22. 𝐃𝐢 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐨 𝐢𝐧𝐬𝐢𝐞𝐦𝐞
NEWT'S POV
«Permesso! Permesso, scusate! Perdonatemi!»
Il porto di Southampton era più affollato che mai. Ben due navi passeggeri avevano appena scaricato i loro viaggiatori, ammassati disordinatamente sulla banchina in cerca dei propri bagagli. Sperò di non essere arrivato in ritardo e che la nave su cui viaggiava Tina dovesse ancora attraccare.
Si fece strada tra la gente, o meglio, strisciò in mezzo alle figure di eleganti uomini d'affari e giovani ragazzi entusiasti di essere approdati sulle coste inglesi. Le voci della gente risalivano nell'aria, mescolandosi all'umidità. Quel pomeriggio il cielo era meno grigio del solito: si poteva addirittura distinguerne la tinta azzurrina. Una rarità, persino per i dintorni di Londra.
Affrettò il passo, cosa che gli risultò piuttosto complicata dati gli ingenti affollamenti che si ripetevano a ogni tratto. Gli era stato detto che le navi provenienti da New York attraccavano sull'ultima banchina, quella in fondo al porto. Quando finalmente vi mise piede ebbe l'impressione di essersi fatto dieci miglia a piedi, laddove con tutta probabilità aveva percorso appena pochi metri.
Con sua grande sorpresa non trovò molte persone ad attendere i passeggeri. Le navi dall'America viaggiavano sempre a pieno carico, perciò trovò decisamente strano non scorgere donne in trepidante attesa dei propri mariti, o uomini di mezza età ansiosi di riabbracciare i propri figli. C'era solo un folto gruppo piuttosto assortito che attendeva accanto alla dogana l'arrivo della prossima nave.
Newt si fermò in mezzo alla banchina. Dalla sua visuale poteva osservare il mare estendersi fino alla linea dell'orizzonte per poi mescolarsi con essa. L'acqua era a pochi metri da lui. Se si fosse avvicinato e inginocchiato, avrebbe potuto sfiorarla con la mano.
Si udì la sirena di una nave in lontananza. Il cuore del povero magizoologo saltò un battito, ma smise di palpitare presto. Il rumore proveniva dalla banchina accanto, dove un grosso carico di merci era pronto a salpare in direzione delle coste olandesi.
D'improvviso, Newt si ricordò dei fiori. Abbassò lo sguardo, tirando un accorato sospiro. Le rose erano ancora integre, ma alle ortensie mancavano alcuni petali e i gambi delle gerbere variopinte si erano sciupati. Provò a risollevarli, ottenendo però scarsi risultati.
«Santo cielo, dovevo stare attento a una sola cosa!» sussurrò, nel disperato tentativo di raddrizzare una gerbera rosa. Pickett, che era stato nascosto nel suo taschino fino a quel momento, riemerse. Nel vedere il mazzo di fiori ridotto in quello stato l'Asticello emise uno squittio di esasperazione.
Avrebbe volentieri ricambiato con una sottile battuta sarcastica, ma non fece in tempo ad aprire bocca. Il suono di un'altra sirena lo riportò sull'attenti. Questa volta era sicuro provenisse dal mare.
Aguzzò la vista. Si mise persino in punta di piedi, nonostante fosse già piuttosto alto. Strizzò gli occhi per mettere a fuoco la figura nera che si stava avvicinando al porto. Una grossa nave passeggeri che batteva bandiera americana.
Era lei. Non poteva che essere lei, la nave su cui viaggiava Tina Goldstein.
Questa volta il suo cuore perse non uno, ma due battiti.
Fu la mezz'ora più emozionante e insieme insopportabile della sua vita. Dovette attendere fermo sulla banchina che la nave entrasse in porto, si fermasse e attraccasse. Un processo risaputamente lungo che sarebbe riuscito a sopportare, se solo non avesse avuto un martello che non cessava di picchiargli contro il petto.
Non appena la grossa imbarcazione fu in perfetta posizione, vennero tirate giù le corde, e alcuni ufficiali della marina le legarono per bene agli spessi sostegni che sporgevano dal molo. Pickett osservò affascinato l'intero processo, mentre Newt si costrinse a respirare.
Sarebbe andato tutto bene. Non c'era nulla di cui preoccuparsi, no?
