1. 𝐒𝐨𝐫𝐠𝐞𝐫𝐚̀ 𝐮𝐧 𝐢𝐦𝐩𝐞𝐫𝐨
GRINDELWALD'S POV
Castello di Nurmengard
Austria
Da lassù le montagne innevate apparivano ad ogni alba più maestose. Le contemplava ogni mattina dalla vetrata. Sembravano innalzarsi giorno dopo giorno sempre di più, come se volessero dimostrare di essere all'altezza del compito affidato loro: proteggere l'imponente castello che dominava la vallata. Un po' come candide barriere dovevano celarlo dietro i loro gelidi manti e i loro ripidi versanti, perché nessuno sguardo indesiderato intercettasse le svettanti torri e gli stemmi neri, che minacciavano di essere portati via dalle folate di vento.
Gellert Grindelwald staccò lo sguardo dal paesaggio e si rimise a sedere, una compostezza e una fermezza che mai come in quel momento sentiva di dover mostrare. In fin dei conti ora era a un soffio dal diventare il capo di un vero e proprio impero.
Scamander e la sua patetica squadra di eroi non lo avevano fermato due anni prima. Erano riusciti solo a farlo uscire di scena per qualche mese. Ma il suo nome non era mai del tutto sparito. Trasportato dal vento fresco della primavera aveva attraversato le stagioni, imponendosi come ritmo costante e dominando le testate di riviste e giornali. Di giorno in giorno di bocca in bocca aveva sorvolato tutto il mondo magico, spargendo terrore ovunque andasse. Sfiorava i passanti che lo pronunciavano a bassa voce, provocando loro brividi e angoscia. Atterriva persino chi non credeva alle voci di corridoio e chi pensava - forse sperava - che dopo l'episodio a Rio lui fosse morto.
Ma non lo era affatto.
Aveva semplicemente lasciato che tutto facesse il suo corso. La strada per lui era sempre stata in discesa. Non gli era mai servito muovere un dito per portare tre le sue braccia seguaci da tutto il globo. Aveva sparso la parola grazie ai suoi fedeli, l'aveva portata da un capo all'altro del mondo. Promesse seducenti, l'immagine di una stirpe liberata e dominatrice, quella dei maghi. Era bastata la fama che lo precedeva ad alimentare un fuoco velenoso nei cuori dei più deboli e a far germogliare in loro il seme acre della vendetta. Aveva solamente raccolto tutti i fili che erano strisciati da lui, che, sapeva, avvinghiavano un mare di pupazzi con i quali poteva giocare a suo piacimento. Soldati assuefatti, marionette succubi delle sue parole, pedine da controllare e far crollare sulla sua scacchiera con una sola mossa.
Perché quello era stato il suo piano sin dall'inizio. E Silente e i suoi alleati, le persone che si erano battute per rivoltarsi contro di lui, lo avevano solo aiutato a raggiungere il suo obbiettivo.
Incrociò le dita davanti a sé, scrutando per l'ennesima volta le informazioni che tanto aveva bramato, e che ormai da due anni si trovavano nelle sue mani.
Stato del manufatto: scomparso
Classificazione: estremamente potente
Proprietario legittimo: Marvolo Gaunt, eredità di famiglia
Residenza: Little Hangleton, Gran Bretagna
Proprietario attuale: non identificato
Era stato più complicato del previsto, ma qualcosa l'aveva ottenuta. Little Hangleton era stata la sua prima meta dopo Rio de Janeiro. Aveva avuto personalmente un "colloquio" con Gaunt. Quest'ultimo si era rivelato essere un vecchio avido e scorbutico, almeno finché lui non gli aveva puntato la bacchetta al collo. Il bisbetico Marvolo era divenuto d'un tratto piuttosto loquace. Aveva vuotato il sacco senza far resistenza, insieme ad un cognome. Lui naturalmente lo aveva obliviato, così che non potesse ricordarsi del loro piccolo, amichevole incontro.
Da quel momento non aveva pensato ad altro. Aveva mandato i suoi seguaci più fedeli alla ricerca dell'attuale possessore della Pietra, assaporando grazie alla sua immaginazione il momento in cui sarebbe stato padrone non di uno, bensì di due Doni della Morte.
Il tuo potere sarà smisurato. Sarai ad un passo dal diventare padrone della Morte stessa.
