3. 𝐀𝐝𝐝𝐞𝐬𝐭𝐫𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨
THESEUS' POV
Guardò suo fratello da una delle balconate dei piani superiori, che dava una spettacolare vista sull'atrio dell'edificio. Il vociare confuso delle persone risaliva fin sopra la gigantesca statua aurea del mago, circondata da colonne rosse puntellate di finestre. Il magizoologo si fece strada tra la gente, lo sguardo basso, poi superò la galleria che portava all'ingresso principale del Ministero. Aggirò la fontana, un centauro e una sirena che accoglievano ogni giorno flussi continui di donne e uomini, personalità più e meno influenti. Theseus lo seguì con gli occhi finché il cappotto blu di Newt Scamander non scomparve dalla sua visuale, in mezzo al frenetico andirivieni degli altri dipendenti e allo svolazzare dei gufi.
Sospirò mestamente, esitando, la mano ancora sul parapetto. In un primo momento aveva pensato di seguirlo, ma quel pensiero era morto sul nascere. Le parole che Newt gli aveva rivolto il giorno dell'udienza lo avevano tirato immediatamente indietro, immobilizzando le sue gambe, facendo scivolare via ogni sua speranza di poter tirare su il morale di suo fratello minore.
Questo non è il mio posto, Theseus. Là fuori è il mio posto. Capisci quello che non va?
Sentì una sensazione come di amaro in bocca. "Ti conviene arrenderti", lo esortava qualcosa dentro di lui. E qualunque cosa fosse, forse aveva ragione. Per due anni Newt era stato forzato a passare intere giornate in un posto nel quale si sentiva un estraneo. Sapeva che anche lui nei panni di suo fratello avrebbe reagito in quel modo. Se mai ci fosse stata anche solo la minima possibilità di far vedere al magizoologo il bicchiere mezzo pieno, lui l'aveva già persa.
Fu riscosso da una voce alle sue spalle e da un rumore di passi che si faceva sempre più vicino. Riconobbe il proprietario del tono e dell'andatura spedita immediatamente, senza nemmeno voltarsi.
«Signore! Ho delle buone notizie!»
Tutta quella formalità da parte dell'uomo lo divertì. Si sforzò di abbozzare un sorriso, sperando di non avere la cravatta fuori posto. Incrociò gli occhi vispi del suo consigliere, che ora lo fissava con aria trionfante.
«Vedo che hai tenuto bene a mente la nostra chiacchierata sugli appellativi formali, Amis...»
«Ho pensato avrebbe attirato la tua attenzione.»
«Beh, hai raggiunto il tuo obbiettivo, in tal caso.»
Amis Shacklebolt dimostrava molti meno anni di quelli che in realtà aveva. Era impossibile non riconoscerlo, dal momento che portava sempre sottobraccio qualcosa, che fosse un fascicolo, un documento o un rapporto. I componenti dei vari dipartimenti erano soliti lodare la sua lunga e brillante carriera al Ministero, accennando talvolta a quanto fosse insolito vedere un nero ricoprire un ruolo così di rilievo come il consigliere del capo della Divisione Auror. La cosa certa era che, vedendo passare l'uomo alto dalla cravatta blu e la pelle scura, un solo nome sarebbe balzato alla mente di chiunque.
Amis era forse l'uomo più fedele che avesse mai conosciuto in vita sua. Era un asso, il migliore nel suo lavoro, ma non se ne vantava. L'umiltà era solo una delle tante qualità dell'Auror che avevano spinto Theseus a volerlo al suo fianco come consigliere. Il viso allungato con quell'espressione così calma non era solo il volto di un collega: era il volto di un amico, di un punto fermo a cui fare affidamento, di un instancabile e devoto lavoratore. Persone come lui erano rare da trovare. Era questo che gli aveva detto quando lo aveva promosso. E da quel momento in avanti non aveva mai smesso di pensarlo.
«Quali buone nuove mi porta, Shacklebolt?»
L'uomo di fronte a lui si morse il labbro, assorbendo la frecciatina e scuotendo la testa. Si guardò alle spalle, poi dichiarò: «Sono tutti dentro. Ho richiamato anche le squadre di Evrard e Kelson. A quanto pare gli addetti del San Mungo sono arrivati sulla scena prima del previsto.»
La riunione. Se ne era quasi scordato, ma ripensandoci era esattamente quello il motivo per cui non era nel suo ufficio a firmare carte. L'ultimo caso risolto dalla Divisione era stato tra i più complessi degli ultimi mesi. Aveva insistito per dare lui di persona la notizia del successo agli Auror che avevano partecipato all'indagine. «Quanti sono?»
«Tutti i missionari e alcuni altri, i più curiosi.»
«I generali?»
