diciannove
Mi siedo su uno sgabello di vetro, appoggiando i gomiti al balcone dell'angolo bar dell'attico della Stark Tower, indietreggiando con la schiena. Il cielo è limpido e si sta risvegliando, dal silenzio si riescono a sentire i suoni dei bulloni del portale di Selvig che si stanno stringendo e nell'aria c'è un profumo di pulito e di fresco.
«Thanos mi ha incaricato di recuperare il Tesseract non solo per poter usufruire della sua energia infinita. Vedi, al suo interno è contenuto uno strumento molto potente, una Gemma dell'Infinito. E non penso ci sia bisogno di spiegarti cosa sia, vero, piccola Collezionista?» annuisco, cercando di immaginarmi i modi di utilizzo di tale gemma da parte del titano. Alcune righe del file inviato da Hilde mi fanno raccapricciare la pelle: "per diverse volte Thanos ha raggiunto il potere assoluto per poi perderlo", "rinomato per la sua fredda logica dei numeri e della visione del futuro più probabile", "capace di effettuare i sacrifici più dolorosi per lo scopo più proficuo". «Sa come usarle?» gli chiedo, ignorando il nomignolo di cattivo gusto che, come sempre, mi fa storcere il naso. «Essendo incredibilmente abile a padroneggiare l'energia cosmica, non vedo perché non dovrebbe. Ha una mente fuori dal comune, quindi anche se dovessi sbagliarmi, conoscerebbe un modo per poterle sfruttare secondo il proprio tornaconto» dei leggeri brividi mi attraversano la schiena. Ho un brutto presentimento.
«Quindi Fleyra è sempre stata solo una specie di garanzia?» lui sorride e annuisce, dicendo: «In questo modo, non rischio di rimanere a mani vuote. Avrò bisogno di energia per dominare questo posto» sono soddisfatta dalle risposte e dalla sincerità con cui sono uscite dalla sua bocca. Mentre si strofina i palmi tra di loro con calma, ammiro la sua silhouette al centro del quadro di questo paesaggio azzurro e lussuoso, senza una nuvola e con un sole smagliante: mi piace stare qui. Mi sembra di nuovo di essere in vacanza, in un locale a chiacchierare del più e del meno con un Dio di Asgard presuntuoso ma spassoso.
«Il mio scopo è dominare sulla Terra, su Midgard. Il vero motivo per cui lo faccio è per vendicarmi del trattamento che il mio finto padre ha riservato a Thor, per prendere il suo posto. Se non fosse per i rapporti di amicizia con Laufey, io in questo momento sarei rinchiuso in qualche orfanotrofio o peggio, donato a un contadino di Asgard. Ogni azione ha le sue conseguenze, ma io mi sono stancato di rimanere fermo ad aspettare il giorno del giudizio per Odino, che arriverà molto presto» accavallo una gamba sopra l'altra, curiosa di sapere di più dato che è la prima volta che mi parla tranquillamente di un suo fatto personale che non conosco già. Per quanto i pettegolezzi corrano veloci a Ovunque, non potrò mai sapere cosa provano gli dèi riguardo ogni singolo accaduto se non li si chiede di persona. «Per punire Odino e Thor non sarebbe più furbo prendere direttamente il trono di Asgard?» lui fa un mezzo sorriso, pauroso da tanto è bello, e continua il suo discorso: «Ad Asgard non c'è una persona, fatta eccezione per Frigga, che mi tollera. Non posso fare questo passo adesso. Ma la conquista della Terra fa parte di un piano più grande. Mio padre ha sempre voluto ampliare il suo governo su questo pianeta: fargli vedere che il suo ripudiato figliastro riesce benissimo ad eccellere a ciò in cui lui ha fallito mi porterebbe grande conforto e allegria» le sue mani finiscono sui suoi fianchi, le sue spalle si fanno colossali. Più lo guardo, e più la sua figura si ingigantisce e si arricchisce di dettagli, per i quali i miei occhi brillano. Mi sento come una gazza ladra di fronte a un mucchio di gioielli luccicanti mentre mi beo della sua immagine: gli dèi fanno proprio un altro effetto.
