DEMIAN


"Volevo soltanto tentare di vivere ciò che tendeva spontaneamente a sorgere in me. Perché mi sembrava che ciò fosse il più importante."
Demian , H. HESSE



Un temporale infuriava nel cielo invernale, con lampi e saette che squarciavano l'oscurità e riflettevano sulle pozzanghere del terreno fangoso. I fulmini illuminavano per brevi istanti le figure dei vetturini e del cocchiere, conferendo loro un aspetto spettrale, quasi sovrannaturale. La carrozza, scossa dal vento e dalle asperità della strada, procedeva lentamente verso la dimora seicentesca dei Conti De Gatte, situata accanto al maestoso Palazzo Reale di Racconigi.

A qualche centinaio di metri dal cancello che segnava l'ingresso al viale principale, il cocchiere tirò bruscamente le redini. "Non posso andare oltre in queste condizioni!" esclamò, la voce aspra sovrastata dal rombo del tuono. I cavalli, spaventati dal fragore e dal bagliore dei fulmini, si agitavano, scalpitando contro il fango che sembrava inghiottirne gli zoccoli. All'interno della carrozza, Belladonna osservava il gioco di luci e ombre che i lampi disegnavano sulle pareti di legno scuro. Ogni colpo di tuono sembrava risuonare con i battiti del suo cuore, ma non era paura quella che sentiva. Era un misto di adrenalina e concentrazione, l'attesa calcolata di chi si avvicina al centro del proprio intrigo.

Aveva riflettuto a lungo su come sfruttare la fragile figura della Principessa Giovanna Maria, una giovane tanto delicata quanto facilmente influenzabile. Una mente insicura, un corpo malaticcio: per Belladonna, quella era terra fertile. Il suo sorriso sottile si fece più marcato. "La debolezza," pensò, "è il punto da cui si piegano anche le strutture più solide." Le sue conoscenze in erbe medicinali e pozioni le sarebbero state utili, e già immaginava i modi in cui avrebbe potuto insinuarsi nella vita della giovane principessa.

Le sue mani si strinsero sul piccolo bagaglio accanto a lei. Dentro, oltre agli effetti personali, c'erano strumenti e ingredienti che sarebbero stati fondamentali. Erano il frutto di anni di studio e manipolazione. Ad Alessandria, aveva imparato che sopravvivere non significava solo adattarsi, ma piegare il mondo al proprio volere. La città, con le sue mura imponenti e il suo caos politico, era stata il campo dove aveva affinato le sue abilità. La lettera di raccomandazione che portava con sé, marchiata con il sigillo dei marchesi di Alessandria, era falsa, ma perfetta. Nessuno avrebbe messo in dubbio la sua autenticità, e quel documento le aveva aperto le porte dei Conti De Gatte.

Un improvviso rallentamento della carrozza interruppe i suoi pensieri. La pioggia stava diventando sempre più forte, e i cavalli, stanchi, faticavano a proseguire lungo il vialetto fangoso. Belladonna si affacciò dal finestrino, lasciando che qualche goccia le punzecchiasse il viso.

"Cosa aspetti? Continua!" ordinò, con voce fredda e autoritaria.

Il cocchiere, un uomo corpulento con un cappello fradicio che gli copriva gli occhi, si girò bruscamente verso di lei. "Signora," ribatté, con un tono aspro, "se vuole arrivarci viva, sarebbe meglio lasciar lavorare me!"

Per un attimo, il silenzio calò, rotto solo dal suono della pioggia e degli zoccoli che affondavano nel fango. Belladonna non mosse un muscolo. Poi, con un lento movimento, spalancò un poco di più il finestrino, lasciando che il suo volto si mostrasse chiaramente, illuminato da un lampo.

"Non ti pago per pensare. Ti pago per portarmi dove voglio," disse con una calma gelida, che tagliava più di qualsiasi urlo. I suoi occhi penetranti si fissarono in quelli dell'uomo, freddi come la notte.

Il cocchiere si irrigidì, sentendo un brivido corrergli lungo la schiena. Non disse altro. Con un cenno brusco, frustò i cavalli, che ripresero a muoversi.

Quando la carrozza si fermò, Belladonna scese con la grazia di chi è abituata a dominare qualsiasi ambiente. Portava con sé un solo bagaglio, una valigia di pelle consunta che custodiva strumenti e segreti. Il suo abito nero di seta, decorato con pizzi scuri, ondeggiava leggermente al vento. Una mantellina di lana la proteggeva dal freddo, mentre la cuffia che indossava nascondeva i suoi capelli castani dalle sfumature corvine. I suoi occhi freddi e calcolatori scrutavano ogni dettaglio intorno a lei: le mura della dimora, il cigolio di una finestra aperta, la debole luce di una lanterna che oscillava nella pioggia.

