20. 𝐂𝐨𝐠𝐥𝐢𝐞𝐫𝐞 𝐥'𝐚𝐭𝐭𝐢𝐦𝐨
TINA'S POV
Hatchkins stava parlando ininterrottamente da quasi un'ora, e il cervello della povera Tina minacciava di scoppiare.
Il capo del Dipartimento Auror americano aveva avuto bisogno di qualcuno che lo assistesse (la sua segretaria si era presa un brutto malore, secondo quanto si diceva in giro), e naturalmente nessuno dei colleghi della donna si era offerto volontario. Così, il compito era toccato a lei.
"Codardi" aveva mormorato tra sé, prima che Theodore Hatchkins le gettasse tra le mani una montagna di fascicoli.
Percorsero l'ufficio almeno una ventina di volte, schivando le scrivanie, lui con passo deciso, lei cedendo di tanto in tanto sotto il peso del carico che portava in braccio. Tina riuscì tuttavia a non cadere e a evitarsi una figuraccia. Fu un miracolo, sul serio. Quella sera avrebbe pregato più del solito e ringraziato il suo angelo custode, che sotto sotto le voleva bene, ma che spesso dimostrava l'esatto contrario.
Fece un passo a sinistra per mantenere in equilibrio i fascicoli, mentre Hatchkins davanti a lei parlava a macchinetta. Avrebbe dato qualunque cosa pur di farlo smettere.
«Chissà come è andata con il caso di quel tizio della bottega sulla quarantesima, poveraccio. Pensa scoprire che tua moglie ti tradisce... con il proprietario del negozio rivale, per giunta! Goldstein?»
Tina soffiò per spostare una ciocca di capelli che le era finita sul viso, coprendo la sua visuale già piuttosto scarsa.
«Goldstein?» insistette l'uomo.
Lei inclinò la testa, rivolgendo lui un sorriso innocente. «Non ne ho idea, signore. Quel caso non era stato affidato a me. Chieda a Guisler, lui potrà sicuramente fornirle una risposta dettagliata.»
«Naturalmente, come ho fatto a non pensarci! Ottima idea, Goldstein. Sa, non me l'aspettavo da lei.»
«La ringrazio, signore.»
Tina pronunciò quelle parole a denti stretti e con finta riconoscenza. Non me l'aspettavo da lei. Tipico di Hatchkins sottovalutarla, pensò, alzando gli occhi al cielo.
Mentre oltrepassavano la porta dell'ufficio dell'uomo, Tina sentì il suo capo borbottare a bassa voce ripetendo il nome "Guisler", come per cercare di ricordare chi effettivamente fosse. "Oltre che la parlantina ha anche la memoria a breve termine" osservò, con leggero disappunto.
L'ufficio di Hatchkins appariva come un ambiente ordinario, privo di qualunque personalità. Librerie stracolme di fascicoli troneggiavano imponenti dietro una scrivania in legno quasi vuota. Alle pareti, di un color grigio sbiadito, non era appeso nulla se non un paio di attestati che confermavano il suo ruolo all'interno di quel posto.
ATTESTATO DI PROMOZIONE
Per: Theodore Gerald Hatchkins
In passaggio dal ruolo di: Auror (reparto investigativo, squadra 3)
Al ruolo di: capo Dipartimento
Con mandato di anni: 4
FIRMATO: Seraphina Picquery, presidentessa.
Gerald. Tina trattenne una risata.
«Posi pure quei fascicoli sulla scrivania, Goldstein» ordinò Hatchkins, con un gesto noncurante della mano. Lei obbedì, felice di liberarsi finalmente del peso di tutta quella carta.
«Che faticaccia, eh?» le domandò poi divertito l'uomo, scoppiando a ridere. A Tina venne voglia di strozzarlo, oltre che di fargli notare che lui non aveva fatto un bel niente se non assillarla con le sue stupide chiacchiere. Scelse tuttavia saggiamente di rimanere zitta.
«Ora può andare, Goldstein. Torni pure al suo lavoro. Io devo preparare la grande trasferta, sa...»
Lei gli rivolse uno sguardo interrogativo, al che Hatchkins rimase sorpreso. «Davvero lei non sa dell'assemblea straordinaria della Confederazione Internazionale dei maghi?»
