quattordici
L'idea di tornare al motel di Martinka mi balena in testa per una frazione di secondo, ma Barton ha il sangue più freddo del mio e per cinque minuti buoni mi spiega, mentre cammino per le strade deserte di Stoccarda, cosa fare e come farmi trovare da lui e i suoi uomini: infatti, mi comunica che, a New York, Erik Selvig sta già lavorando alla costruzione pratica del portale, e che lui è riuscito a creare una piccola squadra d'azione per venire a prendere prima me e poi Loki, riuscendo persino a racimolare un aereo militare in un hangar privato. «Ricordati di respirare come ti ho detto e di restare concentrata. Stai andando bene, è la tua prima missione e stai andando alla grande» se non fosse che in realtà lui fa parte del nemico, lo ringrazierei di cuore, mentre per l'ennesima volta ripete le stesse frasi a ruota.
Mi sento persa in un bicchiere d'acqua, mi sento parzialmente cieca, in grado di vedere solo una parte del quadro della situazione, e ciò mi disturba, non mi permette di ragionare come vorrei: il mio istinto mi dice di tornare al motel, di nascondermi da eventuali occhi indiscreti che avrebbero potuto stanare la mia commedia da quattro soldi e la mia falsa identità, e restare immobile finché Loki non si liberi. Non è che non voglio andarlo a salvare, sia chiaro, è che non sono esperta neanche un decimo di quanto lo sono Barton e gli uomini inviati da Thanos, perciò non gli sono d'aiuto. Anzi, considerando che prima devono venire a prendere me e poi liberare Loki, in questo momento mi sento solo un enorme peso che rallenterà tutta l'operazione. Vorrei dire a Barton di lasciarmi qui a cavarmela da sola e farli continuare senza di me, ma al tempo stesso vorrei davvero imparare da loro come muovermi in situazioni del genere, e scappando non riuscirei a imparare altro se non a comportarmi da vigliacca. Inoltre, l'energia che ora è imprigionata dentro Fleyra è davvero poca, e anche se potrebbe aiutarci nelle emergenze, non avrebbe altre utilità.
In questo momento mi prenderei a schiaffi. Un abitante di Midgard, un debole umano, mi sta insegnando a contare i respiri per farmi riprendere il controllo! Se mio padre fosse qui, me ne direbbe di tutti i colori, e io concorderei con ogni suo singolo rimprovero.
Ma, una volta finita la mia conversazione con Barton, ignoro tutti i miei pensieri e seguo le sue istruzioni alla lettera, guidando la mia moto verso sud, verso l'aeroporto, e usando il tempo impiegato durante il tragitto per schiarirmi le idee e riportarmi alla mente tutte le cose che mi aveva detto Loki sul suo piano, sui suoi possibili risvolti e sui nostri interventi nel caso in cui le cose sarebbero andate a finire male. Aveva davvero pensato a tutto, cazzo.
Odio ammetterlo, lo odio con tutta me stessa, ma sono così contenta di stargli a genio: se così non fosse stato, mi sarei persa tutto questo. Mi sarei persa l'occasione di potermi evolvere in qualcosa di più del semplice successore del Collezionista, mi sarei persa l'occasione di poter visitare un pianeta singolare come Midgard, mi sarei persa l'occasione di poter conoscere realmente Loki. Sarà pure il manipolatore per definizione, sarà pure quello che potrebbe facilmente farmi uccidere, sarà pure il cattivo della storia, ma è il primo che ha creduto in me fin dal primo momento che mi ha vista, che non mi ha mai sottovalutata e che ha deciso di darmi l'opportunità di mostrarmi per quello che sono veramente. Io difficilmente vado d'accordo con le persone - si può notare dal numero di amici che ho - ma sento che Loki è diventato parte dell'eccezione. Probabilmente, una volta finita questa missione e scaduti i termini del contratto con mio padre, il nostro rapporto sarà solo un ricordo recondito nella mia mente e qualcosa di dimenticato nella sua, ma per una volta non voglio pensare al futuro.
Carpe diem, giusto? Si diceva così?
