19. 𝐒𝐞𝐧𝐬𝐢 𝐝𝐢 𝐜𝐨𝐥𝐩𝐚


[...] Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d'allegrezza spenti
di fuor si legge com'io dentro avampi.

- Francesco Petrarca

THESEUS' POV

La mattina del quattordici aprile 1930 i giornali riportavano in prima pagina l'ennesimo episodio di cronaca, avvenuto nella notte.

𝕷𝖆 𝕲𝖆𝖟𝖟𝖊𝖙𝖙𝖆 𝖉𝖊𝖑 𝕻𝖗𝖔𝖋𝖊𝖙𝖆

𝐁𝐋𝐈𝐓𝐙 𝐓𝐄𝐑𝐌𝐈𝐍𝐀𝐓𝐎 𝐈𝐍 𝐓𝐑𝐀𝐆𝐄𝐃𝐈𝐀

𝐴𝑑 𝑎𝑝𝑝𝑒𝑛𝑎 𝑢𝑛𝑎 𝑠𝑒𝑡𝑡𝑖𝑚𝑎𝑛𝑎 𝑑𝑎𝑙𝑙'𝑎𝑠𝑠𝑒𝑚𝑏𝑙𝑒𝑎 𝑠𝑡𝑟𝑎𝑜𝑟𝑑𝑖𝑛𝑎𝑟𝑖𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑐𝑜𝑛𝑓𝑒𝑑𝑒𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑖𝑛𝑡𝑒𝑟𝑛𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑒𝑖 𝑚𝑎𝑔ℎ𝑖 𝑢𝑛𝑎 𝑛𝑜𝑡𝑖𝑧𝑖𝑎 𝑠𝑐𝑖𝑜𝑐𝑐𝑎𝑛𝑡𝑒 𝑠𝑐𝑢𝑜𝑡𝑒 𝑖 𝑣𝑒𝑟𝑡𝑖𝑐𝑖 𝑑𝑒𝑙 𝑔𝑜𝑣𝑒𝑟𝑛𝑜 𝑚𝑎𝑔𝑖𝑐𝑜. 𝐿'𝑖𝑚𝑏𝑜𝑠𝑐𝑎𝑡𝑎 𝑜𝑟𝑔𝑎𝑛𝑖𝑧𝑧𝑎𝑡𝑎 𝑑𝑎𝑙 𝑀𝑖𝑛𝑖𝑠𝑡𝑒𝑟𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑚𝑎𝑔𝑖𝑎 𝑏𝑟𝑖𝑡𝑎𝑛𝑛𝑖𝑐𝑜, 𝑣𝑜𝑙𝑡𝑎 𝑎 𝑐𝑎𝑡𝑡𝑢𝑟𝑎𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑛𝑜𝑡𝑜 𝑐𝑟𝑖𝑚𝑖𝑛𝑎𝑙𝑒 𝑐𝑜𝑛𝑜𝑠𝑐𝑖𝑢𝑡𝑜 𝑐𝑜𝑛 𝑖𝑙 𝑛𝑜𝑚𝑒 𝑑𝑖 𝑆𝑖𝑐𝑎𝑟𝑖𝑜, 𝑒̀ 𝑡𝑒𝑟𝑚𝑖𝑛𝑎𝑡𝑎 𝑐𝑜𝑛 𝑢𝑛 𝑏𝑎𝑔𝑛𝑜 𝑑𝑖 𝑠𝑎𝑛𝑔𝑢𝑒 𝑠𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑝𝑟𝑒𝑐𝑒𝑑𝑒𝑛𝑡𝑖. 𝐿𝑜 𝑠𝑐𝑜𝑛𝑡𝑟𝑜 𝑒̀ 𝑎𝑣𝑣𝑒𝑛𝑢𝑡𝑜 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑛𝑜𝑡𝑡𝑒 𝑖𝑛 𝑢𝑛 𝑐𝑎𝑝𝑎𝑛𝑛𝑜𝑛𝑒 𝑎𝑏𝑏𝑎𝑛𝑑𝑜𝑛𝑎𝑡𝑜 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑝𝑒𝑟𝑖𝑓𝑒𝑟𝑖𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑐𝑖𝑡𝑡𝑎̀ 𝑑𝑖 𝐿𝑜𝑛𝑑𝑟𝑎. 𝑆𝑒𝑡𝑡𝑒 𝐴𝑢𝑟𝑜𝑟 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑚𝑜𝑟𝑡𝑖 𝑒 𝑡𝑟𝑒 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑎𝑡𝑡𝑢𝑎𝑙𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑟𝑖𝑐𝑜𝑣𝑒𝑟𝑎𝑡𝑖 𝑖𝑛 𝑐𝑜𝑛𝑑𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑐𝑟𝑖𝑡𝑖𝑐ℎ𝑒. 𝑇𝑟𝑎 𝑙𝑒 𝑣𝑖𝑡𝑡𝑖𝑚𝑒 𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒 𝑢𝑛 𝑢𝑜𝑚𝑜 𝑛𝑜𝑛 𝑎𝑛𝑐𝑜𝑟𝑎 𝑖𝑑𝑒𝑛𝑡𝑖𝑓𝑖𝑐𝑎𝑡𝑜.

Theseus sprofondò nella sedia, leggendo e rileggendo titolo e sommario finché non sopraggiunse un senso d'impotenza così forte da attanagliargli lo stomaco. Una lacrima solitaria gli scivolò sul viso, cadendo sopra la fotografia del luogo in cui era avvenuto l'incidente.
«Come...?» provò a domandare. Ma le parole rimasero incastrate tra la lingua e la gola e poi trascinate dal dolore giù, di nuovo sul fondo. Alzò la testa dal giornale e la prima cosa che fece fu cercare una risposta nello sguardo del suo consigliere. Amis se ne stava in un angolo, e in silenzio lo fissava intensamente. Lo compativa di certo. Forse anche lui sentiva incombere su di sé il peso di quello stesso tormento che affliggeva il suo capo.
«Non so come, né perché» disse Amis, con un tono di voce quasi impercettibile. «Ma c'è una cosa che dovresti sapere. Dicono che sia stato tu ad approvare l'operazione.»

L'afflizione sul suo volto scomparve non appena assorbì l'intero contenuto della frase. Chiuse il giornale, scuotendo la testa.
«No... Non ho approvato un bel niente, di certo non questo!»
«Theseus, stammi a sentire. Può darsi che tu non ricordi, tra gli impegni e...»
«No!»
Si alzò in piedi con uno scatto. Il giornale atterrò sul pavimento. L'impatto fu piuttosto violento, tanto che per un secondo l'ufficio parve tremare.