«Aspettano solo che tu entri da quella porta.»
Si scambiarono un sorriso, incamminandosi insieme verso l'ascensore dorato. Quattro piani più tardi giunsero alla loro destinazione, il secondo livello, e subito si ritrovarono in uno dei luminosi corridoi del Dipartimento Auror.
«Tutto a posto?» chiese d'improvviso Amis, un'espressione comprensiva dipinta in viso. Doveva essersi accorto che aveva tenuto per tutto il tragitto lo sguardo fisso a terra.
Theseus cercò di allontanare il pensiero di suo fratello, sperando che quest'ultimo lo lasciasse in pace almeno fino alla fine di quella riunione. Esitò per un istante, scacciando a fatica la negatività, concentrandosi sulla bella notizia che di lì a poco avrebbe condiviso con gli altri Auror. Alla fine annuì, seppur con una punta di insicurezza.
«In fondo dopo undici anni ci si fa l'abitudine.»
La sala, parecchio piccola e angusta all'apparenza, era in realtà abbastanza grande per ospitare un numero considerevole di persone. Non fosse stato per alcune bacheche e scaffali adiacenti alle quattro pareti sarebbe stata vuota. Sui mobili erano poggiati i fascicoli degli ultimi casi arrivati direttamente dall'ufficio del Ministro, in attesa di essere assegnati alle varie squadre di Auror.
Lo spazio era dominato da un grosso tavolo scuro attorno al quale si radunavano gli uomini e le donne, con una piccolo globo dorato al centro. Era un evocatore di immagini, che serviva lui durante le riunioni più tecniche. Un semplice tocco di bacchetta sulla superficie lucida sarebbe bastato per mostrare qualsiasi cosa: volti di ricercati, mappe della città, persino il suo appartamento se avesse voluto. Col tempo aveva constatato che grazie ai riferimenti visivi pianificare le missioni era divenuto più facile.
Non appena varcò la soglia con Amis, il chiacchiericcio nella stanza andò scemando, fino a tramutarsi in un rispettoso silenzio. Alcuni Auror crearono un corridoio per farlo passare, mentre lui si dirigeva a testa alta al solito posto, dal quale aveva una panoramica generale di tutti i volti che lo fissavano. Davanti a lui riconobbe i sei generali, a capo delle squadre che intervenivano sul campo: il rosso Colleen, l'austero Bergman, il giovane Evrard, il veterano Macquoid, l'energico Kelson e il neo-promosso Wynn. Gli altri Auror attendevano in piedi dietro al loro superiore, alcuni con la schiena alla parete.
Lanciò uno sguardo ad Amis, facendo correre gli occhi da un viso all'altro.
«Vi chiedo di perdonare il poco preavviso con cui questa riunione è stata fissata e comunicata», esordì. «So che alcuni di voi erano impegnati sul campo e che il richiamo è stato improvviso. Tuttavia questa mattina ho ricevuto alcuni aggiornamenti dal Ministro della magia, che mi premeva di condividere con tutti voi.»
Dalla folla di Auror si alzarono alcuni mormorii sommessi. La curiosità e la preoccupazione negli sguardi fugaci scambiati con i compagni era palpabile. Aspettò che la tensione si allentasse, prima di vuotare finalmente il sacco.
«Il Wizengamot ha espresso la sua sentenza. Tutti e venti i nostri sospettati hanno confessato rapporti con la cerchia di Grindelwald e sono stati mandati dietro le sbarre, dove temo rimarranno per un po'. Signori miei e signore mie, direi che i nostri sforzi sono stati ampiamente ripagati.»
Gli Auror si guardarono increduli, prima di scoppiare in esclamazioni gioiose. D'un tratto l'aria si riempì di congratulazioni e acclamazioni. C'era chi batteva le mani, chi si abbracciava, chi pareva sollevato al pensiero di non aver lavorato duramente per mesi e mesi invano. Theseus si godette quell'atmosfera, circondato dalle voci e dagli applausi. Alcuni generali gli strinsero la mano, altri si congratularono con lui per come aveva gestito l'operazione, e Amis gli diede una pacca sulla spalla.
Gli ci volle un attimo per riconoscerla in mezzo alla confusione generale. La prima cosa che distinse furono i capelli biondi, raccolti dietro la nuca. La vide stringere la mano a Wallace Faith, ma la ragazza sembrò non volersi sbilanciare troppo. Applaudendo lievemente si voltò nella sua direzione. Erano in due parti opposte della stanza, ma i loro sguardi riuscirono comunque a parlarsi.
"Come sono andato?" Chiese lui, senza staccare gli occhi dai suoi. La giovane Malfoy ammiccò agli Auror festanti. Lui accolse con una smorfia divertita la risposta che scaturì dallo sguardo di ghiaccio di lei, percependola chiaramente. "Giudicalo da solo, Watson."