E pensando al presente, raggiungo il bellissimo - e attualmente chiuso - aeroporto di Stoccarda, dallo stile più moderno e funzionale del teatro comunale ma comunque mozzafiato, con tutte le sue travi di metallo che creano come una ragnatela gigante sopra la mia testa. A causa del trambusto causato dalla cattura di Loki, tutta la città è tramortita e impaurita, permettendomi così di poter entrare dentro l'aeroporto indisturbata, preoccupandomi solo di disattivare le varie telecamere e i sistemi d'allarme, cosa che ormai mi viene quasi naturale grazie all'energia cosmica che mi sta scorrendo nelle vene. Non percepisco nessuna presenza terrestre mentre passo per l'immenso corridoio suddiviso in gate numerati, e quando esco di nuovo dal complesso, cerco nella distesa d'asfalto la pista d'atterraggio, trovandola con facilità dato che questo aeroporto ne ha solo una. Mando il segnale a Barton aprendo la connessione e chiudendola subito dopo e mi avvolgo la giacca ancora di più al corpo mentre lo aspetto, tentando inutilmente di scaldarmi.
Eccoli, i brividini snervanti dei Giganti di Ghiaccio. Ed ecco anche la neve.
La osservo cadere mentre conto i fiocchi che si appoggiano intorno a me, e faccio passare il tempo senza neanche disturbarmi di aggiornare mio padre: di sicuro saprà già tutto, ha occhi ovunque.
Passati pochi minuti, tante ore o una manciata di secondi, sento un fortissimo turbinio d'aria e alzo gli occhi al cielo: un aereo da guerra di tecnologia umana, con un propulsore che a Ovunque è considerato obsoleto, sta scendendo lentamente e perpendicolarmente a qualche metro di distanza da me. Senza neanche toccare terra, l'unico portellone d'ingresso posteriore si apre, mostrandomi Clint Barton pronto ad accogliermi. La sua mano è tesa come ore fa, quando ci eravamo appena conosciuti: «Che aspetti?» mi chiede con un sorrisetto poco prima di vedermi avanzare verso l'entrata buia. Stringo la sua mano anche se non mi serve per salire, a mo' di saluto, e una volta dentro la pancia di metallo del veicolo osservo attentamente gli uomini che si è portato dietro, armati e protetti fino al collo: vedo che è già più preparato rispetto a Loki, sotto questo punto. «Grazie» gli dico, per poi sedermi tra due sconosciuti e legarmi i capelli, ormai per metà lisci e per metà inguardabili, nella stessa coda alta che mi ero fatta questa mattina. «Non è che sia proprio la mia volontà ad avermi spinto a salvarti, ma prego» ribatte Barton, per poi lanciarmi un sacchetto di plastica bianco. Le mie dita districano il nodo con calma e guardo al suo interno, vedendo la mia uniforme accuratamente appallottolata. Ridacchio vedendo le condizioni in cui ho lasciato quella preziosa tuta in kevlar. «Che provi, mentre sei sotto il controllo della magia?» chiedo a Barton, curiosa, mentre tiro fuori la maglia e la scuoto, per cercare di farla sembrare nuovamente una maglia. «Mmh, è strano da spiegare... È come se dovessi ubbidire ciecamente a qualsiasi cosa mi sia imposta, ma al tempo stesso avessi la libertà di comportarmi come voglio. Come se fossi in gabbia ma potessi decidere la sua grandezza e le comodità al suo interno» ripiego i pantaloni con cura, poi comincio a togliermi tutti i gingilli che mi ero messa alle dita, ai polsi e al collo. Adoro i gioielli, ma adesso non è il momento di tintinnare a ogni passo per attirare l'attenzione. «Ti tratta bene» commento, riferendomi a Loki, per poi sfilarmi le decolletè e riporre anche quelle nel sacchetto. «Non sai quanto. Per lavoro ho dovuto affrontare situazioni... Scomode. Ben più scomode di questa, che a confronto è una vacanza alle Bahamas. Però questo trattamento di favore creerebbe la giusta atmosfera per una bella pugnalata alle spalle» mi tolgo il giacchetto e mi alzo, sentendo il fresco pavimento dell'aereo sotto la pianta dei piedi nudi. Appoggio Fleyra e la mia giacca dove ero seduta, stando attenta a non far allungare le mani a nessuno degli uomini di Barton, che però