Si sentiva ribollire di tutto dentro: amarezza per la morte dei suoi uomini, rabbia per la diffidenza che Amis stava mostrando nei suoi confronti, senso di colpa per essere stato assente a causa di quel dannatissimo piano di sicurezza da preparare per l'assemblea della Confederazione. Tutte quelle emozioni tutte insieme gli fecero per un attimo perdere la testa. Si sentiva come se avesse bevuto cinque bicchieri di Whiskey Incendiario di fila: la testa annebbiata da una sensazione sconosciuta, le fiamme nello stomaco alimentate dall'adrenalina, tutto lo faceva tornare con la mente al periodo più buio della sua vita. Aveva perso qualsiasi traccia di lucidità. Ed era bastato un solo, minuscolo istante per causare l'esplosione.
«D'accordo, cerca di tornare rilassato...»
«Rilassato! Proprio il momento migliore per rilassarsi!»
«Theseus...»
Lui non stette a sentire. «Dammi un motivo - un solo, dannatissimo motivo - per cui io dovrei mentirti Amis. Credi sul serio che avrei approvato una missione palesemente suicida in un momento difficile come questo?»
«Theseus, ora calmati. Va tutto bene, fai un respiro profondo.»
«Niente va bene! Sette persone sono morte, Amis! Sono morte!»

Quell'esclamazione si trascinò dietro una potenza sconfinata, che più che colpire Amis colpì lui. Il consigliere lo guardò, tristemente consapevole di quello che sarebbe accaduto di lì a poco.
Non ci volle molto infatti perché Theseus si rendesse conto di quello che aveva detto e di come lo aveva detto.
Risentì la frase come una violentissima eco nella testa, un'eco che premeva sul cuore. La rabbia scivolò via dal suo corpo, lasciandolo senza più parole né lacrime da versare.
Solo sconforto. Solo un tremendo, fulmineo sconforto.

Ricadde sulla sedia in silenzio, abbandonandosi piano al dolce supplizio del dolore. Si prese il volto tra le mani, non osando guardare Amis. Quest'ultimo dall'altra parte mantenne un ammirevole contegno, dimostrando di rispettare ancora l'uomo che gli stava di fronte, nonostante quello che era appena accaduto in quella stanza.
Quando il nodo nella sua gola si sciolse, Theseus ritrovò la forza di parlare.
«Quando saranno i funerali?» chiese mestamente.
Agli occhi del consigliere, quella doveva risultare una scena a dir poco pietosa. Per una frazione di secondo desiderò che Amis girasse i tacchi e uscisse dalla porta, dicendogli che era impazzito, che si era immaginato tutto.
Ma ciò non accadde.
«Domani» dichiarò Amis Shacklebolt.

Domani.
Quella parola spense l'ultima fiammella di speranza rimasta accesa nel suo cuore martoriato.

Ricacciò indietro le lacrime, annuendo. Non poteva fare altro dopotutto.
«Grazie, Amis. E...»
Fu interrotto dall'altro. «Scuse accettate. È una brutta situazione. È naturale reagire.»
Non gli servì dire altro. Il suo consigliere si era già avvicinato alla porta, come se gli avesse letto nel pensiero. Amis era fatto così, riusciva a capirlo in uno sguardo.
«Se posso fare qualcosa per te sai dove trovarmi» concluse, e sparì dietro la porta.

I funerali furono strazianti. Le sette casse di legno furono posizionate da alcuni colleghi delle vittime davanti alla pedana dove il ministro della magia pronunciò il suo discorso, onorando il coraggio e la dedizione di quegli otto Auror "caduti combattendo nel nome della Giustizia". I familiari dei defunti, seduti nelle prime file, piansero per tutta la cerimonia, chi in silenzio, chi esternando il proprio dolore con singhiozzi e lamenti.
Theseus non ascoltò neanche una parola dell'interminabile sermone di Torquil Travers. Per tutto il tempo non riuscì a distogliere l'attenzione dalle bare, che continuarono immobili la loro penosa sfilata.

Prima della processione posò un mazzo di fiori bianchi accanto alla fotografia ingiallita di ogni vittima. Guardò per l'ultima volta i loro visi attraverso le cornici, pregando che potessero perdonarlo per non essere stato abbastanza vicino a loro, ovunque essi fossero. Tutto questo senza proferire parola, sotto gli occhi di tutti.
Un numero indefinito di paia di occhi che lo scrutavano pieni di ostilità.
Quando tornò accanto ad Amis si lasciò scappare una lacrima, ma non fu il solo.
Un paio di panche dietro di lui a versare gocce salate sul tappeto verde c'erano gli unici due occhi che non si erano sollevati per colpirlo con invisibili dardi d'odio.
In piedi a testa bassa al fianco di Archie Calix, Charlotte Malfoy piangeva. Percepì le lacrime della donna come se gli scivolassero sulla pelle, il suo cuore addolorarsi da metri di distanza.
Perché anche il suo, di cuore, piangeva e sospirava.

Solo nel suo ufficio, Theseus analizzò per l'ennesima volta il piano di sicurezza per il giorno dell'assemblea. Mancava meno di una settimana all'evento, e il solo pensiero lo riempiva d'inquietudine. Tutto dipendeva da quell'unico evento e lui lo sapeva. Il suo ruolo all'interno del Ministero era stato messo in discussione dagli ultimi avvenimenti: un solo passo falso e avrebbe potuto dire addio alla sua carriera. Sarebbe stato costretto a cercarsi un altro lavoro, con tutti i disagi che ne sarebbero conseguiti. Era una prospettiva pessimistica, ma terribilmente reale. Il rischio era più vicino di quanto pensasse. E il motivo principale di ciò era che il Ministro della magia ce l'aveva a morte con lui.

Lui e Travers avevano parlato quella stessa mattina. Il ministro non era sembrato per nulla contento di vederlo. Aveva chiesto spiegazioni per quanto riguardava il blitz, quello che lui non aveva approvato e che aveva portato alla morte di sette Auror. Messo con le spalle al muro, Theseus aveva fatto la cosa che aveva reputato la più dignitosa: dire a Torquil Travers nient'altro che la verità, sostenere con tutte le sue forze che non aveva ordinato alcuna incursione straordinaria e che la voce era girata a sua insaputa.
Il Ministro della magia non gli aveva creduto, e anzi si era infuriato ancora di più. Naturalmente, c'era da aspettarselo. Nessuno riponeva più uno straccio di fiducia in lui. Gli Auror al Dipartimento in primis, anche se tentavano di nasconderlo. Theseus però percepiva ogni loro sguardo circospetto, ogni gesto nervoso, ogni parola sussurrata alle sue spalle.

