26. 𝐏𝐫𝐨𝐟𝐞𝐳𝐢𝐚
QUEENIE'S POV
Aveva raccontato loro tutto quanto. Mezz'ora più tardi, due Auror del Ministero della Magia italiano erano giunti sul posto per interrogarli tutti e portare via il corpo privo di sensi di Dolohov. Era calato il silenzio. Rijan, Terence, Cassandra e Sairah non avevano saputo come reagire a tutta la storia che lei aveva nascosto in un cassetto della memoria fino a quella sera.
Senza dubbio, una serata parecchio movimentata.
Dopo l'episodio dell'aggressione, Queenie aveva chiuso la porta della sua camera senza riaprirla per ore. Si era seduta alla finestra e aveva sfogato tutta la sua paura e tutto il suo odio verso ciò che era diventata, tramutando il davanzale in una valle di lacrime. Di chiudere occhio non se n'era nemmeno parlato.
Guardando i palazzi scomparire nel buio per poi tingersi di rosso e giallo aveva stretto a sé un vecchio cuscino ricamato, desiderando un po' di calore umano. Un abbraccio, un sorriso, una carezza, tutto ciò che non poteva più avere. Era sola in un mondo che le stava puntando mille lame addosso.
Queenie Goldstein era la preda che tutti i cacciatori cercavano.
La cosa peggiore era non sapere quanto tempo sarebbe passato prima che qualcuno di loro riuscisse ad acchiapparla.
Quel giorno Firenze brulicava di persone a passeggio. Il tempo incerto non fermava i venditori di alimentari e articoli in pelle, che sistemavano con perizia e rapidità i propri prodotti sui carretti, pronti per attirare e fare affari con i passanti. Fu svegliata dal fragore delle campane della cattedrale, che ogni mattina alle dieci in punto ridestavano la porzione più pigra degli abitanti. Dal fiume già risaliva una specie di tanfo pizzicante, dalla strada l'odore del pane fresco appena sfornato.
Si destò a fatica, le gambe indolenzite. Guardandosi allo specchio si ritrovò più pallida del solito. Afferrò la cipria e se ne riempì il viso consumato dalla stanchezza, ma i segni lasciati dall'insonnia erano troppo evidenti per essere nascosti da una manciata di polverina rosata. Si acconciò i capelli alla bell'e meglio e calzò un vecchio vestito blu rimasto seppellito nell'armadio per settimane. Coprendosi con il suo soprabito color carne un po' scolorito, Queenie esitò di fronte alla porta. Dopo qualche attimo d'incertezza si precipitò verso la cassettiera, acciuffò un foulard a fiorellini di pessimo gusto e se lo mise in testa a mo' di cappuccio. Scese infine le scale evitando di incrociare la strada di tutti e, infilatosi una lista e qualche lira in tasca, uscì per fare le commissioni.
Aveva bisogno di distrarsi. Sapeva che la sua vita era a rischio e che uscire da sola era il modo migliore per farsi ammazzare, ma le mura di casa la opprimevano sempre di più. E poi un po' di aria fresca non le avrebbe fatto male.
Nascose il viso nel foulard confondendosi tra la gente. Comprò diversi filoni di pane, qualche verdura colta a mano, un mestolo di legno per sostituire quello che aveva rotto lei qualche settimana prima. Insomma, si tenne impegnata per tutto il tempo possibile. Per allungare decise di prendere dal palazzo del comune, un edificio che vantava una storia di più di quattro secoli, con una grande torre che svettava e osservava dall'alto tutta la piazza. Queenie non aveva mai visto nulla del genere a New York.
Seguendo un'anziana signora che portava in braccio un neonato si intrufolò nella strada laterale alla piazza che portava al Ponte Vecchio, nella speranza che le botteghe degli orafi avessero già aperto. Le piaceva da matti perdersi ad osservare il luccichio dei gioielli nelle vetrine.
Si fermò di fronte a un negozio che esponeva diversi ciondoli in vetrina, appesi a delle catenine d'argento che dovevano valere un patrimonio. Una farfalla di quarzo attirò particolarmente la sua attenzione.