In quel momento, un'infinità di domande e dubbi iniziarono a vorticargli nella testa. E se Tina non fosse stata su quella nave? Se le fosse accaduto qualcosa durante il viaggio? Peggio. E se, una volta scesa, l'avesse evitato tirando dritta per la sua strada?
No. Calmati, Newt. Andrà tutto bene. È la tua ragazza e ti ama. Non hai motivo di dubitare.
E se non lo amasse più come prima?
Basta, dannazione!
Fece un respiro profondo. Scrollò le spalle e rilassò i muscoli, gettando uno sguardo ai fiori.
Sarebbe andato tutto bene. Tra lui e Tina non era cambiato nulla. Le lettere ne erano la prova. La lontananza, per quanto lunga ed estenuante, non aveva distrutto il loro amore. Quella era la sua unica certezza.
Aggrappato alle sue fragili convinzioni Newt mosse qualche passo avanti. La banchina aveva iniziato ad affollarsi: oltre al gruppo ora c'erano coppie di fidanzati, ragazzi con le valigie in mano, donne che sfoggiavano sontuosi e colorati cappellini e businessmen dall'aria corrucciata. Quella sì che era la banchina di un porto.
Pickett si accorse della sua espressione concitata, perché squittì. Nel chiacchiericcio della gente tuttavia, Newt non riuscì a udirlo. Era troppo concentrato sul profilo della nave. Ecco che le piattaforme di legno venivano posizionate con precisione millimetrica. Newt smise di farsi strada fra la folla. Scelse un punto in cui Tina lo avrebbe sicuramente visto e rimase lì ad attendere.
Tra i passeggeri che scesero dalla nave per primi, uno catturò la sua attenzione. Un ragazzo nel fiore dei suoi anni che scese la passerella saltellando con una valigia in mano. I capelli del giovane erano scarmigliati, l'abbigliamento dozzinale, il passo un po' incerto: ma il suo sorriso era luminoso, smagliante come quello di un atleta che si godeva il gradino più alto del podio, sapendo di essere arrivato alla vetta tanto ambita.
Sceso dalla nave arrestò il passo, facendo guizzare gli occhi a destra e a sinistra, finché non fu richiamato da una voce. Newt non afferrò da dove provenisse, ma poco importò. Il ragazzo corse incontro a colui che lo aveva richiamato, stringendolo in un lungo abbraccio. Era un giovane poco più alto di lui, vestito in completo elegante e avvolto in un cappotto scuro. I lineamenti del viso erano gli stessi del più basso. Ne dedusse che dovevano essere fratelli. Quando entrambi iniziarono a parlare e ridere, Newt percepì una fitta allo stomaco.
La sua espressione si rabbuiò. Fu pervaso da un lacerante senso di colpa e nostalgia. Quella giovane coppia di fratelli, così spensierata e affiatata, gli apparve come l'immagine di un qualcosa che aveva perduto. Un ricordo lontano, chissà quanto, abbandonato sul fondo della memoria. Il ricordo di quello che lui e Theseus erano stati un tempo, quando ancora si arrampicavano sugli alberi e dormivano vicini quando l'uno faceva un brutto sogno.
Lui e Theseus non avrebbero più potuto riottenere la propria infanzia. Ma la complicità... forse, per quella c'era ancora un barlume di speranza.
Si sentiva tradito da suo fratello. Aveva creduto di essere degno della sua fiducia e si era sbagliato. Ma ora che ci ripensava...
«Credi davvero che ti avrei nascosto una cosa del genere se non fossi stato costretto a farlo? Guardami in faccia, Newt. Sono tuo fratello.»
Era tempo che guardasse in faccia i veri sentimenti, quelli più forti della rabbia e del rancore.
Theseus era suo fratello. E Newt gli voleva bene. Gliene avrebbe sempre voluto, per quanto riservato e severo fosse stato suo fratello maggiore. Fin da bambino lo considerava un eroe, il suo eroe. L'età adulta gli aveva insegnato che gli eroi dovevano compiere sacrifici, a volte. Era vero, Theseus lo aveva tenuto all'oscuro dell'omicidio di Kama, ma lo aveva fatto per il suo bene.
Perché anche lui gliene voleva tanto, di bene. E più volte lo aveva saputo dimostrare.
