12. 𝐋'𝐢𝐧𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐚𝐭𝐨
JACOB'S POV
Pasticceria Kowalski,
Lower East Side, New York City,
Circa una settimana prima
Il campanellino all'ingresso della pasticceria tintinnò. Jacob nascose velocemente la busta nella tasca del grembiule e si pulì le mani bianche di farina. Non appena affacciò la testa per dare un'occhiata, riconobbe la chioma bruna di Tina Goldstein fare capolino.
Aveva accettato l'invito, dunque. Il suo cuore aumentò i battiti, mentre muoveva un passo alla volta fuori dalla piccola cucina.
D'accordo, Jacob, sii disinvolto. Andrà tutto bene.
«Tina, ehilà!» la salutò, celando ogni brutto presentimento che minacciava di tradirlo.
«Ciao, Jacob.»
Tina si spolverò il cappotto con grazia, ricambiando il sorriso che lui le rivolse.
Mentre lei chiudeva gli occhi inspirando il profumo del pane appena sfornato, Jacob si tastò la tasca. La carta, seppur all'apparenza sottile, era abbastanza spessa da essere percepita anche dietro la stoffa. Il pasticciere si ricompose in fretta, rimandando giù la preoccupazione che stava mettendo a soqquadro il suo stomaco.
«Posso offrirti qualcosa? Possiamo andare sul retro, se ti va. Albert si occuperà momentaneamente dei clienti. Giusto ragazzo?»
«Sì, signor K» rispose una voce dal laboratorio.
Il sorriso dell'Auror si allargò, mentre si dondolava sul posto, chiaramente lusingata. «Be', un'offerta tanto gentile non può essere rifiutata.»
«Ben detto.»
«Ma» soggiunse la donna con aria seria «un giorno dovrai farmi pagare come il resto dei clienti, Jacob.»
«Oh no, assolutamente no!»
«Jacob...»
«Non se ne parla! Sei mia amica, senza contare che mi hai salvato la pelle uno svariato numero di volte. No, non pagherai i dolci che ti offrirò. E no, non mi farai cambiare idea.»
I loro sguardi divertiti s'incrociarono. In quel momento, Jacob mormorò tra sé una preghiera.
Ti prego, sii clemente.
La scortò sul retro, come solo un vero gentiluomo avrebbe fatto. Dalla strada il rumore del traffico e delle voci degli indaffarati abitanti di New York risalivano come una corrente invisibile verso il cielo azzurro, sfumando al di là dei tetti dei palazzi e scomparendo dietro le nuvole. La brezza gli punse il viso. Rivolse lo sguardo a destra, verso il rigoglioso cespuglio che si arrampicava sul muro. Il profumo dei piccoli gelsomini si rafforzava ogni giorno che passava, e il loro colore con esso. Che quei fiori si abbeverassero alla fonte dei ricordi di colui che li curava, crescendo insieme alla mancanza della persona per la quale erano stati piantati? Jacob aveva cominciato a crederlo. Pensare che, all'inizio della stagione, molti di quei bellissimi gelsomini erano solo minuscoli boccioli di uno splendido rosa.
"Il suo colore preferito" rammentò a se stesso il pasticciere con amarezza, ripensando alla lettera che giaceva nella sua tasca, attendendo con trepidazione di essere fatta uscire allo scoperto e mostrata alla luce del tiepido sole primaverile.
«Questo cortile è stata un'idea geniale» esordì Tina, non appena furono seduti uno di fronte all'altra a uno dei tavolini. «È così... rilassante stare qui.»
Stava cercando di evitare l'argomento, forse? Jacob non potè esserne certo, ma giurò che la donna stesse indugiando di proposito, posando lo sguardo altrove nell'attesa di dedicare la sua attenzione a qualcosa di ben più significativo.