Dopo il funerale delle vittime, l'atmosfera al Dipartimento era completamente cambiata, così come era mutata la sua immagine agli occhi di tutti. La stima si era trasformata in disprezzo, la fiducia in diffidenza. Aveva cercato in ogni modo di sistemare le cose, mostrandosi disponibile e cordiale con tutti, sostenendo i colleghi che più avevano sofferto. Ma una toppa non ripara sul serio un vestito, così come le condoglianze, per quanto sincere, non avrebbero cambiato la sorte di quei sette sfortunati uomini. Coprire il danno non sarebbe servito a migliorare le cose. La morte è sempre morte, irreversibile e ineluttabile. Lui per primo avrebbe dovuto saperlo. Aveva versato lacrime su lacrime, gridato e pregato, ma nessuno gli aveva mai riportato indietro la sua Leta. Lei apparteneva alla morte, così come tante altre anime.

Quel che la morte si porta via non lo restituisce. E allora le opzioni per gli uomini sono due: vivere nel più atroce dei dolori o accettare la verità così com'è.

Lui, dopo aver provato sulla sua pelle quanto la prima potesse essere distruttiva, aveva scelto la seconda via. Eppure c'era ancora qualcosa che lo faceva sentire nel peggiore dei modi. Per quanto si sforzasse, una parte di lui non riusciva a fare a meno di sentirsi responsabile di tutte quelle morti. Ma con chi poteva parlare, con chi poteva sfogarsi? Ormai non gli credeva più nessuno, a parte Amis e Charlotte.

Charlotte.

Tra tutti i pensieri che gli vorticavano in testa, quello di lei era il più frequente. Non faceva altro che rievocare la sua espressione terrorizzata alla vista di quell'unica goccia di sangue sul foglio di carta, quella che aveva scosso in lui la preoccupazione e la paura. Nonostante l'avesse chiamata, lei non gli aveva detto niente: era corsa giù dalle scale di Villa Whetley, sparita e poi ricomparsa, dispensando consigli e parlando con i colleghi. Non aveva senso, era stato il suo primo giudizio. Aveva temuto che le fosse successo qualcosa, ma non aveva avuto il coraggio di parlarle subito, così era stato zitto e basta. Il giorno dopo però gli si era presentata di fronte un'occasione, una possibilità di farle capire che desiderava solo aiutarla, sapere che stava bene. Lei gli era sembrata distante mille oceani, fino a che non aveva sentito la parola insieme. Una speranza si era accesa nel suo cuore, ma era stata soppressa sul nascere. "Non posso", aveva detto Charlotte.

Che cosa significava? Davvero c'era qualcosa che non andava? Qualcosa di talmente grosso da non poterlo confidare nemmeno a lui?

Si era posto quelle domande più e più volte, senza trovare una risposta convincente. Il tormento era divenuto sempre più acuto ipotesi dopo ipotesi. In più dopo l'ultima conversazione, ogni volta che si incrociavano per i corridoi del Dipartimento lei si limitava a salutarlo con un sorriso. Un sorriso effimero, che svaniva l'istante dopo essere comparso. Quel muro tra di loro lo affliggeva più di quanto non desse a vedere.

Poi un giorno, per caso, aveva intravisto Charlotte insieme ad Archie Calix durante una pausa dal lavoro. Calix aveva sempre mostrato un grande interesse verso la giovane Malfoy, fin da quando lei era ancora una recluta. Lo ricordava piuttosto bene: era il periodo in cui lui e Leta si erano messi insieme. Charlotte all'epoca era solo una ragazzina entusiasta di aver ottenuto il lavoro dei suoi sogni, mentre Archie Calix un Auror di gran lunga più esperto di lei, che si era offerto per farle da mentore.
Ne erano passati, di anni. Lo stesso non si poteva dire della grande attrattiva che Charlotte Malfoy esercitava sul collega, a sua apparente insaputa.

Per quanto Theseus ne sapesse — ossia non molto — lei non aveva mai ricambiato le attenzioni di lui. Charlotte era un tipo loquace, fatta eccezione tuttavia per quanto riguardava le questioni sentimentali. Che le cose tra lei e Calix si stessero evolvendo in maniera significativa? In quel caso sarebbe stato entusiasta per lei: insomma, perché non avrebbe dovuto esserlo? Forse la presenza di una figura al suo fianco nella quale riporre affetto le avrebbe fatto bene.
Forse, Calix sarebbe stato più bravo di lui nel renderla felice.
Quel pensiero si propagò come un impulso in tutto il suo corpo, solleticandogli i nervi più in profondità, provocandogli un senso di risentimento.

Gettò da una parte la piantina del Ministero che stava studiando, nel disperato tentativo di concentrarsi su un qualcosa che potesse tenere impegnato abbastanza a lungo il suo cervello. Ma era l'equivalente di un labirinto senza uscita: qualunque strada la sua mente prendesse, lo riportava sempre al punto di partenza, ossia il pensiero che a Charlotte potesse essere capitato qualcosa che l'avesse spinta a prendere le distanze da lui.

Decise di lasciar perdere le carte e chiudere baracca. La sua concentrazione era già morta da un pezzo. Fisicamente era ancora nel suo ufficio al Ministero della magia, ma la sua mente era proiettata altrove, impegnata a passare al vaglio uno dopo l'altro i tormenti che scuotevano il suo animo.
Tirò fuori dalla tasca della giacca il piccolo orologio dorato di suo padre. Segnava le sette meno un quarto.
Forse, si disse, per quel giorno era meglio staccare la spina.

Non seppe esattamente cosa lo spinse a ricordarsi della lettera. Gli era arrivata il giorno dell'episodio a villa Whetley, in maniera del tutto inaspettata. L'aveva tirata fuori dalla cassetta della posta di malavoglia, con la testa che ancora vagava alla ricerca di una spiegazione per quanto accaduto quella mattina. Poi aveva letto il nome del mittente ed era entrato in casa, confuso. Non aveva esitato — la curiosità era troppa — si era seduto sul divano e l'aveva aperta.
Il contenuto lo aveva lasciato stordito. Era crollato sul divano in silenzio, la lettera nella mano sinistra, sospeso tra la gioia, l'incredulità e quel timore di cui non si sarebbe mai liberato, che forse più lo accomunava a suo fratello.

La paura di non essere abbastanza pronto, abbastanza forte, abbastanza e basta.

Allungò la mano per aprire il cassetto della scrivania dove di solito conservava i documenti più importanti, tra cui la corrispondenza. Era lì che aveva infilato la lettera.
Vi frugò un po' all'interno, poi diede un'occhiata più approfondita. Alzò tutti i documenti, li sfogliò, li tirò fuori e li ripose al loro posto. Della lettera non c'era nessuna traccia.
Impossibile. Era sicuro di averla con sé. L'aveva portata da casa quella stessa mattina per rileggerla con più attenzione. A meno che un gufo non l'avesse scambiata per una comunicazione ufficiale, doveva per forza essere lì da qualche parte.
«E dai... Andiamo, dove sei?»

