sedici


Siamo soli su questo aereo, dato che tutti gli uomini di Barton sono stati uccisi o catturati. Io sono intenta a raggiungere la quota giusta per poi poter cercare un punto dove atterrare a New York, dato che siamo diretti lì, mentre nella mia mente mille discorsi si articolano: devo capire non solo come dirglielo, ma cosa dirgli. Sapevo che sarei stata dalla parte del nemico, una volta accettato l'accordo, eppure come mai sono così tanto arrabbiata? Questa rabbia è giustificata, o è semplicemente accumulata da tutte le cose che ha fatto? La sto provando perché sono veramente arrabbiata con lui, o perché mi sono affezionata?

Loki, nel frattempo, ha lo scettro tra le mani e sta guardando l'Helicarrier cercare di riprendersi dai danni subiti, avvolto da una leggera coltre di fumo e pericolante, come se avesse dei cavi che lo sorreggessero e fossero stati quasi tutti recisi.

«Ne vuoi parlare?» mi chiede stizzito lui, come se fossi la sua sorellina che ha messo il broncio perché non le hanno comprato il gelato. «Ne riparliamo dopo. Ora devo raggiungere New York, parlare con Selvig e capire se possiamo velocizzare la creazione del portale» gli rispondo, imitando alla perfezione il tono che aveva usato prima, quando, dopo aver perso venti minuti o giù di lì a chiacchierare e a godersi la sua vittoria su un debole umano, aveva liquidato la conversazione con me. «Amorevole come sempre, Mel. Non so come abbia fatto tuo padre a sopportarti» dice, e cerco i comandi per impostare il pilota automatico. Oh, vuole giocare? Gioco anch'io. «Non è stata una mia idea venire qui, perciò non ti lamentare se esprimo il mio carattere quando mi pare e piace» mi giro per guardarlo negli occhi, leggendo svariate espressioni meno quella che voglio davvero vedergli. Poggia lo scettro al suo fianco, sulla panca, e dice: «Non mi sembravi così tanto contrariata» appena una luce gialla si attiva, mi alzo, facendo roteare il sedile del pilota. Lo raggiungo, vedendolo tirare su il torso e guardarmi, sorpreso dalla mia impulsività. «Mi sembrava un'ottima idea mantenere al sicuro Fleyra e seguirti. Non mi sembravi così cattivo. Eppure hai ucciso un fottuto innocente» anche lui si alza, quelle maledette mani rivolte verso di me come se stesse calmando un leone feroce, anche se io non sono così minacciosa. Sembra una presa in giro. «Non è che stessi pensando di colpire una parte non vitale. Ho agito talmente tanto velocemente che ci ho pensato dopo» e si giustifica così? Non glielo permetto. Non è così facile. «Io sono riuscita ad atterrare quattro soldati protetti da giubbotti antiproiettile e armati fino al collo senza ucciderne uno, e tu non sei riuscito, con la tua magia, a mettere K.O. un singolo agente che non era neanche abile con le armi?» Loki inclina la testa e mi guarda con rimprovero. «Abbiamo due magie diverse, Mel. La mia illusione è più laboriosa e devo essere io ad agire in velocità. La tua è l'opposto» magie? Illusioni?

