17. 𝐒𝐢𝐜𝐚𝐫𝐢𝐨
UNKNOWN POV
Londra aveva decisamente deluso le sue aspettative.
A livello estetico non era poi tanto male, con i suoi palazzi in stile vittoriano che sfilavano sulle due sponde del Tamigi e la grande torre dell'orologio che dominava il paesaggio, allungando la sua immagine sulle increspature dell'acqua. Era sempre coperta da una densa patina di nuvole e fumo, il che era un bene per uno come lui, che detestava la luce del sole. Il grande problema di Londra non erano tanto l'onnipresente umidità o gli uggiosi colori del paesaggio: il vero problema di Londra erano i londinesi.
Spuntavano dappertutto, come funghi su un terreno fertile. E non smettevano di correre, tutto il giorno, dove o verso che cosa non gli era dato comprenderlo. Si accalcavano per le strade del centro, sui tram, persino nei vicoli più isolati. In mesi di latitanza per varie città dell'Europa non aveva mai visto nulla del genere. Quel continuo fuggi fuggi di persone gli aveva fatto tornare alla mente le lamentele di un tale, che aveva incrociato per caso in un locale a Praga poco dopo essere evaso di prigione. Non parlava mai con le persone che incontrava, fatta eccezione per i proprietari delle locande in cui pernottava. Ascoltava sempre, però. Ogni voce, ogni discorso, ogni silenzio. Era dalle parole spesso che comprendeva la natura delle persone che lo circondavano e riusciva a scegliere quelle giuste.
Insomma, questo grosso e trasandato maresciallo polacco in pensione aveva attaccato una conversazione con un cameriere la sera in cui lui si trovava nello stesso locale.
"La società di oggi corre..." aveva detto, tracannando un grosso boccale di birra. "Non ne capisco davvero il motivo. Se tutti ci fermassimo e ci concentrassimo di più sui nostri errori anziché oltrepassarli come nulla fosse, forse potremmo evitare di ripetere gli stessi sbagli ogni volta."
"Desidera un altro boccale, signore?" Aveva domandato il cameriere, senza ricevere risposta dall'altro, che aveva continuato a parlare come se nulla fosse.
"Questo è uno dei tanti problemi della razza umana. Corriamo tutti alla ricerca del progresso, illudendoci che le cose possano così cambiare. Le cose non cambieranno. E lo sai perché? Perché noi uomini siamo e saremo gli stessi di sempre."
Quel tizio lo aveva sorpreso, sul serio. Per essere quasi ubriaco fradicio ragionava piuttosto lucidamente. La sua era saggezza spicciola, ma pur sempre saggezza. Era stato obbligato a condividere le sue posizioni, sollevato all'idea che esistesse qualcuno che la pensava come lui.
Oltre alla frenesia c'era un'altra caratteristica dei londinesi che gli faceva salire i nervi a fior di pelle: la curiosità. Come se tutti in quella città fossero stati fabbricati con lo stampino e avessero una stessa inclinazione al voler sapere ogni cosa di chiunque. Peccato che in dotazione i londinesi non avessero un manuale d'istruzioni con le relative avvertenze. Avrebbe potuto provvedere lui stesso a stilarne uno, con tutte le cose che aveva imparato sulla gente di quel posto in poco meno di una settimana.
Questo tipo di individui può essere incrociato in strada a qualunque ora del giorno e della notte.
Nota: possono essere soggetti molto fastidiosi anche se non provocati.
Da quando era arrivato in città, tutti quelli che avevano incrociato la sua strada gli avevano fatto domande su domande.
"Dove sta andando? Posso aiutarla?"
"Cerca qualcuno, signore?"
"Perché indossa un mantello?"
L'ultima gli era stata posta da un bambino in un vicolo sperduto non lontano dalla periferia. Avrebbe voluto strangolarlo lì, su due piedi, farlo pentire di essere nato. Per fortuna la presenza di Orias lo aveva spaventato e lui non aveva dovuto sprecare le sue preziose energie per uccidere quel moccioso. Il piccoletto era corso via con la coda tra le gambe, probabilmente messo in soggezione dallo sguardo del corvo. Né a lui né al suo compagno piumato la cosa era dispiaciuta.
Si guardò intorno, sfiorando la ruvida parete della fabbrica dismessa che si trovava a pochi passi dal fiume. Un edificio anonimo dall'aspetto trasandato, il cui comignolo non sputava più nemmeno uno sbuffo di fumo e le cui porte grigie erano state serrate con una catena.