Passò il successivo quarto d'ora a mettere a soqquadro il suo ufficio. Ribaltò gli scaffali, cercò sotto i faldoni, sotto i riconoscimenti, persino sotto le fotografie.
Esausto e disperato si guardò intorno. Aveva trasformato quella stanza in un totale disastro. In undici anni di carriera non aveva mai visto il suo studio ridotto in quel modo. "Se non altro ora riflette davvero Theseus Scamander", pensò con una punta di amarezza.

Si massaggiò le tempie nella speranza di riuscire a ripercorrere i suoi passi con l'immaginazione. Restò così per qualche secondo, in piedi in mezzo a quello che sembrava un campo di battaglia.
Poi finalmente alzò lo sguardo e vide il piolo dietro la porta che lo osservava. Il suo cappotto non c'era.
«Dannazione!» imprecò.
La lettera non era nel suo ufficio, ma nella tasca del suo cappotto.
Ma dove lo aveva lasciato, il suo cappotto?
Si fermò a riflettere, precipitandosi fuori dalla porta non appena la risposta emerse dai meandri della sua testa.

Avrebbe sistemato il suo ufficio il giorno dopo. Nessuno sarebbe entrato.
Per una volta si sarebbe goduto i suoi privilegi da Capo Dipartimento.

Imboccò il corridoio a destra cercando di apparire il meno concitato possibile. Per fortuna, a quell'ora molti Auror si erano già ritirati. Incrociò solo un paio di colleghi, che oltrepassò accennando un saluto.
Non ricordava che la sala addestramenti fosse così distante.

Spinse la porta aspettandosi di entrare in un ennesimo angolo silenzioso e vuoto. In effetti dentro quelle quattro mura regnava la tranquillità, che tuttavia circondava una piccola presenza, in piedi davanti ad una grossa bacheca zeppa di fogli e appunti di ogni genere collegati con fili rossi e blu.
Entrò talmente immerso nei suoi pensieri che si accorse di lei solo quando alzò lo sguardo dal pavimento. Charlotte sobbalzò e si voltò appena udì dei passi dietro la sua schiena, nascondendo con la mano alcuni documenti e fotografie.
«Theseus... sei tu» disse sollevata. La sua voce uscì quasi come un sussurro.
«Charlotte? Che ci fai qui?»

Era sorpreso di vederla in quel posto tanto quanto lo era lei. Per ragioni diverse, nessuno dei due si sarebbe aspettato di rivedere l'altro proprio nel luogo in cui, fino a poco tempo prima, avevano riso e condiviso la gioia per i piccoli trionfi della ragazza. Sembrava un posto diverso ora che si era creata quella sorta di distanza tra loro.
Eppure, in qualche modo, rimaneva sempre lo stesso luogo.
«Avevo bisogno di un posto dove sistemare tutti gli appunti che ho preso sul caso di Kama e su quello di Abraham Whetley. Ho trovato una bacheca in un angolo. Uno dei lati era vuoto, così...»

Non terminò la frase. Puntò invece i suoi occhi azzurri su di lui, facendolo sentire osservato.
«Credevo fossi impegnato con la storia del piano per l'assemblea...»
«Lo ero. Ho dimenticato il cappotto.»
Decise che tagliare corto era il modo migliore per non farsi coinvolgere troppo dalla situazione. Era evidente che né lui né Charlotte volessero parlare di quello che era successo nell'archivio. Anche se Theseus notò che nel viso di lei c'era qualcosa di strano, tentò di lasciar scivolare quel dettaglio in secondo piano.

Appena adocchiò il cappotto si diresse verso di esso e lo afferrò, ostentando un distacco eccessivo, vuoi per orgoglio, vuoi per la confusione che stava tornando a invadergli la testa. Quasi non udì la domanda successiva di lei.
«Sei stato qui stamattina?»
Arrestò il passo, il cappotto sotto braccio. «Solo per un po'.»
Solo il tempo in cui ti ho aspettata.
Le aveva nascosto un biglietto nel libro il giorno prima, per invitarla ad una sessione di addestramento. Sessione a cui lei non si era presentata. Sapeva che sarebbe finita in quel modo, eppure aveva atteso con impazienza il suo arrivo. Forse Charlotte non aveva ricevuto l'invito, ma lo credeva improbabile. Piuttosto, era possibile che avesse intuito le sue vere intenzioni e si fosse assentata di proposito.

Per lei era stata l'occasione di fuggire da lui, per lui l'ennesimo tentativo di riavvicinarla andato in fumo.

Forse la colpa era solo sua. Forse era lui ad aver sbagliato tutto. Non sarebbe stata di certo una novità, né la prima volta che puntava alla felicità e calcolava male la mira. Forse le cose si sarebbero aggiustate da sole con il passare dei giorni, come accadeva sempre tra lui e Charlotte.
Merlino, quanto detestava tutti quei forse. Avrebbe dato tutto pur di avere anche solo una minuscola certezza a cui aggrapparsi, qualcosa che gli permettesse di respirare. Ma non aveva nulla, eccetto quella dannatissima manciata di dubbi che lo rendeva decisamente nervoso.

Non si aspettava alcuna risposta dalla donna, che infatti si chiuse nelle spalle, abbassando gli occhi. Non una parola, non una reazione. Il che, da parte di Charlotte, era decisamente inusuale.
Non lo avrebbe ammesso ad alta voce di fronte a lei nemmeno sotto tortura, ma gli dispiaceva sul serio vederla così. Era abituato alla sua voce squillante e al suo tagliente umorismo, non ai suoi silenzi.
Non poteva lasciarla sola così, con quel freddo scambio di battute che avrebbe riecheggiato per i lunghi minuti a venire, forse opprimendo ancora di più la povera

Theseus sospirò, dando le spalle alla porta. Non poteva migliorare le cose, ma poteva usare la strategia che funzionava quasi sempre quando si trattava di alleggerire conversazioni spiacevoli.
«Su quel tavolo ci sono dei dossier che potrebbero esserti utili, comunque. Li ho raggruppati stamattina. Non ho trovato casi simili al nostro, ma ci sono molti articoli di giornale degli ultimi mesi. Mi sono serviti per azzardare diverse teorie. Te ne parlerei, ma temo di dovermi congedare. E fossi in te non andrei in giro per Londra da sola di notte, con i tempi che corrono.»
«So badare a me stessa, ti ringrazio.»
Perlomeno aveva reagito, convenne Theseus tra sé e sé. Era un passo avanti. «Come vuoi. Suppongo che noi due ci rivedremo in giro.»

Le rivolse il sorriso più convincente che riuscì ad accennare, si infilò il cappotto ma non riuscì ad uscire dalla stanza.
«Theseus?»
Il suono del suo nome lo attirò di nuovo all'interno. Si maledisse per quel secondo di esitazione che lo aveva trattenuto abbastanza da sentire quella voce richiamarlo. Si voltò per incrociare lo sguardo vacuo di Charlotte che lo fissava dall'altro lato della stanza, in attesa. La squadrò un paio di volte, più attentamente, e finalmente capì cosa in quel viso sempre così acceso rendesse Charlotte diversa dal solito. Sembrava che qualcosa o qualcuno avesse prosciugato l'intero serbatoio delle sue energie, lasciandole solo un guscio all'apparenza vuoto che in realtà racchiudeva un'anima stanca.