Gli dispiacque interrompere quel momento. L'atmosfera al Dipartimento era sempre così tesa, e quegli attimi di serenità erano così rari... Il carico di lavoro di ogni Auror era aumentato considerevolmente, così come il numero dei ricercati che minacciavano l'ordine pubblico. Bande di seguaci di Grindelwald e traffici illegali di informazioni riservate erano solo due delle tante cose con cui avevano avuto a che fare nell'ultimo periodo, e nemmeno le peggiori. Molti Auror erano stati feriti durante un'imboscata, un gruppo era stato persino ucciso. Vivere nel mezzo di una situazione così difficile non aiutava certo a ridurre lo stress.
Ci aveva messo un po' per convincere Travers, ma alla fine aveva ottenuto il via libera per applicare quelli che aveva definito "cambiamenti interni". Aveva concesso qualche permesso in più, fissato una nuova organizzazione degli incarichi, proposto una riduzione delle formalità. Niente di esagerato, ma quelle riforme parevano avere decisamente cambiato l'aria nell'ambiente di lavoro. Gli Auror apparivano più sereni. Forse si sentivano più liberi e meno vincolati; il rispetto per i superiori persisteva, ma aveva chiesto personalmente ai generali di mostrare più clemenza e moderazione nell'impartire ordini alle loro squadre. Con gioia aveva riscontrato inoltre di aver fatto passare un'immagine positiva di sé. Molti avevano smesso di vedere solo la parte dura e austera di Theseus Scamander e la cosa lo sollevava parecchio.
Erano passati due anni da quando era finalmente riuscito ad uscire dal baratro nel quale la mancanza di Leta lo aveva fatto sprofondare. Pareva quasi surreale a pensarci, eppure era la realtà. Quando si sentiva più solo o irrequieto pensava inevitabilmente ancora a lei e al suo periodo buio, ma il dolore non aveva più quell'impatto che all'epoca gli era stato così fatale. Aveva imparato a sopportarlo, il dolore: ci conviveva, e la sua presenza non lo opprimeva più come prima. A volte era più complicato allontanare qualche pensiero sgradito e ricacciare indietro qualche lacrima, ma aveva scoperto che lasciarle scorrere lo aiutava a stare meglio.
Non aveva più sentito il bisogno di sfogare i suoi dispiaceri nell'alcol, e proprio allontanarsi da quel vizio era stato il primo passo che aveva mosso non appena tornato a Londra. Era riuscito a risollevarsi lavorando su se stesso, sui suoi difetti, perdonandosi ognuna di quelle colpe che non aveva mai avuto. Il nuovo Theseus gli piaceva: aveva ereditato le ferite della sua versione precedente, ma aveva imparato a guardarle con occhi diversi. E ora, quando si studiava allo specchio, osservava finalmente fiero l'immagine di sé che aveva lottato per ricostruire.
Theseus Scamander. Capo della Divisione Auror Britannica. Non un eroe. Semplicemente un uomo.
Cercò di richiamare nuovamente l'attenzione degli Auror. I primi due tentativi andarono a vuoto, ma il terzo riportò l'ordine nella piccola sala riunioni.
«Non capita tutti i giorni di risolvere casi così intricati, ed è fantastico vedere così tanti volti soddisfatti in una volta sola» confessò, mentre Charlotte lo fissava da lontano. «Il Ministro Travers porge a tutti voi i suoi più sentiti elogi. E anche io.»
Quella sincera confessione parve rincuorare gli Auror. Non percepì alcuno sguardo duro o diffidente su di sé: solo espressioni di genuina contentezza per il grande lavoro di squadra dimostrato e per i risultati ottenuti.
«Al di là della riuscita di questa missione abbiamo ancora molto lavoro da fare. Ma continuando su questa strada, tenere alto l'onore della Divisione Britannica non sarà poi tanto difficile. Per quest'oggi siete tutti congedati. Potete tornare alle vostre mansioni.»
La stanza si svuotò a poco a poco. Prima di separarsi da loro, Theseus strinse la mano ai generali. Kelson lo aggiornò su alcuni dettagli riguardanti le indagini in corso, seguendo poi i suoi colleghi. Nella piccola sala riunioni rimasero solo lui, Shacklebolt e Charlotte Malfoy, che portava ora un fascicolo con lo stemma del Wizengamot sotto braccio.
«Non male, come discorso.»
«Te l'ho detto: dopo undici anni uno ci fa l'abitudine. E poi è stato convincente.»
«Io dico che lo ha provato...» ostentò Charlotte, spolverandosi la divisa, forse rimpiangendo la sua infelice idea di appoggiarsi ad una pila di vecchi documenti.