Non aveva specificato nulla nell'invito che le aveva fatto recapitare. Tina non aveva la minima idea di quello che lui le aveva nascosto per tutte quelle settimane. Probabilmente avrebbe continuato a farlo, se solo la sua coscienza non si fosse opposta strenuamente, spingendolo fino al punto in cui ora si trovava.
Fu abile a nascondere le emozioni dietro la propria espressione orgogliosa. «La pasticceria ha guadagnato una bella sommetta in questi ultimi anni. Dopo la chiusura temporanea non me lo sarei mai aspettato. Senza contare la crisi dell'anno scorso, che siano maledette le borse e le banche.»
Pensare alla crisi lo irritava ancora parecchio. L'autunno prima, la borsa di New York era crollata improvvisamente, portando al fallimento di diverse imprese. Jacob non aveva mai compreso a pieno il funzionamento dell'enorme e complessa macchina dell'economia, ma le sommosse e le proteste infuriate nelle strade e nelle piazze dopo quel fatidico giorno di fine ottobre erano state più che sufficienti per illuminarlo. Era accaduto qualcosa di grosso, nuovo persino ai libri di storia. Una crisi diversa persino dalle sue simili che avevano flagellato le civiltà dei secoli addietro. Sempre più persone, cadute in povertà, facevano la fame per le strade della città; i più arditi si univano ai tumulti, agli scioperi, a tutti quei movimenti che dovevano esprimere il malcontento popolare di fronte agli innumerevoli licenziamenti e agli stipendi che andavano crollando al passo con la società. Babbana, naturalmente. I maghi non ne erano stati affatto colpiti, da quanto aveva potuto apprendere il pasticciere.
I giornali l'avevano definita "Grande Depressione", la gigantesca crisi economica che aveva seguito il crollo degli indici di Wall Street, rivelando al mondo l'altro lato di quell'America che tutti sognavano e pochi raggiungevano.
«È un miracolo che la pasticceria sia sopravvissuta» continuò Jacob, reduce da quei pensieri. Un groviglio di crude realtà, che purtroppo aleggiava ancora più denso che mai come un manto oscuro sulla nazione. «Ho cominciato a temere il peggio. Poi contro ogni aspettativa ho scoperto che erano avanzati dei soldi dopo il pagamento degli affitti mensili, e così» fece un cenno con la testa al cortile, «ho deciso di investirli nel miglior modo possibile.»
Il sorriso che ravvivò il volto di Tina scomparve appena un istante dopo. Lo spazio lasciato da quell'effimera visione, durata appena il tempo di un battito di ciglia, venne colmato da un esitante desiderio di conoscere, che si dipinse sul dolce viso della donna in spessi e cupi tratteggi.
Jacob avvertì la domanda arrivare prima ancora che questa venisse pronunciata.
«Allora... di cosa volevi parlarmi?»
Eccolo lì. Il momento della verità.
Il pasticciere non ebbe altra scelta, se non quella di tirare fuori la lettera con un sospiro malinconico.
Tina stette in silenzio per qualche istante, come ipnotizzata dalla busta bianca. Jacob fece scivolare la lettera sul tavolo. La donna guardò prima lui, poi prese il sottile oggetto e lo aprì. I suoi grandi e profondi occhi castani, gli stessi per i quali Newt Scamander aveva perso la testa, si spalancarono.
Jacob fu a quel punto certo che la sua amica avesse chiaro il motivo per il quale lui l'aveva invitata quel pomeriggio.
«L'ho ricevuta qualche settimana fa» spiegò il pasticciere. Tenne la testa bassa, non osò guardare davanti a sé. «È...»
Non riuscì a continuare.
Tina sfiorò la pergamena con le dita, e rimase sconvolta dalle parole scritte su di essa con l'inchiostro. Un raggio di sole accarezzò la guancia dell'Auror, che una minuscola lacrima attraversò lentamente, scorrendo dapprima sull'impronta quasi invisibile lasciata dalla cicatrice, e cadendo poi come una goccia di rugiada da uno stelo dopo la pioggia.