Le venne voglia di darsi una botta in testa. Ma certo, la trasferta a Londra. Era ovvio che Hatchkins si riferisse a quello. L'occasione per rivedere Newt che lei, come una stupida, stava temporeggiando nell'afferrare.
Non aveva più preso una decisione, nonostante le pressioni di Sam. Il fatto era che non sapeva cosa fare. Il suo cuore non avrebbe esitato, avrebbe acchiappato quell'opportunità come se fosse stata l'ultimo biscotto al cioccolato sopra un vassoio.
Tuttavia, bisognava purtroppo dar retta anche a quel che diceva il cervello. Il quale pareva star facendo di tutto per tirarla indietro.
Troppa speranza fa male, è come ingoiare troppo zucchero. Ti farà impazzire, perdere la testa da un secondo all'altro.
Credi davvero che ti daranno quell'incarico? Hai la fedina penale macchiata, ragazza: o lo hai per caso dimenticato?
È già troppo tardi.
«Goldstein, cosa ci fa ancora lì impalata?»
Il tono seccato di Hatchkins le fece riprendere il controllo su se stessa. Percepì le sue guance andare in fiamme per l'imbarazzo.
«Oh, sì! Sì, giusto, la trasferta. Tolgo immediatamente il disturbo, signore.»
Il suo capo la squadrò con disapprovazione, prima che lei gli voltasse le spalle diretta verso l'uscita.
«Ah, Goldstein!»
«Sì, signore?» disse lei, fermandosi sulla soglia.
«Dì a Guisler di passare dal mio ufficio. Muoio dalla voglia di sapere come è finito quel caso.»
«Lo farò se lo desidera, signore.»
«Meraviglioso. E, Goldstein!»
«Si, signore?» domandò, questa volta con una punta di seccatura nella voce.
«Non è che mi porterebbe un caffè?»
Rimase un po' interdetta da quell'ultima richiesta. Per chi l'aveva presa, per una cameriera? Non aveva già fatto abbastanza? Quello era davvero troppo.
Malgrado ciò, non poteva certo disobbedire ad un suo superiore. Non valeva la pena rispondere, così sorrise e annuì con elegante cordialità, e sospirando imboccò il corridoio in direzione piano terra.
L'ufficio si svuotò a mano a mano che le lancette dell'orologio avanzavano sul quadrante dorato e il cielo fuori dalle finestre passava dal grigio all'arancione tenue, annunciando l'arrivo della sera. Grazie al cielo, un'altra giornata stava per finire. Ormai ogni giorno le appariva più triste del precedente.
O forse era semplicemente lei quella triste.
Non faceva altro che pensare all'occasione che probabilmente si era già fatta scivolare via; a Newt, tra le braccia del quale desiderava abbandonarsi ogni notte; a Jacob, molto più fortunato di lei e alla lettera di Queenie.
Tina... cara Teenie. Massacrata da colpe che non possiede, pugnalata alle spalle dalla sua stessa sorella. Cielo, se solo potessi dirle quanto mi dispiace...
Era viva e stava bene. Allora perché non si sentiva meglio?
Perché ogni giorno Queenie correva il pericolo di essere trovata?
Perché era consapevole che avrebbe dovuto aspettare ancora per abbracciarla di nuovo?
Perché non sapeva se avrebbe rivisto prima lei o il suo cadavere?
Le venne la nausea al solo pensiero. Per scacciare quest'ultimo di solito stringeva il suo medaglione. Non sempre le preoccupazioni se ne andavano.
Si era resa conto che i suoi demoni non dormivano, né di giorno, né di notte. Apparivano improvvisi come lampi, la facevano tremare. S'imponevano controllando tutto il suo corpo, giocavano a loro piacimento con i fragili equilibri della sua mente. Vegliavano perennemente su di lei, la rincorrevano ovunque andasse.
E lei, così impotente e affranta, non poteva fare nulla per evitare il loro assalto.
Ci fu una sola nota positiva in mezzo a tutto quel ronzare di pensieri negativi. Samuel Murphy restò al suo fianco per tutto il pomeriggio. Una bella fortuna: almeno poteva distrarsi un po'. Sapeva di poter contare sul suo amico quando era giù di morale. E poi le piaceva la compagnia di Sam.