Ogni mattone del castello glielo sussurrava. Quell'immagine fluttuava fino alle sue orecchie rilassandolo, stendendo i suoi nervi. Alleviava la rabbia che provava verso il suo passato, facendo acquistare a ogni cosa un colore nuovo. Quanto si è sciocchi quando si è giovani... Ci si fa abbindolare dalle fiabe e poi, crescendo, si resta delusi, guardando il mondo in faccia per quello che è davvero. Un campo minato dove bisogna essere estremamente furbi e resistenti per sopravvivere e trovare il proprio posto. Fortunatamente lui lo aveva capito in tempo.
Sentì bussare alla porta. Si concentrò e udì i pensieri di chi richiedeva la sua udienza. Sorrise, sperando in fresche novità.
«Entra pure, Rosier.»
Vinda accostò il portone di legno e si fece largo con eleganza nello studiolo dal pavimento lucido. Si avvicinò lentamente alla scrivania. Il rumore dei tacchi riecheggiò, rimbalzando sulle pareti. Grindelwald notò che portava i capelli scuri raccolti e, appuntata alla divisa nera, la spilla argentata con l'emblema della sua Armata: due G a specchio che racchiudevano il simbolo dei Doni.
«Mio signore» lo appellò, chinando la testa con reverenza. Nessun seguace gli era più fedele e devoto di Vinda. La donna aveva dimostrato svariate volte il suo valore, sin dai tempi di Parigi, quando si era unita alla sua cerchia. Vinda Rosier era potente, il perfetto prodotto tra bellezza e arguzia, nonché la persona ideale per rivestire il ruolo di sua seconda insieme ad Aurelius.
Le ordinò di alzare la testa verso di lui e la donna obbedì senza esitare. I riflessi del sole si abbattevano sulla sua pelle chiara, unendosi al verde dei suoi occhi e risaltando le labbra rosso fuoco.
«Cos'hai per me, Vinda?»
«Ottime notizie, mio signore» rispose la donna senza nascondere il suo accento francese. «Sempre più persone domandano di potersi unire a lei.»
«Splendido» constatò. Il lieve sorriso compiaciuto che apparve sul volto di Vinda contagiò anche lui. Perdendosi ancora una volta nei suoi pensieri immaginò tutte quelle persone gridare a squarciagola il suo nome, esattamente come aveva sognato da giovane.
Grindelwald! Grindelwald!
«Novità sul nome che ti ho passato?» chiese alla donna, le voci ancora vive nella sua mente.
«Ho ingaggiato i sicari più esperti, come da lei richiesto. Mi sono permessa di scomodare anche alcuni dei nostri tra gli Auror. Gli archivi dei Ministeri sono una risorsa preziosa, quando si tratta di ricerche come questa.»
«Eccellente mossa, Vinda.»
Si alzò dalla grossa sedia e fece il giro del tavolo. La francese abbassò nuovamente il capo quando lui le camminò a fianco.
Mosse qualche passo verso l'unica libreria nella stanza, posando delicatamente i documenti su uno degli scaffali intagliati. Dando le spalle alla sua seconda, Gellert Grindelwald abbassò la voce, per tenere tra lui e lei la domanda che seguì.
«Che mi dici invece riguardo alla Goldstein?»
Da due anni a quella parte i suoi seguaci setacciavano ogni angolo del globo alla ricerca di Queenie Goldstein. Era stato lui ad ordinare loro di ucciderla. Quella donna serbava nella memoria fin troppe informazioni, dal luogo in cui si trovava Nurmengard ai nomi della maggior parte dei suoi accoliti più fedeli. Sin dal momento in cui era fuggita era diventata una minaccia al raggiungimento dei suoi obbiettivi, la numero due dopo Albus Silente. Nessuno l'aveva trovata, ma nessuno aveva mai smesso di cercarla. Aveva promesso un'ottima ricompensa a chiunque l'avesse rintracciata e fatta fuori: un posto tra i suoi fedelissimi, all'interno delle mura del castello. Era bastato diffondere la notizia per far mobilitare i più determinati. Queenie Goldstein non aveva la minima idea di quanti in quel momento bramassero la sua morte.
A quella domanda, il sorriso di Vinda si allargò. Ne dedusse che la donna doveva avere delle ingenti nuove sull'argomento.