L'infittirsi del vocio sulla banchina lo riportò ai fiori e all'elegante imbarcazione appena attraccata in porto, un transatlantico blu che portava sul fianco il nome di Sea's Lady e dal quale sempre più persone si accingevano a scendere.
Allontanò i pensieri negativi, alzandosi in punta di piedi una seconda volta nella speranza di avvistare una chioma corvina e due bellissimi occhi che, volente o nolente, gli avrebbero sempre ricordato quelli di una salamandra.
Finalmente scorse un profilo familiare scendere dalla passerella, non quello della sua ragazza però. Accompagnata da un uomo dal cipiglio serio, un'elegante dama in un completo turchese piuttosto appariscente si fece strada tra la gente, scrutando ogni volto con un'aria di ostentata superiorità. La pelle bronzea e i gioielli dorati non lasciavano alcun dubbio sulla sua identità: Madama Seraphina Picquery, Presidentessa del Magico Congresso degli Stati Uniti d'America.
L'istinto di Newt fu quello di nascondersi dietro coloro che gli transitavano vicino. Tra lui e la Picquery non scorreva buon sangue, specialmente dopo che lui aveva erroneamente fatto scappare un numero considerevole di creature magiche piuttosto pericolose dalla sua valigia. La scorrazzata di queste ultime per New York gli aveva fatto guadagnare un bel divieto di tornare in città. Se Seraphina Picquery lo avesse anche solo intravisto, probabilmente gli sarebbe girata alla larga.
Il magizoologo non riuscì a nascondere un'espressione sorpresa. D'altronde, era l'equivalente magico del vedere Herbert Hoover scendere da una nave gremita di bambini vestiti di stracci e donne e uomini di umile origine, il tutto in discutibili condizioni igieniche. Doveva far parte del camuffamento, ipotizzò. Il modo migliore per non farsi riconoscere dai babbani era confondersi in mezzo a loro. Con quei vistosi abiti e costosi gioielli, la donna sarebbe stata scambiata per un'altezzosa aristocratica.
Dietro di lei, un discreto numero di uomini e donne sembrava attendere disposizioni. Di sicuro si trattava di Auror al seguito della presidentessa, tra i quali avrebbe dovuto esserci anche Tina. Il suo cuore riprese a battere a una considerevole velocità.
Fu tutto così improvviso che non ebbe nemmeno il tempo di realizzarlo. Uno degli Auror, capelli castani e portamento singolare, fece rovesciare il suo bagaglio. La donna che si trovava alle sue spalle accorse immediatamente ad aiutarlo, sotto gli occhi spalancati di Newt.
Era lei. E per l'amor di Merlino, era bellissima.
I capelli le ricadevano morbidi sulle spalle, onde nere che incorniciavano il viso perfetto. Le labbra, leggermente tinte di rosso e incurvate a formare un sorriso, risaltavano ed entravano insieme in contrasto con la delicata sfumatura del cappotto, un grigio perlato che le donava in modo particolare.
Per un attimo rimase paralizzato sul posto, incapace anche solo di muovere un passo, come se l'emozione gli avesse bloccato ogni parte del corpo. Non ci volle molto perché la donna, accertatasi che il suo compagno stesse bene, si accorgesse dell'uomo che la osservava attonito dal lato della banchina.
Uno sguardo fu tutto ciò di cui ebbe bisogno per riconoscerlo.
Lasciò cadere il suo bagaglio, con un sorriso stampato in volto che non necessitava spiegazioni. Prima che potesse rendersene conto, lei fu tra le sue braccia.
«Newt...» la udì sussurrare, incredula.
«E chi altri, altrimenti?» ironizzò lui, stringendola ancora più a sé. I suoi capelli gli solleticarono la guancia. Chiuse gli occhi, che minacciavano di riempirsi di lacrime.
Quando si sciolsero dall'abbraccio, Tina avvicinò la fronte alla sua, circondandogli il viso con le mani. Si guardarono fissi negli occhi, un lungo e intenso scambio di silenziose emozioni. Lei rise, provocando in lui la medesima reazione. Poi avvicinò le labbra e lo baciò.
Se la sua vita si fosse fermata in quel punto e lui fosse stato costretto a rivivere quel momento all'infinito, non ci sarebbe stata più dolce condanna.