L'impulso fu quello di risponderle, di inventare qualche banale scusa, della serie: "Sono in ritardo per un appuntamento", o: "Ho delle faccende urgenti da sbrigare". E in una situazione qualunque lo avrebbe fatto senza esitazioni.
Ma quella non era una situazione qualunque. In più, riguardava Charlotte.
E come in ogni situazione non qualunque che riguardava Charlotte, lui si trovò in difficoltà su come agire.
«Vieni qui. Devo farti vedere una cosa.»

Devo farti vedere una cosa. Ma certo. Che cosa si aspettava? Un abbraccio e un grazioso: "Mi dispiace tanto, sistemiamo tutto"? Intuì che Devo farti vedere una cosa fosse un altro modo per chiedergli di restare con lei. O forse era un modo per testarlo?
Smettila di fissarti sulle cose.
Era un suo grande difetto. Si fissava su certi pensieri o parole che lo rendevano irrequieto. Dopo un po' queste diventavano una specie di ossessione che lui cercava di allontanare, invano. Detestava il caos, purtroppo però la sua anima non era una stanza.
Le anime sono difficili da riordinare.

Si guardarono negli occhi per un interminabile istante. Lei non aveva l'espressione di chi supplicava, né di chi si era già rassegnato in partenza. Sapeva bene che, nonostante l'esitazione, alla fine lui avrebbe ceduto.
E lui cedette, diamine. Come poteva dirle di no? Come poteva andarsene e voltare le spalle alla donna che lo aveva fatto rinascere dalle sue ceneri?
Sarai la mia rovina, Malfoy.
Theseus attraversò la stanza e si mise al fianco della sua collega.

Lei risentì di quell'improvvisa vicinanza e iniziò a fissare la bacheca di fronte a lei, senza guardarlo in volto nemmeno una volta. Questo almeno finché non cominciò a parlare.
«Dunque, credo di aver scoperto dei collegamenti... ma anche degli elementi contrastanti. Ho studiato attentamente le dinamiche di entrambi gli omicidi e sono partita da una teoria plausibile, ossia che l'assassino di Kama sia lo stesso uomo che ha ucciso Abraham Whetley, e che entrambi gli omicidi fossero in qualche modo riconducibili, direttamente o indirettamente, al nostro caro Gellert Grindelwald. Su questa strada ho analizzato i rapporti che sono arrivati dal ministero francese. Mi sono concentrata in particolare sull'interrogatorio dell'oste.»
«È stato tenuto un paio di settimane fa, se non sbaglio. Ricordo che la sua testimonianza fosse simile a quella di Duhamel.»
«Sì, i fatti coincidono. È un buon segno: significa che con buona probabilità entrambi hanno detto la verità. Ho tralasciato il racconto generale della serata, però. Mi sono interessata ai dettagli.»

Charlotte sfogliò i documenti che aveva preso in mano, sfilando da essi il rapporto stilato dagli Auror francesi durante l'interrogatorio dell'oste e allungando lui il foglio. Theseus notò immediatamente alcune leggerissime sottolineature a matita.
«Sono tue le sottolineature?»
La ragazza annuì. «Sì. Quella che hai in mano è una copia del rapporto, me l'ha procurata Amis. Ci sono due parti di quella confessione che hanno attirato la mia attenzione. La prima e più importante è quella in cui l'oste descrive la fisionomia dell'uomo che era con Kama quella sera.»
«L'uomo dal coltello d'argento?»
«Esatto, il nostro presunto assassino. Lo descrive come un uomo non troppo alto e non troppo giovane, ma piuttosto in forma, con un mantello e il volto pieno di cicatrici. I francesi hanno abbozzato un identikit, ma te lo risparmierò, è imbarazzante. Pensaci però: com'era l'uomo che ci ha mostrato l'incantesimo a casa di Whetley?»

Provò a rievocare l'immagine nella sua testa. Fu più difficile di quanto avesse immaginato. Quando ripensava al sopralluogo a villa Whetley, tutto ciò che gli tornava in mente era l'improvvisa fuga di Charlotte. Più che la fuga in sé, era l'apprensione che questa aveva provocato in lui a tornare vivida, tangibile, ogni volta che ricordava l'episodio. Cercò di allontanare tuttavia il resto e concentrarsi solo sulle figure dorate che lui stesso aveva evocato quel giorno. Visualizzò quella dell'uomo con il pugnale, scoprendo un impressionante somiglianza con la descrizione fornita dal proprietario dell'osteria.
«Ora che mi ci fai pensare corrisponde al profilo...»
«Esatto. Ora, passiamo un attimo a Whetley. Approfondendo le indagini su di lui hanno scoperto ciò che avevo ipotizzato io, e cioè che avesse rapporti con Gellert Grindelwald. Era la sua cassaforte di informazioni riservate, una sorta di centralino. Gestiva buona parte dei suoi affari. Hanno trovato di tutto, nel suo studio: contabilità, contatti dei più disparati professionisti del settore criminale, e una lettera. Questa lettera. Datata ventisette marzo, tre giorni prima dell'omicidio.»

Con un gesto, Charlotte alzò al cielo una busta bianca, lasciandolo più che sorpreso, attonito. Come cavolo aveva fatto a ottenere quella lettera?
«Come l'hai avuta?»
Lei scrollò le spalle. «Un favore da un amico.»
«Capisco...»
Lei gli allungò la lettera, lui la afferrò e i loro sguardi finalmente si incrociarono. Seguì un momento di strana tensione: Charlotte lo scrutò con un leggero sdegno, lui ricambiò con un'occhiata circospetta.
«Tornando a noi,» riprese la ragazza subito dopo «indovina chi l'ha scritta? Ricordi la nostra vecchia amica Vinda Rosier? Molto bene, quella è la sua calligrafia e c'è la sua firma. A quanto pare ha altri compiti che differiscono dal fare la leccapiedi a Gellert Grindelwald.»

Aprì la lettera con cautela, quasi come avesse paura che fosse avvelenata. Ovvio che si ricordava di Vinda Rosier. Era al centro del cerchio di fuoco accanto a Grindelwald la notte in cui Leta era stata uccisa. Non aveva mai smesso di volerla ammazzare da allora, insieme a quello che lei chiamava "signore", che era tutto fuorché un gentiluomo.
«Immagino abbia scritto questa cosa per conto di Grindelwald.»
«Sì. Vinda afferma che il suo signore vuole urgentemente contattare un sicario per uccidere un uomo, che rimane nell'anonimato più totale. Grindelwald però non voleva un sicario qualunque: aveva bisogno del migliore in circolazione. Ed era disposto a pagare una bella cifra in cambio dei suoi servizi. L'uomo che voleva uccidere era un ostacolo.»
«Forse un seguace ribelle, come la sorella di Tina. Non capisco quale sia il punto, però.»