«Alcuni l'hanno avvistata pochi giorni fa. Ipotizzano si trovi da qualche parte in Italia. Sembra sia sotto la protezione di un gruppo di ragazzini, un'associazione a sostegno degli orfani di guerra» spiegò, in tono pacato. «Non ci vorrà molto prima che la trovino.»
Quelle parole lo rassicurarono visibilmente. Con Queenie fuori dai giochi, gli unici ostacoli per lui sarebbero rimasti Silente e il Patto di sangue.
Quello stupido, maledettissimo Patto di sangue.
La strega francese se ne stava in piedi, un'espressione trionfante dipinta in viso. Sembrava stesse attendendo con impazienza un riscontro, nuovi incarichi da portare a termine. Questo era almeno ciò che trapelava dai pensieri della donna.
Muovendo qualche passo Grindelwald tornò dietro la scrivania, prima di rivolgere nuovamente la parola alla sua seconda.
«Hai adempito al tuo compito in modo magistrale. Non che avessi dubbi, naturalmente... ma di questi tempi è raro scovare una tale precisione e assiduità in una sola persona. Niente più incarichi fuori dal castello, per quest'oggi. Tuttavia necessito che tu faccia un'ultima cosa per me.»
Seppe di avere la sua completa attenzione della francese quando percepì la sua eccitazione crescente confusa in un guazzabuglio di pensieri differenti. «Voglio che tu vada a chiamare Aurelius. Dì lui di portare da me anche la ragazza serpente, Tolliver e la Bulstrode.»
Il cognome della ragazza provocò un intimo dissenso in Vinda, che tuttavia si inchinò, accettando l'incarico con un fermo: «Sarà fatto, mio signore.»
Lui abbozzò un sorriso carismatico, congedando la sua seconda con un solenne gesto della mano. Allorché ella superò l'uscio, il rumore del vento tornò a farsi sentire da dietro la vetrata insieme a quello dei suoi pensieri, che sovrastò la quiete.
Attese, circondato dal silenzio. Aspettò, illuminato dagli ultimi raggi di un sole ormai calante, finché non udì dei passi sempre più vicini. I suoi pensieri erano inconfondibili: malinconici, inquieti, l'esatto opposto di quelli sicuri e ordinati di Vinda Rosier. Erano una tempesta, una perenne partita ad acchiapparella tra paura e orgoglio.
Allargò le braccia, accogliendolo come si fa con un ospite importante.
«Aurelius, ragazzo mio. Entra, non temere.»
Aurelius era visibilmente cambiato. Era cresciuto in altezza, sebbene la sua corporatura fosse rimasta piuttosto esile. Dal suo sguardo si affacciava ora una persona nuova, del tutto diversa dal ragazzino confuso e spaventato che aveva conosciuto a New York. I suoi occhi scuri comunicavano ora un'intensa fierezza, incorniciata da lunghi e ondulati capelli corvini che gli sfioravano le spalle. Percepì il timore, relegato in un angolo ostico dell'animo del ragazzo perché non potesse sfregiare l'espressione sicura dipinta sul suo viso.
Dietro l'obscuriale si disposero uno a fianco all'altro gli altri tre seguaci. Notò che la ragazza serpente gettava sguardi fugaci verso la figura alta del giovane davanti a lei, giocherellando con le maniche troppo larghe del suo abito scuro. Gli altri due parevano più freddi; mentre l'impassibilità di Achilles Tolliver si palesava come forzata, quella della ragazza alla sua destra sembrava autentica. A turno chinarono la testa, in segno di rispetto. In risposta, lui concentrò la sua attenzione su Aurelius.
"Il ragazzo è la chiave", aveva continuato a ripetere a se stesso in quegli ultimi due anni. "È essenziale fare di tutto affinché rimanga dalla tua parte". Era forse l'unico e solo motivo per il quale aveva convinto la parte recalcitrante di sé ad accogliere nell'Armata l'impacciata e riservata Nagini. Per qualche ragione, Aurelius teneva a lei. Cacciare la ragazza sarebbe a lungo termine risultata una mossa svantaggiosa per il raggiungimento della piena fiducia del ragazzo. Lo stesso che pose fermamente la prima domanda.
«A cosa dobbiamo quest'udienza?»
Lui sorrise soddisfatto. «Sono grato che tu me l'abbia chiesto, ragazzo. Si dia il caso che abbia un incarico per ognuno di voi.»