Jacob non ebbe bisogno di udire un'altra volta il contenuto della lettera. Lo aveva imparato a memoria, dalla prima all'ultima sillaba, dalla più romantica alla più scoraggiata delle dichiarazioni.
Mio amato e coraggioso Jacob,
non so se le parole scritte su questa pergamena riusciranno nella faticosa impresa di attraversare l'oceano. Non so se questo mio ultimo disperato tentativo di raggiungerti fallirà. Non so se questa lettera si perderà, abbandonandosi al vigore del vento che infuria da Ovest, naufragando in un porto che non siano quelle mani che strinsero affettuosamente le mie in tempi che adesso mi paiono terribilmente distanti. Di conseguenza, non so se queste mie notizie mai ti giungeranno.
Se il buon Fato ti avrà concesso di leggere fin qui tuttavia, in quel caso desidero che tu sia a conoscenza della mia condizione. Ho trovato delle persone buone e oneste, pronte ad accogliermi, che mi hanno donato senza esitare un tetto e un pasto caldo. Sono loro ospite da due anni ormai, in Italia.
Asciuga dunque le tue lacrime: sono viva, amore mio.
Sto bene. O, almeno, questo è ciò che l'apparenza può confermare.
Non trascorre giorno in cui non ripensi a quell'incontro nella foresta. È ancora buffo pensare che fu un semplice profumo a spingerti vicino alla donna che ti aveva distrutto il cuore in mille pezzi. Tu ricordi, non è vero? Io ricordo tutto fin troppo bene. Lo sogno ogni notte, il tuo volto, le nostre lacrime. Ricordi cosa mi dicesti? Io sì, che tu ci creda o no.
Mi chiesi di fare la scelta giusta.
Mi pregasti di tornare da te.
Mi dicesti che avevo vinto il tuo cuore, ignorando tutto il resto delle battaglie che avevo perduto.
Sono condannata, Jacob. Per certi versi, lo siamo entrambi. Io, che ho preso una strada senza via di fuga e tu, che insegui una stella spenta con la determinazione del marinaio. E Tina... cara Teenie. Massacrata da colpe che non possiede, pugnalata alle spalle dalla sua stessa sorella. Cielo, se solo potessi dirle quanto mi dispiace...
Ma ormai è troppo tardi.
I suoi seguaci crescono ogni giorno sempre di più, si diffondono come la più spietata delle epidemie... e io sono sempre più in apprensione. Non sono mai riusciti a trovarmi da quando ho lasciato Rio de Janeiro alla volta dell'ignoto. Ma sono ignara di ciò che il futuro mi riserba. Non lo è ogni essere umano, in fin dei conti?
Affido ogni mia speranza a questo gufo, perché riesca ad arrivare a te, a Tina, perché giunga sano e salvo e non cada nelle mani di qualche malfattore.
Voglio che tu sappia che sento la tua mancanza ogni giorno. Voglio che lo sappia anche Tina: siete l'aria che sento mancare ogni istante, dal momento in cui schiudo gli occhi fino alla notte, che ahimè porta con sé ormai solo incubi.
Ma ho giurato che tornerò da voi. L'ho giurato a Tina, a te, Jacob.
E ho intenzione di mantenere la mia promessa.
Voi, però, promettete di essere pazienti.
Sii paziente, amore mio.
Eternamente tua,
Reginetta.
Non servirono domande. Non furono necessari lunghi e sofferti pianti.
Il silenzio ascoltò i cuori di entrambi battere, le anime sussurrare, donargli la loro fragile e malinconica melodia.
Il silenzio prese dunque ogni parola non detta e la portò via con sé, lontano, senza fare rumore.
Perché è sempre peccato disturbare un'anima nel mezzo della propria pena.
Tina ricacciò la lettera nella busta, le iridi umide e lucide per il pianto.