So che in questo momento dovrei pensare a tutt'altro, che la mia mente sta prendendo troppo gusto nel divagare, che non dovrei pensare a queste cose su Loki, ma mi è inevitabile. È pericolosamente affascinante, incredibilmente perfido, inquietantemente onesto e totalmente seducente.
Mi gira leggermente la testa.
«A cosa è dovuta questa onestà?» chiedo, interessata, inclinando la testa e scoprendo leggermente il collo per cercare di prendere un po' d'aria fresca, anche se qui dentro è stantia. Lui fa dei passi lenti e pesanti verso di me, facendo rimbombare le suole dei suoi stivali sul pavimento di marmo e sulle pareti a vetri del grattacielo, mentre le mani si congiungono dietro la schiena. «Mel, non penso servano grandi spiegazioni. Diciamolo pure, ammettiamolo. Mi sto fidando troppo di te. Hai compromesso il mio metodo di giudizio, dato che la prima volta che ti ho vista non ti avrei neanche detto il mio vero nome, se me l'avessi chiesto; adesso sono qui a sviscerare i miei più intimi pensieri, e non riesco a spiegare se lo sto facendo per colpa della tua magia, dei tuoi begli occhi dorati o delle tue labbra che fanno suonare ogni parola fottutamente deliziosa» non mi sposto di un millimetro.
Non mi sposto di un millimetro, nonostante lui mi sovrasti. Mi bagno le labbra e le stringo in una linea dritta, per poi rilassarle di nuovo; lui poggia la mano di fianco al mio gomito, chinandosi sopra di me e coprendomi dalla luce del sole, che irradia dentro l'enorme stanza della Stark Tower. «Risvegli parti di me che pensavo assopite» gli confesso in un flebile sospiro, dato che mi ha trasmesso per osmosi la voglia di dirgli ciò che penso, senza filtri. La sua risata è incredibilmente dolce e lieve, fatta a qualche centimetro dalla mia bocca. «Sei adorabile» mormora, sfiorando le sue labbra con le mie dicendolo. Quando esala l'aria, essa passa attraverso le mie labbra socchiuse, e i miei occhi guardano i suoi anche se essi sono concentrati altrove, in qualcosa che solo lui riesce a vedere tra le mie iridi. Ho il cuore in gola non perché non mi aspettassi questo risvolto della situazione - anche se la situazione non dovrebbe potersi rivoltare in questo modo -, ma perché vorrei che il tempo si fermasse per permettermi di fare e di lasciargli fare tutto quello che vogliamo.
Non importa cosa, basta avere il tempo per farlo.
Mi alzo, spostandolo indietro con una mano sul suo fianco e facendo schioccare debolmente le mie labbra con le sue; una volta per uno, no?
Senza neanche sprecare una frazione di secondo, lui risponde al mio invito, premendo le labbra contro le mie per poi inclinare il mio viso con le mani per baciarmi meglio: aspetta che io apra la bocca e approfondisce il bacio, riprendendosi tutta la sua aria che avevo nei polmoni per lasciarmi senza fiato. La sua lingua ha il sapore dolce e spiccato di una caramella alla menta, il suo viso odora di mogano e cannella, i suoi capelli sono morbidi come piume e lisci come seta e per me adesso potrebbero entrare tutti i cazzo di Avengers. Compreso Nick Fury.
I pollici tracciano semicerchi sulle mie guance prima di spostarsi sul collo, trascinati dalle mani che scendono lentamente, mentre le nostre bocche proseguono le loro danze con lo stesso ritmo, senza mettere fretta a nessun movimento. I palmi freddi si fermano sui miei fianchi, facendo fare le fusa alla mia mente perversa, e mentre io gli prendo il viso spigoloso tra le mani, tenendo stretto il suo labbro inferiore tra gli incisivi, lui sposta l'attenzione delle sue dita dai miei fianchi al mio sedere, avvolgendolo quando apre le mani completamente.
Dio, Loki. Dio.