«Vedo che la farfalla le piace. Deve fare un regalo o è per lei?»
Si voltò di scatto. Il proprietario della bottega la stava studiando con attenzione. Di solito tendeva a non parlare con gli sconosciuti, specialmente dal momento che ancora non masticava bene l'italiano. Fece tuttavia uno sforzo per farsi capire. «Sì, mi piace molto. Ma guardavo.»
L'uomo sull'uscio le si accostò. Lei fece un passetto a sinistra, timorosa. Il commerciante tuttavia non fece nulla di sospetto. Indicò la catenina con l'indice, fiero.
«È fatta tutta a mano. Costa una fortuna. Le converrà farsela regalare da suo marito per l'anniversario o il compleanno.»
Lei assunse un'espressione cupa. «Non ho un marito.»
L'altro la fissò mortificato. «Mi perdoni se ho desunto male, signorina.»
«Desunto?» Domandò Queenie, che non aveva idea di che cosa quella strana parola significasse.
«L'anello che porta al dito è piuttosto prezioso» replicò l'uomo, ammiccando al suo anulare.
Queenie guardò l'anello con la pietra di quarzo che le aveva regalato Jacob. L'anello che doveva essere solo un regalo e che era diventato il loro anello di fidanzamento per un suo stupido capriccio. Una morsa le strinse il cuore. Si rattristò tanto da lasciare sgomento il povero commerciante e sembrare malata. Le venne offerto di entrare nel negozio, invito che lei rifiutò con un cenno della mano. Studiò un'ultima volta la farfalla intrappolata nella vetrina, ringraziò e si allontanò, senza aggiungere altro.
Arrivata alla fine del ponte le lacrime iniziarono a solcarle dolcemente il viso e i pensieri a sfrecciare come treni in corsa pronti a schiantarsi sul suo cuore.
Tutto questo è colpa tua.
Era colpa tua e sarà sempre colpa tua.
Percorse l'ultimo tratto di strada singhiozzando, nascosta nel foulard che la separava dal resto del mondo. Camminò senza guardarsi le spalle, senza fermarsi un istante. L'Arno l'accompagnò con i suoi gorgoglii fino a che non scorse il largo profilo della casa dei genitori di Cassandra che si ergeva imponente, rivolto verso l'altra sponda.
Prima di entrare, Queenie fece un paio di respiri profondi, asciugandosi le lacrime con due dita. Aprì la pesante porta scoprendo la padrona di casa intenta a leggere un giornale al posto di un libro. Forse stava solo leggendo un romanzo d'appendice, chissà. Di quel quotidiano l'unica cosa che vide fu la solita foto in prima pagina dell'ometto tarchiato che parlava dal balcone. Queenie aveva capito che era uno importante, nient'altro. Le persone si dividevano tra chi lo amava, chi faceva finta di amarlo e chi lo detestava ma non poteva dire nulla per paura di essere soppresso.
In quel momento Cassandra alzò la testa dalla sua lettura e balzò in piedi, come se l'avesse punta un insetto. Nonostante la sua reattività le parve diversa dal solito. Il visetto paffutello era smunto, quasi privo di colore. Sembrava stesse lottando contro se stessa per celare una qualche sorta di malessere.
«Queenie, grazie a Dio sei tornata!» esclamò Sairah comparendo da dietro un angolo e correndole incontro, con un'espressione arrabbiata ma sollevata. «Che cosa ti è venuto in mente?»
«Ho pensato di occuparmi io delle commissioni, per una volta» rispose lei, osservando più la rossa che la maggiore dei Pal.
«Ti abbiamo detto che non puoi uscire da sola, non dopo quello che è successo. È troppo rischioso per te là fuori.»
«Sono stata cauta. Avevo bisogno di un po' d'aria.»
Sairah parve non bersi quella giustificazione. Le rivolse un'occhiata severa, prendendo in mano il pane e le verdure per portarle in cucina.
«Queenie, sei letteralmente complice di un omicidio, per non parlare del torto che hai fatto a quel tale che ti dà la caccia. Non ti autorizzo ad uscire da questa casa se non accompagnata da me, Terence o Rij. Possibilmente da me o Terence.»