«Allora, come è andata con Hatchkins?»
«Domanda di riserva?»
Entrambi scoppiarono a ridere. Tina ripose la penna nel calamaio, poi alzò gli occhi per incrociare quelli del suo collega. «D'accordo, ti faccio un'altra domanda. Ti va una passeggiata più tardi?»
Lo sguardo interrogativo di lei fu quasi certamente il motivo per il quale lui iniziò a giocherellare con uno dei lembi della camicia, finito fuori dai pantaloni (dettaglio che chiunque, fatta eccezione per Tina, avrebbe trovato indecoroso in un uomo rispettabile).
Le parole fuoriuscirono dalla bocca dell'uomo in un flusso rapido, ininterrotto, che lei faticò a seguire.
«So che il preavviso è davvero poco... Se hai altri impegni possiamo sempre fare un'altra volta. Magari domani, o dopodomani o... il giorno dopo dopodomani?»
Quella specie di imbarazzo che lesse sul viso di Sam lo aveva già visto in Newt il giorno in cui quest'ultimo le aveva portato la colazione a letto. Il ricordo del dolce siparietto che avevano avuto le fece tremare gli angoli della bocca, che cedettero leggeri il passo ad un mesto sorriso.
Ristabilì una sorta di ordine, di equilibrio interno, e si rese conto che Sam stava ancora attendendo una sua risposta. Se la meritava, dopotutto. Da come l'uomo la guardava, Tina ebbe l'impressione che non solo la meritasse, ma che ne necessitasse quanto l'acqua o l'aria.
D'improvviso un sospetto la investì. L'ultima volta che qualcuno l'aveva invitata fuori era stato per riferirle qualcosa di importante. Oltre alla lettera di Queenie, Jacob le aveva chiesto il permesso di andare a Londra e far visita a Newt. "Ha bisogno di compagnia o crollerà, Tina", aveva osservato il pasticciere, e lei non era stata in grado di ribattere. Sapeva che l'uomo non aveva torto. Conoscevano entrambi la situazione di Newt, ma soprattutto conoscevano Newt. Era forte, ma forse non abbastanza da sopportare il peso di una vita che gli calzava troppo stretta, soffocandolo giorno dopo giorno.
Era stata una scelta sofferta per lei, una scelta che l'aveva messa ancora una volta di fronte alla dura realtà. Era bloccata in America, e per cosa? Per aver salvato una città che altrimenti sarebbe stata ridotta in cenere da Gellert Grindelwald. Ci avrebbe riso sopra, se solo in ballo non ci fossero stati i suoi sentimenti.
Non ce l'aveva con Jacob, tutt'altro. Avrebbe potuto partire da un giorno all'altro, invece non se l'era sentito di lasciare New York senza dirle nulla. Era stato un gesto dolce, che solo una persona sensibile come lui sarebbe stata in grado di fare. Perciò, lei gli aveva confermato che sì, poteva andare a Londra.
C'era però un altro motivo per il quale aveva permesso a Jacob Kowalski di ricongiungersi con il suo migliore amico, un semplice motivo: l'amore che provava per Newt.
Desiderava per lui tutto ciò che lui desiderava per lei, quello stesso sentimento che si dà spesso per scontato. Felicità.
Nel profondo del cuore, Tina Goldstein era consapevole che avrebbe fatto qualunque cosa pur di sapere che Newt era felice, ovunque egli fosse stato.
Jacob avrebbe di certo alleviato la tristezza dell'uomo, sarebbe stato come un balsamo per le sue ferite. Ferite che lei si sarebbe prodigata di ricucire minuziosamente, un giorno o l'altro.
Un giorno o l'altro. Era l'unica espressione che si poteva concedere.
Persa ancora una volta nei suoi pensieri, non aveva tenuto il conto dei minuti trascorsi fuori dal mondo reale. Sam dovette schioccarle due dita davanti al viso per attirare la sua attenzione.
«Tina? Sei impallidita, ti senti...?»
«Sto alla grande!» esclamò lei, con un tono di voce esageratamente acuto. Balzò in piedi con un sorriso, lasciando Sam molto confuso.
«Non hai ancora risposto alla mia domanda...»
Lei lo prese sottobraccio in maniera affettuosa, squadrandolo allo stesso tempo con aria inquisitrice. «Vada per la passeggiata, Murphy.»
