Sanatio Antiqua


E' CONSIGLIATA, ANCHE SE NON E' INDISPENSABILE, LA LETTURA DI"HO DETTO AMORE-IL CIONDOLO SEGRETO- IN PARTICOLARE DAL CAPITOLO 14 E SUCCESSIVI,  IN QUANTO ENTRAMBE LE STORIE SI INTRECCIANO LUNGO LO SPAZIO E IL TEMPO. ***

MUSICA CONSIGLIATA DURANTE LA LETTURA, THE WALL, PINK FLOYD. HA UN SUO SIGNIFICATO PER LA STORIA.

https://youtu.be/fvPpAPIIZyo

Il sole del mattino filtrava con delicatezza attraverso le pesanti tende di broccato verde, gettando un'ombra tenue sui pavimenti di legno chiaro della residenza dei Conti De Gatte. Belladonna si mosse nel silenzio della sua stanza come un'ombra, i suoi passi lievi quasi impercettibili. Si avvicinò alla finestra e scostò leggermente il tendaggio, lasciando che la luce fredda dell'inverno accarezzasse il suo viso. I suoi occhi scuri si posarono in lontananza, verso la camera della principessa Giovanna Maria, visibile attraverso le finestre del vicino Palazzo Reale. Era lei il vero obiettivo, la chiave per tessere la trama che stava lentamente costruendo.

Si sistemò la mantellina nera sulle spalle e infilò le mani nelle tasche, stringendo il fazzoletto che portava sempre con sé. Lo aveva ricevuto anni prima, a Firenze, con le parole della nonna che le risuonavano ancora nella mente: "Trattieni il potere e non svelarlo a nessuno." Era una regola, ma anche un avvertimento. La nonna sapeva quanto fosse sottile il confine tra potere e pericolo, e Belladonna lo aveva imparato a sue spese.

La colazione era stata allestita nel salone della servitù. Gli altri servitori la accolsero con occhiate curiose, ma nessuno osava avvicinarsi troppo. Belladonna percepiva il timore nei loro gesti e nei saluti deferenti, e lo trovava ironico, quasi divertente. Non appena si sedette, gli altri si dispersero, lasciandola sola. Consumò il pasto in silenzio, rapidamente, e si alzò senza esitazione.

La governante, la signorina Sara, l'aspettava nel corridoio principale. Alta e rigida, il suo aspetto austero era accentuato da un sorriso freddo e una postura impeccabile. "Buongiorno, signorina Belladonna," disse, con un tono che celava a malapena un sottile velo di autorità. "Oggi incontrerete la contessina. Prima, però, vi mostrerò il programma educativo che seguirete."

Belladonna annuì con un accenno di cortesia. "Sarà un onore, signorina Sara."

Camminarono attraverso i lunghi corridoi della dimora, ornati di arazzi e dipinti antichi, i loro passi accompagnati dal ticchettio delle pendole che scandivano il tempo con precisione inquietante. A metà del tragitto, la governante si fermò improvvisamente e si voltò verso di lei.

"Ho notato che le vostre referenze dai marchesi di Alessandria sono impeccabili. Si dice anche che abbiate lavorato per il Granduca di Toscana," disse, il tono ora più indagatore. "Vorrei sapere qualcosa di più sul vostro incarico precedente. Cosa esattamente avete fatto al servizio del Granduca?"

Belladonna inclinò appena il capo, un sorriso sottile si formò sulle sue labbra. "Certamente, signorina Sara. Ho avuto l'onore di occuparmi di scienze e istruzione per il Granduca. Era un uomo di grande intelletto, molto interessato alle scoperte moderne."

La governante la osservò con un sopracciglio alzato. "Una donna che si occupa di scienze? Strano, devo dire."

Belladonna mantenne il sorriso, ma sentì un sottile brivido percorrerle la schiena. "Il Granduca era noto per la sua apertura mentale. Credo fosse affascinato dalle capacità... non convenzionali," rispose con calma, cercando di spostare l'attenzione altrove. "Ma ditemi, signorina Sara, come sta la contessina Maria Adele oggi?"

La domanda ebbe l'effetto desiderato. La governante annuì, apparentemente soddisfatta, e riprese a camminare. Belladonna, però, sapeva di aver rivelato troppo, un errore che non si sarebbe concessa nuovamente.

Arrivarono finalmente alla stanza della contessina. La giovane era seduta accanto alla finestra, avvolta in un delicato scialle di lana. I suoi lunghi capelli biondi scendevano come un fiume dorato sulle spalle, e gli occhi azzurri, sebbene splendenti, sembravano velati da una strana oscurità che Belladonna riconobbe immediatamente. Non era solo debolezza fisica quella che vedeva: c'era un'ombra più profonda, il segno di un maleficio.