Il tono della ragazza non ammetteva repliche, così Queenie annuì, liberandosi dei sacchi e del foulard. Non le servì leggere i pensieri di Sairah Pal per capire che era delusa da lei.
Nel frattempo Cassie Levi, che in silenzio aveva seguito l'intera scena, stava provando a rizzarsi in piedi. La vide barcollare e poi ricadere sul divano, devastata. Pensò di aprire bocca per chiederle se aveva bisogno di una mano, ma la porta si aprì di nuovo prima che lei potesse anche solo pronunciare il verbo. Ne entrarono Terence e Rijan, che erano stati mandati di sicuro a cercarla.
«Oh, Reginetta, sei qui!» Terence corse verso di lei, rincuorato di vederla ancora tutta intera. «Cavoli, ci hai fatti preoccupare tutti!»
«Grazie al cielo sei tornata. Mia sorella stava andando fuori di matto...»
«Rijan!» Gridò Sairah Pal dalla cucina.
«Che c'è? È la verità, sto dicendo la verità per una volta!»
Presto le attenzioni si concentrarono da lei a Cassandra, che aveva cominciato a massaggiarsi la testa. Terence Seemann gettò il suo cappotto sul pavimento e corse verso la ragazzina, posandole una mano sulla fronte.
«Che le è successo?» Chiese Queenie in apprensione.
«È difficile da spiegare...»
«È ancora calda» dichiarò Terence, in ginocchio. «Come ti senti, Cassie?»
La risposta alla domanda si fece attendere. Quando arrivò dopo tesissimi attimi, fu appena udibile.
«Non lo so. Ho paura.»
Gli occhi della povera Cassie si gonfiarono di lacrime.
Queenie non chiese nessun'altra spiegazione, nonostante fosse curiosa di sapere cosa avesse causato a Cassandra Levi quel crollo improvviso. Rimase ad assisterla assieme ai Ragazzini Sperduti, unendosi alle rassicurazioni di Sairah Pal. Quest'ultima dopo aver sistemato gli acquisti in cucina rimase accanto all'amica senza separarsene mai, nemmeno per pranzare.
«Andrà tutto bene» la sentiva sussurrare di tanto in tanto alla rossa.
«E se succedesse di nuovo?»
«Non succederà.»
«E se tornasse?»
«Non lo vedrai più. Ora rilassati e riposa. Non può farti del male.»
Il sole scomparve al di là delle colline. Le condizioni di Cassandra, soggetta in maniera costante a cure e attenzioni, sembrarono stabilizzarsi. Appena smise di piangere si addormentò sfinita sul divano, come fosse reduce da una faticosa maratona.
Queenie cucinò un'insalata con gli ingredienti che aveva acquistato al mercato, offrendola ai tre ragazzi ancora in piedi. Mise un cuscino sul tappeto e vi si sedette sopra, lasciando la poltrona alla maggiore dei fratelli Pal, che la ringraziò con un cenno.
Pochi minuti dopo, Rijan Pal ruppe il silenzio.
«Che ha visto Cassie? Non ce lo hai ancora detto, sorella.»
L'attenzione di tutti si spostò sulla ragazza, che guardò il fratello di traverso. «Non importa. Adesso è tutto finito.»
«Importa eccome!» sbottò l'altro, smettendo di trangugiare con avidità la sua insalata.
«Rij ha ragione. Potrebbe essere qualcosa di importante.»
Queenie aveva perso il filo del discorso già dalla prima frase. Cercò lo sguardo di Terence, che percepì il suo smarrimento. La fissò per un po', si rivolse verso Rijan, verso Sairah, poi di nuovo verso di lei.
«Santo cielo, Raginetta, tu non lo sai!»
La realizzazione si dipinse sul viso di tutti e tre i ragazzi. Sairah posò la sua ciotola sul tavolo, masticando l'informazione insieme all'ultimo boccone di lattuga.
«Posso dirglielo?» Domandò Terence Seemann rivolto alla riccia.
