10. 𝐎𝐥𝐭𝐫𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨
GRINDELWALD'S POV
Ogni angolo del castello di Nurmengard narrava una sua storia.
Dietro le pareti dell'elegante salone da pranzo, tra le fessure che solcavano la pietra, si potevano ancora udire echi di serate distanti, nelle quali sontuose cene venivano organizzate dal padrone di casa e ricchi pasti venivano consumati, un boccone alla volta, da ogni convitato. Risa di uomini e tintinnii di bicchieri aleggiavano ancora nei salotti, che anni addietro sarebbero stati affollati da ricchi signori venuti da lontano in compagnia delle proprie dame, impazienti di intrattenersi a vicenda con infinite e tediose conversazioni.
L'odore acre di tabacco e del fumo dei sigari, ancora vivo e pungente, risaliva fino alle camere, fino a quella stanza dove si credeva si aggirasse lo spirito dell'ultimo proprietario, vestito con abiti macchiati di sangue. L'uomo che persino da defunto non aveva voluto abbandonare la propria dimora, quella che gli era stata sottratta con brutale violenza da un biondo giovanotto in quella fatidica notte di mezza estate. Storie e leggende sussurrate dal vento che stormiva da nord e si abbatteva sulle alte mura, giorno dopo giorno da secoli. Eppure, nessuno di quei racconti aveva affascinato Gellert Grindelwald quanto quelli della Sala degli Arazzi.
Non erano scene di vita quotidiana, né stupide credenze popolari. Erano fiabe tessute con straordinaria minuzia, riportate in vita intrecciando uno dopo l'altro nodi e fili, perché fossero in grado di catturare anche il più esigente degli sguardi umani. Quelle leggende appartenevano a tempi lontani, eppure con il passare dei secoli non avevano perduto neanche un po' del loro fascino, del loro potere. Pendevano dalle mura ora come allora, raccontando di rigogliosi boschi e imponenti castelli, governati dalla pace. Dopo la prima parete tuttavia, la storia prendeva la piega più inaspettata.
Gli idilliaci paesaggi dei primi arazzi venivano rimpiazzati da terreni spogli, piegati dal fuoco, da rosse e alte fiamme che divoravano ogni spiga, ogni fiore. Nei diversi regni ormai segnati, eroi dall'animo impavido sacrificavano la propria vita per battersi contro di lui, il drago nero. Verrebbe da pensare al tipico finale da fiaba, dove un cavaliere valoroso affonda la propria spada nel ventre del drago, guadagnando la gloria eterna. C'era però una cosa che distingueva la storia degli arazzi da tutte le altre: in quel racconto l'ambizione e la ferocia del drago finivano per avere la meglio sul coraggio degli uomini. Alla fine di quella storia era la creatura ad alzare il suo grido di trionfo, prendendosi ciò che ogni cantastorie aveva sempre negato lui: la vittoria.
Sull'ultimo arazzo, il preferito del mago oscuro, era cucito un monito, che viveva ormai nella sua testa da quando per la prima volta aveva varcato la soglia di quella sala:
Dichiarate battaglia al male ed egli vi darà la guerra.
Percorreva un itinerario ideale, invisibile, tracciato dalle sue dita sul legno duro. Ad ogni suo tocco, il mappamondo al centro della sala girava lentamente. Gellert Grindelwald stava in piedi, gli occhi puntati sull'oggetto di fronte a lui, mentre gli arazzi osservavano gelosamente la scena. Si allontanò da New York saltando l'Atlantico, e dopo appena due giri fu in Europa. Il medio toccò Parigi, l'indice si soffermò al di là della Manica, sopra la città di Londra. I suoi occhi si spostarono su Berlino, ma la mano non si mosse. La capitale tedesca avrebbe dovuto attendere ancora, ricordò a se stesso. E così, Londra riebbe la sua piena attenzione.
Conosceva perfettamente i rischi del suo piano. Li aveva ripassati più volte nel corso delle ultime notti, rinunciando talvolta a diverse ore di sonno. Ciononostante non si pentiva affatto delle proprie scelte, nemmeno nei momenti durante il giorno in cui le sue palpebre minacciavano di chiudersi. Servire il Bene Superiore richiedeva anche dei sacrifici, dopotutto. Sacrifici che lui era ben disposto a fare.