«Jacob, sei...?» la voce della donna era un flebile, quasi impercettibile suono.
Lui alzò finalmente la testa per guardarla negli occhi. Poi annuì. «Quella lettera l'ha mandata Queenie. Non so come, ma è stata lei» il pasticciere trattenne a stento la commozione. «È la sua scrittura, anche se si è firmata in modo strano.»
Tina si alzò. Gli si avvicinò e lo strinse in un tenero abbraccio, che lui ricambiò, versando lacrime di gioia.
«Jacob... perché non me lo hai detto immediatamente?» disse lei sottovoce.
Lui sorrise debolmente. «Non sapevo come avresti reagito. Ti ho tenuto tutto nascosto... temevo ti saresti infuriata.»
Lei ricambiò dolcemente il sorriso, spazzando via in un istante ogni preoccupazione dell'amico.
Si alzarono entrambi, stringendosi sempre di più l'uno all'altra, in preda ad un'incontenibile gioia.
Per due anni, Tina aveva cercato di ottenere notizie di sua sorella.
Per due anni, Jacob si era aggrappato alle sue speranze per non crollare sotto il peso della nostalgia di quell'amore che aveva perduto.
Ora, entrambi sapevano che lei era viva. Non era fuori pericolo, ma era pur sempre viva.
E questo era quel che contava.
"Una è andata", pensò Jacob, asciugandosi le lacrime e rivolgendo lo sguardo al cielo.
Ora era tempo per lui di comunicare alla ragazza il secondo motivo per il quale aveva deciso di incontrarla.
"Coraggio, Jacob, ce la puoi fare", disse a se stesso, facendo un respiro profondo e sciogliendosi dall'abbraccio.
«Tina?»
«Jacob.»
«Io, ecco... c'è un'altra cosa di cui ti volevo parlare.»
Passi dietro di lui. Li udì chiaramente, fu semplice riconoscerne il suono. Si fermarono proprio in fondo alle scale, rimpiazzati dal solo rumore del vento che smuoveva i rami degli alberi.
Jacob smise di fischiettare. Si volse indietro, nel momento stesso in cui l'uomo alle sue spalle lo riconobbe.
«Jacob?»
Newt Scamander non credette ai propri occhi. Scosse la testa, ma si sarebbe notato da chilometri di distanza, anche sotto quell'espressione apparentemente incredula, che il magizoologo era felice di vederlo. Felicissimo.
E la cosa, naturalmente, era reciproca.
Il pasticciere reagì con un sorriso, il suo piccolo bagaglio in mano.
«Ho pensato di farti una sorpresa, e così... eccomi qua!» esclamò, scoppiando in una piccola risata.
Non fece in tempo a dire altro che un paio di braccia lo circondarono, con sua enorme sorpresa. Newt aveva sempre sostenuto di non amare particolarmente gli abbracci.
«Santo cielo, non riesco a credere che tu sia qui!» esclamò il mago, pervaso da un'incontenibile gioia. «Come sei arrivato? La pasticceria? Non mi hai più inviato una lettera!»
«Sì, be'... diciamo che sono stato occupato con i preparativi per il viaggio.»
«Devi dirmi tutto! Santo cielo, è... è meraviglioso che tu sia davvero qui!»
Jacob non poté fare a meno di notare quanto il suo migliore amico fosse cambiato durante quei due anni. Non solo indossava dei capi d'abbigliamento decisamente inusuali per uno come lui - bisognava però ammettere che la giacca e la cravatta gli donassero - ma anche nel viso dell'uomo il pasticciere distinse qualcosa di nuovo, un qualcosa del quale non rammentava l'esistenza. Una patina quasi invisibile di stanchezza, così sottile da scomparire quasi dietro la contentezza. Lui era tuttavia una persona sensibile e la notò, proprio in quei due occhi verdi che brillavano per la felicità.