Nagini e Tolliver alzarono la testa, Aurelius deglutì. Sentiva volteggiare nell'aria una tensione a dir poco appagante. L'unica che non parve influenzata da quella rivelazione fu la seconda ragazza. Teneva lo sguardo fisso sul suo viso, come se fosse l'unica cosa presente nella stanza. La sua carnagione bruno olivastra venne raggiunta da un debole raggio di sole, ma nemmeno questo sembrò turbarla. Apparve anzi piuttosto compiaciuta di quel dettaglio. Doveva essere consapevole di quanto la luce risaltasse i suoi occhi.
Si chinò, tirando fuori da uno dei cassetti della scrivania una busta e una scatola rettangolare. Alzò la lettera al cielo, sventolandola di fronte al viso. Improvvisamente la lasciò andare. La seguì in ogni movimento, finché quest'ultima non si fermò di fronte ad Aurelius. Il ragazzo la afferrò con prudenza; più volte se la rigirò tra le mani. Nagini e Tolliver si fecero sempre più curiosi, mentre nell'elegante ragazza sulla destra persistette un atteggiamento immobile e impassibile. Pareva ora fissare la scatola che lui aveva davanti a sé, come se sospettasse che fosse destinata a lei.
Lo sguardo apparentemente duro e accorto dell'obscuriale si soffermò sulla sua figura.
«È una lettera» concluse il ragazzo, senza curarsi di aver appena affermato l'evidenza. «Non è nemmeno indirizzata a me. Che dovrei farci?»
«Consegnarla da parte mia, naturalmente.»
La spiegazione che seguì fu concisa, e come di consueto Grindelwald preferì tenere alcuni dettagli per sé. «Voglio che tu e Nagini andiate a Londra. Trovate l'indirizzo e recapitate la lettera; dovrete poi rimanere in città, entrambi. Io vi raggiungerò non appena avrò sistemato alcune... questioni rilevanti.»
«Cosa c'è scritto nella lettera?»
Si era aspettato quella domanda. Aveva sorriso al suo protetto, lodando quella punta di sfrontatezza che udì nella sua voce. Era così che aveva sempre desiderato Credence: consapevole di essere potente, perciò sfrontato. Avere di fronte a sé finalmente il prodotto dei suoi sforzi lo riempì di orgoglio verso se stesso. Non aveva fatto un brutto lavoro, a quanto pareva.
In quel frangente dovette tuttavia ammonirlo. Aurelius avrebbe scoperto da sé al momento opportuno il contenuto della lettera. Era meglio restasse un segreto fino ad allora.
«Dimmi, ragazzo: cosa portò Ulisse al di là delle colonne d'Ercole?»
Lo mise alla prova, per testare se avesse davvero letto i libri che aveva trafugato in giro per Nurmengard. Colto alla sprovvista, Aurelius esitò. Poi, racimolando un po' di coraggio, rispose: «Curiosità.»
«E che cosa gli accadde?»
Silenzio. Poi una risposta, più flebile della precedente. «La sua nave affondò. Lui non fece più ritorno.»
«Bravo ragazzo. Sapevo avresti afferrato il messaggio.»
Fece un cenno con la testa, rivolto ad un dubbioso e teso Aurelius. «E ora va', mio secondo. Porta Nagini con te. Una volta raggiunto l'obbiettivo, dovrai solo attendere nuove istruzioni.»
«Ricevuto, signore. Sarà fatto. Per il bene superiore.»
Il ragazzo, forse resosi conto di aver ottenuto la sua approvazione, si sciolse un pò. La ragazza serpente dal canto suo era rimasta in uno stato di apprensione per tutto il tempo. Parve rilassarsi solo quando percepì il tocco di Aurelius sulla sua spalla. Il giovane la accompagnò dolcemente, sussurrandole qualcosa che lui non riuscì a comprendere. Poi si chiuse la porta alle spalle, incrociando per l'ultima volta i suoi occhi di ghiaccio.
Lo studiolo piombò nuovamente nel silenzio. "Fuori uno", pensò, e il suo sguardo passò dalla porta ormai chiusa ai due seguaci rimasti di fronte a lui. Si era quasi dimenticato di loro. Tolliver guardava di sottecchi la ragazza al suo fianco, come se in qualche modo la sua presenza lo intimorisse.
«Molto bene. E ora,» esordì, «vieni avanti, Bulstrode.»