"Contessina, questa è la signorina Belladonna," disse la governante con formalità. "Da oggi si occuperà della vostra istruzione."

La giovane sollevò lo sguardo con timida curiosità. Tossì leggermente, il suono tenue di un'afflizione che non sembrava solo fisica. "Mi sento debole oggi. Forse non riuscirò a studiare molto," disse con un filo di voce.

Belladonna le sorrise, un sorriso gentile ma distante, che non raggiungeva gli occhi. "Non vi preoccupate, contessina. La vostra salute è la cosa più importante. Non faremo nulla che possa affaticarvi."

La giovane sembrò rassicurata. "Per favore, chiamatemi Matilde. Maria Adele Matilde è il mio nome completo, ma tutti mi chiamano Matilde."

"Come desiderate, contessina Matilde," rispose Belladonna con un leggero inchino.

La governante, soddisfatta, lasciò la stanza per rispondere a un servitore che la chiamava. Belladonna attese finché la porta non si chiuse, poi si avvicinò lentamente al letto della contessina. C'era una brocca d'acqua sul comodino. Con un movimento discreto, infilò una mano nella tasca interna della mantellina e tirò fuori una piccola ampolla di vetro.

La miscela al suo interno, chiamata "Essentia Curativa," era frutto di anni di studio e di insegnamenti ricevuti a Firenze. Era composta da estratti di valeriana, lavanda, menta piperita, castagno, passiflora e altre erbe, alcune provenienti dal Giardino dei Semplici, altre portate dall'Oriente, come la radice di ashwagandha e la centella asiatica. Belladonna versò una piccola quantità nella brocca, il liquido scivolò silenzioso nell'acqua.

"Vi sentirete meglio, contessina," disse con voce dolce, quasi ipnotica.

Matilde la guardò con un'espressione di ingenua fiducia, ma gli occhi di Belladonna vedevano oltre. La sua mente già analizzava ogni dettaglio: il tono della voce della giovane, la sfumatura d'ombra nei suoi occhi. "C'è qualcosa di nascosto qui," pensò. "E non sarà difficile scoprirlo."

Belladonna si sistemò accanto a lei, prendendo la sua mano con delicatezza. "Insieme," mormorò, "troveremo la strada per rendervi più forte."

Fu in quel momento che Matilde la fissò con un'intensità inaspettata. "Credete nella magia, signorina Belladonna?" chiese a bassa voce, quasi un sussurro.

Belladonna si trattenne per un istante, ma il sorriso che le comparve sulle labbra era carico di ambiguità. "Credo in molte cose, contessina. La magia è solo una di esse."


Con la precisione di un'alchimista, Belladonna versava goccia dopo goccia di "Essentia Curativa" nell'acqua della brocca, sussurrando a ogni caduta "Sanatio Antiqua" – antica guarigione in latino. Le parole uscivano come un soffio, quasi un incantesimo che accompagnava il liquido. La sua mano libera sfiorava delicatamente quella della contessina, un gesto impercettibile, ma carico di intenzione. Ogni movimento rifletteva la sua maestria e il profondo legame con le arti curative e alchemiche.

Matilde osservava Belladonna con uno sguardo misto di curiosità e fiducia, i suoi occhi azzurri brillavano di una luce fragile, come un fiore che cerca di resistere a un vento troppo forte. "Vi ringrazio," mormorò, con una voce appena udibile.

Belladonna le rispose con un sorriso accennato, un velo di ambiguità che si mescolava a una fredda sicurezza. "Non dovete ringraziarmi, contessina. È mio dovere assicurarvi che vi sentiate meglio. La vostra salute è preziosa, più di quanto possiate immaginare."

Mentre pronunciava quelle parole, una voce lontana, quasi un sussurro, si fece strada nella sua mente. Non era una voce qualsiasi: era quella di Genevieve, l'antenata che aveva imparato a riconoscere nei suoi sogni e nei momenti di solitudine.

"Cura la contessina," diceva la voce con fermezza. "Ma non alterare la sua natura. Lei ci serve, Belladonna, così come ci servirà la principessa. Tutto deve andare secondo il disegno."

Belladonna trattenne il respiro per un attimo, la mano ancora appoggiata sulla brocca. "Tutto andrà come deve andare," mormorò a se stessa, lasciando che il pensiero prendesse forma e forza dentro di lei.

Più tardi, mentre sistemava la stanza della contessina, notò le chiavi che la governante, la signorina Sara, aveva lasciato su un piccolo tavolo vicino alla porta. Belladonna mantenne la calma, approfittando di un momento di distrazione. Con un gesto rapido e discreto, prese le chiavi e le nascose nella tasca della mantellina.