"Sicuro che questa sia la direzione giusta?" Domandò gracchiando Orias, posatosi sulla sua spalla dopo un giro di esplorazione. "Non c'è ombra di locali. Ci sono solo fabbriche, e fabbriche, fabbriche ovunque."
«Ti ricordo che stiamo cercando esattamente una fabbrica, stupido pennuto.»
"E io che pensavo ci saremmo concessi una pausa..."
«Non c'è tempo per le pause. Abbiamo un appuntamento con Sicario. Confidando che non sia sparito nel nulla.»
"O sparita."
Quell'eventualità lo preoccupava non poco. Era venuto fino a Londra nella sola speranza di poter trovare quell'uomo che si nascondeva sotto il nome di Sicario. Aveva dovuto perquisire tutta la città, giorno e notte. Dopo il terzo giorno aveva deciso però di adottare un'altra strategia, che grazie al cielo si era rivelata quella vincente.
Si era finto un seguace di Gellert Grindelwald e si era intrufolato ad un raduno clandestino. Aveva pensato che un criminale della portata di Sicario non sarebbe potuto passare inosservato agli occhi del mago oscuro più potente del mondo magico. Aveva chiesto informazioni in giro e ottenuto il minimo indispensabile. Poi finalmente un nome, di un tale Abraham Whetley, considerato la "cassaforte di informazioni più attendibile di Londra".
La visita a Whetley era stata inizialmente infruttuosa: lui si era rifiutato di parlare. Aveva confermato di possedere contatti diretti con Sicario e di sapere dove si trovasse, ma si era poi chiuso nel suo guscio senza dire altro. Quell'arroganza gli era costata la vita.
Ucciderlo non era stata parte del piano fino a quel momento. La rabbia aveva preso il sopravvento su di lui, il risentimento che provava nei confronti di Gellert Grindelwald e di tutti quelli che lo seguivano aveva scaldato l'adrenalina nelle sue vene. Whetley aveva opposto resistenza, c'era stato uno scontro corpo a corpo. Alla fine gli aveva sferrato un taglio alla gola, e nel piccolo studiolo erano rimasti lui, i segni della lite e il cadavere senza vita del suo avversario. Che era caduto proprio accanto alla botola dove si nascondeva il bottino.
Non rimpiangeva di averlo ucciso. Sapeva che il suo omicidio non sarebbe passato inosservato: era un ricco purosangue, faceva parte dell'alta società londinese. Il Ministero non avrebbe tardato ad accorgersene e ad aprire un'indagine.
Non puntava a farsi dei nemici. Aveva smesso da tempo di contarli, i suoi nemici. E poi uno in più, uno in meno, che differenza faceva? Quello a cui puntava era sgretolare l'impero che Gellert Grindelwald aveva costruito intorno a sé con i mattoni di qualcun altro.
Con i suoi mattoni.
E, aveva constatato tra sé, privare il mago dei suoi canali principali d'informazione poteva essere un'ottima prima mossa, vista alla luce del suo scopo.
"Oh, dimenticavo. Oggi sulla Gazzetta del Profeta parlavano di te."
Si voltò di scatto, lanciando al corvo un'occhiata interrogativa. «Orias, tu non sai leggere.»
"E chi ha bisogno di leggere quando si possono guardare le immagini?" Rimarcò Orias, inclinando la testa e aprendo un po' le ali. "C'era la faccia tozza di quel tizio, Whetley, in prima pagina. E ce n'era un'altra, di un uomo e una donna."
«Mi stai distraendo, Orias. Piantala di chiacchierare.»
Era vero. Con le futili chiacchiere di Orias non sarebbe riuscito a scorgere il portavoce di Sicario. Chiunque fosse quel noto fuorilegge, di certo l'astuzia non gli mancava. L'indirizzo che aveva rubato dalla casa di Whetley lo aveva portato in un locale a metà tra la città e le campagne, una bettola talmente piccola che aveva dovuto farsi largo tra i clienti a spallate, nonostante quella sera ci fosse poco movimento. Non vi aveva trovato il suo uomo, ma una sorta di delegato, con cui aveva intrattenuto una specie di colloquio.
"Chiedi molto forestiero. Perché ti interessa tanto vedere il criminale più ricercato al mondo?"
"Ho un'offerta da proporgli. Grossa."