La donna avanzò a testa alta, con sicumera. Fece un inchino di fronte a lui. Ora che era vicina ne percepì la disposizione, celata dietro un'ammirevole compostezza, quasi pari a quella di Vinda Rosier. I pensieri del secondo seguace erano invece ben diversi. Rimasto in disparte chiuso in un religioso silenzio, faceva correre lo sguardo dappertutto, come fosse alla ricerca di una via per liberarsi da quella soffocante atmosfera. La cosa non lo sorprese minimamente: in fin dei conti, Achilles Tolliver era sempre stato un codardo. Lo avrebbe volentieri riconsegnato al Ministero, se solo non possedesse informazioni estremamente utili che lui avrebbe potuto sfruttare per dividere gli alleati di Silente.
«Pronta a servirla, mio signore.»
Non le rispose immediatamente. Si prese qualche attimo per squadrarla: era una tattica che usava spesso, per mettere alla prova chi gli stava davanti. Pochi fortunati possedevano il coraggio necessario per sostenere le sue occhiate glaciali. Dovevi sapere domare l'angoscia per tenere in piedi gli scudi ed evitare le lame. Voleva testare se davvero la ragazza meritava la fama che si era costruita attorno.
La giovane restò immobile, lo sguardo fisso innanzi a sé. Non un cenno delle labbra rosee, né un movimento del viso. Doveva aver compreso che quello era un test. Un esame che lei voleva superare a tutti i costi.
Le sue labbra si storsero in un sorriso. «Sei intelligente, ragazzina. A quanto pare quello che si dice di te è vero.»
La donna alzò un sopracciglio, forse leggermente infastidita dal nomignolo che lui aveva usato. Non badò minimamente a lei, fino a che la sua testa non riemerse dal cassetto della scrivania, lo stesso da cui aveva poco prima estratto la lettera e la scatola.
«Data la tua - chiamiamola, notevole capacità intellettiva - credo tu abbia compreso di non essere qui per ricevere lodi.»
Con un gesto sprezzante sparse alcune fotografie in bianco e nero davanti a sé, abbastanza distanti tra loro perché la ragazza potesse distinguerle. Dovette spostare il suo narghilè a forma di teschio, ma alla fine gli otto volti ritratti arrivarono a formare una schiera ordinata sotto gli occhi scuri di Leanna Bulstrode.
«Tra le molte cose che si mormorano sul tuo conto, una mi ha... diciamo così, particolarmente interessato. Si dia il caso infatti che tu conosca uno di loro. Erro?»
«No, signore.»
«Magnifico», osservò, quasi rassicurando se stesso. «Chi è il fortunato?»
Da parte della seguace non vi fu alcuna esitazione. Indicò una delle fotografie, alzando poi lo sguardo.
Centro.
Scorse Achilles Tolliver trasalire, mentre sentì farsi strada sulla lingua il dolce sapore della soddisfazione. Era esattamente quello che serviva lui per spezzare tutte le giunture che tenevano saldo quel patetico gruppetto di eroi. Avrebbe ancora una volta avuto quello che bramava. Diversi fattori giocavano già a suo favore, ma se fosse stato necessario avrebbe ottenuto la sua fedeltà con la forza.
La Bulstrode si dilungò in una spiegazione che lui non ascoltò. Quando la donna terminò si accorse che l'attenzione dell'uomo davanti a lei era rivolta altrove. Ricadde nel silenzio, lasciando una frase riguardo a vecchi rapporti scolastici a metà.
«Il bello dei dettagli è che possono essere tanto importanti quanto futili, Bulstrode.»
Sorrise, facendo intendere il suo totale disinteresse. Fissò i suoi occhi di ghiaccio sulla presenza più silenziosa nella stanza, e con un cenno gli ordinò di avvicinarsi.
«Coraggio, Tolliver, rendi utile la tua presenza qui. E vedi di non farmi pentire di averti fatto uscire di prigione.»
L'uomo avanzò a passi piccoli e lenti, pervaso dal terrore. Alzò gli occhi castani dal pavimento a fatica e fece scorrere lo sguardo su tutti quei volti che incombevano su di lui come demoni, rimembrandogli il peccato più grande che avesse mai commesso: il tradimento.
«Voglio che tu mi indichi ogni singola relazione di cui sei a conoscenza. Ti raccomando di non tralasciare alcun filo... non ne gradiresti le conseguenze.»