Sapeva di non poter fallire. Una volta messo piede a Londra, ogni passo falso avrebbe giocato a suo sfavore. Per evitare falle nel piano avrebbe dovuto controllare ogni pedina sulla sua scacchiera con attenzione, senza perderne alcuna di vista, e nel frattempo riuscire a conquistare quelle avversarie. Fortunatamente per lui, la manipolazione e l'eloquenza erano tra le sue specialità.
Non sarebbe stato tanto complicato, rifletté. Aveva già mezza Europa in pugno, in fin dei conti. I Purosangue lo adoravano come fosse il loro dio, sceso in terra per liberare i prigionieri delle ombre dalla loro schiavitù. Lui avrebbe solo dovuto indossare quel ruolo fino a che anche l'ultimo baluardo di resistenza non sarebbe crollato. I ministeri erano già in crisi prima che lui arrivasse. L'ipocrisia aveva macchiato i politici e il loro nome, l'opportunismo sostituito lo scopo che essi avrebbero dovuto servire. Non c'era da meravigliarsi che la gente ne avesse a poco a poco preso le distanze. Avevano finalmente aperto gli occhi. E lui, dal canto suo, aveva solo accelerato ciò che sarebbe in ogni caso accaduto.
Non c'era nulla che infestasse i suoi sogni, nulla che lo preoccupasse sul serio. O quasi.
Perché in verità rimaneva ancora una cosa a turbarlo. Più che una cosa, quella che inquinava fastidiosamente i suoi pensieri, imponendosi insopportabilmente accanto ad ogni suo progetto, era un persona.
Albus Silente.
Lo aveva ammonito, ma aveva il presentimento che un avvertimento non sarebbe stato sufficiente. Non poteva nemmeno sapere se lo aveva colto, quell'avvertimento. Anche se così fosse stato, Albus poteva essere terribilmente testardo quando voleva. Da una parte, Gellert temeva che l'uomo non si sarebbe scoraggiato; dall'altra però, conosceva i suoi punti deboli, la sua sensibilità. Più di chiunque altro al mondo.
Le regole sono così semplici... eppure sembra che tu non le abbia ancora comprese, vecchio mio. Da' retta alla ragione, e potrai avere una chance di vittoria. Ascolta il cuore, e rassegnati alla sconfitta. In questo gioco non c'è spazio per i sentimenti, Al. Non più.
Percepì un flusso estraneo di pensieri avvicinarsi, sovrastare il suo. Era accompagnato da un lento e regolare suono, come il ticchettio di un orologio, ma più forte e deciso. Scarpe col tacco, realizzò. Convenne anche che una sola persona nel castello di Nurmengard le avrebbe indossate.
Ritrasse la mano dal mappamondo nel momento esatto in cui il rumore cessò. Si voltò piano, incrociando le mani dietro la schiena. Dalla porta aveva già fatto capolino la figura della donna, in attesa.
«Vinda, ma chère» la accolse, con un sorriso compiaciuto in volto. Le visite di Vinda volevano dire sempre buone notizie.
La donna (evidentemente lusingata dal fatto che lui avesse scelto il francese, sua lingua madre, per riceverla) abbassò la testa, in segno di riconoscimento. «Signore.»
La spronò a venire avanti, così che la conversazione potesse rimanere tra loro.
«Come procedono i preparativi per il viaggio?»
«Tutto secondo la tabella di marcia, mio signore. Il ragazzo e i suoi partiranno fra tre giorni per Londra.»
«Eccellente.»
Grindelwald esitò un istante prima di porre la domanda che seguì. «Lui com'è? Come sta?»
«Ha ripreso a dormire, secondo la ragazza serpente. È l'unica con cui si confidi. Lei sostiene che lui sia determinato a portare a termine il compito affidatogli, ma che allo stesso tempo abbia...»
«Paura?»
«Sì. Di non farcela. Di incontrare suo fratello e perdere il controllo. Diversi timori lo affliggono, stando a quanto mi è stato riferito.»
Come immaginava. Aurelius era sempre stato un ragazzo insicuro, più di quanto non desse a vedere. Lo aveva educato in quegli ultimi due anni a dominare la sua paura, a non lasciarsi sopraffare da essa. Gli insegnamenti avevano dato i loro frutti, ma alcuni di questi non dovevano essere ancora maturati abbastanza.