Gli servì un grosso sforzo di volontà per dividersi da lei. Santo cielo, per un attimo aveva toccato il cielo con un dito. Gli era mancata quella sensazione.
«Non posso credere di essere qui e non posso credere che tu sia venuto davvero!» esclamò la donna, riprendendo fiato.
«E rinunciare ad accogliere la mia ragazza? Assolutamente no.»
«Dove hai preso l'ironia?»
«Credo sia l'euforia del momento. Tempo due minuti e scomparirà.»
«Peccato. Mi piace questa versione di Newt.»
Questa volta fu lui a baciarla. Fu breve, ma piuttosto passionale, cosa che fece arrossire e discostare Tina dopo poco.
«D'accordo, penso basti così, per adesso.»
«Scusa, è stato più forte di me. Mi sei mancata.»
Lei non riuscì a trattenere una risata. Abbassò lo sguardo prima verso Pickett, poi verso i fiori che Newt teneva ancora in mano. «Sono per me quelli?» chiese, ammiccando al mazzo che aveva decisamente visto tempi migliori.
«Oh, sì, giusto! Sì, sono per te, ma... Ecco, diciamo che non erano così, prima...» ammise, porgendoglieli imbarazzato. Erano davvero dei bei fiori, prima di subire l'effetto folla.
«Ora ti riconosco» dichiarò infine la donna, accettando il dono con il sorriso in volto. Annusò i fiori, rivolgendo lui uno sguardo rassicurante. «Sono bellissimi.»
Tirò un sospiro di sollievo, ringraziando di avere una ragazza comprensiva - di certo più paziente della media. Non aveva avuto molta esperienza con le donne, si basava principalmente sui racconti di Jacob e di suo fratello. Prima di Queenie, Jacob aveva avuto un'altra fidanzata, Millicent. Una donna parecchio sui generis a sentire il pasticciere: lei lo aveva lasciato in strada dopo che lui non aveva trovato i fondi per aprire la sua pasticceria. Era stata dura con lui, non gli aveva nemmeno dato una seconda possibilità. Perlomeno, questo sosteneva Jacob.
«Oh, devo presentarti una persona!» esordì d'un tratto Tina Goldstein, distogliendolo dai suoi pensieri.
«Ah sì?» le presentazioni non erano il suo forte. Non lo erano mai state, a dirla tutta. Lo mettevano a disagio.
«Sì, gliel'ho promesso. Ehi, Sam! Vieni qui, coraggio!»
Newt sbirciò oltre le spalle della donna. L'uomo che era sceso insieme a lei e al quale era caduto il bagaglio si stava facendo strada tra la folla. Era un'ometto smilzo alto pressappoco quanto lui, con un cappello grigio sulla testa e un cappotto color ambra che gli stava troppo largo. Avanzò a fatica, tentando di mantenere l'equilibrio. Portava con sé due valigie, ora, la sua e quella di Tina, che lei aveva abbandonato per l'emozione.
«Lascia, Sam, faccio io.»
«Figurati, non è niente.»
Non appena posò a terra i bagagli si asciugò la fronte, provato ma soddisfatto. «Santo cielo, non pensavo potessero pesare tanto!»
«Sam, ti presento Newt Scamander, il mio ragazzo. Newt, lui è Samuel Murphy, il mio collega.»
Samuel non doveva averlo notato fino a quel momento, poiché lo fissò con un'espressione meravigliata e mortificata insieme. Educatamente si fece avanti, abbassando la testa in segno di rispetto.
«È un piacere e un onore per me, signor Scamander. Sono un grande ammiratore del suo progetto, dico sul serio.»
Allungò la mano e lui gliela strinse. Lo consolò vedere che Samuel Murphy, in quel momento, era in difficoltà quanto lui.
«Per favore, chiamami Newt, non mi piacciono le formalità. A dire il vero, le detesto.»
«Certamente, come preferisce.»
«Dammi pure del tu, non bado a queste cose.»
«Sì. Sì, certo, colpa mia» si scusò l'uomo, ritirandosi con un gesto impacciato.
Tina, che fino a quel momento era stata osservatrice di quella scena a dir poco pietosa, lo prese sottobraccio, spingendolo a voltarsi verso di lei. Rivolse lui uno sguardo d'approvazione, per poi rompere il silenzio.