«Se ti dicessi di no mi crederesti?» le domandò, pur conoscendo in partenza la risposta.
«No, affatto. Quindi è inutile anche solo che tu ci pensi.»
Sarebbero andati avanti per ore se Amis non li avesse interrotti. «Temo di dovervi lasciare, ora. Voglio finire un rapporto prima della pausa. Non...»
«Non fate nulla di strano e non uccidetevi a vicenda» recitarono lui e Charlotte, trattenendo una risatina.
«Diamine, pensavo non lo avreste mai imparato.»
L'Auror li squadrò entrambi, prima di prendere la destra e sparire dai loro campi visivi. Entrambi scoppiarono a ridere, consapevoli che per l'ennesima volta non avrebbero rispettato quel monito. O almeno la metà di esso.
Si allontanò insieme a lei dalla sala riunioni, imboccando il corridoio nella direzione opposta a quella dove era scappato Amis nella speranza di finire il suo rapporto. Davanti loro si estendeva per metri un passaggio dal pavimento lucido, così pulito da riflettere le loro figure. Il soffitto alto permetteva ai gufi di muoversi lontano dalle persone e sfrecciare consegnando la posta e i promemoria che arrivavano dai piani alti del governo magico britannico. Le mattonelle alle pareti, scure ma scintillanti, delimitavano gli spazi tra le diverse porte di legno. Il Dipartimento disponeva di varie stanze, tanti piccoli cubicoli che andavano dai semplici uffici agli archivi, dai depositi alle sale interrogatori. Insomma, tutto ciò di cui un reparto investigativo necessitava per rivelarsi efficiente e organizzato.
Dopo qualche metro trascorso in silenzio i suoi occhi caddero sul fascicolo che Charlotte portava sotto braccio.
«Quello è per me?», chiese, guardandola dall'alto verso il basso.
Lei gli rivolse un'occhiata confusa, prima di capire a che cosa si riferisse la domanda. «Oh, questo. Sì, è per te.»
«Che cos'è?»
«Indovina!» Charlotte allontanò il fascicolo prima che lui lo afferrasse.
«Sei scorretta!»
«È il fascicolo su quella banda di seguaci che abbiamo sbattuto dietro le sbarre.»
«Aspetta, quindi tu sapevi già tutto ancora prima della riunione?»
Charlotte si voltò verso di lui. «Diciamo di sì. Ma non mi andava di rovinare il tuo piccolo momento di gloria» confessò, divertita. «Ci sono già tutti i nomi, le accuse e l'esito delle ultime sentenze del Wizengamot, dobbiamo solo archiviarlo. E lei deve solo metterci la sua bella firma sopra, signor Scamander.»
Finalmente il fascicolo finì nelle sue mani. Nessuno dei due nascose all'altro un sorriso.
Non aveva mai scordato quello che lei aveva fatto per lui a Rio. Non avrebbe mai potuto, in fin dei conti. Charlotte era stata un pilastro nei suoi giorni più neri, l'unica ad essersi premurata persino quando lui l'aveva respinta, rifiutando la mano che lei gli aveva teso per tirarlo fuori dalla sofferenza nel quale era annegato. Da che ne avesse memoria nessuno aveva mai avuto tanta pazienza. Così, come fosse una sorta di silenzioso ringraziamento, aveva deciso di godersi ogni momento trascorso insieme a lei.
Non li avevano affatto sprecati, quei due anni. Quasi ogni giorno si erano ritrovati ad affrontarne di tutti i colori, ma in un modo o nell'altro avevano sempre finito per riderci sopra, che fosse durante una pausa o davanti ad un bicchiere che di tanto in tanto si concedevano. Non aveva mai riso tanto con una persona in vita sua. Si erano davvero divertiti da matti, insieme.
Charlotte si fermò sull'uscio, mentre lui attraversava a grandi passi l'ufficio, allungando la mano sulla scrivania in cerca di una penna. Diede un'occhiata per controllare che fosse tutto a posto, poi finalmente appose la sua firma.
«E un altro è andato» constatò trionfante, avvicinandosi alla sua giovane collega e restituendo lei il fascicolo. «Abbiamo fatto un buon lavoro, stavolta.»
Charlotte annuì, alzando lo sguardo. «Hai detto a Roch che è stata una mia intuizione?»
«Aha.»
«E lui come l'ha presa?»
«Diciamo che non gli è andata particolarmente giù. Deve odiarti parecchio.»
«Sai che novità, la metà di questo Dipartimento mi detesta...» sbuffò ironica la ragazza.
Udì un piccolo scatto provenire dalla sua giacca, cosa che lo fece trasalire leggermente. Con grande sollievo scoprì che si trattava del piccolo orologio da taschino che portava con sé e che ora segnava le sedici e trenta.