sembrano essere su un'altra dimensione. «Speriamo che non sia letale. Mi stai simpatico» adesso è lui a ridacchiare, e dice: «Anche tu, soprattutto perché non riesco a capire cosa cazzo sei o perché sei qui» gli sorrido e raggiungo un angolo dell'angusto interno dell'aereo, per poi mettere la maglia sopra il vestito e togliermi quest'ultimo senza che si veda un centimetro di pelle nuda in più. «Devi farlo proprio qui?» sbotta uno della squadra scelta di Barton. «Non è che ci siano dei camerini, o sbaglio? Se vi sconvolgete per così poco, non voglio immaginarvi a puntare la pistola contro qualcuno» Barton scuote una mano per terminare questo battibecco inutile, e perciò io finisco di cambiarmi facendo cadere il vestito a terra e mettendomi poi velocemente i pantaloni, sorprendendomi sempre della morbidezza dell'interno della tuta, che invece all'esterno è rigida e sgradevole al tatto. Sì, con questi vestiti mi sento davvero più professionale, più seria e diligente. Dopo essermi cambiata del tutto, mi avvicino a Barton e gli chiedo: «Hai detto che, se avessero rapito Loki, lo avremmo trovato nell'Helicarrier, la base aerea dello S.H.I.E.L.D., ma hai trovato la base aerea?» Barton annuisce e indica con il pollice sinistro la sala di pilotaggio. «Il nostro pilota lo sta inseguendo. Atterreremo su di esso, dato che è talmente grande da poterci permettere di agire come vogliamo, ma prima dovrò sistemare un paio di cose con le mie frecce e il tuo aiuto. Se tutto va secondo i piani miei e di Loki, disattiveremo gli allarmi e uno dei quattro motori che fanno muovere l'Helicarrier. Ciò dovrebbe bastare per creare un po' di confusione» interessata dall'aiuto che vuole da me, alzo le sopracciglia, poi continuo il suo piano ripetendo le parole di Loki: «Una volta separati gli agenti dello S.H.I.E.L.D. e i loro "collaboratori", io prenderò lo scettro e libererò Loki, mentre tu manometterai almeno altri un altro motore per farci acquistare altro tempo. Poi, ci riuniremo e scapperemo tutti sull'aereo da cui siamo venuti» Barton annuisce di nuovo e alza le spalle. «Prendi quello che ti serve, quello che pensi che non ti serva e poi tieniti pronta. Questo gioiellino vola piuttosto veloce. Arriveremo sull'Helicarrier prima di quanto immagini» nel mio cervello, un tarlo scava un dubbio e mi fa chiedere: «Come sistemeremo Ironman e Captain America?» mi siedo di nuovo dove avevo appoggiato Fleyra, poi svuoto le tasche della mia giacca e ripongo le armi dove dovrebbero sempre stare, controllando che siano pulite e eventualmente cariche. «Basterà tenerli occupati, anche perché non sono le uniche minacce che incontreremo. Ti ricordi cosa ti avevo detto su Fury e sul suo progetto?» stringo le labbra in una linea sottile, sperando che non sia già arrivato il momento di combattere contro gli Avengers, un gruppo - non ancora approvato dal Governo, in fase di progettazione - di supereroi riuniti per volontà di Nick Fury, per poter agire preventivamente contro minacce di livello Loki.
In teoria, la squadra dovrebbe essere formata da Occhio di Falco, che è stato momentaneamente tagliato fuori, Ironman, Captain America, ma anche dalla Vedova Nera, una delle donne più pericolose che potrei mai incontrare, dalle abilità fisiche paranormali e l'intelligenza giusta per essere la seconda spia migliore dopo Fury; da Hulk, uno scienziato di Midgard che è stato esposto ai raggi gamma e che, come conseguenza, ha ottenuto il potere di potersi trasformare in un gigante dalla pelle verdastra, un carro armato potenziato in grado di radere al suolo intere città senza versare una goccia di sudore; e infine da Thor, il Dio del tuono, il più potente degli asgardiani, il possessore di Mjolnir, il più abile risolutore di conflitti, il fratello di Loki. Anche se manca un componente, sono pur sempre dei pericoli che non voglio affrontare neanche nei miei peggiori incubi. Sono sicura di non poter vincere neppure contro Ironman senza la sua armatura.