Quella sospirò. «Faccio io» dichiarò, poi le parlò in tono fermo, senza mezzi termini. «Cassie è una veggente. Pensavamo di non dovertene mai accennare, ma... è giusto che tu comprenda la situazione.»
Naturalmente Queenie conosceva qualcosa sulle veggenti, posseditrici del cosiddetto terzo occhio che permetteva loro di vedere stralci del futuro. Rimase tuttavia piuttosto spiazzata da quella notizia. Improvvisamente si sentì un po' più vicina a Cassandra. Sapeva cosa significasse avere un dono speciale. Doverci convivere. Doverlo affrontare quando si rivelava più una maledizione che un qualcosa di unico di cui andare fieri. Le dispiacque vedere che la sua stessa sorte era toccata a una ragazzina buona e sincera, che di certo non meritava il dolore che un potere così grande portava con sé.
Le venne in mente Credence Barebone. Chissà dov'era, chissà se stava bene. Chissà se lo avrebbe mai più rivisto.
«Quando lo avete scoperto?»
«Cassie lo ha sempre voluto tenere per sé.»
«Se ne vergognava a morte, e se ne vergogna ancora» aggiunse Terence, che accennò un piccolo sorriso.
Rijan Pal rimase stranamente in silenzio, lasciando che fosse sua sorella a continuare e concludere la storia. Queenie prestò entrambe le proprie orecchie all'ascolto.
«Tre anni fa le accadde la stessa cosa che è accaduta oggi. Ebbe delle visioni che prosciugarono tutte le sue energie. Non ci disse mai che cosa vide. Lo fece per il nostro bene. Per proteggerci. Ciononostante fu costretta a rivelarci il suo segreto.»
«Abbiamo pregato che non le ricapitasse...» la voce di Terence si spense. Rijan Pal si risvegliò dal suo stato di semi trance per posare un braccio attorno alle spalle dell'amico.
«Che cosa ha visto oggi, lo sapete?» Chiese Queenie, senza pensare di poter risultare indiscreta. «Forse posso decifrarlo. Il mio potere mi permette di leggere i pensieri delle persone ma... Forse se provo a usarlo in modo diverso posso capire le visioni di Cassandra.»
«Si può fare?»
In verità Queenie non era del tutto sicura che una cosa del genere fosse possibile. Non ci aveva mai provato, il che apriva due possibilità: uno, avrebbe funzionato, due, non avrebbe funzionato affatto. Cassandra avrebbe potuto reagire tanto bene quanto male. Era tutto una grande incognita.
Sairah si prese un attimo per riflettere sul da farsi. Alla fine, rassegnata, approvò la proposta annuendo con la testa.
«D'accordo. Se mai dovesse avere altre visioni, Queenie, sei autorizzata a fare un tentativo. Non possiamo evitarle, forse però possiamo decifrarle. Per ora lasciamola dormire.»
Su quell'ultimo punto non ci furono discussioni. Con un occhio sempre attento e puntato verso il salotto, terminarono ognuno le proprie faccende. Quella notte sarebbero venuti solo pochi orfanelli, perciò loro avrebbero riposato.
Uscita dalla cucina osservò Rijan agganciare la sorella maggiore mentre scendeva le scale con una calda coperta in mano, destinata a Cassandra.
«Quindi non ci dici cosa ha visto Cassie?»
«Finiscila, Rijan.»
«E dai! Perché non possiamo saperlo?»
«Perché il futuro non è una cosa da prendere alla leggera.»
«Quindi ha sul serio visto il futuro? Caspita, che forza!»
«Rijan!»
L'occhiata di fuoco che Sairah lanciò a suo fratello riuscì a spaventare persino lei. Quando voleva, la ragazza sapeva essere davvero severa.
«È una situazione delicata, Rijan. Cassandra sta male. La tua amica sta male.»
A quell'affermazione, Rijan abbassò la testa. Come sempre, Terence intervenne in suo soccorso.
«Non credo dovresti essere così dura con lui. Certo, a volte può essere un po' indiscreto e fastidioso...»
«Ehi! Guarda che ti sento!»