A riportarlo alla realtà fu l'inseparabile Asticello di Newt, Pickett, il quale, riconosciuto un viso familiare, iniziò a squittire sonoramente. Uscì dalla tasca del magizoologo con un balzo e, con un altro paio di salti, Jacob se lo ritrovò abbracciato alle dita.
«Il piccoletto fa progressi» scherzò, accennando all'animaletto, che era cresciuto di un paio di centimetri.
Newt rise, per poi rendersi conto che entrambi, presi dai convenevoli, erano ancora sulla soglia di casa.
«Vuoi entrare? Tra poco sarà buio e... insomma, puoi restare per la notte, se vuoi. Se non hai dove andare, naturalmente. Dovrei avere ancora del tè nella dispensa...»
L'imbarazzo dell'uno scomparve all'udire la sonora risata dell'altro. «Perbacco, e me lo chiedi? Adoro il tè inglese!»
Mentre Newt maneggiava con attenzione gli attrezzi della cucina nella speranza di non rovesciarsi addosso l'acqua bollente, Jacob sistemò le sue cose. Notò un'insolita quantità di fascicoli e fogli di carta sparsi disordinatamente in un angolo e non riuscì a trattenere per sé le sue osservazioni.
«Però, amico, hai un bel da fare...»
Newt distolse l'attenzione dal fornello, ma ve la riportò non appena vide quel che lui aveva in mano. «Non me lo ricordare» mormorò il magizoologo. S'incupì, poi all'improvviso sembrò ricordarsi di qualcosa.
Strofinò le mani sotto l'acqua e afferrò da dietro un angolo quello che aveva tutta l'aria di essere un completo da lavoro.
«Jacob, ti dispiace se ti lascio qui con il tè? Solo un attimo, tornerò subito. Devo controllare le creature, vedere come stanno... Ho sempre meno tempo per farlo.»
La voce dell'uomo s'incrinò sull'ultima parola. Il babbano lo squadrò dall'altro lato della stanza con uno sguardo comprensivo. Si rese conto di essersi perso più di quanto avesse pensato. Non era abituato a vedere Newt così abbattuto. Certo non lo ricordava come il ritratto della gioia, ma nemmeno come la personificazione dello sconforto.
Gli si avvicinò, mettendogli una mano sulla spalla. «Sai che c'è? Il tè può aspettare. Che ne dici, vuoi farti dare una mano dal tuo migliore amico?» Newt stette in silenzio, un silenzio che a Jacob non piacque per niente. «Andiamo, non sono certo venuto a Londra per starmene seduto a guardarti mentre il tuo morale è a terra! Nossignore!»
L'altro riflettè un istante, poi dichiarò: «Un babbano che si occupa di creature magiche...»
«Primo: l'ho già fatto anni fa, e secondo: siamo nel ventesimo secolo, per l'amor del cielo!»
A quel punto, Newt comprese di non poter uscire vincitore da quella discussione. Prese un grembiule e glielo lanciò. Il pasticciere lo afferrò goffamente al volo.
«Ti servirà, credimi. E ora, si rimbocchi le maniche signor Kowalski.»
Non era esattamente il modo in cui si sarebbero aspettati di trascorrere il tempo dopo il loro ricongiungimento, ma nessuno dei due si lamentò. Si divertirono entrambi, per la verità. Jacob si offrì di dar da mangiare ai Mooncalf, strane creature a quattro zampe dal musetto vivace e dai grossi occhioni celesti. Con sua grande sorpresa, uno degli esemplari aveva partorito dei tenerissimi cuccioli, che insieme alla madre fecero saltelli di gioia alla vista del mangime fluttuante, allungando il lungo collo per afferrare quante più palline possibile. Li aveva sempre adorati, quei piccoletti: li trovava semplicemente adorabili. In più parevano apprezzare la sua presenza, a giudicare dagli acuti versetti festosi che emisero nel vederlo.
