tredici
Loki e Barton se ne sono andati appena ho aperto il soffione della doccia, lasciandomi sola in camera con uno scatolone pieno di cose che secondo la proprietaria della locanda mi potranno servire per stasera; una volta finito di lavarmi, alzo il coperchio e ammiro tutti i gingilli al suo interno, meravigliata da quante cose la gente si scorda nelle proprie camere, e da quante altre cose quella signora tiene nel suo sgabuzzino. Mi sento come quando mi preparavo per uscire la sera con Hilde, mentre mi asciugo i capelli e mi trucco gli occhi, anche se manca quella gioia e quel brivido di eccitazione che c’era nell’aria: adesso, l’unica eccitazione che ho è la speranza che potrebbe accadere qualcosa che mi permetterebbe di intervenire in un possibile scontro. Non che non mi vada bene sorseggiare vino e recitare la parte della ragazza ingenua e spaesata, ma mi sembra un po’ un cliché obbligare l’unica donna della comitiva a mettersi in tiro e confondersi con la folla. Chiaro, sto tralasciando il fatto che qui sono la meno inesperta, ma andiamo! Come potrei fare esperienza, se questo è il compito che mi viene serbato?
Ma avendo già discusso di questa scelta con Loki e avendo già perso, mi limito a cercare il vestito più coprente tra quelli a disposizione e le scarpe più comode. «Melena, ci sei?» sento gracchiare leggermente. Ah, cazzo, l’auricolare! Me ne stavo per dimenticare. Infilo quel congegno nell’orecchio e rispondo a Barton: «Ovviamente. Voi dove siete?» trovato ciò che mi serve, cerco qualche trucco in più per perfezionare il mio look e anche degli accessori. Devo pur sempre fingere di essere ricca… «Al sicuro. Tra poco arriveranno due scagnozzi di Loki per prendere le tue cose e portarle alla navicella, perciò preparati in fretta» scuoto la testa mentre faccio scivolare l’asciugamano dalle mie gambe, pronta a indossare l’unico vestito decente che sono riuscita a trovare. «Che si scordino di portarmi alla festa. Guido la mia moto» Barton mormora un “d’accordo” striminzito e finisce la chiamata. Io finisco di sistemarmi il lungo ma comodo vestito nero che mi lascia scoperta la schiena, e poi sistemo Fleyra legando la guaina a una gamba, stando attenta che non trapeli nulla dal sottilissimo tessuto. Dopo essermi infilata le decolletè nere che mi conferiscono ben dieci centimetri in più - adesso sono alta quasi quanto Loki - e mi ricordano i bei tempi, nei quali mi riempivo di vesciche a forza di ballare con quelle indosso, controllo di essermi depilata a dovere e che il trucco sia ben fatto. Mi metto poi tutti i gioielli dorati che riesco a trovare in quella specie di vaso di Pandora e infine mi immergo nel profumo che mi ha consegnato Loki, che sa di vaniglia e miele: finiti i preparativi, mi apposto alla finestra attendendo due uomini che dovrei riconoscere come quelli mandati da Loki.
In effetti, non è difficile associare quelle due persone al Dio dell’inganno, dato che sono vestiti con i suoi stessi colori e hanno entrambi i capelli scuri, e quando alzano gli sguardi verso la mia finestra, un brivido freddo mi attraversa la schiena: sono fottutamente inquietanti. Tralasciando la mia giacca, l’unica che mi sono portata da Ovunque, nella quale ho messo tutte le armi che potevano entrare nelle varie tasche, una volta aperta la finestra lancio i due borsoni verso quegli uomini misteriosi e silenziosi, i quali li raccolgono da terra, mi annuiscono e si allontanano come fantasmi. Ecco cosa intendeva Loki quando mi diceva che voleva un compagno per la sua missione! La gente che gli sta attorno o è terrificante o è sotto incantesimo.
Fatto un respiro profondo, decido per l’ultima volta di uscire da questa stanza sciagattata. Mentre scendo le scale stando attenta a non precipitare rovinosamente, faccio mente locale su chi potrò trovarmi davanti questa sera: oltre a Nick Fury, ci saranno Rogers e Stark. E per Rogers e Stark intendo Steven Grant Rogers e Anthony Edward Stark, due individui di cui non sapevo l’esistenza ma di cui adesso farei volentieri a meno di saperla. Infatti, uno è Captain America, un soldato americano che è stato geneticamente modificato da un siero, che gli ha donato delle prestazioni fisiche, sensoriali e mentali sovrumane, e l’altro è Ironman, un comune terrestre che però ha una spiccata intelligenza che gli ha permesso di creare un’armatura - a mio parere spettacolare, totalmente degna di finire nella Collezione di mio padre - in grado di permettergli di fare qualsiasi cosa lui desideri senza il minimo sforzo.