«... ma non lo fa con cattiveria. Sta cercando solo di sdrammatizzare la situazione.»
Queenie ammirava moltissimo la sensibilità di Terence Seemann. Sapeva sempre dire la cosa giusta al momento giusto ed era sempre in prima linea quando si trattava di evitare discussioni nel gruppo. Bastava guardarlo in viso per capire che quei ragazzi, quella casa, erano tutto per lui. E non voleva perderli, non per una stupidaggine.
Stava osservando la scena dall'uscio della cucina quando udì un gemito provenire dal divano. Nessuno si era accorto che Cassandra Levi si era messa a sedere.
Queenie le si precipitò accanto seguita dal resto dei Ragazzini Sperduti. Fu di nuovo Terence a inginocchiarsi di fronte alla rossa per provare a calmarla.
«Cassie, va tutto bene, respira.»
«Va tutto bene Cassie, ci siamo noi. Ci siamo noi.»
Cassandra emise un grido sofferto, gli occhi ridotti a due fessure per la paura. Respirava a fatica, inspirando tra un singhiozzo e l'altro.
«Cassie, tranquilla, passerà, vedrai.»
«Oh santo cielo!»
Gli occhi azzurrissimi di Cassie si spalancarono, sbiancando. Il respiro della ragazza rallentò mentre entrava in una sorta di trance.
«Non va bene, questo non va bene!»
«Cassie! Cassie, sono Terence! Devi parlarmi, Cassie!»
«Non riesce a sentirti...» la voce di Sairah Pal si spezzò.
Queenie era paralizzata. Non aveva mai visto accadere una cosa del genere. Forse il potere aveva quell'effetto su Cassandra perché era giovane e non sapeva come dominarlo. Erano quindi le sue abilità a dominare lei, il suo corpo, la sua mente.
D'un tratto ricordò l'idea che le era venuta appena mezz'ora prima per decifrare le visioni di Cassandra. Forse poteva comunicare con lei, vedere se era ancora in quel corpo che non dava apparentemente segni di vita.
«Terence, lasciami il tuo posto!»
Terrorizzato per l'amica, il ragazzo non si oppose. Si fece da parte avvicinandosi a Rijan, che gli afferrò la mano per consolarlo. Queenie fece lo stesso con Cassandra, stabilendo così un contatto fisico. Guardò dritta nelle iridi bianche della rossa e si fece coraggio. Iniziò infine a stabilire il contatto mentale, sperando che il suo dono fosse abbastanza forte da resistere all'opposizione di un suo pari, se non di un suo superiore.
Dapprima non percepì nulla. Come se la testa di Cassandra Levi fosse stata svuotata dell'intero contenuto di ricordi e pensieri. Usò tutte le sue forze per penetrare uno scudo che non poteva vedere, una bolla che forse non poteva scoppiare.
Finalmente lo sentì. Un'eco distante che arrivò alla sua testa e che poteva provenire solo dalla mente di una persona che aveva paura.
Vi si aggrappò provando ad andare sempre più a fondo. Dovette chiudere gli occhi, stringere i denti e raccogliere una tale quantità di energie che non pensava nemmeno di possedere. Poteva percepire gli occhi di Terence, Sairah e Rijan sulla sua schiena. Non doveva mollare.
«Avanti...»
Si concentrò come mai prima di allora e arrivò a leggere i pensieri di Cassandra, rinchiusi come alla fine di un pozzo. E attraverso di loro vide una parte di quello che vedeva lei.
Persone in abiti eleganti che fuggivano da una ricca sala.
Un uomo con un coltello.
Un anello rinchiuso in una teca.
Delle rovine in fiamme.
Qualcuno che spariva nel fuoco.
Una pagina che bruciava.
Cassandra si risvegliò, ansimando e piangendo.
Queenie cadde all'indietro per lo spavento e perse il contatto con i pensieri della ragazza. Sairah la aiutò a rialzarsi, mentre Terence andava di nuovo da Cassandra.
«Cassie, è finita. Mi senti adesso? È finita.»