«Sam è un caro amico» spiegò la donna. «È stato lui a trovare il modo di farmi venire qui a Londra. Se non fosse stato per lui, a quest'ora sarei ancora a New York!»
«Sul serio?»
«Oh, no, Tina esagera sempre...»
«Non fare il modesto, Murphy!» lo ammonì la Goldstein, spingendolo a non continuare la frase. A Newt scappò un sorriso. Per una volta non era toccata a lui.
La banchina si stava pian piano svuotando. In effetti, Newt aveva iniziato a percepire una strana tranquillità. C'era meno movimento intorno a loro. Presto però, la nave sarebbe stata pronta a ripartire e il molo si sarebbe ripopolato.
«Signori miei, che ne dite di un giro in città?» propose Tina a entrambi.
Newt la squadrò dall'alto verso il basso. «Il viaggio non ti ha stancata?»
«Assolutamente no!» ribatté la donna, estasiata al pensiero di una passeggiata per le vie della capitale inglese.
«Io porterò i bagagli al nostro alloggio. Non vorrei essere un disturbo...»
«Andiamo, Sam, vieni anche tu!»
«Non preoccuparti, avrò tempo per fare un giro della città. E poi così non dovrai trascinare un peso per tutta Londra.»
Era evidente che la prospettiva di essere il terzo uomo che portava la candela non entusiasmasse Samuel Murphy. Non lo biasimava affatto. Probabilmente al suo posto avrebbe scelto anche lui il comodo letto di una locanda.
«Tina, non dovresti forzarlo.»
Lei gli lanciò un'occhiata offesa, per poi sospirare: «D'accordo, vada per la passeggiata a due.»
«Possiamo trovare un punto e smaterializzarci. La distanza non è tanta da qui a Londra. Sam, conosci l'indirizzo del vostro alloggio?»
«Sì, certo.»
«Magnifico! Che dici, andiamo?» lo spronò a quel punto Tina, tirandolo per il braccio e costringendolo a guardarla. Era una sorta di messaggio subliminale? Chi poteva dirlo. La psicologia femminile era troppo complicata per il misero cervello di un impacciato magizoologo.
Usciti dal porto di Southampton trovarono un punto abbastanza nascosto per smaterializzarsi. Newt scelse come meta Piccadilly Circus, dopo aver spiegato a Sam come raggiungere l'alloggio assegnato a lui e a Tina. Il magizoologo e la sua ragazza si ritrovarono in un batter d'occhio in uno dei vicoli che si dipartivano dalla vivace via. Piccadilly era un punto strategico per qualunque turista: da lì potevi raggiungere in poco tempo un mucchio di zone importanti della città.
Passeggiarono lungo la riva del Tamigi, dopo aver fatto tappa a Trafalgar Square e aver ammirato Westminster e la sua torre dell'orologio. Durante la camminata in direzione cattedrale di Saint Paul si riempirono a vicenda di domande, come se non si fossero spediti lettere su lettere per mesi.
«Ti hanno promossa, alla fine?»
«Non ancora, ma ci sto lavorando. Hatchkins è un osso duro. E non apprezza le donne, a meno che queste ultime non gli sbavino dietro come cagnolini.»
Per la prima volta in due anni rise di gusto. Era bello riavere accanto la persona che amavi di più al mondo. Si voltò a guardarla più volte senza lasciarla andare nemmeno un istante, come se avesse paura che lei potesse sfuggirgli da un momento all'altro e che quel sogno si trasformasse di colpo in un incubo.
«Come sta Jacob?»
«Oh, Jacob sta benone. Mi ha raccontato della lettera di Queenie...»
Per costringersi a non continuare si morse la lingua. Perché doveva tirare sempre in ballo gli argomenti meno opportuni nei momenti meno opportuni?
Tina sospirò, voltandosi verso il fiume e rivolgendo all'acqua un sorriso malinconico.
«Tina, mi dispiace. Io...»
«No, non fa niente» lo interruppe, gli occhi puntati oltre l'altra sponda del Tamigi. «Almeno so che Queenie sta bene. Credo di non poter fare molto, se non aspettarla.»
La donna si incupì e lui iniziò a sentirsi tremendamente in colpa. Decise di cambiare argomento, nella speranza di poter distogliere Tina dal pensiero della sorella.