Quando raggiungo l’ingresso del motel, Martinka solleva gli occhi dalla sua rivista e poi si poggia le mani sulle guance, facendo una “O” perfetta con la bocca. Non so una singola parola di tedesco, ma lei si sporge sul bancone e mi dice, con un inglese che mi è difficile capire: «Tu molto bella, ragazzo fortunato ad averti! Divertiti, arrivederci! Tornate qui!» per poi porgermi un bigliettino da visita. Mi inchino per ringraziarla unendo le mani, non sapendo bene come esprimerle la mia gratitudine, e poi la saluto con la mano. Dopo aver messo il bigliettino tra i miei pugnali, nella tasca interna del giacchetto, controllo di avere tutto il necessario e poi accendo la mia moto, pronta quanto me a entrare in azione.
Conosco la strada che porta al teatro comunale di Stoccarda, trasformato per la serata di beneficenza in una pista da ballo elegante e raffinata, grazie al mio bracciale elettronico, che mi permette di nascondermi in un vicolo vicino alla strada che si affaccia al sontuoso edificio e di trasformare la mia moto in quel pentagono con cui mi piace tanto giocare solitamente nei momenti di noia. «Ci sono» mormoro all’auricolare una volta che stabilisco la connessione con Barton. «Io sono al centro di ricerca che contiene l’iridio, Loki si è già infiltrato nelle retrovie del teatro. Entra pure, e mi raccomando, aggiornami se succede qualcosa» mi sistemo il vestito, dato che sulla moto avevo dovuto tirarmelo sopra, scoprendo tutte le armi e i pantaloncini sotto, e mi tolgo la giacca, in contrasto con il mio abbigliamento. «Se vedrò un biondino o un robot rosso e oro ti avviserò, non preoccuparti» ribatto, per poi interrompere la connessione e sistemare i capelli sopra l’orecchio. Cammino con passo sicuro attraversando la strada gremita di macchine, illuminata ad arte da lampioni a luce soffusa, per poi passare sul tappeto rosso che conduce all’ingresso, un’enorme porta a vetri presieduta da guardie. «Documenti, prego» mi chiede una guardia con tono gelido: con nonchalance gli porgo la mia carta d’identità falsa, che dichiara che mi chiamo Melissa Becker, che sono nata qui e che ho ventiquattro anni. «Si accomodi pure, signorina Becker» felice per il fatto che qui parlano inglese, lo ringrazio e mi faccio aprire la porta, ammirando l'architettura di questo edificio di Midgard: il motel era squallido e vecchio almeno quanto la mia casa a Ovunque, ma questo teatro comunale sembra un tempio, decorato da mosaici di vetro e colonne bianche, con pavimenti in marmo bianco e soffitti senza fine. Dopo aver visto una signorina sparire con il mio giacchetto tra le mani, senza che mi dicesse una parola, ammiro i vassoi portati dai camerieri pieni di stuzzichini di ogni tipo, le persone che conversano in lingue diverse ma con gli stessi sorrisi dolci e rilassati e le imponenti scale che svettano in fondo alla sala, contornate da vari quadri che donano un po’ di colore a questo ambiente prevalentemente monocromatico.
Rubo un calice di vino da un cameriere che cammina lentamente per la sala, per poi scoprire che è champagne, e mi abbuffo mantenendo un po’ di eleganza mentre mi guardo intorno: mi vengono rivolti alcuni sguardi indiscreti e qualche parolina di convenienza, ma nessuno sembra essere troppo focalizzato sulla mia presenza. Bene. In più, non vedo traccia né di un possibile agente dello S.H.I.E.L.D., né tantomeno di uno dei tre pezzi grossi che sono sulle tracce di Loki. Meno bene. A volte, quando le acque sono troppo calme significa che ben presto ci sarà una tempesta disastrosa.
Intanto mi godo la serata, accompagnata da della musica classica, leggera e piacevole, e mi godo lo champagne. Forse l’idea di Loki di inserirmi in questo contesto era davvero la migliore, in fondo; le mie mani sono già guarite, ma mi rifocillo a dovere per le future ferite che, sono sicura, mi provocherò prima o poi.