Charlotte si voltò nella sua direzione, l'espressione più concentrata che mai. «Ho ragione di credere che l'uomo a cui si riferisse Grindelwald fosse lo stesso che si sia presentato a casa di Whetley per impedirgli di contattare il sicario che avrebbe dovuto farlo fuori.»
«Ha senso. Ha ucciso Whetley, poi ha trovato il contatto del sicario e lo ha portato con sé. E questo spiega...»
«Il foglio con i contatti strappato a un'estremità. A questo punto, riagganciando il discorso su Kama, forse potremmo avvicinarci al nostro uomo dal coltello d'argento. La stessa persona ha ucciso due uomini, uno a Parigi e uno a Londra, e ha fatto poi sparire le sue tracce. Anche se di tracce ne ha lasciate, e per nostra fortuna non è passato abbastanza inosservato.»

Era una buona teoria, bisognava ammetterlo. Tuttavia, Theseus si prese del tempo per riflettere. Non sapeva perché, ma aveva il sentore che ci fosse un nota sbagliata in quella battuta, un tassello che non ne voleva sapere di andare al suo posto.
«C'è qualcosa che non mi torna, però» dichiarò, spezzando il silenzio. «Se questo tizio ce l'aveva con Grindelwald, perché far fuori Kama? Che ruolo ha Yusuf Kama in tutta questa storia?»
Charlotte sospirò. «Forse il nostro amico aveva più segreti di quanti immaginiamo.»
Si scambiarono un'occhiata fugace, perché Charlotte distolse rapidamente gli occhi, tornando a fissare il pavimento.

No, non ci voleva credere. Kama era un brav'uomo. Si era mostrato volenteroso di riscattare il proprio nome e a Rio aveva agito con la più nobile delle intenzioni, proprio come tutti loro. Non poteva dire di essersi sempre fidato di lui, ma sapeva quanto il francese tenesse a Leta Lestrange. Gli aveva raccontato tutto dopo che Tolliver lo aveva accusato ingiustamente di tradimento: gli aveva confessato che Leta era stata la sua unica famiglia per anni, e che anche lui aveva sofferto per la sua morte, perciò lo capiva. Kama non avrebbe mai lavorato per l'assassino della sua sorellastra. I suoi principi morali erano forti quanto quelli di Theseus. O meglio, lo erano stati. Si rifiutava di considerare la prospettiva di Yusuf Kama trascinato in affari con Gellert Grindelwald.

Forse era troppo coinvolto emotivamente. Per fortuna però, prima che la rassegnazione lo assalisse, il suo sguardo cadde sulle fotografie appese alla bacheca. Le studiò attentamente per qualche secondo, sgranando gli occhi.
«Forse l'uomo dal coltello d'argento non ha ucciso Kama» mormorò, sorpreso della sua stessa intuizione.
Non gli servì voltarsi per vedere l'espressione attonita di Charlotte. «Scusa, che hai detto?»
«Forse l'uomo che era con Kama quella sera non lo ha ucciso. O forse sì, ma non ha ucciso Whetley.»

Si avvicinò alla bacheca e staccò le due fotografie arrivate qualche giorno prima da Parigi e dall'ospedale San Mungo. Erano le stesse che avevano usato gli Auror francesi e inglesi per aprire le prime inchieste. Senza badare alle lamentele di Charlotte, le dispose sul tavolo a pochi metri da loro, illuminandole con la bacchetta.
«Ho analizzato alla perfezione tutto quello che è arrivato dal ministero francese, non può essere! Per l'amor del cielo, Scamander, ti rendi conto che stai letteralmente facendo a pezzi la mia teoria?»
«Non la sto facendo a pezzi. Ti sto solo aprendo un'altra strada.»
Lei lo seguì a malincuore, fino a piantarglisi di fronte a braccia conserte. «Sentiamo qual è questa strada.»

Si schiarì la voce, spostando la luce in maniera tale che illuminasse un punto preciso della prima fotografia.
«Fino ad ora abbiamo supposto che l'assassino di Whetley e quello di Kama fossero la stessa persona...»
«Sì, stai facendo il riassunto della conversazione fino a questo momento.»
«... ma non è sicuro che effettivamente siano la stessa persona, giusto? Potrebbero anche essere due persone diverse. Mi segui?»
«Sì, ma come spieghi la somiglianza tra i due casi? La stessa arma del delitto, le piume di corvo...»
«Lascia stare le piume di corvo e guarda qui.»

Charlotte seguì il suo sguardo con diffidenza, fissando il punto che lui stava indicando con la bacchetta. Era un punto all'altezza del collo di Kama, dove erano rimasti i segni visibili della ferita che gli era stata mortale.
«Non sono un medico, ma una cosa la posso notare. Questa ferita non è inflitta con precisione, perché vicino c'è un segno più piccolo. Lo vedi?»
«Sì... sì, lo vedo» Charlotte sembrava piano piano comprendere il suo discorso.
«Bene. Ora, guarda la ferita sul collo di Whetley. È di una terribile precisione. Un taglio netto, e forse anche più profondo.»
«Pensi che le ferite non possano essere state inflitte dalla stessa persona?»
Theseus annuì. Non era sorpreso del fatto che Charlotte lo avesse anticipato, tutt'altro. «Penso che sicuramente non possa essere stata la stessa mano. E c'è un'altra cosa.»

Theseus riprese la confessione dell'oste, finita sotto le fotografie. La allungò a Charlotte, indicandole un dettaglio che lei stessa aveva già rilevato. Qualche riga sotto la descrizione della fisionomia dell'uomo che era con Kama la sera del suo omicidio c'era infatti un'altra sottolineatura.
«Lo hai notato anche tu questo dettaglio. L'oste dice di aver visto l'accompagnatore misterioso uscire dalla locanda, seguito da Kama, che tuttavia si è fermato al bancone chiedendo una penna prima di seguire l'altro uomo. Subito dopo di loro è uscito Dermot Duhamel. Qualche minuto dopo Duhamel è uscito l'oste stesso, per gettare nella spazzatura un bicchiere sbeccato. E a quel punto, prima di rientrare nel suo locale, ha visto un uomo recarsi in un vicolo laterale da dove provenivano due voci. Se le voci erano quelle di Kama e dell'uomo dal coltello d'argento, abbiamo un terzo sospettato che potrebbe aver ucciso il primo.»
«Santo Merlino, allora non era un dettaglio inutile...»

