco. Avrebbe dovuto aspettarselo, eppure restò colpito da quella scoperta.

Newt si trovò di fronte a una scelta: confessare tutto quello che sapeva sulla Pietra e sulle intenzioni del loro ex-professore in quel momento o tacere e rimandare quelle dichiarazioni ad un indefinito momento del prossimo futuro.
Con le parole di Mila Baumer fisse come un chiodo nel cervello, scelse la seconda opzione.
«Sto bene, ti spiegherò tutto quando sarà il momento» promise a suo fratello, guardandolo negli occhi con decisione. «Ora però devo andare a spedire un Patronus, quindi ti prego, lasciami passare.»

Theseus lo squadrò una volta da capo a piedi, dopodiché si fece da parte, senza troppe proteste. Appena Pickett si fu sistemato per bene nel taschino della sua giacca, Newt prese una scorciatoia per l'ingresso sul resto dell'edificio, attese che non ci fosse nessun altro nei paraggi e tirò fuori la bacchetta, concentrandosi sul primo ricordo felice che ebbe a portata di mano. Per fortuna non dovette tornare indietro di molto con la memoria. Gli bastò ripensare alla notte prima, a quanto lui e Tina erano stati bene insieme, mai così vicini fino ad allora.
«Expecto Patronum.»

Un bellissimo Ippogrifo argentato iniziò a saltellare per aria, in attesa che lui mettesse insieme il suo messaggio. Poche, semplici parole, ma che già bastavano a rendere chiaro che stavano camminando ormai sul filo di un rasoio, un filo che si assottigliava giorno dopo giorno.
«Urgenza. Hanno bisogno di aiuto, in fretta. Mi dica quando possiamo vederci di nuovo.»

SPAZIO AUTRICE

Altro giro, altro capitolo, anche questa volta piuttosto ricco di avvenimenti. Si comincia da Newt e Tina reduci dalla loro primissima vera notte insieme per arrivare al climax a fine capitolo (ormai mi conoscete, sapete quanto mi piace lasciarvi un po' di suspense 🤭)

Come sempre, ditemi cosa ne pensate e se il capitolo vi è piaciuto lasciate un commento o una stellina ❤️
Ci si vede tra un paio di settimane, con un capitolo intenso e anche molto significativo per me, che chiuderà il cerchio di un personaggio e aprirà la parte più movimentata di GdO.
- Mavi.

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