La rossa si lasciò andare tra le braccia del più grande, senza smettere di versare lacrime sul tappeto. «È successo di nuovo... Ho visto cose... Ho visto cose del futuro» disse tra i singulti.
«È finita, ora. Le visioni non possono più farti male.»
Sairah allungò la coperta a Terence, che la mise sulle spalle della più piccola del gruppo. Nessuno osò fiatare fino a che quest'ultima non cessò il suo pianto, tirando su col naso e guardandoli uno ad uno come fossero dei completi sconosciuti. Deglutì e si rivolse a Queenie, lasciandola di sasso.
«Eri tu che cercavi di comunicare?» Le chiese in tono flebile.
La Legilimens annuì. «Sì, ero io.»
«Se hai letto i miei pensieri hai visto quello che ho visto io?»
«Non proprio. "Vedere" non è il verbo giusto. Ho solo letto una cronaca di immagini.»
Cassandra Levi abbassò il capo, stringendosi nella coperta.
Trascorsero due minuti di totale silenzio, fino a che Rijan e la sua terribile curiosità non sopportarono più di non conoscere per intero la visione di Cassandra.
«Ci sai dire quello che hai visto, Cassie?»
La ragazza ci pensò su. Alla fine fece cenno di sì con la testa. «Credo di sì.»
«Non fare sforzi» le raccomandò la maggiore dei fratelli Pal, senza aggiungere nient'altro.
«Non ho visto il nostro futuro. Non ho visto Firenze, né casa, né i bambini. Ma se ho visto quelle cose significa... che in qualche modo ci saremo dentro anche noi. Forse non tutti.»
Quell'affermazione li lasciò a bocca aperta. «Hai visto un futuro che appartiene solo a qualcuno di noi?»
Cassandra si girò a guardare Rijan. «Deve essere così.»
Si misero tuti e quattro in ascolto, Queenie soprattutto. Non sapeva ben dire perché, ma temeva che pezzi di quel futuro appartenessero a lei, al momento in cui avrebbe deciso di tornare da Tina e Jacob. Un brivido le attraversò la schiena.
Grindelwald non le avrebbe reso le cose facili.
«Sono immagini sconnesse. C'era una folla che scappava terrorizzata da una bellissima sala. Poi un uomo con un coltello seduto in un vicolo buio. È sparito quasi subito. Quando la scena è cambiata ho visto un gruppo di persone che recuperava un oggetto dentro una teca...»
«Un anello» completò Queenie.
«Sì, un anello.»
«Ricordi come era fatto?»
«Forse. Anche quella è stata un'immagine molto breve. Era d'oro... credo ci fosse una pietra preziosa sopra.»
Queenie sperò con tutto il cuore di non dover mai vedere quell'oggetto e che tutte quelle visioni fossero innocue versioni di un futuro che non avrebbe mai bussato alla sua porta.
«C'è altro?»
«Sì.» Cassandra fece una breve pausa. Il suo corpo venne scosso da un brivido. «C'era un edificio in fiamme. Ho visto alcune persone fuggire... Qualcuno gridava. Un uomo ha oltrepassato uno dei muri di fuoco.»
L'incubo di quella notte al cimitero del Pére-Lachaise si affacciò alla sua mente più vivido che mai. Il cuore iniziò a martellarle nel petto. Rivolse una preghiera a chiunque potesse ascoltarla dal cielo.
Ti prego, fa' che non tocchi a lui.
«È tutto?»
La tensione nell'aria si poteva tagliare con le forbici. I fratelli Pal si lanciavano occhiate preoccupate, mentre Terence Seemann sedeva accanto a Cassandra e aveva occhi solo per lei. Queenie stava ancora cercando di capire quante di quelle immagini avrebbero fatto parte della sua vita.
«È tutto.»
La casa venne avvolta da un'inquietante calma. Una folata di vento entrò da una finestra aperta, cogliendoli tutti di sorpresa. Fu Queenie ad alzarsi per andare a chiuderne i battenti. Fuori, il cielo si era già colorato di piccole stelle.
«È ora di andare a letto» annunciò Sairah. Queenie intuì che quella non fosse una semplice osservazione, bensì un ordine.