Newt fece visita ad ogni creatura. Serbò una carezza per ognuna, e a ognuna dedicò lo stesso tempo, alla stregua di una madre che si occupa dei propri figli. Una prole molto numerosa, pensò. Jacob. Si chiese come il suo amico riuscisse a ricordare il nome di ogni animale fantastico. Quel sotterraneo era davvero enorme, un'immensa riserva naturale ricavata dal legno. Come Newt fosse riuscito a creare un qualcosa di tale calibro, per lui sarebbe rimasto un mistero.
Lo osservò da lontano, mentre si occupava della zampa ferita di uno dei cuccioli di snaso. Si assicurò che potesse muoversi da solo, poi lo lasciò libero di tornare a scorrazzare. Sistemò la postazione, e fu a quel punto che Jacob capì che i suoi presentimenti sul cattivo umore dell'amico erano corretti.
Newt si soffermò a guardare una vecchia fotografia incorniciata. La curiosità ebbe la meglio sul contegno del pasticciere, il quale, con la scusa di rimettere al suo posto un secchio, si avvicinò abbastanza da distinguere i dettagli dell'immagine.
Un ragazzino moro dagli occhi celesti sorrideva verso l'obbiettivo con disinvoltura e fierezza, circondando con un braccio le spalle di un altro, leggermente più basso, con un ammasso di capelli rossicci che gli ricadeva in ciuffi disordinati sul viso puntellato di lentiggini. Sorrideva anche lui, ma con più imbarazzo, notò Jacob. Entrambi indossavano un'uniforme nera a bande gialle, con uno stemma a forma di tasso appuntato al petto.
E i loro lineamenti, seppur caratterizzati dalla delicatezza e dallo splendore della gioventù, erano tremendamente simili a quelli di Newt e Theseus Scamander.
Probabilmente, Newt percepì una presenza alle sue spalle, poiché con un gesto rapido lasciò andare la fotografia che stava accarezzando con nostalgia, voltandosi indietro.
«Jacob! Hai fatto in fretta» appurò, dissimulando la cupidigia che, fino a qualche secondo prima, era calata su di lui come una fitta nebbia.
Jacob non disse nulla. Gli sorrise e basta. Forse, si disse, era meglio non fare domande.
Newt risalì la scala di legno che circondava l'alto capannone centrale, tornando poco dopo con un paio di tazze fumanti. Gliene porse una. Il profumo del tè risalì fino alle narici del pasticciere, il quale non poté resistergli oltre.
Si sedettero uno accanto all'altro, le gambe a penzoloni sopra un'immensa piscina che, a detta di Newt, era la casa di una Kelpie, una sorta di grosso puledro d'acqua verde.
Dopo qualche minuto di silenzio che i due spesero ammirando il paesaggio - delle colline artificiali che Newt aveva dipinto con la magia sul muro in modo da farle sembrare il più reali possibile - Jacob si rivolse all'amico.
«Chi cura questo posto ora che lavori tutto il giorno al Ministero?» chiese, tra un sorso di tè e l'altro.
«Io» rispose l'altro, che non aveva ancora bevuto una sola goccia dalla sua tazza. «Nei momenti in cui ho tempo, naturalmente.»
«Bunty?»
«Lavora anche lei al Ministero, ora. L'hanno assunta come segretaria, o qualcosa del genere. Le cose sono cambiate molto... A volte però torna qui e si offre di dare una mano come ai vecchi tempi.»
Jacob si accorse che Newt fissava un punto indefinito davanti a sé, rigirandosi la tazza tra le mani. Ebbe l'impressione che la sua visita fosse per lui una gioia, ma non una qualsiasi. Una di quelle gioie che capitano in momenti delicati, una di quelle gioie che le persone usano per tentare di evadere dai propri pensieri, senza tuttavia riuscire a sfuggire completamente al loro assalto.
«Qualcosa non va?»