«Ma di che illusione parli? Non eri neanche lì e ti permetti di sottovalutare le mie abilità per giustificare i tuoi errori?» fa un mezzo sorriso, ma io sono infuriata. «Non te ne accorgi? Mel, io percepisco la magia come te, e ho percepito ogni singola volta in cui l'hai usata. Sei migliorata più di quanto immaginassi» ecco perché sono rimasta perfettamente in piedi quando Barton ha aperto la porta, invece che fare come i suoi uomini. Ecco perché sono passata inosservata agli agenti nemici. Ecco perché ho vinto in quello scontro senza faticare più di tanto. L'energia cosmica mi avrà anche aiutata, ma non mi ha permesso di curare Coulson. «Non potevi usare la tua magia per curare quel pover'uomo?» non cambio argomento, dato che era di questo di cui volevo parlare dal principio. «Ho scatenato una guerra col pianeta Terra, Mel. Cose come questa sono inevitabili. Al museo di Stoccarda stavo per friggere un signore anziano, e tu ti impietosisci per quell'agente dello S.H.I.E.L.D.?» ha ragione, ma sono due cose diverse. «Capisco bene la differenza tra uccidere qualcuno per terrorizzare la massa, per dimostrare qualcosa, e uccidere qualcuno perché è la via più comoda per risolvere il problema. In quella stanza di detenzione c'eravamo solo noi tre, non dovevi dimostrare nulla a nessuno, se non a te stesso» Loki si avvicina, ma non permetto al suo profumo o al suo viso di confondermi. Non stavolta. «Non sono venuto qui per dimostrare qualcosa a me stesso, sono venuto qui perché ho stipulato un'alleanza con Thanos e perché voglio regnare sul pianeta Terra» gli punto il pugnale contro il petto, come avevo fatto con il cucchiaio quando, a casa mia a Ovunque, stavamo aspettando mio padre. Sembrano passati mesi, eppure una settimana fa non sapevo assolutamente niente del guaio in cui mi sarei cacciata poco più avanti. «Se vuoi regnare su Midgard, prima devi imparare a rispettare la sua gente. Facendo così ci hai sputato sopra. Fanno bene a non obbedirti» il suo volto si incupisce, ma io non mi faccio intimidire per così poco. «Non devono obbedirmi, basta che mi accettino. E accadrà» si avvicina, premendo il petto contro la lama, anche se il suo pettorale è spesso abbastanza per non essere minimamente scalfito per così poco. «L'unica che voglio che mi obbedisca sei tu, eppure lo fai quando ti torna più comodo. Devo leggerti il contratto che ho stipulato con tuo padre per filo e per segno?» cambio posizione, puntandogli il pugnale alla gola anche se ormai lui mi ha bloccato a una parete dell'aereo. Con la coda sfioro gli scomparti da cui avevo preso la calibro 38 mentre alterno lo sguardo tra i suoi due occhi, entrambi focalizzati sui miei, noncuranti della lama che gli sfiora il pomo d'Adamo.

Il mio polso è fermo, il mio battito è regolare. Lo farei. Lo farei perché come cazzo si permette di nominare adesso il contratto con mio padre, quando fino a pochi minuti fa si imponeva di trattarmi come se fossi una sua amica, una donna che ha deciso di sua spontanea volontà di seguirlo?!

«Devo ricordarti che mi appartieni? Che il tuo corpo mi appartiene?» questa domanda mi scuote nel profondo, mi fa sentire come mai in vita mia. Tuttavia, la rabbia e la delusione continuano a prevalere, e non mi fanno perdere il senno. «Non sono il tuo cazzo di giocattolo. Quello che dovrebbe rileggere il contratto per filo e per segno sei tu» quell'odore alcolico e dolce mi intasa le narici, facendomi fissare per un rapido secondo le sue labbra, strette in una linea sottile. «No, non lo sei, hai ragione. Ma neppure io sono il tuo. Devi smetterla di comportarti come se lo fossi, perché sembra che non mi rispetti mai» faccio un mezzo sorriso, contraendo un po' di più i muscoli del braccio che reggono il pugnale. Se indietreggia o fa un passo in qualsiasi altra direzione, gli taglio la gola. Non mi importa se la mia motivazione è stupida, lui mi ha delusa: pensavo di poterlo conoscere, invece di lui non conosco proprio un cazzo. «Ti odio» ringhio, e lui in tutta risposta sussurra: «Se ti fa stare meglio, odiami pure quanto vuoi» io sono arrabbiata con lui. Lo sono davvero. «Muori dissanguato» gli dico, avvicinandomi a lui. Appoggia le mani ai lati della mia testa, non lasciandomi vie d'uscita. Deglutisce, e seguo il movimento della sua gola immaginandomi il sangue mescolarsi alla sua pelle nivea. «Chiedimelo con garbo, Mel. Di' "per favore, Loki"» so che sta scherzando, lo vedo dai suoi occhi luminosi e divertiti, ma io sono veramente arrabbiata con lui. È una questione di principio. «Per favore, Loki, muori dissanguato» sento la lama del pugnale scalfire la pelle del suo collo, i muscoli del mio avambraccio duri come ferro, inamovibili.

Con leggera sorpresa, sento la sua pelle avvolgere la lama del coltello. Un piccolo e insignificante millimetro, che però fa uscire del sangue superficiale.

Loki si avvicina ancora di più a me continuando a ignorare il pugnale.

Loki mi bacia.

La mia mano si allontana dalla sua gola, la lama sporca del suo sangue.

Ma io ho ben altro a cui pensare.

La sua bocca è tiepida, le sue labbra morbide. Le sue mani sono sulle mie guance.

Quando ce le ha messe?

Il suo tocco è docile, lento, controllato.

Il mio viso va a fuoco, la mia gola si fa asciutta, le mie labbra disidratate.

Con la mano libera mi aggrappo al suo pettorale, lo stomaco pieno zeppo di reazioni chimiche che esplodono.

La sua lingua si fa spazio e forza la sua entrata nella mia bocca, tra i miei denti.