Quello ci aveva riflettuto, poi aveva emesso il suo verdetto. "Ne parlerò con lui. Aspetti qui."
E alla fine era riuscito a ottenere un appuntamento. Sperò di non trovarsi di fronte una delusione e non solo perché se così fosse stato non l'avrebbe presa bene. Se quella di Sicario fosse stata una truffa avrebbe perso l'unica persona all'altezza, in grado di aiutarlo a realizzare il suo folle scopo. Perché il suo piano era folle, lo sapeva.
Ma per fortuna lui era ancora più folle del suo piano.
Si rigirò il foglietto tra le dita un'altra volta, la schiena al muro e il guardo vigile. Quello doveva essere il posto che gli aveva indicato l'uomo della locanda. Benché la prospettiva di attendere per svariati minuti, forse ore, non gli piacesse per nulla, dovette convenire che in quella situazione fosse l'unica adottabile.
Quando il sole si fu avvicinato di qualche centimetro alla linea dell'orizzonte percepì Orias agitarsi sulla sua spalla. Il corvo scosse le ali, allungando il collo.
«Che c'è, te la stai per caso facendo sotto?» scherzò, abbozzando un sorrisetto.
"In quel caso sarebbe peggio per te e per il tuo prezioso mantello, umano. No, ho sentito dei passi."
Ignorò la prima affermazione del corvo, catturato invece dalla seconda. Staccò le spalle dal muro, infilando una mano sotto il mantello e facendo correre lo sguardo dalla banchina al labirinto di vicoli e stradicciole sterrate alla sua sinistra.
Le dita cercarono l'impugnatura del coltello e l'afferrarono furtive. Non ci volle molto perché anche lui udisse lo scalpiccio regolare prodotto da un paio di scarpe sui sassolini. Aguzzò l'udito. Poi sgusciò fuori dal vicolo ad un'impressionante velocità, puntando davanti a sé il coltello, la cui lama sfiorò con la punta il collo di un uomo.
«Vacci piano, amico. Ti consiglio di mettere giù quell'arma se non vuoi che l'accordo salti.»
Obbedì senza esitare. Di solito non si faceva dare ordini dal primo che passava, ma quella era una situazione eccezionale. Ripose il coltello nel fodero, indossando la sua solita espressione impassibile.
«Ora portami da Sicario.»
«Quanta fretta...» commentò l'uomo in tono ironico. D'improvviso però, la fonte alta si aggrottò, e gli occhi guizzarono da lui al volatile sulla sua spalla. «Quel pennuto è finto o...?»
Orias allargò le ali, minaccioso. "Posso staccargli la testa a suon di beccate?" chiese, ma lui lo mise a tacere.
«È un pennuto vero, ma è solo da compagnia. A discapito di quanto possa sembrare è innocuo.»
Il corvo voltò la testa dall'altra parte, evidentemente offeso dopo essere stato definito un innocuo pennuto da compagnia.
L'uomo di fronte a lui esitò, scrollando infine le spalle. «D'accordo, il volatile può venire, a patto che non interferisca negli affari. Seguitemi.»
"Alla buon'ora" pensò, tirandosi il cappuccio sulla testa e tramutandosi nella sfuggente ombra del suo interlocutore.
Attraversarono mezza periferia, giungendo infine nel punto in cui le dolci acque del Tamigi lambivano i ciottoli del sentiero. Vastissimi isolati di case disabitate, fabbriche dismesse e nient'altro si estendevano per chilometri, affacciandosi sull'altra sponda del fiume, coperta ora dalla foschia. Il cielo andava scurendosi di passo in passo, là dove regnavano la malafede, la polvere e il silenzio. Non c'era traccia di anima viva, eppure lui aveva imparato che qualcuno si nascondeva sempre in quei luoghi, da qualche parte. Se non vedi qualcosa non significa che non c'è.
Lui non vedeva il suo rancore, per esempio, ma sapeva che esso era una presenza costante. Lo aveva percepito affondare radici nella sua anima e lo percepiva ancora, ogni giorno sempre di più, mentre sfiorandogli i nervi lo avvelenava da dentro.
L'uomo davanti a lui arrestò il passo di fronte al portone di un capannone abbandonato. Lo spinse dopo essersi accertato che nessuno li avesse seguiti, invitandolo subito dopo con un cenno ad entrare.