«Mi chiedo come mai nessuno non ti abbia ancora chiesto di accompagnarlo a casa» sento parlare dall’auricolare. Loki. «Non mi avevi detto di averne uno anche te» sussurro, con le labbra dipinte di rosso scuro sul calice. «Avrei dovuto? Forse sì, dato che sei arrossita appena mi hai sentito» come se non avessi bevuto talmente tanti calici da aver perso il conto! «Intasi la connessione, con i tuoi commenti non richiesti» dico, per poi prendere un’altra tartina al caviale e gustarne i sapori prelibati. «Non richiesti? Eppure mi sembri felice di sentirli» mi immagino Barton dall’altro capo della linea… Spero che sia troppo impegnato in altro per prestare attenzione alle provocazioni di Loki. «Concentrati su quello che devi fare. Il Tesseract è arrivato a Selvig?» chiedo, ricordandomi questo punto fondamentale del piano, dato che una volta che il Tesseract e l’iridio verranno consegnati a Selvig, lui potrà ufficialmente aprire il portale per l’esercito di Chitauri. «Oh, certamente. E anche tu dovresti concentrarti, dato che se qualcuno ti vedesse adesso, si chiederebbe che pensieri sconci stai facendo» arrabbiata con Loki e anche con me stessa, finisco la conversazione sibilando: «Ripetilo quando saremo sbattuti nella stessa prigione, e conoscerai i veri pensieri che sto facendo sul tuo conto» sto per cliccare il tasto dell’auricolare che interrompe la linea, quando il Dio dell’inganno risponde: «Siamo partners ma non in quel senso. Mel, adesso sei tu che fai arrossire me» cammino lentamente verso il centro della sala, dove è situata una statua raffigurante le teste di due tori, per poi spostare lo sguardo verso due ragazzi del personale che stanno sistemando un microfono, probabilmente per poter permettere agli organizzatori di poter parlare con il pubblico. «Muori» gli dico con un mezzo sorriso stampato in faccia: okay, questo dio sa intrattenere. «Non sei curiosa di sapere i veri pensieri che io sto facendo sul tuo conto?» mi stringo la base del naso con pollice e indice, vergognata dalle parole di Loki: come fa a dirle con così tanta disinvoltura? Cristoddio, siamo in missione. «Muori» ripeto, per poi chiudere la chiamata e tornare ad ascoltare i violini della piccola orchestra.
«Nemici neutralizzati. Io e i tuoi uomini siamo in posizione»
«Heinrich Schafer sta per parlare, muoviti»
«È arrivato il mio momento»
Questa è l’ultima conversazione che ci scambiamo prima che Loki faccia il suo ingresso nella serata di gala: trattengo a stento una risatina quando lo vedo scendere le grandi scale, che avevo ammirato una volta fatto il mio ingresso nella sala, vestito di tutto punto come se lui fosse la star dell’occasione. Ed effettivamente è così.
Indosso non ha i suoi soliti vestiti da combattimento, né la sua armatura esagerata da Dio di Asgard e tantomeno il ridicolo pigiama che ha indossato questa notte, ma un semplice ed elegante completo nero con tanto di gilet abbinato e camicia bianca; non si sentono i ticchettii delle scarpe mentre scende le scale un po’ per il rumore dei chiacchiericci disinteressati, un po’ per i suoi passi felini, e lo stupendo scettro su cui avevo poggiato gli occhi quando ha aperto il primo portale, quello che lo ha condotto al Tesseract, è impugnato dalla sua mano destra come se fosse un banale bastone da passeggio. Completano il quadro una sciarpa con i colori dei suoi vestiti da principe, verde scuro e oro, e i capelli accuratamente sistemati indietro: se non lo conoscessi, avrei sicuramente pensato di trovarmi davanti a uno dei più ricchi terrestri viventi, pronto a strappare l’assegno con più zeri per ostentare la sua ricchezza e la sua magnanimità.