«Mai pensato di farlo riparare?»
«Ogni volta. Ma in genere preferisco non mettere le mani sui regali di famiglia...» confessò, per poi annunciare: «Guarda un po'. A quanto pare da adesso abbiamo venti minuti di libertà».
A quella notizia Charlotte sembrò visibilmente rinvigorita. Non ci furono grandi o timidi saluti: solo un sorrisetto sfacciato da parte di lei, che nel loro linguaggio equivaleva ad un "Ci vediamo più tardi". Per entrambi era sempre stato più efficace comunicare in quel modo, prendendosi in giro affettuosamente. Ci erano abituati, e la cosa non disturbava nessuno dei due. Si divertivano a decifrare l'espressione l'uno dell'altra, a trovare un senso nascosto dietro a quelle frecciatine sarcastiche che erano divenute un pane quotidiano. Era un gioco, era il loro gioco. Quel codice che conoscevano solo Charlotte Malfoy e Theseus Scamander, quello con cui in fondo confessavano di tenere all'altro in maniera unica, speciale.
Restò per un po' di tempo con le spalle allo stipite della porta, gli occhi bassi, i pensieri che pian piano cominciavano a riaffiorare nella sua testa e si abbattevano come gigantesche ondate, erodendo gli angoli più nascosti, trascinando parole tra i flutti, a volte altri pensieri. Il silenzio faceva spesso quell'effetto su di lui.
Sentiva alcune voci avvicinarsi - difficile distinguere di chi fossero - e i passi di Charlotte farsi più lontani. Per colpa dei tacchi della ragazza, somigliavano ad un martellare man mano più soffuso, costante contro il pavimento. Tic, tac, tic, tac. Come le lancette di un piccolo orologio.
Tic, tac. Tic, tac. Tic, tac...
«Charlotte?»
La ragazza si voltò nella sua direzione, colta di sorpresa. A giudicare dal suo sguardo non doveva essersi aspettata alcun richiamo. O almeno fino a quel momento.
Le si avvicinò nuovamente, scuotendosi di dosso quel caos che appena pochi secondi prima gli aveva fatto capire che qualsiasi cosa sarebbe stata meglio di rimanere a fronteggiarsi. «Hai da fare?»
Charlotte lo squadrò con occhi indagatori. Per un attimo temette che potesse capire: era fin troppo brava, lei, quando si trattava di intuire che qualcosa non andava. Fortunatamente quella volta non sospettò quasi di nulla, il che gli fece tirare un sospiro di sollievo.
«Sì... Insomma, qualcuno dovrà pur archiviare questo fascicolo, prima o poi.»
«Puoi sempre farlo più tardi, no? Siamo in pausa, dopotutto.»
Lei si morse il labbro, forse cercando di resistergli. Fu più semplice del previsto smontare la compostezza da quel visetto confuso e corrucciato. Gli bastò alzare le sopracciglia e sfoderare un sorriso. Gli ultimi tempi gli erano serviti per affinare le sue tecniche, e dal sospiro esasperato e divertito di Charlotte intuì di star facendo progressi.
«Va' al diavolo.»
«Sapevo che non ce l'avresti fatta.»
Alcuni gruppi di Auror cominciarono a transitare accanto a loro, probabilmente diretti all'ascensore che portava ai piani superiori. Cercò di abbassare il tono della voce trattenendo quell'ultima parte di conversazione tra loro. Le sussurrò una proposta, cercando di rimanere abbastanza lontano da non metterla a disagio, ma abbastanza vicino al suo orecchio perché lei udisse le sue parole.
«Posa il fascicolo nel mio ufficio. Incontriamoci nella stanza a destra, in fondo al corridoio ovest. Non devi dire a nessuno né dove stai andando, né con chi, o ci buttano fuori da questo posto all'istante.»
Lei staccò lo sguardo dal suo riflesso sul pavimento. Quell'espressione dapprima giocosa si era tramutata in una confusa, incredula. Si allontanò quando cominciò a sentire addosso gli sguardi curiosi delle persone. Voleva evitare a tutti i costi di diventare l'oggetto dei chiacchiericci delle donne, specialmente delle più appassionate di gossip e riviste scandalistiche. Succedeva, quando avevi la sfortuna di essere una personalità più o meno influente: un paio di occhi indiscreti da giornalista ti notavano vicino ad una donna e finivi su ogni rivista. Le speculazioni sulle relazioni amorose delle celebrità erano sempre state all'ordine del giorno.
Charlotte tentò di ribattere, costringendolo a voltarsi di nuovo mentre già stava avviandosi in direzione del corridoio.
«Ma non c'è nessuna stanza in fondo al corridoio a destra...»