L'ambiente era, dopo la sua cella in cima allo Zugspitze, il più spoglio che avesse mai visto. I suoni rimbalzavano sulle pareti di mattoni rossi, e questo li amplificava di almeno il quadruplo. Perciò, anche a quella distanza, poté udire chiaramente l'allegra conversazione dei tre uomini e della donna appollaiati su un'asta di metallo.
«Non è stata una gran perdita. Tu che ne dici, Cal?»
«Ho sempre pensato fosse un'idiota. Uno di quelli che se la tirano e poi se la fanno sotto di fronte al primo pericolo.»
«Mi chiedo cosa trovasse Gellert Grindelwald in lui di tanto speciale.»
«Soldi, caro il mio Fred. Da qualcuno avrà pur preso il denaro per pagare quelli che gli rendevano servizi.»
Quando si avvicinarono notò che uno del gruppo teneva in mano una copia un po' sgualcita del Profeta. In prima pagina c'era il viso familiare di Abraham Whetley in bianco e nero, e subito sotto la foto che Orias gli aveva descritto. Un uomo e una donna si facevano strada circondati da un plotone di giornalisti, lui vestito di tutto punto, lei piuttosto attraente ma con l'aria decisamente spaesata. Il titolo in grassetto recitava:
𝐑𝐈𝐂𝐂𝐎 𝐏𝐔𝐑𝐎𝐒𝐀𝐍𝐆𝐔𝐄 𝐔𝐂𝐂𝐈𝐒𝐎 𝐍𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐍𝐎𝐓𝐓𝐄
𝑆𝑖 𝑐𝑒𝑟𝑐𝑎 𝑖𝑙 𝑐𝑜𝑙𝑝𝑒𝑣𝑜𝑙𝑒 𝑎𝑛𝑐𝑜𝑟𝑎 𝑎 𝑝𝑖𝑒𝑑𝑒 𝑙𝑖𝑏𝑒𝑟𝑜. 𝑇ℎ𝑒𝑠𝑒𝑢𝑠 𝑆𝑐𝑎𝑚𝑎𝑛𝑑𝑒𝑟 𝑒 𝐶ℎ𝑎𝑟𝑙𝑜𝑡𝑡𝑒 𝑀𝑎𝑙𝑓𝑜𝑦 𝑠𝑢𝑙𝑙𝑒 𝑠𝑢𝑒 𝑡𝑟𝑎𝑐𝑐𝑒 𝑎𝑛𝑐𝑜𝑟𝑎 𝑢𝑛𝑎 𝑣𝑜𝑙𝑡𝑎 𝑖𝑛𝑠𝑖𝑒𝑚𝑒.
Memorizzò quei due nomi, casomai gli potessero tornare utili. Se erano Auror e gli stavano alle calcagna per l'omicidio di Whetley avrebbe cercato di evitarli.
I quattro si accorsero della loro presenza solo quando l'uomo di fronte a lui li richiamò.
«T'u Fei! Hai una visita.»
Il primo del gruppo a scendere dalla sbarra sembrava essere il più vecchio. Le folte sopracciglia gli incorniciavano il viso, segnato da graffi grandi e piccoli e da una punta di barba. Portava un paio di pantaloni da operaio impolverati e la camicia allacciata fino al penultimo bottone. In quello spazio tra il collo e la seconda asola s'intravedeva più del necessario.
"Suppongo che in qualche modo debba compensare i peli che non ha in testa" fu il primo pensiero di Orias, al quale la vista non sembrava piacere per niente.
L'uomo gli si accostò zoppicando e scoprendo i denti, una sequenza di bianchi, gialli e neri con qualche frattura sparsa. Non ci volle molto perché il tanfo di cipolla rancida risalisse fino alle sue narici. Messe a confronto, le celle di una prigione sarebbero parse di gran lunga più profumate. Quell'odore ripugnante gli pizzicò il naso a tal punto che dovette storcerlo. Il corvo sulla sua spalla si coprì il becco con l'ala.
«Bene bene...» sghignazzò, puntando i piccoli occhi nei suoi. «Tu devi essere lo straniero di cui Jack ci aveva parlato. Cosa ti porta da queste parti? Di certo non il buonsenso.»
Ci fu una risata generale. L'unica che parve non trovare nulla di divertente in quell'ultima osservazione fu la donna avvolta dalle ombre. Per qualche secondo si concentrò su di lei, attirato dal suo sguardo inquisitore. Avanzava piano studiandolo con gli stretti occhi un po' a mandorla. E se ne stette così per qualche attimo, in silenzio, semplicemente a scrutare la nuova figura comparsa in mezzo all'enorme capannone.