Senza proferire parola, per non distrarre il pubblico dalla musica, Loki fa roteare il suo scettro con una velocità sorprendente, per spaccare il naso di una guardia del corpo di Schafer, atterrandola: all’improvviso, la sinfonia si ferma, il chiacchiericcio si abbassa e tutti lo fissano con il mio stesso stupore. Schafer si gira per capire con chi si deve confrontare, ma il Dio di Asgard non glielo permette e lo afferra per il collo, portandolo come se fosse un sacco di patate verso la statua al centro della sala mentre tutti gli spettatori lo fissano inermi, sapendo di non poter fare altro se non sperare che non siano le prossime vittime. Il tonfo sordo che fa atterrare Heinrich Schafer sulla superficie liscia della statua mi fa fare una capriola, dato che finalmente comprendo la forza del mio partner: non è solo bravo a farmi innervosire. Quell’uomo, che peserà circa novanta chili, viene sballottato da Loki come se fosse un sacco vuoto, e poi viene immobilizzato con la mano mentre tutti arretrano, spaventati. Io li seguo, anche se vorrei vedere da più vicino cosa farà il principe, e fingo un urletto quando lo vedo tirare fuori dalla tasca interna della giacca un congegno che permette una scansione tridimensionale della retina. Il povero scienziato tenta di ribellarsi con le sue ultime forze mentre subisce la dolorosa scansione, che spesso danneggia l’occhio e i neuroni a esso collegato, ma Loki rimane impassibile, come se fosse tutto una simulazione, un giorno di addestramento. L’espressione gelida mi fa notare quanta differenza ci sia tra un meticcio come ne e un vero Gigante di Ghiaccio, e non potrei essere più affascinata dalla sua freddezza brutale e calcolatrice mentre inizia ad ammirare gli invitati del galà correre verso le uscite. I nostri sguardi si incrociano, e mentre lui tenta di mantenere il contatto visivo, cercando al tempo stesso di capire se qualcuno sta provando a fermarlo - nessuno ha il coraggio - mi sorride, dandomi il segnale che il mio lavoro è finito. Corro dietro a una signora che lascia la borsetta a terra e schiamazza impanicata mentre apre la pesante porta a vetri, e finisco sulla strada, adesso macchiata da tante persone impaurite e scosse. Mi fingo sotto shock, finendo per essere abbracciata da un signore di mezza età realmente sconvolto, e ricambio l’abbraccio simulando un leggero tremolio. So benissimo che potrei allontanarmi e scappare, ma questi terrestri mi incuriosiscono: nessuno ha provato a fermare l’aggressore, ma tutti sono rimasti fino all’ultimo a guardarlo colpire Schafer, per poi scappare come lepri impaurite appena lo hanno visto poggiare il suo sguardo su di loro, come a cercare la prossima preda. Ma questa è una caccia mirata, e abbiamo già preso la preda più succulenta, l’iridio. Barton, infatti, dice solamente:«Mi allontano con la merce» per poi interrompere subito la linea.
Loki, nel frattempo, tramuta i suoi vestiti eleganti nella scintillante armatura che ho avuto l’onore di ammirare quando era entrato alla Tana, reggendo adesso lo scettro come se gli fosse stato conferito per diritto, come se questo fosse un regalo del suo nuovo popolo. La camminata è lenta, calma, regolare, come se il tappeto rosso su cui avevo camminato per entrare alla serata di gala fosse stato steso solamente per lui. Il mantello verde foresta drappeggia le sue spalle e ondeggia nell’aria come se quest’ultima fosse mossa dal vento e non dall’elettricità; infatti, da tanto è la concentrazione di energia, riesco a percepire un istante prima l’attacco di Loki contro una macchina della polizia, che salta in aria e prosegue la sua rovina per la strada, mentre lui l’ha già attraversata e si prepara a circondare la folla con le sue illusioni, che sembrano reali. Le prime parole che pronuncia agli umani sono solamente: «Inginocchiatevi di fronte a me» ma sono solo le parole di una sua copia: adesso, infatti, riesco a capire perfettamente dove si trova, perché la mia relazione con l’energia cosmica si è consolidata. Gli rivolgo uno sguardo sfuggente, e lui lo ricambia con altrettanta casualità; quel copricapo dorato simile a delle corna gli dà l’aria giusta, che lo fa sembrare sia re di Midgard che di Asgard, e quando inizia a parlare ai quei poveri nobili impauriti, lo fa come se questi ultimi fossero i fortunati, i prescelti per sentire le prime parole del loro nuovo governatore.
«In ginocchio, ora!» ripete con un tuono il dio di Asgard, battendo lo scettro a terra e provocandomi una scossa lungo la colonna vertebrale. Appena vedo la gente calmarsi e ubbidirgli, li imito, fingendomi ancora impaurita dalla sua imponenza, anche se sono impegnata a trovare un modo per scappare senza farmi vedere da nessuno. Barton sicuramente si sta già dirigendo a New York, da Selvig, e io devo fare altrettanto: prima però, forse è meglio essere sicuri che Loki non faccia stupidaggini. Ne va del mio ritorno a Ovunque.