Nel pomeriggio, durante una conversazione con la signorina Sara, Belladonna cercò di raccogliere ulteriori informazioni.

"La principessa reale è ancora malata?" chiese con un tono di finta curiosità, mentre sistemava un libro sullo scaffale.

La governante annuì, il volto che si incupì leggermente. "Sì, è confinata a letto. Il tifo la sta consumando, povera fanciulla. Il Conte è molto preoccupato per lei, ma al momento si trova a Torino per affari urgenti. Tornerà tra qualche giorno."

Belladonna fece un cenno di comprensione, ma dentro di sé percepì l'importanza di quella notizia. La principessa era un tassello cruciale del suo piano, così come la contessina Matilde. Tutto si stava incastrando, lentamente ma inesorabilmente.

"Mi chiedevo," disse poi, con un tono leggero e quasi distratto, "se durante il mio tempo libero potessi passeggiare nei boschi. Amo la natura, la trovo rigenerante."

La signorina Sara la scrutò con un misto di sospetto e curiosità, ma alla fine annuì. "Va bene, purché non vi allontaniate troppo dalla proprietà. Vi avverto: i boschi possono essere insidiosi."

Belladonna inclinò la testa in segno di ringraziamento. "Non vi preoccupate, sarò prudente."

Più tardi, approfittando della calma che regnava nella dimora, Belladonna si introdusse nello studio del Conte. Le chiavi le permisero di aprire la pesante porta di legno senza difficoltà. Entrò nella stanza, avvolta dall'odore di carta, cera e legno antico. I suoi occhi si posarono immediatamente sulla scrivania, ordinata con precisione maniacale.

Mentre si muoveva tra i mobili, la voce di Genevieve tornò a risuonare nella sua mente, più chiara e insistente: "Cerca nello studio, Belladonna. C'è qualcosa che devi trovare. Segui l'energia. È lì, nascosto, e sarà necessario per ciò che ci aspetta."

Belladonna si lasciò guidare dall'intuizione, aprendo i cassetti uno dopo l'altro con una calma glaciale. Tra carte, lettere e documenti, trovò due piccoli ciondoli nascosti in un doppio fondo. Appena lo prese in mano, sentì un'ondata di energia attraversarle il corpo, come se gli oggetti stessero comunicando con lei. Li rigirò tra le dita, studiandoli attentamente, poi li nascose nella tasca interna della mantellina.

"Li ho  trovati," pensò, il cuore che batteva più forte. "Ora ho ciò che mi serve."

Lasciò lo studio con la stessa discrezione con cui vi era entrata, richiudendo la porta e rimettendo le chiavi al loro posto. Nulla tradiva il fatto che fosse stata lì.

Quella sera, mentre la tempesta tornava a infuriare fuori dalle finestre, Belladonna si sedette accanto al letto della contessina Matilde, osservandola mentre dormiva. Il suo respiro era lieve, ma Belladonna poteva percepire le ombre che ancora avvolgevano la giovane. "Tutto sta andando come deve," pensò. "Matilde sarà forte abbastanza per ciò che verrà. E la principessa... anche lei avrà il suo ruolo."



Mentre il sole tramontava, Belladonna si avvicinò alla finestra della sua stanza, osservando il parco sottostante. La luce morente del giorno creava un'atmosfera spettrale tra gli alberi, e lì, come un'ombra vivente, camminava solitario Demian, il suo lupo. Il maestoso animale, con il manto bianco e nero che sembrava fondersi con la foschia, era il suo compagno più fedele, l'unico custode dei segreti più oscuri del suo cuore.

"Demian," sussurrò, alzando una mano in un gesto silenzioso di saluto. Il lupo si fermò per un attimo, sollevando la testa verso di lei. I suoi occhi blu, profondi come l'oceano, incrociarono quelli di Belladonna, in un legame silenzioso che andava oltre il tempo e lo spazio. Poi, come chiamato da un istinto superiore, riprese a camminare, scomparendo tra le ombre.

Quando la notte calò, avvolgendo la residenza nel silenzio e nella nebbia, Belladonna si mosse con determinazione. Nella penombra della sua stanza, accese alcune candele e stese con cura le carte dei tarocchi sul letto, una dopo l'altra. Ogni movimento era un rituale studiato, un atto di precisione che aveva imparato anni prima sotto la guida della nonna.