Si chiese che cosa ci facesse una donna in mezzo a quella banda di idioti. Forse era la sorella di uno di loro, o la fidanzata... No, aveva i tratti troppo unici, l'aria troppo intelligente.
E allora che ci faceva lì una donna?
«Che c'è, straniero? Ti hanno tagliato la lingua?»
«Sto cercando Sicario» annunciò, più rivolto a lei che ai soggetti che le stavano intorno. «Sono qui per parlare con lui. E no, non è il buonsenso che mi ha portato qui, quanto una buona dose di follia.»
Gli uomini scoppiarono in fragorose risate. Due di loro cominciarono a schernirlo, un altro gli fece il verso.
«Lo avete sentito? Spera di parlare con Sicario!»
«Esatto. E vi converrà accontentarmi, o sarà peggio per voi.»
Le risa aumentarono di numero e volume. Si costrinse a mantenere i nervi saldi. Le sue dita avevano cominciato a fremere, bramando il contatto con quel manico di metallo che già tante volte avevano impugnato.
«Cosa ci farai se non ti daremo quello che vuoi? Ci ammazzerai tutti?»
«Uh, Marvin, ora sì che ho paura!»
«Tacete, razza di stupidi babbuini senza cervello!»
Quell'esclamazione riecheggiò per qualche tesissimo istante, finché non venne trascinata via dagli stessi attimi silenziosi. Gli uomini si ritirarono come un'onda ormai giunta alla riva. Era stata la donna in nero a parlare, la stessa che lo aveva osservato con tanto interesse fin dal primo secondo in cui aveva messo piede lì dentro.
Piegò i lati della bocca in un mezzo sorriso provocatorio mentre si accostava a lui.
«Quindi tu stai cercando Sicario, il criminale più ricercato al mondo...» disse, scandendo ogni parola. «Dimmi, forestiero: qual è il tuo nome?»
«Non ho un nome.»
«Sciocchezze. Tutti hanno un nome.»
«Dimmi il tuo, allora.»
Il sorriso sul volto della donna si allargò un po' di più nell'istante in cui pose la domanda. «Perché non me lo dici tu?»
Era difficile rimanere impassibili di fronte a una tale sfrontatezza, persino per uno come lui. Lasciò che lo sguardo di lei agganciasse il suo, ora leggermente incredulo. Come poteva pronunciare il nome di quella donna se non lo sapeva? Che sfida era mai quella?
Le domande vorticavano nel suo cervello, lui cercava la risposta, la donna lo guardava e non smetteva di farlo. D'improvviso, ricordi di affermazioni, recenti e non, si mescolarono in un unico groviglio di pensieri. E la soluzione a tutti i suoi quesiti gli piombò addosso.
«Abbiamo un appuntamento con sicario. Confidando che non sia sparito...» "O sparita."
«Nessuno sa se sia un uomo o una donna.»
«Sicario...» mormorò, sinceramente sorpreso, forse anche un po' rincuorato.
Il bandito più spietato del mondo non era una leggenda. Esisteva sul serio, ed era una donna.
Proprio il tipo di follia che lui stava cercando.
«Il nome è T'u Fei Yeh. Ma Sicario va più che bene.»
Si tolse il cappuccio in segno di rispetto, ma non fece in tempo a fare nient'altro. Sicario tirò fuori un pugnale, mancandolo per un soffio. Malgrado l'età che avanzava i suoi riflessi erano sempre rimasti piuttosto buoni.
«Non male» commento la donna con un pizzico di dissenso, mentre lui scivolava di lato stringendo nella mano destra la sua, di lama.
«Mai sentito il detto? Non portare una lama a uno scontro se il tuo avversario ne ha una più grande.
Sicario fendeva con colpi fulminei l'aria intorno a entrambi. Era agile, bisognava riconoscerglielo. Fu lei a muovere il primo affondo, lanciando un pugnale che lui schivò abbassandosi. Provò ad avanzare verso il suo avversario, ma Sicario era veloce, troppo. Scontrarsi con lei era come cercare di prendere una saponetta che continuava a scivolarti dalle mani.
«Non avrai creduto davvero che ti avessi invitato qui per una chiacchierata...»
«Mentirei se dicessi di no.»