Charlotte rimase sconvolta. Lo scrutò un paio di volte, forse per accertarsi che quelle parole fossero veramente uscite dalla sua bocca. Lui non replicò, attendendo la sua risposta.
«Questo... Questo cambia tutto!»
«Di certo spiegherebbe la questione dei moventi, i tagli...»
«Santo cielo, come ho fatto a non accorgermene prima?»
«Te ne sei accorta.»
«Sì, ma l'ho lasciato perdere dopo che Duhamel ha detto di non aver sentito nulla il giorno del suo interrogatorio. Diamine, sono stata una stupida!»
«Non credo sia stata una cosa stupida. Anche le menti più geniali hanno bisogno di una spintarella, ogni tanto.»

Si scambiarono uno sguardo. Non poteva leggere i pensieri di Charlotte Malfoy, ma dal suo sguardo capì di averla lasciata profondamente colpita. Fu tanto colpita che gli sorrise persino.
Non si rese conto di quanto gli fosse mancato vederla sorridere fino a quel momento.

La ragazza fece un paio di giri in tondo immersa in chissà quali pensieri. Quando ebbe formulato un'idea si voltò di nuovo nella sua direzione. L'energia era tornata a scorrerle nelle vene. Tutto d'un tratto, Charlotte Malfoy pareva essere rinata.
«Non abbiamo la descrizione dettagliata del volto dell'uomo che era con Kama, perciò potrebbe esserci una semplice somiglianza fisica tra lui e l'assassino di Whetley. La piuma di corvo potrebbe essere un qualcosa di fortuito. Sui rapporti dei due casi con Grindelwald possiamo lavorarci. Ora, abbiamo bisogno della conferma che ci fosse un terzo uomo la sera dell'omicidio di Kama. Quanta gente c'era quella sera in osteria?»
«Non molta, secondo l'oste. Un gruppo di giocatori d'azzardo mezzi ubriachi, Kama e l'uomo misterioso, Duhamel e un uomo che è stato raggiunto da un altro, dopo che Kama è uscito.»
«Quanti di loro sono già stati interrogati?»
Theseus rifletté. «Oltre a Duhamel, il ministero francese ha detto di aver interrogato i giocatori d'azzardo e l'oste.»
«Centro. Ci serve l'altra persona al tavolo. Le altre due persone. L'uomo che è entrato dopo potrebbe aver visto qualcosa.»

Charlotte prese tutto quello che era arrivato dal ministero francese, incluse alcune copie dei bozzetti con cui gli Auror avevano identificato i vari avventori.
«Sì, trovato! Et voilà. Abbiamo bisogno di quest'uomo. Isaac Van Bosen» annunciò Charlotte trionfante, mostrandogli il profilo di un uomo dai lineamenti squadrati e le sopracciglia piuttosto folte.
«Se hanno l'identikit probabilmente lo stanno già cercando.»
«E noi li aiuteremo a farlo.»
«Forse so anche chi può darci una mano.»

Negli occhi di Charlotte brillò una scintilla, che tuttavia si spense con la stessa velocità con cui era apparsa, destando in lui la preoccupazione.
«Tutto a posto? Cosa...»
«Sì. Sì, è tutto a posto» si affrettò a rispondere la ragazza. «Stavo solo pensando... Dobbiamo muoverci piano, Theseus.»
Le rivolse un'occhiata confusa. Non capiva il motivo di quel repentino cambio di tono nella loro conversazione.
«Che intendi con: "Dobbiamo muoverci piano"?»
«Intendo dire che temo che a qualcuno non vada a genio quello che stiamo facendo. Ho paura che stiamo destando sospetti.»

Theseus pensò per un istante che Charlotte fosse impazzita. Poi si costrinse a valutare quello che la donna gli aveva appena detto. Gli tornò in mente la ramanzina con la quale Travers lo aveva mortificato quella mattina. Erano rimasi nell'ufficio del Ministro per un quarto d'ora abbondante, durante il quale l'uomo non aveva fatto altro che rifilargli un'accusa dietro l'altra, ignaro del fatto che lui fosse innocente. Aveva tentato di farglielo capire in tutti i modi, ma Torquil Travers non aveva voluto sentire ragioni.

Era stato talmente impegnato a piangere sul latte versato — a pensare a Charlotte, alla lettera, all'assemnlea e a tutto il resto — che non si era concentrato sulla domanda fondamentale che avrebbe dovuto porsi immediatamente dopo i funerali.
Se lui non aveva approvato la missione che aveva portato alla morte di sette dei suoi uomini, allora chi era stato a farlo al posto suo? E soprattutto, perché farlo?
«E qui veniamo alle faccende delicate.»

Charlotte si era avvicinata nel frattempo, ma Theseus non se ne accorse fino a che non ebbe il suo viso a trenta centimetri di distanza.
«Che c'è?»
«Sarò franca con te. Sei stato tu ad approvare l'operazione qualche giorno fa?»
Lui scosse la testa, lasciando uscire una flebile risatina isterica. «Spero che tu stia scherzando...»
Charlotte non ribatté. Rimase immobile di fronte a lui, studiandolo con quello sguardo indagatore con cui riusciva a trafiggerti l'anima e a spezzare ogni scudo che racchiudeva la verità. Capì che la donna non stava affatto scherzando. La sua era una domanda seria, che come tale pretendeva una risposta seria.

Fu allora che le notò. Quasi impercettibili perché coperte da uno spesso strato di trucco, due profonde occhiaie che solcavano lo spazio tra le due sfere azzurre che lo fissavano con apprensione e le gote, tinte appena di rosa.
Dimenticò la domanda, la rabbia che stava risalendo da chissà quale meandro del suo corpo, scordò tutto in meno di una frazione di secondo. Le parole uscirono dalla sua bocca con così tanta spontaneità che gli sembrò di non controllarle.
«Da quanto non dormi?»
«Cosa?»
«Le occhiaie. Da quanto tu non...»

La gola gli si serrò quando si accorse di quello che era accaduto. Lui aveva allungato appena la mano verso il suo viso e lei si era ritirata, con un movimento che fu brusco quasi quanto la sua risposta.
«Stai divagando, smettila. Non è una cosa che ti riguarda, ad ogni modo. Theseus, devi dirmi se sei stato tu ad approvare quell'operazione. Sii sincero con me.»
Fu tutto talmente improvviso e strano che a Theseus non rimase che esplodere per liberare almeno una piccola parte delle miliardi di sensazioni che lo stavano bombardando con inaudita violenza dall'interno.
«È ovvio che non l'ho fatto!» Sbottò. «Ma tu credi che io lo abbia fatto, come tutti, del resto. È snervante.»
«Theseus...»
«Mi fa piacere che tu abbia una grande considerazione di me, sul serio.»
«Molto bene. Ora vuoi finirla di fare la vittima e darmi ascolto?»