«Vorrà dire che io e Aurelius faremo una chiacchierata prima della sua partenza» concluse. Vinda sembrò approvare l'idea.
«Le porto anche notizie dai piani alti, mio signore. Pare che la Confederazione Internazionale dei maghi stia organizzando un'assemblea straordinaria, proprio a Londra.»
«Non mi dire...»
Non ne rimase sorpreso, naturalmente. Aveva già previsto ogni cosa. Anticipare le mosse di un gruppo di egocentrici carrieristi era un gioco da ragazzi, per uno come lui. La politica internazionale non avrebbe potuto restare indifferente ancora per molto all'affronto che stava arrecando nei suoi confronti. I suoi seguaci rappresentavano una minaccia per l'incolumità dell'intero sistema governativo. Ogni singolo ministro temeva il crollo della propria amministrazione, che avrebbe portato conseguentemente al crollo della propria immagine. Nessuno di essi sembrava comprendere la realtà dei fatti.
La politica stava commettendo un grave errore, e lui ne stava traendo solo vantaggi. Chiedere a un popolo intero di mantenere la calma, tentare di contrastare l'incontrastabile, promettere di aggiustare un sistema ormai irrimediabilmente danneggiato... tutte idiozie, utopie.
Una cosa non era chiara a tutti quei presunti rappresentanti del volere comune, politici incapaci di vedere oltre il proprio naso. Le persone in tempi di crisi non reclamano illusioni. Le persone cercano qualcosa di concreto per cui poter combattere, nuovi ideali da rincorrere, da perseguire. Gellert Grindelwald stava solo dando loro ciò che il governo non poteva offrirgli. Non c'era bisogno di domandare fedeltà quando sapevi già in partenza come ottenerla.
Con un'espressione soddisfatta dipinta in viso si scostò da quei pensieri, tornando ad ascoltare la francese lontana appena qualche centimetro da lui.
«Prima che i giornali cominciassero a parlarne, alcuni dei nostri hanno intercettato parte di una conversazione privata tra una donna e il capo della Divisione Auror Britannica. Lei è legata al Capo Supremo della Confederazione, il tedesco...»
«Vogel» si intromise lui prontamente, ma con impassibilità. "Sembra che l'uccellino abbia mantenuto la sua promessa" pensò tra sé e sé, mentre Vinda concludeva il suo discorso.
«Oui, Anton Vogel. L'assemblea si terrà tra qualche settimana. Sembra che il Ministro inglese abbia sposato la proposta.»
«E...?»
«E saranno presenti tutti i rappresentanti dei paesi più disparati, dall'Occidente all'estremo Oriente.»
Lui spostò il peso da un piede all'altro, ma non si scompose. «Vorrà dire che ci toccherà agire con estrema cautela. Non vogliamo che qualcuno ci metta i bastoni tra le ruote, dico bene?»
Quell'ultima domanda ovviamente era ironica. Le sue visioni del futuro glielo avevano già mostrato nitidamente. Sapeva perfettamente che qualcuno gli avrebbe messo i bastoni tra le ruote. Peccato che quella fosse esattamente un'altra parte del suo piano.
Non aveva scelto il suo obbiettivo a caso. L'aveva osservata, prima di scegliere proprio lei tra tutte le opzioni. Era esattamente quel che gli occorreva. Lo aveva compreso immediatamente, nel momento in cui aveva reagito alla sua provocazione due anni prima. Solidi principi, una notevole tenacia, un guscio duro nel quale era racchiusa un'anima fragile, consumata al punto giusto... Una volta avuta lei sotto il suo controllo, la strada sarebbe divenuta una semplice discesa. Non si sarebbe potuta opporre in alcun modo al suo potere. Volente o nolente, sarebbe diventata la sua pedina, il mezzo per il suo scopo.
È solo una questione di tempo...
Smarrito in quei pensieri aveva per un attimo perso di vista Vinda Rosier. Quando i suoi occhi tornarono ad incrociare quelli della seguace, questa si irrigidì. Captò una dose crescente di paura in lei, paura che stava intrappolando flussi di parole nella gola della donna. Il suo sorriso appassì come un fiore piegato dal gelo non appena lesse qualcosa di inaspettato nella sua mente.
Devi dar lui la cattiva notizia. Il tempo per le buone è scaduto.