«Che ne dici se torniamo indietro e facciamo un giro nelle zone di Hyde Park? C'è una bella atmosfera nel tardo pomeriggio.»
I loro sguardi si incrociarono. «Non dovevamo arrivare al Tower Bridge?»
«Si sta facendo tardi. Ti ci porterò, promesso. Ora è meglio avvicinarci al centro, prima che faccia buio.»
Arrestarono il passo. Tina, lasciato il suo braccio, si accostò al piccolo muro che separava la strada dalle acque, che si trovavano ad appena pochi metri sotto di loro. Entrambi si persero per un istante a guardare il sole scendere e nascondersi piano piano dietro i palazzi.
«Non lo so» disse la donna alla fine. «È così bello qui... solo io e te.»
Si voltò a guardarlo. Anche Newt si appoggiò con una mano al muretto, sperando di riuscire a nascondere il vero motivo del suo gesto. Le sue gambe avevano minacciato di cedere a causa di quei due brillanti occhi castani che si riflettevano nei suoi.
Due sole cose erano in grado di fargli perdere la testa: lo sguardo e il sorriso di Tina Goldstein. In quei due anni la sua mancanza lo aveva cambiato. Più volte si era sentito un folle che desiderava qualcosa che non sarebbe più tornato da lui. In quel momento non era più un folle che bramava l'impossibile, ma un folle terribilmente innamorato della donna che gli stava di fronte.
In quel silenzio avrebbe potuto baciarla. Tuttavia rimase semplicemente a guardarla, bloccato dal timore verso una nuova sensazione che si stava impadronendo del suo corpo. Non gli era sconosciuta, ma era rimasta cristallizzata per così tanto tempo che lui si era quasi scordato della sua esistenza.
Per la prima volta si ritrovò a desiderare qualcosa di più dei suoi baci.
Si ritrovò a desiderare ogni parte di lei, non solo la sua anima.
Si ritrovò a immaginare le sensazioni che sarebbero potute scaturire dal contatto tra i loro corpi privati di ogni barriera.
Bramò di poterla fare sua, di sfiorarle le labbra mentre la toccava.
E la cosa lo paralizzò.
Distolse di getto lo sguardo, scrollandosi di dosso quello che stava provando e pensando. Qualunque cosa fosse non solo lo spaventò, ma lo fece vergognare di se stesso. Doveva essere la vicinanza di lei dopo un periodo di separazione ad aver provocato quella cosa. Ripensandoci, si sentì avvampare non solo le guance.
Come aveva potuto anche solo pensare a...?
Non riusciva nemmeno a definirlo, tanto non si addiceva né a lui, né a Tina. Era come pensare di danneggiare un vaso di cristallo per l'egoistico desiderio di maneggiarlo.
Era sbagliato. E poco casto. Era sbagliato e basta.
«Newt? Va tutto...»
«Sì, alla grande!» la tranquillizzò, cercando di dimenticare gli scenari che si erano affacciati alla sua mente. «Solo un crampo alla... alla testa, nulla di che.»
Tina alzò un sopracciglio con aria scettica. Lo squadrò da capo a piedi un paio di volte con uno sguardo indagatore, soffermandosi infine sul suo viso. «Oddio, le tue guance stanno praticamente andando a fuoco!»
«Sto bene, sul serio» tentò di convincerla, prendendole le mani e chiudendole nelle sue. «Senti, perché non andiamo davvero a fare un giro ad Hyde Park? È un bel posto... molto romantico, soprattutto in primavera. Che ne dici?»
Lei esitò un istante, l'espressione piuttosto confusa. Poi annuì. «D'accordo, ci sto. Penso che abbiamo entrambi bisogno di un po' di aria genuina.»
«Magnifico!» Grazie al cielo, pensò con sollievo. Perlomeno si sarebbe distratto e si sarebbe goduto il resto del primo giro con la sua ragazza dopo due anni.
Mentre si smaterializzavano sperò che quei pensieri si facessero un bel viaggetto di sola andata per una meta molto lontana. Anche se dentro, il suo inconscio sapeva che sarebbero tornati.
Hyde Park era uno spettacolo a cielo aperto trecentosessanta cinque giorni all'anno. In primavera tuttavia, i prati si riempivano di colori e le chiome degli alberi si ripopolavano di verdi foglie. Con le sue fontane, i suoi ampi prati e piccoli laghetti, era il posto ideale per un'uscita all'insegna del romanticismo.