Lui provò a mirare al petto, ma lei si difese portando il braccio davanti a sé. Le lame sfregarono come spade. Con uno scatto, Sicario balzò avanti. Lui non la vide arrivare: la lama stracciò un lembo del mantello, che finì a terra fluttuando.
I colpi successivi arrivarono vicinissimi. Uno gli sfiorò la spalla, l'altro l'orecchio. Ondeggiò all'indietro, muovendosi in cerchio per tentare di confonderla. Ma l'energia con la quale la donna sferrava i suoi colpi era tale da sovrastare la sua. Con una finta Sicario lo attirò sulla destra. Quando lui si voltò di lato tentando un affondo, lei scomparve. Un attimo dopo sentì un braccio intorno al collo e la punta di una lama sulla gola. Cercò di liberarsi sfruttando la potenza fisica, ma lei rafforzò la presa.
«Ti immaginavo più furbo di così. Un vero peccato» mormorò soddisfatta. Lo aveva messo con le spalle al muro.
O forse no.
Forse bastava solo perdere un po' di tempo.
«Se devo essere ucciso dal criminale più ricercato al mondo vorrei almeno sapere a cosa devo l'onore.»
T'u Fei parve apprezzare le lusinghe. «Qualcuno mi ha promesso abbastanza soldi per farti fuori, forestiero. Il mio cliente ti considera un fastidioso intralcio.»
«Dimmi allora, quanti soldi ti ha promesso Gellert Grindelwald in cambio della mia testa?»
Sicario vacillò per un istante. Un piccolo istante durante il quale la sorpresa sostituì la concentrazione.
Era il suo momento.
Con un gesto deciso del braccio affondò la lama d'argento nella coscia della donna, che lo lasciò andare e si ritrasse per il dolore. Lui toccò la bacchetta nel fodero, e si smaterializzò dietro un mucchio di casse di legno impilate in un angolo buio del capannone. Ben nascosto dall'oscurità, si concesse finalmente un momento per riprendere fiato. Doveva ammetterlo, forse aveva sottovalutato la sua avversaria. Non sarebbe stato così semplice negoziare con lei, specialmente ora che conosceva le sue vere intenzioni nei suoi confronti.
Dunque in qualche modo il suo acerrimo nemico sapeva che qualcuno lo stava cercando. Grindelwald si sentiva minacciato. Suonava strano pensata così, eppure era tutto vero. Il mago più potente del mondo aveva paura di un prigioniero che andava in giro indossando stracci e rubando per vivere. Aveva coinvolto un ricercatissimo criminale per farlo fuori: tutto, purché lui e il suo impero potessero mantenere la loro integrità.
Allungò l'orecchio, mentre le labbra gli si storcevano in un mezzo sorriso.
Stai perdendo colpi, Gellert. Il ragazzo che ho conosciuto non avrebbe commesso un simile errore.
Tornò vigile, focalizzando la situazione per come si era evoluta. Era sgusciato via dalle fauci del suo avversario, che in quel momento pareva piuttosto arrabbiato.
«Siete quattro imbecilli!» La sentì gridare, probabilmente rivolta agli uomini che avevano assistito alla scena senza muovere un dito. «Smettetela di stare lì impalati e cercatelo!»
Gli ordini riecheggiarono squarciando il silenzio, seguiti immediatamente da passi. Si fece più piccolo, contando su quell'alleato che non lo aveva mai tradito: l'ombra. Improvvisamente però sentì la mancanza di una presenza, proprio sopra la sua spalla.
Si accorse infatti che Orias era scomparso e che lui non lo aveva nemmeno sentito volare via. Per quanto detestasse alcuni atteggiamenti di quel corvo, negli ultimi tempi si era sforzato di conoscerlo meglio e viceversa. Erano stati la certezza l'uno dell'altro da quella sera d'inverno, quando separati dalle sbarre della sua cella buia erano scesi a patti. Non si erano più separati. Dopo l'evasione, Orias aveva insistito per seguirlo nel suo peregrinare solitario. "Avrai bisogno di me", aveva gracchiato, con quel contegno regale che lo caratterizzava. In effetti, seppur gli dolesse ammetterlo, il volatile aveva avuto ragione. Gli aveva più volte coperto le spalle, lo aveva avvertito dei potenziali pericoli e aveva perlustrato interi territori in volo per garantirgli la fuga da situazioni spiacevoli. In fondo quel corvo dall'ego smisurato non era poi tanto male, come compagno.