«Se loro dovessero combattere?» gli chiedo, e lui continua il suo discorso: «Ecco, se loro dovessero intervenire direttamente contro di te, scappa. Non farti prendere per nessun motivo al mondo, perché c'è una bella differenza tra venirti a prendere a Stoccarda e doverti recuperare tra le grinfie di Fury. Poi faremo in modo di farti salire sull'aereo insieme a noi quando avremo preso Loki» alzo un pollice in approvazione e sospiro, cercando di convincermi che andrà tutto come aveva previsto il Dio dell'inganno.
Dovrà andare.
«Adesso, avrei una domanda per te: sai manipolare l'elettricità e renderla in qualche modo tangibile, giusto? Ti ho visto fare quei giochetti strani al motel» omettendo la parte in cui la mia è energia del cosmo, e non elettrica, annuisco e lo lascio continuare; «Ho creato delle frecce in grado di poter accedere al sistema di controllo dell'intera base dello S.H.I.E.L.D. per bloccare le comunicazioni con l'esterno e anche i motori del cargo. L'unica cosa è che devono entrare a contatto direttamente con almeno un pc collegato al sistema di controllo. Potresti aiutarmi a fabbricare una punta di freccia in grado di poter agire anche senza entrare fisicamente a contatto con i controlli? Giusto per disattivare gli allarmi e permetterci di avvicinarci» si china a terra e distende un pezzo di cuoio, che contiene alcuni strumenti di precisione per fondere metalli e alcuni pezzi di metallo appuntiti. Lo raggiungo, inginocchiandomi e cercando delle cose che potrebbero tornarmi utili: delle punte di frecce, delle provette, dei fili di ferro e di rame, delle lamine d'acciaio, delle scaglie di vibranio... Delle provette. Ne prendo una tra due dita, e dico: «Hai ancora i chip che ti permettono di hackerare il sistema? Perché possiamo tentare di "mettere" dell'energia qui, combinare le componenti dei chip e inventarci qualcosa» Barton rufola nella tasca dei suoi pantaloni neri, tirando fuori una scatola piena di nanochip. «Ti intendi di queste cose?» mi chiede, e scuoto la testa sorridendo, affermando: «Questa tecnologia mi è nuova, dato che da dove vengo io è diversa. Però ci posso provare» mi faccio spiegare le componenti dei chip e come sono stati programmati, e nascondo il mio stupore: sono davvero secoli addietro, qui. Questi aggeggi sono scritti sui libri di storia che ho studiato a scuola. Eppure Barton mi rassicura che si tratta di tecnologia avanzata non reperibile, da tanto è considerata potente. Ma se questo è potente, quello che aggiusto nella Tana è sensazionale.
Mentre Barton assembla la punta di una freccia fondendo la provetta e congiungendo i vari fili di ferro e rame, io sistemo i chip scomponendoli e provando a sistemarli secondo quello di cui ho bisogno che facciano. «A regola, se spari questa freccia contro una parete metallica di un mezzo di locomozione, essa dovrebbe essere in grado di bloccare il sistema di pompaggio di un motore e di ritardare gli allarmi. Con ciò che ho davanti non riesco a fare di meglio, e non so neanche se quello che ho detto accadrà» Barton prende con delicatezza i chip e li monta all'interno della punta della freccia, mettendosi poi ad assemblare tutto il corpo. «Sei un genio, Tivan. Usiamo quelle che ho fatto come piano B» alzo un solo sopracciglio, guardandolo storto ed esclamando:«Tivan? Perché usi il mio cognome?» lui sbuffa divertito. «Come vuoi che ti chiami? Col nome completo?» schiocco la lingua e gli dò una gomitata sulla spalla. «Non sono mica una governatrice. Chiamami Melena» lui ridacchia e mi porge la freccia, chiedendomi implicitamente di fare la mia magia. La mia "magia" risponde per me, e appena prendo in mano il metallo un lampo di luce si propaga all'interno dell'oscuro aereo, facendo saltare in piedi gli uomini di Barton e riempiendo la provetta di energia cosmica, che ha assunto un colore rosso vivo. Ringrazio l'ennesimo supporto dalla mia cara amica e metto la freccia nella faretra di Barton, issata con cura sulla sua schiena. «Pronti» mi fa l'occhiolino e poi, dopo avermi accarezzato amichevolmente un braccio, scompare raggiungendo la cabina di pilotaggio. Io, l'unica rimasta in piedi, fisso i soldati, che sono ancora allibiti da quello che è successo poco fa, per poi analizzare l'aereo, chiedendomi se riesco a ricordare se in qualche libro di storia c'era una pagina dedicata a un modello simile a questo.