Potrei mordergliela, strappargli la punta, mangiargliela addirittura. Lui si allontanerebbe e tutto finirebbe.

Ma voglio davvero che finisca?

Una sua gamba si insinua tra le mie, divaricandole leggermente per farsi ancora più spazio. Allontana per un secondo le labbra per poi schiacciarmi alla parete, baciandomi con più impeto.

Dato che le mie gambe non vogliono collaborare, raggiungo con le mani le sue spalle e poi le congiungo alla sua nuca, rispondendo attivamente alla sua lingua.

Lui indietreggia, e quando mi bacia di nuovo, il sorrisetto che aveva fatto scompare con la stessa rapidità con cui è saltato fuori.

I suoi baci diventano come lui: caotici, arroganti, invadenti, inappropriati.

Sono tutte qualità che mi mandano fuori di testa, in tutti i sensi.

Le sue mani mi stringono i fianchi quasi a farmi male, come se volessero marchiarmi, ma quando mi bacia la mascella, le sue labbra sono delicate come petali di fiori di ciliegio.

Il pugnale è ancora nella mia mano sinistra, ma adesso la lama è rivolta da tutt'altra parte.

Ho meglio a cui pensare.

La mia mano destra raggiunge il suo torso, chiedendogli di avvicinarsi ancora di più, e lui mi accontenta: si abbassa, per poi tirarmi su con entrambe le mani.

Curvo la schiena, un po' per continuare a baciarlo, un po' perché le pareti dell'aereo non sono dritte.

Le sue labbra tornano sulle mie come una doccia fredda, raffreddando come meglio possono il mio corpo rovente.

Avviluppo le mie gambe intorno ai suoi fianchi, e lui appena sente la presa stringersi dà un colpo di reni. Sussulto sentendo qualcosa di duro toccare la mia intimità.

Le sue mani si spostano dal mio fondoschiena risalendo per la colonna vertebrale, per poi prendermi la coda e avvolgerla attorno al suo polso sinistro. Tira verso il basso, esponendo il mio collo, e mi morde nel punto in cui l'ho tagliato. In questo momento, i ruoli si sono invertiti: se vuole uccidermi, vendicarsi per tutto il rispetto che non ha ricevuto o per il mio goffo tentativo di fargli del male, può farlo.

Glielo lascerei fare.

Ma anche lui è concentrato su altro. Su di me.

Un dio di Asgard è concentrato su di me, quando c'è un pianeta da conquistare.

Mi si torce l'intestino.

Il cuore batte all'impazzata, sembra che abbia fatto una maratona.

Mi bruciano le punte delle dita. Probabilmente la mia energia cosmica sta rispondendo agli stimoli. E qui gli stimoli sono tanti, troppi.

Le sue labbra tornano sulle mie, o le mie labbra tornano sulle sue.

Non lo so, ho ben altro a cui pensare. A lui.

Appoggio le mani sul suo petto e poi spingo, per prendere una boccata d'aria. Lui indietreggia, portandomi dietro ma non lasciandomi la possibilità di fare ciò che voglio.

Si siede dall'altra parte dell'aereo, dove mi ero seduta io due ore fa, mentre ascoltavo le istruzioni di Barton.

Continuo a baciarlo, continua a baciarmi.

Ormai il suo caos mi ha contagiata.

Le sue labbra sono morbide e dolci, la sua lingua è pungente e forte.

Non proferisce parola, ansima e basta, e sono contenta di aver trovato un modo per zittirlo.

Io, d'altro canto, trattengo gli ansimi e i leggeri gemiti. Non è la prima volta che bacio qualcuno, ma è come se lo fosse.

Lui è così diverso.

Mentre lo bacio e gli prendo il viso tra le mani, sento un ronzio.

Il ronzio si fa più intenso, e Loki si stacca da me. È paonazzo, i capelli sono leggermente spettinati.

Una ciocca gli finisce tra gli occhi.

Il ronzio si rivela essere un allarme dell'aereo. Mi alzo velocemente, lo guardo.

Mi guarda, incredulo per quello che è appena successo.

Io sono sconvolta.

Corro alla cabina di pilotaggio: siamo arrivati a New York, il pilota automatico da qui in poi non può fare nulla.

Devo scendere di quota e prepararmi per l'atterraggio. Fortunatamente ho trovato una pista privata che può fare al caso nostro, vicina al laboratorio adibito per il dottor Selvig e in un punto discreto dell'enorme metropoli.

Mi tremano le mani per via dell'adrenalina mentre riprendo i controlli e scuoto la testa. Faccio abbassare l'aereo di quota, e quando intravedo in lontananza la pista di atterraggio sospiro.

Ora sì che le cose si fanno complicate.

Cazzo.

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