Lui in tutta risposta le diede un'ultima raccomandazione.
«Fidati e basta. E non fare tardi!»
Theseus venne accolto da una stanza semi-vuota. Quattro pareti candide avvolte in un silenzio quasi disumano, che delimitavano uno spazio molto più ampio di quello del suo ufficio o della sala riunioni del Dipartimento. In tutto quel biancore, le due serie di colonne dorate dai capitelli decorati parevano quasi stonare, insieme ai fogli appesi alle pareti. Vi era di tutto: elenchi di incantesimi, istruzioni per l'uso di alcune attrezzature speciali, appunti di Auror che erano soliti frequentare quel posto. Questi ultimi non erano molti, ma solitamente si costruivano un ottimo nome. Sperò solamente che Charlotte arrivasse il prima possibile, così da poter spezzare con lei quella quiete.
Trascorse cinque minuti con l'orecchio alla porta, finché non sentì un rumore di passi avvicinarsi e arrestarsi di getto. Avrebbe potuto aspettarla fuori, ma facendo in questo modo si sarebbe perso lo spettacolo.
«Ci hai messo un po'.»
Nel momento in cui si affacciò, Charlotte trasalì. Si voltò, con la faccia di qualcuno che aveva appena perso dieci anni di vita. Quando lo vide gli puntò un dito contro, allo stesso tempo tranquillizzata e furiosa.
«Giuro che se ti azzardi a farlo di nuovo ti uccido con le mie mani.»
«Carino da parte tua. Vieni dentro, avanti, prima che qualcuno passi malauguratamente da queste parti.»
«Aspetta, dentro dove?»
A Charlotte servì un attimo per riprendersi e realizzare. Dovette persino spalancarla per fargliela notare.
«Da quando esattamente c'è una porta nella parete?»
«Vuoi stare lì fuori a scervellarti o vieni dentro?»
Alla fine la ragazza parve arrendersi, più per rassegnazione che per altro.
Fu un peccato che non avesse con sé uno strumento per immortalare l'espressione scioccata della donna quando, varcando la soglia, non vide altro che due paia di pareti bianche, qualche foglio e una dozzina di colonne decorate. «Fai sul serio? Una stanza vuota?»
Lui non le prestò la minima attenzione. Appese la giacca ad un cavicchio sulla parete come se fosse la cosa più normale del mondo e si avvicinò ad un orologio a cucù dorato.
«Ti consiglio di stare dietro quella linea gialla sul pavimento.»
«Merlino aiutami...» la ragazza alzò gli occhi al cielo. «Quando ti ho detto di cercare dei "posti originali" non intendevo certo...»
Non le diede il tempo di terminare la frase. Spostò anche la lancetta delle ore sulle dodici e si udirono alcune rotelle girare. Un'intera porzione di pavimento ruotò su se stessa, rivelando alcuni manichini disposti a schiera, attrezzature protettive e da allenamento perfettamente ordinate e quello che sembrava un grosso campo circolare tracciato sulle piastrelle. Charlotte fece un balzo all'indietro.
«Santo cielo...»
«Benvenuta nella Sala di Addestramento Avanzato.»
La ragazza gli rivolse uno sguardo incredulo. «Hai detto "Addestramento Avanzato"?» Lui annuì. «E cosa diamine ci facciamo allora noi qui?»
«Ti addestro.»
Era un'idea che gli ronzava in testa da parecchio tempo. Non ricordava nemmeno come gli fosse venuta. Probabilmente si era reso conto del fatto che prima o poi avrebbe dovuto passare il testimone. Aveva pensato che addestrare Charlotte potesse essere un modo per prepararla a ciò che sarebbe stato in futuro, oltre che un modo per passare del tempo con lei. Ci sono sempre diverse prospettive da cui guardare le cose.
Non seppe dire se la giovane Malfoy sembrasse più confusa, eccitata o in procinto di esplodere dall'esasperazione. «Vuoi scherzare?»
Si guardò intorno. L'ambiente pareva piacere a lei, un po' meno al suo orgoglio.
«Ho il sospetto che questa cosa sia estremamente rischiosa, non ho idea di cosa tu abbia in mente e non ho bisogno di essere...»
Improvvisamente la bacchetta della donna saltò fuori dal fodero, finendo lontana dalla sua portata. La donna tentò di reagire, trovandosi tuttavia bloccata dalla bacchetta di Theseus, puntata dritta contro il suo petto. I suoi occhi si spostarono dall'oggetto, andando direttamente ad incrociare quelli azzurri di lui.
«Stavi dicendo?»
Lei abbassò la bacchetta con due dita, sostenendo il suo sguardo, per non dare l'idea di essere stata colta di sorpresa. «Bella mossa, Watson.»