«Non vi sembra semplice? Non è questo il vostro stato naturale? È la verità taciuta dell’umanità» proclama con tono rilassato, sicuro di sé, come se fosse un Oracolo e stesse dicendo la sua profezia ad alta voce. Lo scettro divide la folla e gli permette di camminare tra le persone, rapite dalla sua appariscenza. «Voi bramate il soggiogamento. Il luminoso richiamo della libertà riduce la gioia della vostra vita ad un folle combattimento per il potere, per un’identità» non ha tutti i torti, pensandoci bene. Non sono un’umana, non sono nata a Midgard e le mie fonti sono solo informazioni prese da Internet o racconti usciti direttamente dalla bocca di colui che sta parlando, ma da quello che ho capito finora, Midgard è popolata da individui più furbi e scaltri degli altri che si impongono con la forza e con il potere su coloro che non hanno nessuna delle due qualità, i quali restano a testa bassa e si lasciano manipolare da questi individui pieni di cattiveria. E quando qualcuno tra la folla decide di ribellarsi, la ribellione che attua non è che un modo per stabilire il suo, di potere, in un susseguirsi degli stessi avvenimenti che si ripetono a ruota. Loki ha ragione, a Midgard serve davvero un re dal polso fermo come il suo, dalla mentalità oggettiva come la sua.
«Voi siete stati fatti per essere governati. Alla fine, vi inginocchierete sempre» un signore anziano, dai pochi capelli bianchi e la giacca sgualcita chiara, decide di alzarsi e di controbattere il dio di Asgard, urlando con la poca voce che ha in corpo e con un forte accento tedesco: «Non davanti a uomini come te» per poi aspettare la risposta di Loki. Quest’ultimo ride, facendo fare al mio stomaco una piroetta, e gli dice, con tono divertito e sincero: «Oh, ma non esistono uomini come me» facendo fare al mio stomaco un’altra piroetta.
Basta cazzeggiare, devo andarmene. Che lui si diverta con i suoi nuovi sudditi.
«Esistono sempre uomini come te» replica il vecchio, facendomi venir voglia di chiedergli quanti dèi abbia mai visto con i propri occhi. «Badate alle persone più sagge. Che lui sia d’esempio» il tono di Loki diventa più acido, scontroso, e punta lo scettro verso il cuore dell’anziano signore. Sono già pronta a vedere le budella del suo secondo sacrificio terrestre macchiare l’asfalto di Stoccarda, quando il colpo partito dallo scettro rimbalza contro uno scudo di vibranio dai netti riflessi: lo scudo di Captain America.
Cazzo, ora sì che si mette maledettamente male.
«Sai, l’ultima volta che sono stato in Germania e ho visto un uomo innalzarsi di fronte agli altri, abbiamo scelto il dissenso» la voce di Captain America è tesa ma sotto controllo, come se sapesse che Loki è una minaccia ma non conoscesse a pieno le sue capacità. Siamo in due, Rogers. «Il soldato, l’uomo senza tempo» sibila Loki, rialzandosi dopo il colpo che era tornato indietro, dritto al centro del suo pettorale dorato. «Non sono io quello senza tempo» ribatte Rogers, mentre alle sue spalle un Quinjet nuovo di zecca si fa strada nell’oscurità della notte e fa uscire da degli scomparti una mitragliatrice. Una voce metallica e femminile intima Loki a lasciare lo scettro, ma lui, dopo avermi rivolto un ultimo sguardo arrogante, usa il potere che gli è stato dato per attaccare l’astronave high-tech e successivamente combattere con Captain America. Anche se vorrei aiutarlo nello scontro, mi convinco che è meglio se assisto Loki nelle retrovie, perciò inizio a correre imitando parte della folla, reggendomi l’orlo del vestito, per poi rifugiarmi dietro delle macchine parcheggiate, in una via perpendicolare a quella dove il soldato e il dio di Asgard stanno combattendo: una volta al sicuro, attivo il mio bracciale elettronico, cercando in qualche modo di entrare nel sistema di controllo del Quinjet e manometterlo. Ma mentre faccio saettare le mie dita nel piccolo schermo proiettato sul mio polso per hackerare i comandi della navicella, un altro sistema, chiamato J.A.R.V.I.S., mi blocca l’accesso e prende i comandi al mio posto, stabilizzando il Quinjet e facendomi capire che di tre pezzi grossi ne sono arrivati ben due, ossia Captain America e Ironman. «So a cosa stai pensando. Non. Andare» mi ordina Barton dall’auricolare appena cerco Fleyra con la mano. «Ma-» comincio a protestare quando la sua voce sormonta la mia:«Aveva calcolato anche questo. Io sono quasi arrivato a New York, raggiungimi e attueremo il piano per liberarlo in un battibaleno, come da copione» annuisco amareggiata, consapevole di star abbandonando il mio compagno, e apro una linea di comunicazione con lui solo per dirgli: «Se il piano per riprenderti non funziona, ti uccido» per poi rientrare nel teatro per andare a prendere la mia giacca e, di conseguenza, la mia moto.
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