Poteva dire di conoscere Orias abbastanza bene dopo tutto quello che avevano passato in quegli ultimi mesi di latitanza. E quando quest'ultimo scompariva d'improvviso significava che qualcosa non andava.
«Forestiero! Coraggio, vieni fuori!»
Sentì la voce stridula di uno degli uomini di Scario farsi sempre più vicina. Strinse la presa sul suo coltello, dalla cui lama gocciolava ancora sangue fresco.
Tuttavia non gli servì uscire allo scoperto. L'uomo arrestò il passo, attirato dalla voce di un suo collega.
«Auror! Auror, sull'altra sponda del fiume! Stanno puntando qui!»
«Maledizione a te, gran bastardo di un forestiero!» imprecò Sicario, rianimata.
Auror. Non avrebbe mai creduto di dover associare quel nome alla parola "miracolo". Eppure eccolo lì: il miracolo che avrebbe portato Sicario dalla sua parte.
«T'u Fei, che facciamo?»
Il capannone piombò nel silenzio. Solo un battito d'ali quasi impercettibile riuscì a giungere alle sue orecchie. Orias se ne stava appollaiato su un buco nella parete, che un tempo doveva essere stato una grossa finestra.
"È il momento giusto per rinunciare al tuo folle progetto e filarcela."
Ti sbagli amico mio, avrebbe voluto rispondergli. Questo è proprio il momento giusto per agire.
«Sicario!» gridò, rischiando di far saltare la sua copertura. «Posso aiutarti!»
Nessuna risposta, solo discussioni.
«Quanti sono, Marvin?»
«Almeno il doppio di noi. Non so se ce la possiamo fare.»
Sicario imprecò. La situazione si era ribaltata in un lampo a suo sfavore. Se voleva uscire incolume e ancora in libertà da quel posto avrebbe dovuto necessariamente allearsi col nemico. Non era così sprovveduta da decidere di farsi arrestare.
«E va bene, forestiero! Se esci dal tuo nascondiglio e ci aiuti a mettere fuori gioco gli Auror ascolterò la tua offerta!»
Con un sorriso trionfante che risaltava tra le cicatrici uscì allo scoperto insieme a Orias, che riprese posto sulla sua spalla. Una Sicario infervorata lo squadrava con disprezzo, la gamba fasciata con il lembo strappato del mantello di lui.
«Ci sto. Facciamolo.»
Gli Auror fecero irruzione nel capannone. Marvin, il braccio destro di Sicario, ci aveva visto giusto: gli uomini erano esattamente il doppio di loro. Non sarebbe stato facile sbaragliarli.
Chi voleva prendere in giro? Sarebbe stato un gioco da ragazzi.
Gli uomini del Ministero si disposero a schiera, iniziando a sparare incantesimi contro i cinque. Lui e Sicario si difesero con le lame, deviando i colpi. Mentre con una mossa furtiva schivava uno schiantesimo udì degli spari alla sua sinistra. Uno dei fedelissimi di Sicario, lo zoppo, aveva tirato fuori una rivoltella e fatto fuoco contro gli Auror. Due proiettili erano andati a segno, colpendo al cuore due uomini, che caddero senza vita.
«Chi ne vuole ancora?»
«Ruota!» gridò improvvisamente quello che sembrava essere il pezzo grosso del gruppo, un uomo con un filo di barba appena accennato e gli occhi infuocati dalla rabbia.
D'improvviso, davanti a loro rimase solo vuoto. Un incantesimo rimbalzato dalla lama di Sicario attraversò l'aria, fermandosi contro un muro.
«Dove sono andati?»
«Era un comando» disse lui, i sensi all'erta. «Tenetevi pronti.»
Un istante dopo un urlo squarciò il silenzio. Gli Auror iniziarono a comparire uno dopo l'altro avvolti da una luce bianca, ricominciando l'attacco, questa volta da tutti i lati. Due colpi riuscirono a ferirlo al braccio e un terzo gli sfiorò il bacino.
Mentre si rialzava notò che uno degli uomini di Sicario si contorceva a terra, disarmato. Gettò un'occhiata fugace, accorgendosi che perdeva sangue sul pavimento. Troppo sangue. Senza soccorso sarebbe morto nel giro di qualche minuto.