Mi spinge verso di lui usando la presa ferrea che ha sulle mie natiche, facendo toccare le nostre intimità, facendoci sentire l'effetto che abbiamo fatto all'altro: io tra le gambe ribollo, pur essendo in parte Gigantessa di ghiaccio, e lui invece ha quei rinomati 21 centimetri eretti. Sarebbe mio dovere fermarmi, fermarlo, eppure non voglio fermare proprio niente. Che mi prenda qui, su questo bancone di pietra grigio, prima della conquista di Midgard, mentre dovremmo fare la guardia a Erik Selvig. Che mi prenda qui lui, il Dio dell'inganno, nemico di mio padre, del mio buonsenso, alleato di Thanos e padrone del Caos su questo mondo.
Poi, improvvisamente, un boato cupo.
Ci stacchiamo, riprendiamo fiato, ci guardiamo negli occhi. Lui ha le pupille leggermente dilatate, lo sguardo languido, il fiatone, i capelli spettinati. È ancora più bello e attraente. Maledetto.
Le sue labbra mi chiamano, e io me ne sbatterei volentieri di tutto, ma non raggiungo questo livello di irrazionalità: corro verso la porta per accedere al tetto, raggiungendo Erik Selvig dopo aver salito le scale a chiocciola che portano alla parte più apicale della Stark Tower. Fortunatamente, Erik Selvig è ancora vivo e vegeto, intento a sistemare gli ultimi cavi. Quando mi nota, si pulisce le mani alla camicia a scacchi blu e esclama: «Alla fine tutto ciò che ti avevo spiegato ieri si è rivelato inutile. È filato tutto liscio come l'olio!» annuisco osservando il portale finito, con al centro il cubo cosmico e di fronte un computer per monitorare il passaggio dell'energia cosmica. «Tutto bene, signorina Tivan? La trovo... scombussolata» mi lecco le labbra, che sanno ancora di menta, e mi passo una mano che odora di cannella sulla testa, sistemando eventuali capelli che sono sfuggiti alla mia acconciatura. «Sentendo quel botto mi ero preoccupata che le fosse successo qualcosa» lui sorride gentilmente, per poi andare al computer e controllare che tutto vada come deve andare. La mia bugia bianca non fa che farmi ripensare a qualche momento fa, quando la mia lingua toccava il palato del principe di Asgard. Com'è possibile che io sia stata sedotta così facilmente? Com'è possibile che io sia riuscita a sedurlo così facilmente?
«Allarme a tutte le unità. Ripeto, Allarme! Codice November, Mike, Yankee. November, Mike, Yankee» sento dalla radio di Selvig. NMY, abbreviazione di enemy. Sono arrivati i vendicatori.
«Selvig, mi segua» dico con calma allo scienziato, il quale però è estremamente preoccupato per il suo portale. «Si è appena attivato, non ha ancora iniziato a incanalare l'energia» balbetta impaurito, come se ci trovassimo già di fronte agli Avengers. «Mi segua e basta, ci nasconderemo per poi tornare qui quando le minacce verranno neutralizzate» Selvig, vedendo il mio sguardo gelido, decide di darmi retta e seguire il piano che mi aveva ripetuto ieri per ore, seguendomi mentre raggiungo il montacarichi del grattacielo; in fondo ad esso, i soldati di Loki hanno creato una uscita di emergenza che ci permetterà di raggiungere un piccolo bar, allestito con delle barriere per attendere che la situazione si calmi durante questo tipi di imprevisti. «Che cazzo ci hanno messo?» impreco mentre forzo l'apertura, per poi distruggere completamente la porticina. «Selvig, si muova a entrare» esclamo, per poi trovare un drone dentro il condotto del montacarichi. Anzi, non uno, ma decine. Merda.
La pistola, dalla sicura già tolta, mi scivola tra le mani con naturalezza, e sparo una raffica precisa di proiettili a tutti quei piccoli marchingegni volanti, che invece mi sparano due dardi collegati a dei cavi metallici. Dei taser. Quando le scariche elettriche mi attraversano il corpo, sento un dolore allucinante pervadere ogni mio nervo e mi sento come se ogni mia articolazione fosse stata vivisezionata in questo preciso istante. Mi sento divisa in mille pezzi, ma distruggo quelle schifezze mentre lotto per tenere gli occhi aperti.