Perse il conto delle risate che si fecero durante il tragitto, vuoi per una battutina, vuoi per il puro gusto di sorridere. La conversazione riprese all'insegna della leggerezza, il che fu un vero toccasana per Newt. Sia lui che Tina volevano godersi ogni momento insieme, senza preoccupazioni tra i piedi. Era il minimo che potessero fare, dopo un così lungo periodo passato a parlarsi solo attraverso un foglio di pergamena.
Le illustrò i luoghi dove avrebbe voluto portarla nei giorni successivi, beccandosi una buona dose di complimenti da parte di lei per essere un'ottima guida turistica. All'altezza della Serpentina - il nome che i londinesi davano al lago artificiale più grande de parco - trovarono una panchina appartata all'ombra di un bellissimo tiglio.
«Quanto dista da qui Sunday Street?» chiese Tina, sedendosi accanto a lui e sistemandosi il cappotto.
«Non molto, se non ricordo male. Perché ti serve saperlo?»
«È l'indirizzo dell'appartamento di Charlotte. Voglio farle una sorpresa.»
«Sì?»
Quell'affermazione lo colpì più del previsto. Fino a quel momento non aveva mai pensato a Tina Goldstein e Charlotte Malfoy come amiche intime. Sapeva che avevano mantenuto i contatti, ma non pensava sarebbero riuscite ad avvicinarsi tanto l'una all'altra. Certo avevano molte cose in comune, a cominciare dalla testardaggine, ma anche molte caratteristiche che le rendevano due opposti.
«Ovviamente, altrimenti non te lo avrei chiesto. Perché mi fissa in quel modo, signor Scamander?»
«Nulla. È solo che... non pensavo poteste andare tanto d'accordo.»
Lei sgranò gli occhi. «Scherzi? Ci siamo scambiate lettere per due anni! Lei ha un senso dell'umorismo particolarmente sottile... e una pessima considerazione degli uomini.»
«Sì, l'ho notato.»
«Oh, e tu fratello? Ci siamo scambiati una o due lettere, poi non si è più fatto sentire. Come sta?»
Sentì le parole incartarsi in gola. Non voleva dirle di quello che era successo, di Kama e tutto quello che aveva scoperto. Non voleva rovinare quegli attimi di serenità. Probabilmente le avrebbe confessato tutto, ma in un altro momento.
«Sta bene. È solo un po' impegnato, attualmente. Ma ha superato piuttosto bene il suo periodo nero. È più felice, ora.»
Tina sorrise, con l'aria di chi la sapeva lunga. Poi sembrò ricordarsi di qualcosa. «E Silente? Sei andato a parlargli, vero?»
Newt esitò, imbarazzato. Era da mesi che Tina consigliava lui di andare a parlare con il suo ex-insegnante e lui temporeggiava. Il fatto era che sentiva di non essere ancora pronto per rivedere quell'uomo. Si sentiva ancora ingannato e allo stesso tempo in colpa per avergli detto quelle cose il giorno dell'udienza. Anche volendo, sapeva che non sarebbe riuscito ad affrontare un faccia a faccia con Albus Silente. Perciò era rimasto a Londra.
«Io, ecco, diciamo che...» balbettò, cercando le parole giuste. Lei lo anticipò.
«Non sei ancora stato a Hogwarts, vero?»
Newt fu costretto ad arrendersi e confessare. «Già.»
Tina gli rivolse uno sguardo compassionevole. Lo rincuorò sapere che non se l'era presa, dopo che lui aveva deliberatamente ignorato il suo consiglio. Sembrò da quell'occhiata che lei potesse capirlo, e soprattutto capire le sue ragioni.
«Quindi non sei arrabbiata?»
«Non riuscirei ad arrabbiarmi con te nemmeno se volessi. No, non sono arrabbiata, ma... Credo davvero che Silente non intendesse tradire la tua fiducia, Newt.»
Anche io, rifletté. Eppure, una parte di lui non riusciva a perdonarlo.
«Ti dispiace se cambiamo argomento? Insomma, è...»
«Sì, hai ragione. È colpa mia.»
«Non importa.»
Sapeva che ne avrebbero riparlato, in un altro momento. Forse avrebbe avuto l'occasione di parlarle anche di Mila Baumer... o forse lo avrebbe fatto Jacob, chissà.