Il magizoologo si voltò nella sua direzione, sbattendo le palpebre.
«Non guardarmi come se non ti avessi mai fatto da psicologo.»
Newt si strinse nelle spalle, allentando un po' la presa sulla tazza.
«È...» cominciò, per poi tirare un sospiro. «È stata una giornata abbastanza intensa. E se non fosse stato per la tua visita sarebbe terminata in modo piuttosto deprimente.»
Jacob gli diede una piccola pacca sulla spalla, ma la cosa non parve tirare su di morale il magizoologo. Pensò di comunicare lui le buone notizie riguardo a Queenie, per distrarlo un po'. Ma il suo migliore amico lo anticipò prima che lui aprisse bocca.
«Kama è morto, Jacob.»
Il pasticciere sgranò gli occhi. Tra i due piombò il silenzio.
«Cosa? È... Stai...» balbettò, scioccato. Sperò che Newt gli stesse solo rifilando uno scherzo di cattivo gusto, in cui lui era cascato come un pollo. Ma, si domandò, se quello era uno scherzo, perché l'uomo al suo fianco pareva scioccato e scosso quanto lui?
«È la verità» dichiarò il magizoologo, come se i pensieri nella sua testa avessero ronzato così rumorosamente da arrivare alle sue orecchie. «Theseus lo sa da settimane ma non mi ha detto nulla. Doveva rimanere un qualcosa di top secret, o almeno sembra che queste fossero le intenzioni del Ministero della magia francese. Ma io l'ho saputo. Ho sentito per caso una conversazione tra mio fratello, Charlotte e il suo consigliere.»
«Quindi fammi capire bene, hai origliato?»
«Sussurravano, parlavano di testimoni e di prove, non ho potuto fermare la mia curiosità» si giustificò Newt. «E poi ho sentito che Kama era morto.»
Il cuore di Jacob si rifiutò di credere, nonostante fosse più che evidente che Newt Scamander non stesse mentendo. Non aveva mai avuto un gran rapporto con Kama, ma il francese aveva fatto parte della squadra che, due anni prima, aveva tentato di salvare il mondo.
Ma alla morte non importa come una persona si atteggia in vita. La morte è cieca di fronte al coraggio come alla codardia, all'innocenza come alla colpa, al bene come al male, questi ultimi spesso così ben mescolati da non poter essere percepiti singolarmente.
Per la Morte siamo tutti fiori di uno stesso giardino, sbocciati dalla terra sotto i suoi piedi per venire da lei un giorno strappati.
Jacob abbassò lo sguardo, tirando su col naso. Con la sensibilità che si ritrovava era complicato cacciare indietro le lacrime.
Improvvisamente però, un pensiero tornò a farsi vivo nella sua testa.
«Ha senso... Oddio, ha tremendamente senso...» disse ad alta voce, lasciando l'uomo accanto a lui sgomento.
«Scusa, cosa hai detto?»
«Non molte settimane fa» spiegò Jacob «ho ricevuto la visita di Lallie in pasticceria. Poi è venuta anche Tina con il suo collega, e ci siamo seduti, e le ragazze hanno cominciato a parlare. Lallie sembrava piuttosto turbata. Preoccupata, capisci? Disse che da una settimana a quella parte non aveva ricevuto più nessuna lettera da parte di Kama. Ora è... è tutto chiaro.»
Si scambiarono uno sguardo. Tra i due, non si capiva chi fosse il più abbattuto.
Il sotterraneo ripiombò nella sua semi-quiete (non si poteva certo chiedere a ogni animale di abbassare la voce).
Jacob notò che il tè di Newt si stava raffreddando. Prese un bel respiro, decretando tra sé e sé che fosse suo compito tirare su di morale il suo amico.
Era venuto per quello, no?