Stark, è lui l'enemy, il nemico, anche se teoricamente questa è casa sua. Con un cazzotto ben assestato faccio cadere l'ultimo drone rosso e poi mi giro verso Selvig.
Non doveva intromettersi nessun Avenger qui, ma soprattutto non avrei dovuto perdere d'occhio nessun astrofisico. Invece Erik Selvig si è allontanato da me per tornare dal suo portale, ha trovato Iron Man, che lo ha sconfitto con la facilità con cui si schiaccia una termite, e adesso si trova privo di sensi sul tetto dell'edificio. Io non sono riuscita ad adempiere all'unico compito che mi era stato dato, ovvero proteggerlo. Essendo i suoi droni k.o. e lui troppo impegnato a cercare Loki, che trova a qualche piano sotto di me sempre nell'attico, l'eroe non si accorge della mia presenza e si allontana con la sua armatura lucente e meravigliosa.
Melena, concentrati. Hai fallito.
Corro disperata verso l'ennesimo uomo innocente che ha preso parte a questo piano ed è stato ferito, e fortunatamente, grazie al mio bracciale, scopro che è semplicemente svenuto; gli controllo il polso e la contusione alla testa, ma non sembra ferito gravemente e i suoi valori vitali sono stabili. Gli apro un occhio e osservo che la magia di Loki lo comanda ancora, perciò tiro un enorme sospiro di sollievo e lo adagio vicino al portale, il quale si sta caricando molto velocemente. Fleyra sembra gonfiarsi dentro il suo fodero, e quando la sguaino curiosa, noto che sta imprigionando altra energia senza che niente e nessuno l'avesse svegliata, né tantomeno chiesto. «Bravissima» mormoro, orgogliosa di come questa spada si stia mostrando a me come mio padre mi aveva raccontato. Controllo lo schermo del computer collegato al portale per analizzare tutti i parametri, e sollevata, sistemo qualche impostazione per velocizzare il processo, come mi aveva raccomandato di fare Selvig. Sento rumori di colluttazione, e quando mi affaccio verso l'attico, dopo neanche un minuto sento un vetro rompersi con fragore e Tony Stark precipitare dal grattacielo, senza armatura ma senza un filo di paura nel suo volto.
Il Tesseract mi riporta la testa apposto creando un faro di luce accecante, il quale raggiunge e subito dopo allontana le nuvole dal cielo: viene così aperto il famoso squarcio che mi riporta per un istante a casa, mostrandomi un cielo nero come la pece, decorato da stelle e... Chitauri.
Finalmente ci rivediamo.
L'esercito promesso da Thanos porta ogni suo individuo su Midgard, invadendo prima il cielo di New York e poi le strade, mentre in lontananza, tra l'oscurità e la luce flebile delle stelle, vedo un'enorme struttura a X, probabilmente il loro quartier generale.
Tony Stark, che in realtà non è morto precipitando da circa trenta piani e che non si era mai liberato della sua armatura, cerca di contrastare l'entrata dei Chitauri, ma sono troppi per un comune terrestre: lo vedo mischiarsi tra loro nell'aria e far esplodere qualche navicella, ma tutto inutilmente, dato che stanno arrivando flotte intere di soldati. Sono molti di più di quanto abbia immaginato, e sono equipaggiati molto meglio rispetto all'ultima volta che li ho visti. Le loro navicelle, veloci come astronavi a propulsione, raggiungono i terrestri e cominciano a distruggere tutto ciò che reputano una minaccia, per quanto magari in realtà è innocuo. Sento le urla dopo pochi secondi, durante i quali mi accerto che il portale si sia stabilizzato e che il Tesseract rimanga saldo dov'è, tenuto fermo da vari incastri accuratamente studiati dallo scienziato, sempre svenuto a terra.
