Geneviève, la prima strega di Francia

Belladonna trascorreva le giornate nello studio della contessina, impartendole lezioni di etichetta di corte. Per rendere tutto più credibile, faceva riferimento al "Libro della Camera Reale" del Principe Don Giovanni di Spagna, un manuale severo che Belladonna citava con una precisione inquietante, come se fosse stata davvero addestrata in ambienti di corte.

Mentre spiegava un complesso saluto formale, le sue mani si muovevano con una grazia fluida, ma c'era qualcosa di ipnotico e sinistro nei suoi gesti. Ogni tanto, quando un piccolo ragno sbucava dagli scaffali polverosi, lo prendeva con un movimento rapido e lo infilava nella tasca del vestito. Per Belladonna, quei piccoli esseri erano più che semplici insetti: erano talismani, portatori di un potere che solo lei comprendeva.

Improvvisamente, sentì la voce della nonna risuonare nella sua mente. "Pensa a introdurti a corte. La contessina non la puoi salvare, Belladonna. Lei ha un destino scritto. Attieniti ai piani. Non deviare."

Belladonna lasciò che quelle parole risuonassero dentro di sé per un momento, il suo volto rimase impassibile, ma una scintilla attraversò i suoi occhi scuri. La contessina Matilde era troppo fragile, una figura sospesa tra innocenza e oscurità. Era chiaro che Belladonna doveva focalizzarsi su qualcosa di più grande.

"Contessina," disse con voce gentile, il tono morbido ma penetrante, "come vi sentite oggi?"

Matilde sollevò lo sguardo dai ricami che stava lavorando, i suoi occhi azzurri brillanti che riflettevano un sorriso timido. "Sto meglio, grazie. Le vostre lezioni sono davvero interessanti, ma a volte... mi chiedo se io possa davvero imparare tutto questo."

Belladonna le rivolse un sorriso sottile. "Siete più capace di quanto crediate. La grazia e l'intelligenza che mostrate sono doni rari."

La contessina arrossì leggermente, ma i suoi occhi tradivano una sfumatura più complessa, un misto di insicurezza e orgoglio nascosto. "Grazie. Mi fa piacere sapere che pensate questo di me."

Belladonna la osservò per un momento, poi aggiunse: "Che ne dite di fare una passeggiata nei giardini reali? L'aria fresca e il sole potrebbero farvi bene."

Matilde annuì, sistemandosi il vestito con una leggera esitazione. "Sì, sarebbe bello. I giardini sono sempre stati il mio rifugio."

Mentre camminavano lungo i vialetti ghiaiosi, Belladonna studiava attentamente ogni gesto della giovane, cercando di cogliere ogni dettaglio utile. Matilde era un enigma: la sua apparenza angelica nascondeva qualcosa di più oscuro, ma la sua fragilità rimaneva un ostacolo per ciò che Belladonna aveva in mente.

"Raccontatemi della principessa," chiese Belladonna con un tono volutamente casuale. "Come trascorre le sue giornate?"

Matilde esitò, giocherellando con un ramo che aveva raccolto. "La principessa è molto riservata," rispose lentamente. "Passa il tempo a leggere e a suonare il clavicembalo. Le piace passeggiare nei giardini, ma ora è confinata a letto. Il medico dice che potrebbe essere tifo."

"Dev'essere difficile per lei," commentò Belladonna, lasciando che una nota di preoccupazione si insinuasse nella sua voce.

Matilde si fermò un attimo, osservando una siepe ben curata. "Sì, ma almeno la regina è sempre con lei. È una donna forte... più di quanto molti pensino."

"E il re?" domandò Belladonna, inclinando leggermente la testa.

Matilde si irrigidì. "Il re è in esilio a Napoli, da quando i francesi hanno occupato il Regno di Sardegna. La regina e la principessa hanno avuto il permesso di rimanere qui, ma non senza sacrifici."

Belladonna annuì lentamente, lasciando che Matilde interpretasse il suo silenzio come empatia. In realtà, nella mente di Belladonna si andavano formando piani su come sfruttare quella separazione e la vulnerabilità della famiglia reale. "Il re lontano, la corte frammentata. Una debolezza che può essere trasformata in un'opportunità."