Cassandra sembrò avere un'illuminazione proprio in quel momento. Sarebbe stato l'ultimo colpo di scena, quella sera? Chi poteva dirlo.
«No, aspettate! C'è un'altra cosa che ho visto.»
Tutti si voltarono. «La pagina di un libro che bruciava. Era un libro di poesie, credo.»
«Come fai a saperlo?»
«Perché nella mia visione ho letto chiaramente un verso.» Cassie prese fiato, poi recitò: «L'eroe morirà.»
«Proprio rassicurante» commentò Rijan Pal con amarezza.
La testa di Queenie collegò immediatamente quella frase all'immagine dell'uomo che spariva nel fuoco.
Aveva senso. L'eroe morirà.
Già, ma chi era l'eroe?
«Cassandra, non hai proprio visto in viso l'uomo che entrava nelle fiamme?» Domandò Queenie. Era l'ultima spiaggia per assicurarsi che quella specie di spaventosa profezia non fosse riferita in nessun modo a Jacob.
«No. L'ho visto solo entrare nelle fiamme voltato di schiena. Nient'altro.»
Queenie sospirò. Terence si accorse del suo malessere e le si affiancò, sempre con cautela e delicatezza. «A cosa pensi, Reginetta?»
«Temo che quel futuro possa aver a che fare con me» ammise. «Non solo con me.»
Terence la fissava pieno di compassione. Queenie lesse i suoi pensieri. Anche il ragazzo credeva la stessa cosa, ma non aveva il coraggio di dirlo. Per non allarmarla di più. Per non farle credere che il problema fosse lei.
Pensò a Jacob e a Tina, a quanto erano lontani e a quanto avrebbe desiderato avvertirli, raccontargli tutta quella storia e chiedergli di non entrare in quelle stupide fiamme, se mai tutte quelle visioni fossero divenute realtà.
«Potrebbe appartenere a me o alle persone che amo» aggiunse, rivolta al giovane accanto a lei. Una lacrima solitaria si affacciò al suo occhio sinistro. «Devo avvertirli in qualche modo del pericolo, Terence.»
«Ma non puoi... Insomma, là fuori ci sono persone che ti vogliono morta, Queenie. Qui sei al sicuro.»
Dentro quella casa era al sicuro, vero. Ma non avrebbe potuto nascondersi lì per sempre, e questo lo sapevano sia lei che i suoi quattro ospiti. Prima o poi, avrebbe udito il richiamo di casa. E quel richiamo sarebbe stato così forte da vincere qualunque paura.
Queenie era stufa di aspettare, stufa di agire come una codarda. Probabilmente Jacob e Tina non l'avrebbero più voluta nella loro vita, ma meritavano di sapere quello che forse li avrebbe aspettati.
Per una volta poteva fare del bene. Poteva dimostrare a se stessa che un po' della vecchia Queenie ancora viveva dentro di lei.
«Hai ragione. Qui sono al sicuro, grazie a voi. Ma non posso stare qui per sempre, Terence. Ho una famiglia, da qualche parte. E mi stanno aspettando. Se Cassandra ha visto il mio futuro, temo che possa accadergli qualcosa di terribile. Forse sono ancora in tempo per evitare una catastrofe.»
Terence assorbì tutte quelle affermazioni. Ci rimuginò su, e questo gli portò via qualche istante. Alla fine alzò la testa e guardandola dritta negli occhi affermò: «D'accordo, Reginetta. È tempo che tu torni a casa. Non lo farai da sola, però. Io vengo con te.»
SPAZIO AUTRICE
Eccoci qui di nuovo! Siamo quasi a metà della storia, il che significa che le cose si faranno sempre più movimentate da qui in poi.
Avete scoperto insieme a Queenie il piccolo segreto di Cassandra... Ora non vi resta che cercare di interpretare le visioni. Saranno vere? Non lo saranno? Vi lascio con il dubbio.
Se il capitolo vi è piaciuto lasciate come sempre un commento o una stellina. Noi ci vediamo la settimana prossima ❤️
- Mavi.
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