Sicario sembrò ridestarsi da un sonno rigenerante e avanzò verso il nemico più agguerrita di prima. Sfruttando la sua velocità e l'astuzia per prevedere le mosse degli Auror ne mise a tappeto due.
Nel giro di qualche minuto quello scontro si tramutò in una battaglia all'ultimo sangue. Gli Auror ferivano, lui, Sicario e i suoi uomini uccidevano. T'u Fei specialmente, acciecata dalla rabbia, era una vera e propria macchina da guerra. Infliggeva il suo colpo mortale senza pietà o rimpianto, studiando il corpo quanto bastava per aggiungerlo alla lista delle sue vittime.
In fin dei conti quello era il suo lavoro, ciò che era stata addestrata a fare. L'umanità non era ammessa in quel suo violento gioco.
Lui dall'altra parte cercava di sopportare il dolore alla spalla. Affiancato da Orias che graffiava e beccava sfruttando l'effetto sorpresa, cercava di prevedere le mosse dei suoi avversari. Un affondo andò a vuoto, ma lui attese. Attese il suono familiare della materializzazione, prima di agire. Uno, due, tre secondi...
Ruotò il busto abbassandosi per schivare l'incantesimo e la sua lama finì dritta nel petto di un ennesimo Auror. Prima di tirare fuori l'arma guardò l'uomo negli occhi, due sfere chiare che imploravano pietà.
Riprese il coltello e lo lasciò nelle mani della Morte.
Senza che nessuno se ne accorgesse le grida e gli spari cessarono. Sul capannone cadde l'invisibile velo del silenzio. Cinque di loro erano rimasti in piedi, un po' ammaccati ma vivi. Lo stesso non si poteva dire per gli Auror.
Gli tornò alla mente l'immagine che lo aveva accompagnato dal giorno della sua evasione. Il pavimento rosso sul quale risaltavano i corpi pallidi, la luce che filtrava da uno spiraglio e accecava occhi spenti, sguardi vuoti.
Tutte quelle vite spezzate... ma se l'erano cercata.
Gli Auror non erano molto diversi dai londinesi. Mettevano sempre il naso dove non dovevano.
Sicario gli si avvicinò a piccoli passi. Si asciugò una goccia di sangue che le colava dal labbro, per poi dichiarare: «Non sei poi così male come combattente, forestiero. Per quanto mi dolga ammetterlo.»
Lui non replicò, fermandosi ad accarezzare le piume di Orias. Lei mantenne lo sguardo fisso sulla scena che si apriva di fronte a entrambi.
«Uno dei tuoi uomini è morto.»
«Prima o poi faremo tutti quella fine.»
«La vera domanda è: più prima o più poi?»
I loro sguardi si incrociarono. T'u Fei gli sorrise. «Lo sai, mi piace il tuo senso dell'umorismo.»
«Credo sia più che altro realismo...»
«Qualunque cosa sia, un patto è un patto.»
Ora stavano uno di fronte all'altra, avvolti dal freddo, che andava intensificandosi. La sua schiena fu scossa da un brivido.
"Sta passando", pensò lui. "Passa a prenderli uno ad uno nel silenzio. In fondo è così che funziona."
«Ti darò la vendetta che cerchi» annunciò solennemente Sicario, porgendogli la mano.
Lui esitò. «Come sai quello che sto cercando?»
«Semplice. Tutti quelli che vengono da me cercano vendetta. Uomini, donne, giovani, vecchi... Per loro non sono un Sicario, ma una vendicatrice. Allora? Andata?»
Fissò per un istante la mano tesa, infine la strinse, soddisfatto. «Andata.»
Due assassini che suggellano un'alleanza.
Proprio il tipo di follia che serviva a questa storia.
SPAZIO AUTRICE
Eccoci di nuovo qua, con un capitolo... be', un po' diverso dal solito.
Sottolineo naturalmente che certo non condivido la moralità di alcuni miei personaggi quali appunto Sicario, prima che mi prendiate per una psicopatica 😅
Ad ogni modo, finalmente un po' di azione. Devo dire che il capitolo è uscito esattamente come volevo, e che è stata una bella introduzione al personaggio di Sicario, che vedrete presto di nuovo in azione.
Come vi è sembrata? Diciamo che è piuttosto anti convenzionale come personaggio, ma forse per questo è interessante. Un po' come il nostro uomo dal coltello d'argento.
Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto con un commento o una stellina. Noi ci vediamo presto, ve lo prometto ❤️
- Mavi.
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