Siccome Selvig è tramortito e non mi è stato riferito di nessun nascondiglio vicino abbastanza per permettermi di tenerlo al sicuro senza doverlo trasportare giù per venti piani, decido di lasciarlo dov'è e di cercare in qualche modo di salvare Loki: Iron Man sarà solo il primo dei nemici che lo cercano, e ho il sospetto che gli Avengers riescano a comunicare fin troppo bene tra di loro.
Come se l'avessi invocato, dei fulmini a ciel sereno preannunciano l'arrivo del fratellastro di Thor; non lascio al mio cervello neanche il tempo di provare a ragionare, e cerco al più presto una navicella dei Chitauri.
Il mio piano? Prendere in prestito una navicella, recuperare Loki e salvarlo dalle grinfie di Thor. Non tanto perché non so chi potrebbe vincere in uno scontro tra asgardiani, ma perché dopo Iron Man e Thor ci potrebbero essere Captain America, Black Widow o Hulk. Per non parlare poi di Barton, che avrebbe una ragione in più per fare del male a Loki, o al fondatore di questa squadra di eroi in tutine, Nick Fury. Meglio fare i vigliacchi e fuggire piuttosto che affrontare di petto il nemico, se è più numeroso.
Il montacarichi diventa il mio scivolo, e mi lancio nel buio più totale della botola di servizio del grattacielo: quando arrivo circa a metà, sfodero due pugnali e li conficco nel metallo, facendoli stridere di dolore, mentre cerco di attutire la mia caduta. Il fondo di legno su cui ero seduta si schianta in mille pezzi pochi istanti dopo il mio atterraggio, che non avviene proprio come avevo previsto: la prima caviglia che poggio a terra, infatti, si sloga. È un male minore dato che sicuramente tra una mezz'oretta sarà come nuova, ma ora, che dovrei fare tutto di fretta e furia, non è il momento migliore. Sfreccio zoppicando verso il primo edificio che ha le porte aperte e del fumo, presagendo l'entrata dei miei alleati Chitauri, e li cerco con rapidità per i corridoi. Lo stabile, che contiene uffici, si rivela essere utile come pensavo quando trovo una navicella parcheggiata al secondo piano, nuova di zecca nonostante abbia distrutto la parete dalla quale è entrata. Ci salgo sopra, cerco sul pannello di controllo un modo per azionarla, non conoscendo la lingua dei Chitauri, e mi aiuto con il mio bracciale; appena sento il motore accendersi, mando un messaggio di soccorso verso gli altri Chitauri, sicura che possano essere d'aiuto a Loki quando lo andrò a prendere. Può darsi che non riesca a vedere me durante la colluttazione con il Dio del tuono, ma di sicuro un branco di navicelle non passeranno inosservate: per nessuno, in realtà, perciò spero che ne arrivino parecchi per farmi da scorta.
Faccio partire questo piccolo gioiellino e lo giro, permettendomi così di uscire da dove è entrato e fare un breve giro nell'attesa dei Chitauri: essi arrivano molto velocemente ma con un gruppo esiguo, e puntano i loro occhietti scuri verso di me, pronti a morire per una sconosciuta appartenente a una razza diversa. «ਲੋਕੀ ਤੋਂ» esclamo usando il gergo stretto di Ovunque, che significa "da Loki". Loro si guardano per un attimo tra di loro, poi uno annuisce, facendomi segno di aver capito, e urla la traduzione agli altri, che si affrettano a riprendere i comandi delle loro navicelle. Ci spostiamo in gruppo volando per i palazzi a della città, quando dei soldati, chiaramente non alleati con Loki, cominciano a spararci in lontananza.
Ci mancavano loro! Che arma potrei usare per almeno tamponare i loro colpi?
«Ne sei sicura?» chiedo, a nessuno in particolare, parlando all'energia cosmica, che mi ha pizzicato le tonsille. Questa sua richiesta, interpretata dal mio cervello senza che io ne venissi a conoscenza, si tratta di prendere Fleyra tra le mani e aspettare che si trasformi in arco. Non so come abbia fatto a capirla o a rispondere, non so come ciò sia fisicamente possibile e certamente non so che frecce userò, però decido di fidarmi di questa mia nuova maestra e sfodero Fleyra, la quale brilla di una luce propria, più raggiante di quella del sole e più intrigante di quella della notte, la stella più bella su cui io abbia mai poggiato gli occhi.