Giunte nel parco reale, passarono sotto una fila di alti cipressi. Belladonna sollevò lo sguardo verso una finestra del palazzo e vide la principessa alla finestra. Il suo volto era pallido, segnato dalla malattia, ma nei suoi occhi c'era una forza che non poteva essere ignorata. Belladonna strinse il fazzoletto tra le mani, il suo sorriso si fece più enigmatico.

Mentre passeggiavano, un servitore si avvicinò con fare circospetto. "Chi siete, madama?" chiese con curiosità.

Belladonna si voltò verso di lui, mantenendo il suo volto sereno, ma il tono della sua voce era carico di un'ombra sottile. "Sono la prima madama di corte del Granduca di Toscana. Ho l'onore di assistere la contessina nei suoi studi e vorrei incontrare la Regina."

Il servitore si inchinò leggermente. "Farò pervenire la vostra richiesta al Primo Cerimoniere. La regina è molto impegnata, ma vedrò cosa posso fare."

"Vi ringrazio," rispose Belladonna, accennando un sorriso cortese ma calcolato. Ogni parola, ogni gesto era un passo verso il suo obiettivo.

Dopo aver ricondotto la contessina alla dimora, Belladonna si diresse verso il bosco. La luce del tramonto filtrava tra gli alberi, proiettando ombre lunghe e irregolari sul terreno. Al suo fianco, Demian camminava con il passo silenzioso di un'ombra, i suoi occhi blu scintillavano nell'oscurità crescente.

Giunta in una radura segreta, Belladonna raccolse foglie di belladonna, i movimenti precisi come quelli di un alchimista. Dai taschini del suo abito estrasse i funghi amaniti già tritati e iniziò a mescolarli con cura. Poi si sedette a terra, stese la mantellina e si sdraiò, appoggiando una mano sul ventre.

Con le dita cominciò a tracciare strani simboli sulla pelle, figure che sembravano provenire da un linguaggio dimenticato. Demian si sedette accanto a lei, il suo sguardo penetrante seguiva ogni movimento.

"Apporte la mort, donne la force, invoque le démon," recitò con voce bassa e ipnotica. Le parole, in francese antico, sembravano fondersi con il vento che sussurrava tra gli alberi.

Demian osservava attentamente mentre Belladonna eseguiva il rituale, i suoi occhi blu scintillanti di un'intelligenza selvaggia. La luce del tramonto che filtrava tra i rami della radura sembrava amplificare la tensione nell'aria. Belladonna non poteva fare a meno di ripensare a ciò che sua nonna le aveva raccontato anni prima, nelle sere trascorse a Firenze. Era un rituale antico, tramandato dalla loro stirpe per generazioni. Sua nonna, Teresa Giovanna, lo aveva eseguito per volere del Granduca, creando un incantesimo che si insinuava come un serpente nelle vite degli uomini: provocava malesseri, allucinazioni, mal di testa e persino la morte. Era uno strumento di controllo, un'arma invisibile che nessuno poteva contrastare.

Belladonna si fermò per un attimo, le dita ancora sporche delle erbe che aveva raccolto. Il lupo, accovacciato accanto a lei, sembrava vegliare su ogni suo movimento, come aveva fatto per secoli. "Demian..." pensò, il nome che era come un sussurro antico nella sua mente. "Sempre qui, sempre con noi."

Sapeva che Demian non era un lupo qualunque. La sua longevità era straordinaria, e la sua presenza accanto alle donne della sua stirpe era più di una coincidenza. La sua antenata, Geneviève, guaritrice del re Luigi XII di Francia, aveva avuto Demian accanto a sé durante gli anni più importanti della sua vita. Belladonna chiuse gli occhi per un istante, cercando di visualizzare ciò che sua nonna le aveva raccontato così spesso, come una fiaba carica di oscurità e potere.

Era il 1509, durante la battaglia di Agnadello, uno scontro cruciale nelle Guerre Italiane. Geneviève, su richiesta di Luigi XII, aveva preparato un incantesimo con la saliva di Demian, mescolandola con erbe rare e il suo stesso sangue. Quel rituale aveva garantito una vittoria spettacolare per le truppe francesi, indebolendo gli avversari in modo inspiegabile.

"È stata lei a mostrarmi cosa si può fare con il sangue e la volontà," mormorò Belladonna a se stessa, mentre le sue mani si muovevano per completare il cerchio di erbe.