Non sapeva più cosa pensare, o fare, o dire. Così saggiamente stette zitto, riflettendo su tutto quello che era successo negli ultimi tre minuti, mentre ascoltava Charlotte guardandola di sottecchi, appoggiato al tavolo.
«Non ho mai creduto che tu lo avessi fatto. Mi serviva solo una conferma, e ora ce l'ho.»
«Perché non credere a quello che dicono gli altri?»
«Perché gli altri non ti conoscono. Non hanno la minima idea di chi sia Theseus Scamander.»
Nemmeno io ho idea di chi sono, pensò lui con amarezza. «Tu hai idea di chi sono?»
«No. Però so che non avresti lasciato quelle persone a un destino segnato. Questo lo so. E questo basta.»

Sospirò. Charlotte aveva ragione. Charlotte aveva sempre, dannatamente ragione. C'era qualcosa di straordinario nella sua innata capacità di domare le anime usando l'arma più efficace tra tutte, la verità.
Era la verità. Non avrebbe mai e poi mai lasciato quelle persone in balia di una missione destinata a fallire in partenza. E Charlotte lo aveva capito. Era stata come sempre l'unica a capirlo.
«Qualcuno lo ha fatto al posto tuo, Theseus. Qualcuno deve aver sparso quella voce. E lo ha fatto esattamente per questo motivo. Devastarti dall'interno. È il tipo di tattica subdola che userebbe Gellert Grindelwald: per questo dobbiamo guardarci le spalle, d'ora in poi. Se qualcuno qui dentro sospetta qualcosa, dobbiamo essere più furbi di lui e incastrarlo. E per districare la matassa c'è bisogno di entrambi, una mente sola non sarà sufficiente. Perciò... forse dovremmo mettere una pietra sopra tutto quello che è successo e ripartire.»

«Hai ragione» assentì, dando finalmente voce ai suoi pensieri. D'un tratto si sentiva rinvigorito, come se le parole di Charlotte avessero agito al pari di una potente scossa elettrica. «Hai ragione. Dobbiamo essere più furbi, molto più furbi. E sai cos'altro dobbiamo fare? Trovare Isaac Van Bosen e sbattere in cella un grandissimo assassino bastardo.»
«O due.»
«Anche tre, se sarà necessario. Più ne incastreremo in questa indagine, più sarà soddisfacente.»
Sul volto di Charlotte comparve un grandissimo sorriso. «Ci sto. Santo cielo, ci sto, facciamolo!»

L'atmosfera si riempì di nuovo di un contagioso entusiasmo. L'energia sprizzata dalle loro parole fu tale che non ce ne fu più per nessun altra emozione. Entrambi riconobbero nell'altro quello di sempre, e ne trassero un incomparabile conforto.
Per collaborare avrebbero avuto bisogno di mettere da parte l'orgoglio. Un sacrificio che Theseus era pronto a fare pur di non lasciarsi sfuggire la persona che in quel momento significava più di ogni altra.

Lei si offrì di riordinare tutto il materiale usato per le indagini, lui le offrì un passaggio a casa. E la serata non finì male come era cominciata, il che fu un vero sollievo. L'incomprensione che avevano avuto quel giorno, nell'archivio, sembrava essere stata da entrambi superata, anche se c'era ancora una cosa in sospeso.
«Non risponderai alla mia domanda, vero?»
Charlotte emise un lieve sospiro, mentre raccoglieva gli ultimi documenti e li nascondeva in un posto sicuro. «Vorrei poterlo fare. Ma è una cosa che devo affrontare da sola.»
«Se è questo che desideri, allora d'accordo» dichiarò, aiutandola a sistemare. Non insistette oltre. Insistere, quel giorno all'archivio, era stato il suo grande errore.

Dopo qualche secondo, lei esordì di nuovo.
«Mi dispiace di non essere venuta, questa mattina. Ho avuto bisogno di tempo per riflettere e...» si interruppe, piuttosto a disagio. «La verità è che credevo di non essere pronta, dopo quello che è successo nell'archivio.»
«Forse non siamo mai davvero pronti per quello che la vita ci mette davanti.»
I loro sguardi si incrociarono. «Dove l'hai letta, questa?»
«A pensarci bene da nessuna parte...»
«Non male...» constatò Charlotte. «In una prossima vita potresti aspirare alla carriera da poeta, Watson.»

Entrambi risero di gusto. Theseus guardò l'espressione spenta che Charlotte tentava di nascondere dietro un luminoso sorriso. Sapere di non poter fare niente per aiutarla lo rese irrequieto. Ci pensò su qualche istante. Forse, qualcosa poteva fare per lei. Poteva esserci, esserci sul serio.
«Voglio che tu sappia che puoi venire da me in qualunque momento. Sul serio.»
Lei sembrò valutare quell'opzione. Tenne la testa bassa, ma non rispose.

Lui fece un passo avanti, cercando di agganciare lo sguardo dell'altra.
«Promettimi che starai bene.»
La vide di sottecchi alzare un sopracciglio. «Credevo avessimo smesso, con le promesse...»
«Ti prego. Promettimi che starai bene, Charlotte.»
La giovane Malfoy mantenne gli occhi a terra, rialzandoli pochi secondi più tardi. «Starò bene. Ma non posso promettertelo, Theseus. Posso solo prometterti che farò il possibile. Niente di più, niente di meno.»

Ebbe l'impressione che Charlotte non fosse del tutto convinta, ma evitò di pensare al peggio. Che altro poteva fare lui, se non accontentarsi? Forse, a volte, la vita è anche un po' questo. Accontentarsi di quel che si ha. Pur di non perderla, sarebbe sceso a patti con quella ragazza altre mille volte.
«Promesso, allora.»

Decise che si sarebbe fidato di lei. L'avrebbe seguita nel bene e nel male, e il suo cuore lo sapeva. Se fosse stato necessario sarebbe stato lì, le avrebbe teso la mano, e sarebbero usciti da quella situazione come ne erano entrati: un po' sfregiati, ma insieme.
Insieme.

Questo sarebbe bastato a entrambi.

SPAZIO AUTRICE

Diciamo che alla fin fine, Charlotte e Theseus hanno trovato un accordo. Un po' in fondo è quello che accade a tutti noi nella vita: a volte siamo disposti a trovare dei compromessi con le persone a cui vogliamo bene, pur di non perdere queste ultime ❤️

Quello che amo di più esplorare del personaggio di Theseus è e sarà sempre il suo dissidio interiore. La sua è un'anima disordinata, tremendamente scombussolata, che fa quasi a botte con il suo cuore d'oro e tende ad oscurare la sua mente acuta.

Abbiamo avuto uno sguardo in più sulle indagini e uno sguardo in più sull'interiorità sia di Charlotte che di Theseus. Spero davvero che questo capitolo vi abbia presi ed emozionati. D'ora in avanti, le vicende si faranno sempre più curiose.

Noi ci vediamo tra due settimane. Se vi va e il capitolo vi è piaciuto, lasciate un commento e una stellina
- Mavi.

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