Sam non accennò alcuna reazione. Ricambiò il suo sorriso con un: «Fantastico!», poi aggiunse che l'avrebbe aspettata fuori dopo il lavoro.
Per tutto il pomeriggio, Tina ebbe il presentimento che un'altra rivelazione le sarebbe piombata addosso nel giro di qualche ora.
Il sole si era appena rifugiato dietro gli alti palazzi di Manhattan quando Tina e Sam raggiunsero Battery Park. Lasciandosi le luci della caotica Broadway alle spalle si arrivava in un appartato angolo di paradiso, con piccoli sentieri immersi nel verde che portavano fino al mare.
«Vieni, possiamo entrare da qui.»
Sam la guidò, rendendole talvolta complicato sostenere il passo. Quando arrivarono nel parco, l'uomo rallentò, inspirando finalmente una boccata d'aria fresca.
«Conosci bene questa zona di New York...» osservò Tina, gettando un'occhio all'espressione del suo amico, che da rilassata si fece più tesa.
Sam spostò il peso da un piede all'altro. «Ci abita la mia ex-fidanzata... che mi ha lasciato per un motivo alquanto imbarazzante che non ti racconterò.»
Tina alzò le mani, divertita. «D'accordo, come vuoi. Ma non credo possa essere più imbarazzante della volta in cui sei scivolato sotto gli occhi della presidentessa.»
«Non ricordarmelo, ti supplico...»
Quel ricordo li fece ridere entrambi. Quando il silenzio calò di nuovo, interrotto solo dal frinire di qualche grillo, la donna si rivolse dolcemente a Sam.
«Troverai quella giusta.»
Lui sospirò affranto. «La speranza è l'ultima a morire, no?»
All'ora del tramonto, la vista al di là delle alte e fitte chiome degli alberi era due volte più spettacolare.
La maestosa Statua della Libertà accoglieva le numerose navi dirette a Ellis Island volgendo lo sguardo oltre l'oceano, verso un lontano orizzonte. Intorno a lei, stormi di uccelli danzavano e piroettavano nel cielo, tinto di un gradevole giallo tenue.
Camminarono avvolti dalla vegetazione, alla ricerca di una panchina dove potersi rilassare e godere a pieno l'atmosfera pacifica di quell'angolo verde di città.
Una volta seduta, Tina si lasciò accarezzare dalla brezza. Si abbandonò, permettendo a quella calma di entrarle nel corpo fino a penetrare le ossa. Il suono del mare la cullò finché Sam non si schiarì la voce, rovinando il suo momento di pace.
«Tina, c'è...» esordì, ma lei lo interruppe.
«Devi dirmi qualcosa, Sam. Ho indovinato?»
Si voltò nell'istante in cui lui sgranò gli occhi per la sorpresa. «Come... come hai fatto?»
Tina fece spallucce. «Intuito.»
Sam aprì e richiuse la bocca, impressionato. Ci fu un momento di silenzio, poi l'uomo si fece coraggio.
«D'accordo, cercherò di spiegartelo in maniera tale da non farti arrabbiare. Ricordi quando abbiamo avuto quella discussione sull'assemblea della Confederazione e sulla scorta che accompagnerà la Picquery a Londra? So che mi hai detto di restare al mio posto, e ti assicuro che l'ho fatto, sul serio!» Sam prese un respiro profondo prima di continuare. «Poi non ce l'ho più fatta e ti ho disobbedito.»
Lei aggrottò la fronte. L'Auror al suo fianco estrasse da una tasca del cappotto quelli che a una prima occhiata le parvero un biglietto e una lettera con il sigillo del MACUSA, e che ad una seconda si rivelarono essere proprio un biglietto e una lettera con il sigillo del MACUSA.
Le ci volle qualche secondo per realizzare ciò che il suo collega aveva fatto.
Samuel Murphy, l'Auror più sfortunato d'America, era riuscito ad acchiappare la fortunata opportunità di entrare nella scorta della presidentessa, e lo aveva fatto perché lei potesse riunirsi con l'uomo che amava.
Le parole faticarono a uscirle di bocca.
«Quello è...»