Lo fulminò con lo sguardo, uccidendo sul nascere la sua esitazione. L'ex-Auror allungò le dita verso la scrivania, cominciando a spiccicare qualche parola e indicando man mano le diverse fotografie, usando come riferimento quella già individuata da Leanna Bulstrode.
«Con loro non parlava molto, e nemmeno con lei. Poche interazioni, ma niente di... significativo. La professoressa forse aveva più la sua attenzione.»
Si soffermò, prendendo in mano la fotografia di una donna. Fu come se un'incudine invisibile gli fosse caduta sul cuore. Tacque per un istante, che fu abbastanza per far innervosire colui che gli stava dinnanzi.
«Ebbene?»
Tolliver tentennò. «Loro sono... amiche, credo.»
«Tu credi...» sbuffò Grindelwald ironico, il suo serbatoio di pazienza che andava esaurendosi. «Non ti ho chiesto supposizioni, Tolliver. Voglio certezze, e le voglio ora.»
Si accanì contro il seguace quanto bastò per intimorirlo. Sfoderò la Bacchetta di Sambuco, cominciando a rigirarsela tra le mani, senza staccare lo sguardo dal volto pallido di Achilles Tolliver. Sentì la paura farsi strada nel Novellino, un fulmine a ciel sereno. Si chiese se almeno un tantino stesse temendo che la punta di quella bacchetta potesse finire sul suo collo, e se lo stesse sfiorando la consapevolezza che quella volta non ci sarebbe stata la caritatevole Queenie Goldstein dalla sua parte.
La minaccia sorbì presto il suo effetto. L'uomo dai capelli color cenere posò la fotografia che aveva in mano e la sostituì con un'altra, voltandosi verso Leanna Bulstrode.
«Questo... questo è il tasto che devi toccare. Lavorano insieme, credo sia la sua unica relazione stretta...» la voce di Tolliver s'incrinò, ma poco importava.
Aveva il presentimento che si sarebbe divertito a giocare a domino. Una tessera dopo l'altra a partire da una sola. Sarebbe rimasto a guardarle cadere fino a che, impotenti e sconfitte, non si sarebbero inchinate tutte quante ai suoi piedi.
«Era questo che volevo sentire.»
Si rivolse nuovamente alla ragazza, confermando i suoi sospetti iniziali. Le affidò infatti la scatola color porpora, non prima di averla aperta, rivelando al suo interno una preziosa collana d'argento con il simbolo dei tre Doni. «Ascoltatemi, entrambi. Seguirete anche voi Aurelius e la ragazza serpente a Londra. Niente domande. Attenetevi alla lettera, lì è scritta ogni cosa.»
Leanna Bulstrode fece una smorfia di disappunto tentando di ribattere, senza ottenerne però la possibilità.
«Dovrete collaborare, tutti e quattro. Aurelius farà le mie veci. Ogni obiezione verrà rigettata» affermò, con un tono che non ammetteva repliche. «Mi serve che voi due concentriate la vostra attenzione soltanto sul vostro obbiettivo. Lui non mi interessa: una volta attirata lei nella trappola potrete già considerare il vostro lavoro terminato. Questa vi sarà d'aiuto, nel caso si ribellasse.»
Scoprì la collana, sussurrando qualcosa a pelo dell'argento. Il simbolo dei Doni brillò per un istante a contatto col suo respiro. Persino la magia oscura obbediva oramai ai suoi comandi.
Leanna Bulstrode afferrò la scatola, ancora visibilmente seccata dalla notizia della collaborazione. I due seguaci si scambiarono uno sguardo che nelle intenzioni di Tolliver doveva forse essere amichevole, ma che in quelle della ragazza fu tutt'altro.
«Vedete di non tornare a mani vuote. Se userete la collana lo sentirò e saprò che in fondo non siete dei completi fallimenti.»
Fu a quel punto che la seguace di fronte a lui esplose. Era stata preda di un'irritazione crescente dal momento in cui l'aveva chiamata "ragazzina". Avendo percepito ogni onda alzarsi, la reazione della donna suonò alle sue orecchie incredibilmente e fastidiosamente scontata.