Dalla sua borsa di cuoio estrasse un vecchio disegno, ingiallito dal tempo: lo schema del Quadrato Esoterico che collegava Racconigi a Torino, Lione e Praga. Era un'opera unica, creata dalla sua antenata Genevieve e completata dalla nonna Teresa Giovanna, con l'aggiunta di Racconigi come punto focale. Belladonna appoggiò il primo ciondolo sul disegno, sentendo immediatamente l'energia fluire attraverso di lei, come se il ciondolo stesso rispondesse al richiamo della notte.

La stanza si riempì di un bagliore inquietante. La luce tremolante delle candele proiettava ombre mutevoli sul suo volto, rendendo i suoi lineamenti quasi irreali. Chiuse gli occhi e lasciò che l'energia del ciondolo e del quadrato la attraversassero. Ed ecco che arrivò la visione.

Vide due giovani uomini e una donna in dolce attesa. Erano intrappolati in un tempo che non apparteneva loro, le loro figure circondate da un'oscurità soffocante. Sentì il loro dolore, un'eco profonda e persistente che sembrava provenire non solo dallo spazio, ma dall'essenza stessa del tempo. Il cuore le batté forte nel petto, e per un attimo, una fitta di pietà le attraversò l'anima.

Si alzò con un respiro profondo e aprì la finestra. Il vento della notte, freddo e tagliente, le schiaffeggiava il viso, ma non bastò a scuotere la sua determinazione. Prese la sua mantellina e, senza fare rumore, uscì dalla stanza.

Demian era lì ad aspettarla, il suo corpo scattante e silenzioso che si muoveva tra le ombre. Senza esitazione, Belladonna lo seguì. Il ciondolo stretto nella sua mano sembrava pulsare, quasi vivo, guidandola verso una direzione precisa. Attraversarono il parco, il respiro calmo ma deciso, e raggiunsero il laghetto. Lì, Demian si fermò e ululò, un suono profondo e penetrante che sembrò squarciare la nebbia.

Belladonna avvertì un dolore improvviso che le attraversò il corpo, facendola vacillare. Appoggiò una mano al muro della foresteria per sostenersi, il respiro pesante, il cuore che batteva furiosamente. "Poveri giovani," mormorò con un gemito, gli occhi chiusi mentre cercava di dominare quella sensazione travolgente.

La voce di Genevieve risuonò allora nella sua mente, chiara e autoritaria. "Non deviare dai tuoi piani, Belladonna. Modificali, adattali. Ma non fermarti. La contessina ci servirà, così come ci servirà la principessa. Ogni cosa al suo tempo. Ogni cosa secondo il disegno."

Quella voce la ridestò, restituendole forza e chiarezza. Un ciondolo, pulsante come un cuore, la guidò fino al Tempietto di Giove, immerso nell'oscurità e circondato dalla nebbia. Giunta lì, si inginocchiò a terra, il corpo tremante per l'energia che sembrava provenire sia dal luogo che dall'oggetto che stringeva tra le mani.

"Pater omnipotens, hominum divumque voluptas," mormorò in un sussurro, le antiche parole che aveva imparato nei manoscritti della nonna. "Padre onnipotente, gioia degli uomini e degli dèi."

Il tempietto sembrò rispondere al suo richiamo. Una luce profonda si sprigionò intorno a lei, le ombre della notte si contorsero e si ritirarono, mentre il ciondolo brillava intensamente, come un piccolo sole. Belladonna si alzò, i suoi occhi fissi sulla luce che sembrava avvolgerla completamente.

Poi, con un gesto deciso, posò i ciondoli a terra e lo schiacciò con il piede. Il metallo si ruppe in frammenti dorati, una luce flebile si dissolse lentamente nella nebbia. Si chinò a raccogliere alcuni frammenti, le dita che si muovevano con delicatezza, consapevole del potere che ancora vi dimorava.

"Uno è andato, adesso passiamo all'altro" mormorò tra sé e sé, lo sguardo perso nell'oscurità che la circondava. 

Demian si avvicinò, il muso accanto alla sua mano. Belladonna lo accarezzò distrattamente, il volto segnato da una strana combinazione di sollievo e tensione. "Andiamo, Demian," disse infine, alzandosi con i frammenti stretti nella mano. "Abbiamo un disegno da completare. E questa notte è solo l'inizio. E manca il terzo ciondolo"

Il lupo emise un leggero ringhio, quasi un cenno di approvazione, e insieme scomparvero nella notte, avvolti dalla nebbia e dalla promessa di un destino che solo Belladonna era in grado di vedere.

********SPAZIO AUTORE**********

COSA NE PENSATE DI BELLADONNA?

HA DISTRUTTO VOLONTARIAMENTE I CIONDOLI, PERCHE' LO HA FATTO?

UN PRESAGIO ANTICHISSIMO E UN MALEFICIO ALEGGIA SU TUTTA RACCONIGI, COSA FARA'?


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