Dietro di lei, il compagno della notte fece la sua apparizione. Un lupo dal manto bianco e nero, elegante e selvaggio, si avvicinò silenziosamente lungo il vialetto. Le zampe affondavano nel fango senza rumore, prima di scomparire sotto un porticato usato per riporre la legna. Belladonna gli rivolse un'occhiata fugace, quasi un cenno d'intesa.

"Questo è solo il primo passo," pensò, mentre il vento gelido le accarezzava il volto. Il portone della dimora dei Conti De Gatte era lì, davanti a lei. Con calma, salì i pochi gradini, il suono dei suoi tacchi che riecheggiava nel silenzio rotto solo dalla pioggia. Non c'era esitazione nei suoi movimenti.

La sua mente era già altrove, proiettata nel futuro che avrebbe plasmato con le sue mani.


Varcò la soglia della dimora, dove il maggiordomo l'attendeva, con un'espressione vagamente curiosa.

"Signorina Belladonna, suppongo?" chiese l'uomo con un inchino rispettoso.

"Sì, sono io," rispose lei, con un sorriso appena accennato che sembrava nascondere un segreto oscuro. "Grazie per avermi accolta."

"Seguitemi, per favore. Vi mostrerò la vostra stanza e poi potrete incontrare la governante per le istruzioni."

Il grande atrio era illuminato da candelabri d'argento, e le pareti erano avvolte con arazzi raffiguranti battute di caccia. L'aria era avvolta  in  un profumo dolciastro di legno bruciato e cera d'api. Belladonna scrutava attentamente ogni cosa, memorizzando i dettagli con precisione e valutando ogni possibile punto debole della dimora.

Attraversando i corridoi ornati con l'opulenza dello stile Impero, Belladonna percepiva l'aura di potere e controllo che permeava ogni angolo della dimora. Le pareti erano adornate con tessuti pregiati, mentre mobili in mogano e palissandro, impreziositi da dettagli in bronzo dorato, riflettevano l'autorità del padrone di casa. L'aria era intrisa dell'aroma di dolci appena sfornati provenienti dalle cucine, un contrasto accogliente rispetto all'austerità degli arredi.

Nel passare davanti allo studio della governante, lo sguardo di Belladonna fu catturato da un ordinato filare di chiavi appese meticolosamente a una tavola di legno scuro, ciascuna etichettata con cura per indicare la stanza corrispondente. Un sorriso sottile increspò le sue labbra mentre contemplava le chiavi, consapevole del potere che rappresentavano e delle porte che potevano aprire, sia fisiche che metaforiche.

Lo studio della governante rifletteva l'importanza del suo ruolo all'interno della gerarchia domestica. Situato in una zona strategica della residenza, spesso vicino alle aree di servizio ma con facile accesso alle stanze principali, lo spazio era arredato con funzionalità ed efficienza. 

 Un grande scrittoio dominava la stanza, coperto da registri, liste di forniture e orari delle attività quotidiane. Alle pareti, scaffali ordinati ospitavano manuali di gestione domestica e ricettari. In un angolo, un armadio robusto custodiva la biancheria di casa, mentre un mobile più piccolo conteneva gli strumenti necessari per la manutenzione quotidiana. L'elemento più distintivo era una tavola di legno scuro su cui erano appese, in perfetto ordine, le chiavi di tutte le stanze principali della dimora, ciascuna etichettata con cura. Questa disposizione non solo facilitava l'accesso rapido alle diverse aree, ma simboleggiava anche l'autorità della governante sulla gestione della casa.

La gerarchia domestica era chiaramente definita e Belladonna conosceva perfettamente la vita di corte e delle dimore nobiliari. Al vertice, il maggiordomo sovrintendeva al personale maschile e alla cantina, mentre la governante dirigeva il personale femminile e si occupava della biancheria e delle forniture. Sotto di loro, ruoli come cameriera personale, valletto e cuoco avevano responsabilità specifiche, ciascuno rispondendo ai propri superiori diretti. Questa struttura gerarchica garantiva un funzionamento armonioso e disciplinato della casa, con ogni membro del personale consapevole del proprio ruolo e delle proprie responsabilità.

Il maggiordomo, notando il suo interesse, si avvicinò con discrezione.

 "Quelle chiavi," spiegò con voce bassa e misurata, "aprono tutte le stanze principali della residenza. La governante le custodisce con estrema attenzione, assicurandosi che ogni porta sia chiusa quando necessario."