«Preparatevi! Siamo vicini» urla Barton tornando nella sala principale dell'aereo dopo qualche minuto; tutti gli uomini che ha assoldato si alzano e raggiungono le pareti dell'aereo, che con degli scatti si aprono e rivelano munizioni, armi, caschi di protezione e maschere per il viso. Ah, però.
Io li imito, usando più calma dato che sono già ben munita di armi, e cerco qualcosa che attiri la mia attenzione: non trovando nulla di abbastanza interessante, prendo una semplice pistola di 9mm... Calibro 38. Può andare, alla fine non mi servono i fucili semiautomatici che tengono stretti gli uomini di Barton, dato che non saprei come usarli a dovere. Indosso una bandana nera che mi copre dal naso in giù, trovata tra le armi, sistemo la coda, chiudo lo scomparto e poi raggiungo Barton, situato davanti la porta dell'aereo. «Non ci sono altre uscite?» gli chiedo, prevedendo già di cadere nel vuoto una volta sentita la forte corrente d'aria che provoca questo aereo. Potrei anche riporre la pistola, dato che non riuscirò neanche a entrare in azione per del vento. «La prossima volta faccio ordinare un aereo con le porte su misura, va bene?» spiritoso, l'arciere. Gli sorrido di sbieco e aspetto che la porta si apra, rivelando il cielo sereno e l'Helicarrier, una struttura volante grande quando la collina che quasi un giorno fa ho valicato per allenarmi. È fottutamente gigantesco. Però, appena mi rendo conto di essere perfettamente in equilibrio nonostante il turbinio che fa accucciare gli uomini di Barton, capisco che forse non sono così incapace come pensavo. So almeno tenere i piedi per terra. «Sei sicuro che funzionerà?» urlo a Barton, il quale sta caricando l'arco con la freccia che gli ho fabbricato. Anche lui non muove un passo, si comporta come se la porta fosse sempre chiusa. Okay, forse i suoi uomini non sono così tanto preparati quanto immaginavo. «Se così non fosse, la colpa non sarà sicuramente mia!» sorridiamo divertiti entrambi, poi lui si concentra del tutto, distaccandosi da me e dagli altri, e mira a un punto preciso dell'Helicarrier, un complesso di cavi che si trova vicino al motore più vicino a noi, una specie di punto debole rispetto allo spesso metallo di cui è rivestito. Tende l'arco e nel farlo gli tremano leggermente le braccia dallo sforzo, ma appena appoggia la guancia alla corda e tira ancora di più, piegando l'arma a livelli estremi, tutto il suo corpo si ferma e la sua respirazione diventa quasi inesistente: sembra una macchina mentre punta e lancia la freccia proprio dove voleva che andasse, con una precisione millimetrica nonostante l'aria, nonostante l'aereo che si muove, nonostante la forza che serve per scoccare una freccia a una distanza così grande. «Sta funzionando» urla un uomo di Barton, il più vicino alla cabina di pilotaggio. «Bene, si scende» gli risponde Barton, senza premere il pulsante per far alzare la porta, e permettendomi così di vedere il motore colpito andare in panne. Ce l'ho fatta!
«Ricordati di raggiungere Loki, a qualsiasi costo. Hai detto che sai come trovarlo» mi urla Barton poco prima che l'aereo raggiunga l'enorme H gialla impressa sul soffitto della base aerea dello S.H.I.E.L.D. «Ci penso io» ribatto.
La sua aurea glaciale è impressa nella mia memoria vividamente, come se non volesse andarsene.
Lo troverò, lo libererò e lo aiuterò a completare la missione.
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