Lei posò la testa sulla sua spalla e lui la cinse con un braccio, stringendola a sé.
«Lo sai, mi è mancato tutto questo. Ma per qualche strana ragione... ancora non mi sembra reale» confessò Tina a voce bassa. Probabilmente non l'avrebbe sentita se lei non fosse stata a pochi millimetri dal suo viso. «Insomma, capisci che intendo?»
Abbassò gli occhi, portando una mano tra i suoi capelli. «Penso di capire, sì.»
«Credo sia l'emozione. In realtà non so cosa sia. È tutto così... bello. Tutto troppo perfetto.»
Non ribatté, ma sotto sotto la capiva. Dopo che li avevano separati a entrambi era crollato il mondo addosso. Ora che erano di nuovo insieme, avevano deciso di chiudersi in una bolla e dimenticare il resto.
Una bolla in cui c'erano loro e nient'altro.
Era tutto perfetto. Tina aveva ragione.
Quando l'aveva vista aveva stentato a credere che stesse accadendo davvero. Se il mondo attorno a te si sgretola piano sotto i tuoi occhi per lungo tempo, è naturale cedere al pessimismo. Un solo minuto di felicità può equivalere a una fetta di paradiso. E se c'era una cosa che Newt desiderava fare era tenersi stretta quella gioia che il destino gli aveva regalato. Inaspettatamente, perché è così che il Fato gioca. L'effetto sorpresa è la sua mossa preferita.
Era tutto reale. E che lo fosse, per Merlino.
Dopo la tempesta se lo meritavano entrambi.
«Perché fare domande quando puoi semplicemente... goderti gli attimi di felicità» disse Newt, inspirando l'aria dolce della primavera impregnata dell'aroma rilassante dell'amore.
Si voltò verso Tina, scoprendo lei fare lo stesso. «Lo sai, hai ragione.»
Il bacio che seguì fu tenero e sincero. E fu la conferma, per entrambi, che non stavano più sognando ad occhi aperti.
«Non avevi detto: "Niente più baci"?»
«Scusa, è stato più forte di me. Mi sei mancato.»
Risero entrambi. Il piccolo idillio venne interrotto da Pickett l'Asticello, che fino a quel momento se ne era stato zitto e buono e che con buona probabilità era nauseato da tutto quel romanticismo.
«Ciao, Pickett» lo salutò. L'Asticello emise uno squittio che indirettamente stava per: "Si sta facendo tardi. Dovresti accompagnarla a casa".
«Hai completamente ragione, piccoletto.» Si alzò, rimettendo Pickett nel taschino e porgendo la mano alla sua ragazza.
«Che ne dici, ti do uno strappo a Sunday Street?» le chiese. Era naturalmente una domanda retorica, perciò qualora la risposta fosse stata no, lui l'avrebbe accompagnata lo stesso. Tina trovò quella sua disinvoltura e le sue maniere piuttosto divertenti.
«Chi sono io per rifiutare la proposta di un gentiluomo?»
Il sorriso che si scambiarono gli scaldò il cuore. Si sentì rinato. Vedeva la luce, ora, grazie a Tina. Niente più buio, solo loro due al centro del suo piccolo mondo, di nuovo insieme.
Quella donna era la causa e la cura dietro a tutti i suoi mali. Quella era la verità. Anche se, detta così, suonava piuttosto bizzarra.
Ma cosa non è un po' bizzarro nell'amore?
SPAZIO AUTRICE
Eccoci qua! Il momento che quasi tutti voi stavate aspettando è finalmente arrivato (perché non avrei potuto tenerli separati ancora tanto).
I nostri Newt e Tina si sono riuniti di nuovo, dopo tanto tempo trascorso a scambiarsi lettere d'amore. Per entrambi è tanto surreale, un momento magico. L'amore è dopotutto qualcosa di magico,anche un po' bizzarro.
Ci saranno tante cose di cui dovranno parlare, specialmente Newt. Ma grazie alla compagnia dell'altro, sarà decisamente tutto più facile.
Come sempre,fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto con un commento o una stellina. Ci vediamo settimana prossima e per quell'occasione, vi consiglio di andare a ripassare molto bene i capitoli precedenti riguardo un certo Obscuriale... 👀
- Mavi.
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