«Un biglietto di seconda classe per una nave, sì. Ho contattato un'amica che ha trovato il modo di convincere i piani alti a chiudere un occhio sui tuoi "precedenti penali"... Il giorno dopo c'erano due lettere sulla mia scrivania.»
Tina afferrò con un gesto rapidissimo la lettera, divorandone il contenuto con gli occhi per accertarsi che quello non fosse un sogno.
Gentile signorina Goldstein,
siamo lieti di informarla che, a seguito di attente valutazioni da parte dei suoi superiori, la sua domanda è stata accolta, e che l'incarico richiesto è stato lei ufficialmente assegnato. Le verrà riservato un posto nella squadra che avrà l'onore di scortare l'illustrissima madama Seraphina Picquery, già presidentessa di questo congresso, all'assemblea straordinaria organizzata dalla Confederazione Internazionale dei Maghi, che si terrà in data 20 aprile a Londra, Gran Bretagna. La invitiamo ad apporre la sua firma nel documento in allegato a questa missiva, che verrà usato per ragioni puramente burocratiche. La esortiamo inoltre a rimanere aggiornata nel corso delle prossime settimane.
Con l'occasione porgiamo lei i più cordiali saluti,
Lawrence Faxon e Briar Hawthorne, consiglieri della presidentessa.
Si accasciò sulla panchina, stringendo al petto la lettera, gli occhi rivolti al cielo. Ringraziò silenziosamente chiunque avesse portato Sam a incrociare la sua strada, poi si ricordò che quest'ultimo era seduto proprio accanto a lei. Senza pensarci due volte, allargò le braccia e lo strinse tanto forte da soffocarlo.
«Tina... Tina, temo che le mie ossa non reggeranno ancora per molto...»
Lo liberò dalla sua stretta, guardandolo con un'espressione di autentica gioia dipinta in viso. «Come in nome di Deliverance Dane sei riuscito a fare una cosa del genere?»
Sam sfoderò un sorriso orgoglioso. «Be', pare che io non sia buono solo a portare sfortuna alla gente.» Un ramo si spezzò dall'albero sopra di loro e cadde a qualche centimetro dalla faccia del suo amico. «O a portare sfortuna a me stesso.»
Tina non riuscì a trattenere una risata, che contagiò anche il suo collega.
«C'è una condizione, però» affermò Sam quando si furono ripresi, prima di tirare fuori dalla tasca un secondo biglietto e sventolarlo con entusiasmo. «Devi farmi conoscere Newt Scamander!»
«Non ci credo!»
Non aveva mai provato nulla di simile nella sua vita, ne era certa. Percepiva solo l'euforia di quel momento, una forza totalizzante, in grado di farle dimenticare qualunque cosa al di fuori della prospettiva di toccare finalmente un suolo diverso da quello americano. Ogni fastidioso pensiero, ogni ridicola paranoia, tutto era annebbiato, come se si fosse appena presa una bella sbronza.
Ubriaca di gioia. Descriveva piuttosto bene la sensazione che la stava pervadendo.
Porpentina Esther Goldstein era ubriaca di gioia.
Non era solo l'idea del viaggio insieme a Sam a elettrizzarla. No, affatto.
A diffondere un'infervorante calore lungo tutto il suo corpo era l'immagine di una Tina al sicuro, di nuovo accanto a Newt. Chiuse gli occhi per lasciare che i ricordi rievocassero vecchie sensazioni: le braccia di lui che si stringevano attorno ai suoi fianchi, la pelle che si faceva rovente al solo tocco della sua mano, le labbra di lui che si scontravano con le sue...
Il cuore fece una capriola e una lacrima le percorse la guancia.
Questa volta però, del dolore non vi era alcuna traccia.
Era come se i più intimi desideri del suo cuore si stessero materializzando davanti ai suoi occhi uno dopo l'altro.
Una volta insieme, lei e Newt avrebbero potuto cercare Queenie, essere la squadra che erano stati prima che il destino li separasse. E santo cielo, non si sarebbero più sentiti così soli e distanti e...
Non poteva aspettare. Newt doveva saperlo.
Si protese verso Samuel Murphy e gli gettò entrambe le braccia al collo, lasciandolo piuttosto sorpreso.
«Grazie grazie grazie!»
«Ehi, lascia stare, non ho fatto nulla di che...»