Demian la osservava, immobile, il suo sguardo quasi umano. Non era solo un compagno, ma un testimone di secoli di segreti. Belladonna sapeva che lui aveva vissuto non solo accanto a Geneviève, ma anche alla corte di Caterina de' Medici. La regina, famosa per la sua passione per le arti occulte, aveva trovato in Geneviève una consigliera e una protettrice. Le loro conoscenze erano intrecciate, e Caterina aveva beneficiato degli elisir e dei rituali della sua antenata, sopravvivendo a innumerevoli tentativi di avvelenamento.

Belladonna si fermò di nuovo, fissando il cielo che si tingeva di rosso. Pensò al racconto di sua nonna: il "dente di Demian", che Geneviève teneva sempre in bocca per neutralizzare i veleni, e l'Hypocras, un vino speziato che era stato arricchito con il sangue di Geneviève e del lupo. La storia di quell'elisir la faceva sempre rabbrividire. "Una sola goccia poteva salvarti, o distruggerti," ricordò le parole della nonna, come se le stesse udendo in quel momento.

"Eppure," pensò Belladonna, "il vero potere non è mai stato negli elisir. È stato nel controllo. Nel sapere chi salvare e chi lasciare morire."

La sua mente tornò a Firenze, a quel giorno in cui sua nonna aveva eseguito un rituale simile, per volere del Granduca. Si ricordava del profumo delle erbe, dell'energia nell'aria e della sensazione opprimente che aveva provato da bambina. Era stato allora che aveva capito che la magia non era un gioco, ma uno strumento di dominio.

"Geneviève aveva capito tutto," mormorò. "Proteggere, distruggere... è solo una questione di scelta."

Belladonna si concentrò sul rituale davanti a lei, il cerchio quasi completo. Mentre mescolava le erbe con cura, pronunciò parole in un antico francese:

"Apporte la mort, donne la force, invoque le démon."

La sua voce si fondeva con il sussurro del vento, che sembrava amplificare ogni sillaba. Il lupo emise un basso ringhio, come a rispondere alla chiamata.

Pensò ancora una volta a Geneviève, al modo in cui aveva usato i veleni durante la battaglia di Marignano nel 1515. La mistura letale, composta da veleno di vipera, veleno di cobra egiziano e veleno del ragno vedova nera, era stata mescolata con il suo sangue e la saliva di Demian. Usata per avvelenare le armi dei nemici, quella combinazione aveva causato caos e morte tra le truppe avversarie, garantendo una vittoria schiacciante ai francesi.

Belladonna tracciò l'ultimo simbolo sulla terra, il suo sguardo freddo e calcolatore. "Ma non tutto è guerra," pensò, guardando Demian che continuava a vegliare su di lei. "Caterina ha usato la magia per governare. Geneviève per proteggere un re. E io... io lo farò per me stessa."

Quando il rituale fu completo, si alzò, guardando il cerchio con soddisfazione. "Demian," disse sottovoce, accarezzandogli il capo, "ora tutto è pronto."

Il lupo non rispose, ma il suo sguardo penetrante era più eloquente di mille parole. Belladonna sapeva che la sua stirpe aveva intrecciato magia e potere per secoli. Ora era il suo turno di portare avanti quell'eredità, con la stessa dedizione e spietatezza delle donne che l'avevano preceduta.


"La saliva del lupo conferisce un potere unico, speciale, ineguagliabile," mormorò Belladonna, accarezzando lentamente il muso di Demian. La sua voce era un sussurro che si mescolava al sibilo del vento nella radura. La luce della luna, pallida e distante, illuminava il lupo, che sembrava più una creatura mitologica che reale, con il suo manto bianco e nero scintillante nell'oscurità.

Belladonna estrasse un fazzoletto di lino finemente ricamato, che odorava ancora delle erbe rare che aveva usato per impregnare il tessuto. Avvicinò il fazzoletto alla bocca del lupo, guardandolo con una devozione che era al contempo oscura e inquietante. "Mio adorato Demian," sussurrò, "sbava su questo fazzoletto. Deve essere intriso della tua essenza. Solo così avrà il potere che mi serve."

Demian non esitò. Con una grazia che solo lui poteva possedere, lasciò che la sua saliva bagnasse il tessuto, mentre Belladonna lo teneva con mani ferme. Lo guardava con occhi febbrili, soddisfatta nel vedere il fazzoletto intridersi lentamente. Ogni goccia era un dono, una promessa di potere che andava oltre ciò che gli uomini comuni potevano comprendere.