Imprimo ogni minima sensazione del mio corpo dentro di me, per permettermi di replicare questo gesto senza aver bisogno di assistere e basta, ma anche aiutando la mia alleata.
E proprio come l'energia cosmica mi aveva proposto questo rimedio, l'energia cosmica disassembla la bella spada di mia madre Matani e ne ricompone i pezzi secondo il modello di un piccolo arco da guerra, diviso in tre parti e con il manico centrale che è sempre quello di Fleyra, l'unica sua parte che è rimasta intatta nella mia mano. Non ho neanche il tempo di rimanere sorpresa e ammirata da questo avvenimento, che subito l'energia cosmica si tramuta in pulviscolo, poi in piccole pietrine e infine in scaglie appuntite, le quali formano il filo dell'arco, che tendo immediatamente nonostante mi provochi dei tagli alle dita, e delle frecce rudimentali fredde come il ghiaccio. Fa più male a me che al nemico, ma comincio a mirare agli agenti che riesco a intercettare e lancio questa mia nuova arma mentre la mia navicella segue le altre, dirette alla Stark Tower. Ogni mio colpo va a segno, e ringrazio tutto il Cosmo per questo grande e prezioso aiuto, che ha tolto una seccatura nel bel mezzo di questa guerra appena iniziata.
Finalmente lo vedo, vedo Loki lottare contro Thor: fuoco contro fulmine, Caos contro Ordine, cattivo contro buono.
Certo, questa è la visione generale, oggettiva del combattimento; io vedo due fratelli feriti l'uno dalle scelte dell'altro, ognuno con delle caratteristiche opposte e degli obiettivi antiparalleli, che cercano di salvare l'altro dal destino che vogliono intraprendere. Incassano colpi come dei gladiatori, colpiscono come sicari ben addestrati, lottano con la concentrazione di professionisti, e se non fosse che non siamo in una palestra e nessuno si sta allenando, resterei a guardarli e ad annotare le loro mosse per ore. Questo è quello a cui ho aspirato tutta la vita, quello a cui aspiro. Voglio essere brava come loro, e so che sono degli dei, che sono stati educati e allenati in questo modo da molto più tempo rispetto a me, ma proprio per questo voglio spingermi oltre i miei limiti ancora di più.
Ma il loro combattimento non dura un attimo di più, dato che i due si fermano, solamente Mjolnir a dividerli, e si dicono qualcosa che da questa distanza non riesco né a interpretare né tantomeno sentire: Loki conficca poi uno spuntone nel fianco di Thor, facendolo grugnire dal dolore e lasciare il martello divino, ma ciò non basta a fermare il custode dei fulmini. Lui, infatti, accecato dalla rabbia, prende il fratellastro per il corno del suo copricapo dorato e lo tiene fermo, giusto il tempo per assestargli un pestone sull'addome e atterrarlo. I vetri rimasti intatti dell'attico si infrangono durante la caduta del Dio dell'inganno, che viene nuovamente preso e lanciato con forza al suolo, per la seconda volta. Accelero la navicella, portandomi in testa al piccolo gruppo di Chitauri, e grido preoccupata: «Loki!»
Lui, senza controllare da che parte stia venendo, che cosa intenda fare, rotola verso il ciglio della terrazza dell'attico, lasciandosi cadere a peso morto dalla Stark Tower. Aumento la velocità dei propulsori al massimo, accovacciandomi per contrastare il fortissimo vento e reggendomi alla colonna che sorregge il monitor della navicella. Sospiro di sollievo quando Loki atterra sul piano liscio senza dirmi nulla o guardarmi, per poi tirarsi su e allontanarsi dal fratello con i Chitauri al suo seguito.
Almeno in una cosa sono riuscita.
«Di nuovo tu!» grida Thor. Cazzo, sa della mia esistenza. E sa che questa non è la prima volta che lo vedo.
Ma non c'è tempo per pensare al nuovo nemico che mi sono appena fatta.
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