«D'accordo, d'accordo, parleremo più tardi della faccenda Kama. È chiaro che sia qualcosa di importante che ha toccato entrambi, ma sai che c'è? Non lascerò che rovini la nostra prima serata post biennio di lontananza» affermò con fermezza, sistemandosi al posto, le gambe incrociate. «Ho una notizia da comunicarti. Pronto?»
Newt accennò un sorriso divertito e annuì. «Se ci tieni così tanto deve essere una grande notizia.»
«Lo è, infatti!» Si schiarì la gola, per poi annunciare: «Queenie è viva e so dove si trova.»
Questa volta fu Newt a sgranare gli occhi per la sorpresa. «Sul serio?»
«Puoi dirlo forte. È in Italia. Ha mandato una lettera, forse...» fece una pausa, le speranze che gli ribollivano in corpo in quantità sempre maggiore. «Forse vuole tornare a casa.»
La sua espressione sognante riuscì a contagiare il magizoologo, che lo spinse a guardarlo e gli rivolse un gran sorriso. «È meraviglioso, Jacob!»
«Se non altro è qualcosa» concluse lui, scrollando le spalle.
Newt aprì e richiuse la bocca, come se stesse cercando le parole giuste per dire qualcosa. Uscirono flebili dalla sua bocca, tanto che Jacob dovette avvicinare la testa per udirle.
«Lei come sta? Insomma... intendo, Tina. Hai detto che è venuta in pasticceria da te e io...»
«Vacci piano, amico, sto perdendo il filo.»
«Insomma, lei come sta?»
Jacob iniziò a ridere, cosa che mise il suo migliore amico non poco in imbarazzo. «La tua ragazza sta benone, rilassati! Newt, amico, fidati di me.»
Il magizoologo lo fissava ora come un bambino che attendeva le sue caramelle. Gli fece tenerezza, con quegli occhi verdi che luccicavano aspettando solo che lui proferisse parola. «Tina sta cercando il modo di venire qui, a Londra. Non ha fatto altro per due anni, te lo posso assicurare. Tu... le manchi da impazzire, sul serio!»
«Davvero?»
Jacob lo rassicurò con un cenno di assenso. «Davvero. E sai che non ti mentirei mai, né su questo, né su qualunque altra cosa.»
Il pasticciere vide Newt arrossire alla tenue luce della lampada appesa a qualche metro dai loro visi.
L'uomo accanto a lui bevve finalmente un sorso di tè. Jacob aspettò che si ricomponesse.
«Lo sai, mi era mancata tanto.»
«Che cosa? La nostra chiacchierata quotidiana sui tuoi problemi e paranoie sentimentali?»
«Anche, sì» Newt si lasciò andare, scoppiando in una risata, per poi dichiarare: «Ma pensavo più alla tua presenza, in realtà.»
Incontrò lo sguardo del suo migliore amico, e si rese conto che nessuna lettera avrebbe mai potuto eguagliare quello.
La sensazione che si provava ad avere al proprio fianco qualcuno su cui contare, qualcuno che insieme a te ne ha passate di cotte e di crude, che con te si è rialzato dopo ogni brutta caduta.
La sensazione di avere di nuovo al proprio fianco un amico.
SPAZIO AUTRICE
La vostra ritardataria preferita è tornata! (alla buon'ora, starete pensando). Certe volte mi sembra che il mondo intero complotti contro di me per evitare che io pubblichi i capitoli. 🥲
Ad ogni modo, giuro che c'è un collegamento tra le due parti di questo capitolo. Voi fidatevi e basta, vi servirà tutto.
La gioia di questo capitolo è sicuramente la rimpatriata tra Newt e Jacob. Il loro rapporto di amicizia sembra essersi consolidato, e di sicuro ora Newt ha qualcuno di fisicamente al suo fianco, cosa che lo aiuterà non poco a superare il grande sconforto lasciato dalla notizia della morte di Kama.
Come sempre spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi auguro un buon proseguimento di settimana! Noi ci vediamo alla prossima ❤️
- Mavi.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top