Belladonna distolse lentamente lo sguardo dalle chiavi, fissando il maggiordomo con occhi penetranti. "Davvero interessante," mormorò, la sua voce velata da un'ombra di pensieri inconfessabili.

Proseguendo lungo i corridoi, Belladonna sentiva il peso delle domande che le affollavano la mente. Decise di rompere il silenzio. "Mi chiedo," iniziò con tono apparentemente casuale, "per quale motivo Sua Maestà la Regina Maria Teresa e la Principessa Giovanna Maria risiedano stabilmente a Racconigi. Non dovrebbero essere alla corte principale?"

Il maggiordomo esitò per un istante, sorpreso dalla domanda, poi rispose con professionalità. "Dopo l'esilio del Re, la Principessa non può lasciare il palazzo per motivi di sicurezza e salute. La vita frenetica di corte non le è favorevole, pertanto la Regina preferisce la tranquillità di Racconigi, dove l'aria è più salubre e adatta al benessere della giovane."

Belladonna assimilò l'informazione, trovandola intrigante. "Capisco," disse lentamente. "E la figlia del Conte, la Contessina Maria Adele? Frequenta spesso la compagnia della Principessa?"

Un'ombra attraversò il volto del maggiordomo. "Non frequentemente, madame. A causa della fragilità della Principessa e delle attuali circostanze politiche, le visite esterne sono limitate. La Principessina non è mai venuta in questa dimora."

Belladonna annuì, ma dentro di sé una tempesta di pensieri e sospetti prendeva forma. Ogni dettaglio, ogni parola non detta, alimentava la sua determinazione a svelare i segreti celati dietro quelle porte chiuse.

Finalmente, raggiunsero la sua nuova camera, una stanza modesta ma confortevole con una vista sul Palazzo Reale e sugli appartamenti della Principessa. Appoggiò la sua borsa di pelle sul letto e la aprì, rivelando un contenuto ordinatissimo. Si girò verso la finestra, osservando i lampi che illuminavano il cielo notturno. Una rosa nera scivolò dalle sue mani e cadde a terra, i petali scuri contrastavano con il pavimento chiaro.

Il maggiordomo la osservò per un momento, poi disse: "Se avete bisogno di qualcosa, non esitate a chiedere. La governante verrà a trovarvi presto per discutere delle vostre mansioni come istitutrice della Contessina. Domattina avrà bisogno di alcune delucidazioni sul vostro operato dai Marchesi di Alessandria."

Belladonna sorrise, sapendo che aveva sapientemente falsificato la lettera con il timbro dei marchesi. Non aveva problemi in questo senso, sapeva benissimo come intercettare le missive e manipolare le informazioni. "Grazie, farò così," rispose con un sorriso pronunciato.

Mentre l'uomo si apprestava a uscire, Belladonna lo fermò. "Una curiosità, di quali malanni soffre esattamente la giovane principessa?"

Il maggiordomo sospirò, visibilmente preoccupato. "Principalmente di debolezza e problemi respiratori. La sua salute è molto fragile e necessita di cure."

Belladonna rifletté, l'interesse nei suoi occhi diventava sempre più oscuro. "Capisco."

Il maggiordomo notò che c'erano poche candele nella stanza e disse: "Manderò un servitore con delle candele. E se avrete fame, prepareranno un piccolo pasto."

"Non è necessario," rispose Belladonna, con un sorriso imperscrutabile. "Non ho bisogno di nulla per ora."

Tra gli oggetti personali di Belladonna vi era un mazzo di carte del "Grand Etteilla", un mazzo di tarocchi esoterico che aveva in parte disegnato lei stessa. Le sue mani sfiorarono la superficie consumata delle carte, sentendo l'energia arcana che sembrava fluire da esse. Era stata la sua amata nonna a guidarla nella creazione di quel mazzo, trasmettendole il sapere di Jean-Baptiste Alliette, conosciuto come Etteilla, e ampliandolo con conoscenze più antiche e segrete. Ogni carta portava segni e dettagli unici, frutto delle modifiche che Belladonna aveva apportato sotto la guida della nonna.

Accanto al mazzo vi era un disegno antico e ingiallito che raffigurava il "Quadrato dell'Arcano". In origine, il triangolo magico collegava Torino, Lione e Praga, ma la nonna, con la sua audace intuizione e la sua connessione con il mondo dell'occulto, aveva aggiunto Racconigi, trasformandolo in un quadrato esoterico. Diceva che questo quadrato amplificasse le energie magiche, creando un anello di potere per chi sapeva come manipolarle.

"Un giorno," le aveva detto la nonna, la voce carica di una gravità che Belladonna non aveva mai dimenticato, "dovrai tracciare un'altra punta al quadrato."