"Perfetto," mormorò, accarezzandogli la testa. Il suo sorriso era freddo, calcolatore. "Ora manca solo il mio sangue."

Con una calma glaciale, tese il polso verso Demian. "Mordimi," ordinò, la voce ferma ma carica di una strana intimità. Il lupo la guardò per un attimo, come per confermare il comando, poi affondò i denti con delicatezza nella carne. Un rivolo di sangue scarlatto scivolò sulla sua pelle, mescolandosi alla saliva del lupo che impregnava il fazzoletto.

Belladonna non trasalì. Osservò il sangue che si mescolava alla saliva con occhi sgranati, come se stesse guardando un'opera d'arte prendere forma. Sentiva il dolore come una scintilla di energia, un segno che l'incantesimo si stava compiendo. "È fatto," mormorò, la sua voce un filo appena percettibile nell'oscurità.

Con cura, avvolse il fazzoletto, ora intriso della mistura letale, e lo porse a Demian. "Mio adorato Demian," sussurrò, le dita che sfioravano il muso del lupo con una tenerezza innaturale. "Stanotte sarà il tuo momento. Devi entrare nel palazzo reale. Questo fazzoletto... è la chiave. Tienilo in bocca, ma non troppo a lungo. Portalo nella cucina. Fai cadere il contenuto nel calderone sopra il fuoco."

Demian inclinò leggermente la testa, i suoi occhi brillanti di intelligenza e fedeltà. Afferrò il fazzoletto tra i denti con una delicatezza straordinaria, senza mai distogliere lo sguardo dalla sua padrona. Belladonna lo osservò mentre si allontanava nella notte, la sua figura che si fondeva con le ombre degli alberi. L'oscurità sembrava accoglierlo come un alleato, un compagno silenzioso nel compimento del loro disegno.

Belladonna rimase immobile per un momento, il cuore che batteva forte nel petto, non per paura, ma per l'anticipazione di ciò che sarebbe accaduto. Sentiva il potere scorrere attraverso di lei, un senso di dominio che la faceva sentire invincibile. "Tutto si piegherà alla mia volontà," pensò, il sorriso che si allargava sul suo volto pallido. "Non c'è salvezza per chi non conosco. E chi mi conosce... non sfugge."

Fu allora che una voce spezzò il silenzio, una voce che sembrava venire dall'interno della sua mente ma al contempo risuonava nell'aria. Era un richiamo, antico e autoritario. "Sono Geneviève," disse la voce, carica di un'eco lontana che sembrava attraversare i secoli. "Seguimi, mia stirpe."

Belladonna trasalì appena, i suoi occhi si spalancarono. Era come se il tempo stesso si fosse fermato. La voce della sua antenata aveva un peso che non poteva ignorare. Era stata lei a ispirare le donne della loro famiglia per generazioni, l'artefice del legame con Demian e custode dei segreti più oscuri.

"Geneviève," sussurrò Belladonna, il nome che le bruciava sulle labbra come una preghiera e una maledizione. Si voltò lentamente verso il bosco, il vento freddo che le accarezzava il volto. Il suono della voce di Geneviève continuava a risuonare nella sua mente, come un richiamo irresistibile.

"Non esitare," disse Geneviève, con un tono che non ammetteva repliche. "La stirpe dipende da te. C'è ancora molto da fare. Io ti guiderò, ma dovrai dimostrarti degna."

Belladonna sentì una scarica di adrenalina attraversarle il corpo. La sua mente era un turbine di pensieri, ma una cosa era chiara: non si sarebbe fermata. Si sistemò la mantellina, le dita ancora macchiate di sangue, e si avviò verso l'oscurità, seguendo il richiamo della sua antenata.

Demian era scomparso, ma Belladonna sapeva che avrebbe compiuto il suo dovere. Ogni passo la avvicinava al compimento del suo destino, un destino che portava con sé il peso di generazioni e il potere oscuro di una stirpe che non conosceva limiti.

E così, mentre l'ombra della notte si faceva più densa, Belladonna scomparve tra gli alberi, con il nome di Geneviève che le risuonava ancora nelle orecchie e il potere che le scorreva nelle vene come un veleno mortale.

"Belladonna, il tuo veleno entrerà nel fragile corpo della Principessa, stanotte!"

Una risata solenne risuonò fra la boscaglia. 

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