Non parlò più, segno del fatto che aveva assorbito il colpo. Due anni erano stati più che sufficienti per imparare che c'erano due modi per far cedere Charlotte: batterla al suo stesso gioco o mettere in dubbio le sue certezze.
Sfruttò il tempo che rimase loro per una piccola introduzione. Nulla di troppo teorico: rendere il tutto noioso non era il suo obbiettivo. Aveva sempre avuto una predilezione per la pratica, meno tediosa e decisamente più coinvolgente. Mise Charlotte alla prova, e lei accettò di buona lena la sua sfida.
«Duellare contro un amico», spiegò seguendo la circonferenza sulle piastrelle, «è più difficile che duellare contro un nemico.»
«Perché non vuoi far lui del male?» ipotizzò la donna di fronte a lui.
«Più o meno. Perché c'è una parte di te che ti sprona a non fare del tuo meglio.»
Si arrotolò le maniche della camicia fino al gomito, prima di continuare. «Ora... dovrai fingere che io sia un seguace di Grindelwald. Fai finta di non conoscermi.»
«Difficile quando devo sopportarti praticamente ogni giorno...»
«Per questo ti ho detto di fingere» concluse arrestando il passo e mantenendo la posizione di guardia. «Vediamo che sai fare.»
Suoni di fatture e incantesimi di protezione saturarono l'aria intorno ai due. Charlotte resistette per un buon lasso di tempo, seppur messa in difficoltà dalla rapidità con la quale gli incantesimi scaturivano dalla bacchetta del suo sfidante. La ragazza venne sfiorata da una fattura stordente, rischiando di perdere l'equilibrio. Allorché lo sguardo della giovane si schiodò dall'obbiettivo, lui ne approfittò per disarmarla. La bacchetta di lei cadde fuori dal cerchio, ponendo fine al duello.
«Non male, come primo tentativo...» confessò, chinandosi a raccogliere la bacchetta e porgendola alla donna.
«Ti batterò, un giorno.»
«Non ne dubito. Ma quel giorno non è oggi.»
Si avvicinò alla parete staccando uno dei fogli e vi scribacchiò qualcosa. Non ci volle molto perché anche Charlotte lo raggiungesse.
«Che stai facendo, ora?»
«Segno alcune cose sulle quali lavorare. Combinazioni per il contrattacco, velocità di reazione, concentrazione...»
«Aha...» la donna incrociò le braccia e rivolse uno sguardo ai bersagli e alle colonne dorate. «Continuo a chiedermi perché tu abbia deciso di farmi vedere questo posto e perché tu mi abbia effettivamente portata qui per addestrarmi, ma più ci penso e più mi rendo conto... che non ne ho la più pallida idea.»
«Smettila di chiedertelo, allora. Il cervello risparmia energie.»
La ragazza alzò gli occhi al cielo, tornando poi a contemplare la stanza a braccia conserte. «Mettendo tra le ipotesi che abbia una qualche utilità non credo avremo il tempo per... insomma, tutto questo.»
Gli sbatté la verità in faccia, forse sperando che in qualche modo lui si sarebbe convinto che quell'idea fosse una follia, oltre che un grosso rischio per entrambi. Se qualcuno li avesse scoperti usare la sala per degli addestramenti extra... beh, di sicuro le conseguenze non sarebbero state leggere e neppure piacevoli.
«Lo so perfettamente, sì» sospirò lui, dopo aver terminato i suoi appunti. «Ma ho pensato anche a quello. Una volta a settimana sarà sufficiente, salvo emergenze. Se saremo bravi a non destare sospetti in giro per il Dipartimento filerà tutto liscio. Ti porterà via una pausa, ma avrai comunque un pretesto per arrivare a fine giornata.»
Nascose il foglio in una tasca della sua giacca. Giurò che Charlotte lo stesse fissando storto. Ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
«Quanto stiamo rischiando esattamente?» Gli chiese, non appena lui si voltò di nuovo nella sua direzione.
«Abbastanza da rendere la cosa interessante. Eri tu quella a cui piaceva il rischio, se non ricordo male.»
Ebbe l'impressione che sotto sotto Charlotte avesse intuito che le sue intenzioni non fossero solo ed esclusivamente professionali. Ciononostante la giovane Malfoy non ribatté; l'idea di passare del tempo insieme non doveva dispiacere affatto anche a lei. Quando eri un Auror non sempre avevi a disposizione un attimo libero. Il più delle volte era un lavoro estremamente stressante; Theseus lo adorava, il suo lavoro, ma durante certe giornate avrebbe fatto di tutto per un briciolo di tempo libero in più. Così aveva deciso di trovare una soluzione alternativa alle uscite sue e di Charlotte e l'aveva condita con un po' di rischio, in modo da renderla più intrigante.