Grindelwald si accigliò. Rivolse alla sua seconda uno sguardo penetrante, impaziente. Lei indietreggiò di un passo, tentando di inghiottire il timore come fosse un normale boccone.
«Parla, Vinda» la spronò, con il tono più pacato che riuscì a trovare.
Per attimi che parvero interminabili Vinda Rosier rimase in silenzio. Quando parlò scandì quasi a fatica le parole, facendo avvertire più del solito il suo accento francese. Segno evidente del fatto che la donna fosse molto tesa.
«Temo di doverle riferire anche una cattiva notizia, mio signore. Non è nulla di totalmente certo, ma pare...» Lui attese. Lei gli allungò timidamente un ritaglio di giornale, una fotografia. «Pare che un prigioniero sia evaso dalla prigione dello Zugspitze, in Germania. Ha dei conti in sospeso con lei.»
A seguito di quella frase, Grindelwald s'immobilizzò, incapace di credere a ciò che stava udendo con le sue orecchie e vedendo coi suoi occhi. Cercò di rimanere composto, di dissimulare la rabbia che stava scaldando il suo corpo.
Se c'era una cosa che non sarebbe dovuta accadere era proprio quella.
Capì che Vinda Rosier non stava mentendo dal suo sguardo inquieto, dalle linee che si dipinsero sul suo viso candido. Le labbra rosso fuoco erano serrate, l'espressione seria, al contempo nervosa.
«Come lo hai saputo? Chi lo ha detto? Ho bisogno di saperlo, Vinda.»
Il suo tono andava inasprendosi a ogni sillaba. La seguace non potè far altro che rispondere ad ogni sua domanda.
«Alcuni dei nostri dicono di averlo avvistato in Francia, poi in Germania. Si è nascosto nei quartieri più malfamati, ha fatto tappa in due osterie. Il giorno dopo vicino ad una di esse un uomo è stato trovato morto. Yusuf Kama, fratellastro di Leta Lestrange, la donna che ha perso la vita al Pére-Lachaise di Parigi.»
Doveva per forza esserci un errore. Vinda non poteva avere ragione. Tutto ciò di cui stava parlando, le sue visioni non lo avevano predetto. Ma se la sua seconda stava dicendo la verità allora... Quel prigioniero in libertà avrebbe scalato l'elenco dei problemi da risolvere, posizionandosi al primo posto.
Gellert Grindelwald ebbe improvvisamente il terribile presentimento che colui che lo minacciava non fosse un prigioniero qualsiasi.
Dimenticò nel giro di pochi secondi la Pietra della Resurrezione, Silente, Queenie Goldstein e i politici. Aveva ben altro a cui badare. Qualcuno che - ne era certo - non avrebbe smesso di perseguitarlo fino a che non avrebbe ammirato la sua testa posata su un piatto d'argento.
Non ricordava tutte le vite che la Bacchetta di Sambuco aveva strappato da quando era finita nelle sue mani. Erano tante, ma non avevano mai rappresentato nulla. Non provava rancore per aver ucciso alcuna di quelle persone. In fondo ogni uomo nasce già con il medesimo, tragico destino sulle proprie spalle. Quello della vita è un dono effimero, temporaneo. Noi uomini non siamo che insignificanti punti su una sfera, figli della stessa madre, colei che all'origine ci plasmò da un unico grembo perché un giorno le restituissimo ciò che ci ha concesso: la possibilità di stare al mondo.
Se da una parte sarebbe riuscito a rammentare solo pochi nomi delle sue vittime, dall'altra serbava nella sua memoria l'identità di ogni uomo che aveva pugnalato alle spalle.
Il volto dell'uomo riprese forma nella sua testa, dai suoi ricordi: i lineamenti marcati, la grossa cicatrice sul viso, lo sguardo sempre circospetto, riusciva a rievocare ogni dettaglio. Allontanò la sua immagine, relegandola nuovamente in un angolo dal quale, sperava, non sarebbe più uscita.
Diede le spalle all'elegante e scossa Rosier. Dentro di lui si stava agitando una tempesta. Percepiva un fascio di nervi sempre più fitto sopraffare la sua pazienza, la sicurezza che lo contraddistingueva.