«Scherzi?» Incrociò lo sguardo incredulo di Sam. «Ti sei fatto in quattro per avere quel posto, quei biglietti. Io stavo per rinunciarci, ma tu non hai mai smesso di crederci. Ed è solo grazie a te che adesso andrò a Londra e potrò rivedere Newt e...»
La gioia era così grande che non riusciva a trovare le parole giuste per esprimerla.
«Non c'è di che.»
«Santo cielo, devo andare a casa e scrivergli una lettera, immediatamente!»
«Ti accompagno, se ti va.»
Per un istante si guardarono in silenzio, immersi nel verde che nascondeva il mare. Poi sul viso di Tina spuntò un enorme sorriso. Un sorriso di autentica ammirazione per la persona generosa e incredibile che Samuel Murphy aveva dimostrato di essere.
In quel momento si rese conto di avere accanto a sé non solo un uomo, non solo un amico, bensì un inestimabile tesoro.
Sam era un tesoro di cui nessuno, a parte lei, riconosceva il valore. Ma andava bene così.
Perché Sam era e sarebbe rimasto il suo piccolo, grande tesoro.
Mise piede in casa senza nemmeno guardare l'orologio. Prese due biscotti da un barattolo e soddisfò il suo stomaco, poi tirò fuori carta, penna d'oca, calamaio e inchiostro, e iniziò a far correre la penna sul foglio di pergamena.
Veloce, come veloci erano i battiti del suo cuore.
Caro Newt,
probabilmente questa lettera ti giungerà nel cuore della notte, ma non volevo attendere per dare anche a te la splendida notizia. Le mie dita tremano mentre scrivo, il mio cuore freme di gioia, è una sensazione strana ma bellissima.
Ce l'ho fatta, Newt. Verrò a Londra per l'assemblea straordinaria della Confederazione Internazionale dei Maghi.
Verrò a Londra e potremo abbracciarci di nuovo.
So che non crederai ai tuoi occhi, leggendo. Non ci credo ancora nemmeno io. Ma è tutto vero. Dopo due lunghi, strazianti anni sta accadendo sul serio. Ho ottenuto un posto nella scorta che accompagnerà in Inghilterra la presidentessa Picquery grazie a un amico, Sam. Ti ricordi di Sam? Devo avertene parlato in qualche mia lettera. È stato lui a prendere l'iniziativa per entrambi. Non so come abbia fatto a ottenere quei posti, ma poco importa.
Quel che importa è che finalmente potrò rivederti, Newt. Non hai la minima idea di quanto io desideri riaverti accanto.
Per tutto questo tempo sei stato la mia luce, mi hai tenuta in vita. Ora potrò risentire il calore, di quella luce.
E questo basta per risollevare il cuore dal dolore.
Sbarcheremo a Southampton lunedì prossimo, nel primo pomeriggio. Trovarti lì al momento del mio arrivo mi renderebbe la donna più felice del mondo. Anche se so che, messo piede su quella costa, ti troverò comunque tra la gente, voglio che tu sia al porto quel giorno. Voglio che la nostra storia riparta da dove è terminata.
Ci vediamo presto, amore mio.
Tua, Tina.
P.S.: Ho promesso a Sam di presentarvi, è un tuo ammiratore. Per te va bene? Farò in modo che non duri molto, hai la mia parola. Ti amo.
Ripiegò la lettera, la adagiò in una busta e la affidò al cielo.
Non le importava se fosse stato un giorno, un'ora, un minuto. Le bastava riavere il suo fidanzato per tutto il tempo che le fosse stato concesso, dal primo all'ultimo attimo.
Sorrise, felice.
Tina Goldstein era finalmente felice.
SPAZIO AUTRICE
Eccomi tornata (questa volta, non dopo un mese). Sono super felice di aver ricominciato a pubblicare e vi annuncio che accadrà più spesso d'ora in avanti.
Questo capitolo farà felici molti di voi che hanno amato Newt e Tina da "Sotto la pioggia". Non potevo lasciarli lontani per troppo tempo. Ma non ringraziate me, direi che dovreste ringraziare Sam, piuttosto ❤️
Fatemi sapere come sempre se il capitolo vi è piaciuto lasciando un commento o una stellina. Noi ci vediamo molto presto... 👀
- Mavi.
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