Charlotte tentò in ogni modo di cavar fuori dalla sua bocca qualche motivazione, ma nessuno dei suoi sforzi ebbe effetto. Da una parte era lui recalcitrante a rivelarle, perché probabilmente avrebbe pensato ci stesse provando; dall'altra era divertente vederla determinata a tutto pur di fargli vuotare il sacco. Charlotte riusciva ad essere insopportabilmente curiosa a volte, ma lui dall'altra parte era abile a scansare le sue domande. Dopo un po' lei si arrese fingendosi offesa. Non lo era mai veramente: il più delle volte lo fingeva solo per farlo sentire in colpa.
Uno alla volta uscirono dalla stanza. Riuscirono a passare quasi inosservati, e non appena l'orologio nella sua tasca scattò, i due furono nuovamente davanti all'ufficio di Theseus.
«Suppongo che la tua prossima tappa sarà l'archivio. Quel fascicolo non si metterà a posto da solo», osservò, alzando lo sguardo per incrociare quello di Charlotte. Il peso della giornata cominciava già a riflettersi sui lineamenti curati del volto della ragazza, ma l'addestramento sembrava aver spezzato in qualche modo la monotonia.
«Qualcuno dovrà pur fare il lavoro sporco, in questo posto.»
Si sorrisero un'ultima volta. E sarebbe stato un saluto tranquillo, se solo qualcuno non gli fosse venuto incontro, rovinando il momento e facendoli voltare di scatto.
Amis arrestò la sua corsa, alternando le parole agli affanni.
«Santo cielo, finalmente. È appena arrivato ma non riuscivo a trovarvi e non avrei dovuto aprirlo ma l'ho fatto...»
«Amis, di cosa stai parlando?»
Amis Shacklebolt parve non prestare ascolto a quella domanda. Le parole uscivano a fiumi dalla sua bocca: frasi quasi sconnesse tra loro, senza una pausa, confuse per colpa del fiatone.
«Ho girato tutto il Dipartimento e sono corso qui e credo di aver lasciato il foglio del rapporto nella macchina da scrivere e...»
«Amis, respira e spiegami che sta succedendo.»
Theseus si avvicinò al suo consigliere, posandogli due mani sulle spalle. Quello sembrò calmarsi e i suoi respiri tornarono a poco a poco regolari.
Fu a quel punto che l'Auror dalla cravatta blu alzò e gli porse un fascicolo. Ciò che attirò da subito la sua attenzione e quella di Charlotte fu il logo.
«È da parte del Ministero francese» annunciò Amis, mentre lui lo prendeva tra le mani. «Hanno ucciso un uomo a Parigi. È più o meno top secret, ma in allegato c'era l'ordine di consegnarlo a te e a Charlotte.»
Lo sguardo incredulo di Theseus si spostò dall'espressione di Amis al fascicolo aperto. Nel frattempo, Charlotte si era avvicinata a braccia conserte, per conoscere il contenuto del misterioso documento. Non appena gli occhi di entrambi caddero sulla fotografia della vittima i loro volti si incupirono.
«Santo Merlino...» mormorò la ragazza di fianco a lui.
In quel momento stavano pensando esattamente la stessa, identica cosa.
SPAZIO AUTRICE
Una volta una saggia ragazza di nome Mavi disse: dategli la Charleus (che Maria Antonietta con le brioches levate proprio).
Godetevi Charlotte e Theseus nella prima metà di questo sequel perché poi vi verrà voglia di tirare due schiaffi a loro e a me. Avvertiti fin da subito così ci mettiamo a posto la coscienza.
Scherzi a parte, ho avuto dei dubbi amletici su questo capitolo per tre settimane, ma tutto sommato sono felice del risultato. Un po' è stato anche merito di una lettrice e dei suoi scleri quando stavo per cancellare tutto. E così alla fine, memore di tutto il sostegno, in sede di pubblicazione ho deciso newtina- di farti una sorpresa e dedicarti questo capitolo, che aspettavi ormai da tempo. Grazie per aver ascoltato e sopportato i miei complessi mentali, sei speciale ❤️
L'obiettivo era sotto sotto un po' quello di introdurvi il nuovo Theseus, decisamente più maturo e consapevole rispetto alla versione che avete visto di lui in "Sotto la pioggia". Menzione speciale ad Amis, che spero vi abbia fatto un'impressione positiva ❤️ E poi beh, Charlotte è rimasta Charlotte 👑
Cosa c'è all'interno del famoso fascicolo lo scoprirete prossimamente, ma intanto ogni teoria è ben accetta 🔎
Alla settimana prossima con il nuovo capitolo, nella speranza che per il momento questo sequel non stia deludendo le vostre aspettative 🦋
- Mavi.
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