Un passo dopo l'altro attraversò la sala, andata e ritorno, sotto lo sguardo irrequieto di Vinda, che lo seguì lungo tutto il percorso. Ogni angolo del castello era piombato in una grave e angosciante quiete. Persino l'ululato del vento, il cui fragore giungeva alle orecchie dal salone accanto, sembrò arrestarsi d'improvviso.
Qualcuno là fuori stava tessendo una trama che avrebbe potuto danneggiare gravemente quella che lui aveva studiato con scrupolosità, il piano che aveva già messo in atto. E Gellert Grindelwald questo non lo poteva permettere.
Le rassicurazioni di Vinda Rosier non sortirono alcun effetto. La donna selezionò con cura le parole, pronunciandole con disgustosa compassione, come se provasse rimorso per averlo ridotto in quello stato.
«Mio signore, potrebbe trattarsi solo di un terribile fraintendimento. Accade spesso quando le voci girano. Certe notizie viaggiano così velocemente da inciampare sulle loro stesse ali. Ho riferito ciò che mi è stato comunicato, ma non si può mai sapere...»
«Qui non si tratta di fraintendimenti o casualità, Rosier. Questo è un concreto oltraggio architettato per depredarmi di ciò che io ho creato» sibilò lui con rabbia. La sua seconda prese un respiro, come per aggiungere qualcosa, ma nulla uscì dalla sua bocca. Non una replica, non una domanda.
Per la prima volta nella sua vita, Grindelwald sperimentò sulla sua pelle la paura.
Sì, Gellert Grindelwald aveva paura.
Temeva per la sua incolumità.
Temeva per ciò che aveva realizzato in quegli ultimi anni.
Ma soprattutto, temeva per quell'uomo che avrebbe reclamato il suo posto, minacciando il suo potere.
Se davvero quel prigioniero aveva trovato il modo di riacquistare la sua libertà, lui non poteva attendere un minuto di più prima di agire. Ne andava della riuscita del suo perfetto piano.
«Ingaggiatela» affermò all'improvviso, lasciando Vinda Rosier attonita.
Il silenzio discese nuovamente tra loro, questa volta portando con sé un ben più grande carico di tensione. La francese comprese immediatamente a chi lui si stesse riferendo. Ma il mago non avrebbe cambiato idea.
La domanda che Vinda gli pose non lo scalfì minimamente. Mantenne la testa alta, quietò gli spiriti bollenti che infuriavano in lui come onde sugli scogli nel mezzo di una burrasca. Non avrebbe perso la calma. Lui era Gellert Grindelwald, uno dei maghi più potenti che il mondo avesse mai conosciuto. Niente e nessuno poteva ostacolarlo.
"Niente e nessuno", ripeté tra sé, sfiorando il manico della Bacchetta di Sambuco.
«Ne è sicuro signore? Possiamo mandare qualcun altro per metterlo a tacere...»
«Mai stato più sicuro di così, Vinda.»
Oltrepassò la donna, lo sguardo rivolto davanti a sé. Per contrastare un male estremo ci voleva un estremo rimedio. E lei in quel momento risultava l'unico estremo rimedio a sua disposizione.
«Voglio che tu vada a richiedere lei un servizio per conto mio» ordinò alla seguace, con un tono che non ammetteva repliche. «Voglio quell'uomo morto il prima possibile.»
Con quelle parole, Gellert Grindelwald congedò Vinda Rosier. Uscì a grandi passi dal salone, diretto al suo studio. Il profilo del prigioniero gli riaffiorò alla mente, sovrastò ogni altro pensiero.
Se si aspettava che sarebbe rimasto a guardarlo prendere il suo trono, si sbagliava di grosso.
Lui era il drago nero della sua storia. E avrebbe tramutato in cenere chiunque osasse strappargli dagli artigli la vittoria.
Fosse l'ultima cosa che faceva in vita sua.
SPAZIO AUTRICE
Anche questa settimana vi ho fatti attendere, perdonatemi. Ma eccoci qua, ormai entrati nel vivo di questo sequel.
Qualche altarino comincia a saltare fuori, minacciando di intaccare il piano perfetto di Grindelwald. Naturalmente, quest'ultimo non poteva rimanere indifferente.
Come andrà a finire secondo voi? Chi ha ingaggiato il nostro caro zio Gel per uccidere la minaccia? Qualche idea? 👀
Vi lascio alle vostre teorie e mi dileguo (per il momento...)
- Mavi 🦋
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