«Non sono venuta qui per ascoltare un paio di enigmi e guardare due stupide fotografie. Per arrivare in questo castello mi sono fatta un nome, ho servito il Bene superiore con qualsiasi mezzo! E adesso dovrei abbassarmi al compiere una missione del quale so poco o nulla senza nemmeno una ricompensa? Ho una dignità e non ho intenzione che venga calpestata...»
Si alzò di scatto per fronteggiarla, costringendola a indietreggiare. Gli bastò un nonnulla per metterla a tacere: l'esperienza tornava utile, in occasioni come quelle.
«É bene che tu ti metta in testa fin da ora ragazzina che servire i valori per i quali combattiamo porta a dover compiere sacrifici. La ricompensa a cui tanto aspiri ti sarà riconosciuta. Mettere in mostra la tua ostinatezza non ti porterà da nessuna parte. Da' retta a chi è del mestiere.»
Leanna tacque, stringendo i denti. Scoccò un'occhiataccia a Tolliver dietro di lei, nonostante questi non l'avesse minimamente provocata. Evidentemente la donna si sarebbe sfogata contro l'ingenuità dell'uomo, talmente smisurato era il suo orgoglio. Ma per fortuna lui non avrebbe dovuto assistere a quella patetica pantomima.
«E ora fuori, entrambi. La vostra presenza qui non è più richiesta.»
Fissò prima uno poi l'altra, mentre quelli mormoravano all'unisono un'appena udibile "Per il Bene superiore". Leanna strinse a sé la collana, Achilles Tolliver si costrinse a staccare lo sguardo dalla fotografia della donna con il caschetto scuro, e insieme lasciarono lo studiolo a grandi passi. Grindelwald poté finalmente respirare e godersi la sua beata e meritata solitudine.
Stava percorrendo un sentiero spianato, sul quale aveva desiderato camminare sin dall'adolescenza. Guardando avanti scorgeva a pochi passi una versione migliore del mondo, il frutto dei suoi progetti finalmente pronto ad accoglierlo. Voltandosi indietro vedeva invece un ragazzino solo ma determinato, le cui grandi ambizioni attendevano solo di essere realizzate. Udiva la sua voce, qualche volta, lontana ma limpida, quando si perdeva negli abissi del ricordo di ciò che era stato.
Era la voce di un ragazzo pieno di curiosità e influenzato dall'incoscienza. "Ci sei riuscito?", chiedeva, ogni volta che lo incontrava durante la notte. Sempre la stessa, assillante domanda, il ritmo costante che avviava ogni loro conversazione.
"Sì", gli rispondeva allora lui, ma lo faceva freddamente, rammentando al giovane la persona che sarebbe diventata seguendo la strada del potere. Lo copriva dall'alto con la sua ombra, mostrava lui le cose a cui avrebbe dovuto rinunciare. E il ragazzino lo scrutava soggiogato, fino a che non cominciava a squadrarlo, cercando con gli occhi qualcosa o qualcuno al suo fianco.
"E Albus?" domandava, con quell'insopportabile punta di speranza nella voce. Lui esitava, temporeggiava e provava pietà per quell'esile e pallido ragazzo biondo che aveva ceduto all'amore. Lo rimproverava, gli mostrava ciò che lo avrebbe atteso alla fine della strada. "Albus sparirà e sarà solo un lontano ricordo" lo rassicurava, pur sapendo che mai sarebbe stato così.
Perché il filo che li aveva legati non si era mai spezzato. E proprio quella corda invisibile, quelle due gocce di sangue intrecciate, rappresentavano il suo unico limite, quell'ultimo ostacolo che era però determinato a superare.
"Se vuoi provare a fermarmi allora fallo, Al. Non te lo impedirò. Ma con o senza di te incenerirò il loro mondo."
SPAZIO AUTRICE
Primo capitolo, primi misteri.
Perché sì, ormai mi conoscete, ho una particolare attrazione per il lasciare tutto nell'ambiguità.
Però dai, almeno così potrete scervellarvi con qualche teoria 🙊
In questo capitolo avete conosciuto nuovi personaggi e vi siete ritrovati davanti vecchie conoscenze (lo so che avreste voluto che uccidessi Tolliver, ma la trama esige la sua fastidiosa presenza 🙄).
Detto ciò, quali saranno le intenzioni di Grindelwald secondo voi? Come riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi? Cosa c'entrano la lettera e la collana?
Vi lascio alle vostre teorie e io mi dileguo fino alla settimana prossima 🏃🏻♀️
- Mavi.
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