La frase era rimasta incisa nella sua memoria come una profezia incompiuta. Belladonna ricordava chiaramente l'espressione della nonna, il suo sguardo lontano, come se vedesse qualcosa che non poteva spiegare del tutto.

"Dovrai aiutare la nostra antenata. Scoprirai da sola dove, io non lo so. Vedo solo mare, rocce e brughiere. Sarà l'unico punto che potrà capovolgere la storia. Di più non posso dirti. Così mi ha detto in sogno la nostra antenata Genevieve."

Quel nome, Genevieve, risuonava allora come un enigma. Belladonna non sapeva chi fosse, ma il suono di quel nome evocava qualcosa di antico, qualcosa che sembrava radicato nella sua stessa anima.

Le parole della nonna le erano tornate in mente molte volte, ma mai così vividamente come quella notte, mentre la tempesta infuriava fuori. Belladonna prese il mazzo di tarocchi e iniziò a disporre le carte sul letto, una dopo l'altra, seguendo lo schema che aveva imparato dagli insegnamenti di Etteilla e dalle lezioni della nonna. Ogni carta sembrava vibrare sotto la luce dei lampi, i simboli arcani che si rivelavano con una chiarezza inquietante.

La tempesta sembrava risuonare con l'energia delle carte. Il suono dei tuoni accompagnava il ritmo dei suoi pensieri, mentre osservava i segni e i presagi che si svelavano davanti a lei. La Torre, con il suo significato di distruzione e rinascita, la fissava con la sua imponente immagine. Poi, il suo sguardo si posò su un'altra carta: Il Diavolo, che evocava potere, vincoli, ma anche la tentazione di liberarsi da tutto ciò che trattiene.

"Ogni carta è una chiave," ricordava le parole della nonna. "E ogni chiave apre una portale. Non limitarti a leggere ciò che il destino ti offre. Trova le porte, Belladonna, e aprile tu stessa."

Fu allora che un ululato squarciò l'aria, mescolandosi al fragore dei tuoni. Il richiamo di Demian, il lupo bianco e nero, penetrò attraverso le mura della dimora, come un eco primordiale che risuonava in lei. Belladonna si fermò, il respiro sospeso, mentre il nome di Genevieve le tornava in mente con prepotenza.

Il temporale sembrava intensificarsi, ogni lampo illuminava le carte distese sul letto e il disegno ingiallito del Quadrato dell'Arcano. Belladonna si voltò verso lo specchio accanto al letto e osservò il proprio riflesso. Per un istante, le sembrò che non fosse lei quella che guardava, ma un'ombra più antica, più potente, come se Genevieve stessa la osservasse attraverso il tempo.

"Non deluderò i tuoi insegnamenti," sussurrò nel buio, con lo sguardo fisso nel vuoto. Poi, chiuse gli occhi, lasciando che l'ululato di Demian si fondesse con il rombo del temporale.

Quando li riaprì, la risolutezza nei suoi occhi era più forte che mai. "Mare, rocce e brughiere," ripeté a se stessa. "Scoprirò quel punto. Lo troverò. E il destino sarà nelle mie mani."

Con un gesto deciso, raccolse le carte e le ripose con cura, avvolgendole in un panno di velluto nero. Ogni passo da quel momento sarebbe stato calcolato. La tempesta fuori non era altro che un riflesso della tempesta dentro di lei.

Mentre l'uomo usciva dalla stanza, chiudendo la porta con un cigolio che sembrava amplificare il silenzio, Belladonna si avvicinò lentamente alla finestra. Attraverso il vetro velato dalla pioggia, la giovane principessa Giovanna Maria era visibile in lontananza, nella sua fragile solitudine, intenta a osservare la tempesta dal Palazzo Reale. La figura esile e immobile della principessa appariva quasi eterea, come un riflesso perso tra i lampi che illuminavano il cielo nero.

Belladonna inclinò appena il capo, gli occhi freddi che scrutavano la giovane come un predatore che osserva la preda. I suoi pensieri erano un turbine di piani e calcoli, ma ciò che brillava nei suoi occhi era l'ombra di un piacere oscuro. Con un gesto lento e deliberato, abbassò lo sguardo verso la rosa che aveva lasciato cadere a terra. Era un fiore nero intenso, già macchiato dalla pioggia e dal fango.

Con la punta del piede, Belladonna schiacciò la rosa contro il pavimento. I petali si sbriciolarono come ombre spezzate, spargendosi attorno a lei in un piccolo cerchio di rovina. La sua bocca si piegò in un sorriso lento, uno di quelli che rivelano non gioia, ma la soddisfazione di chi sa di avere il controllo.

Fu allora che il suono lacerò l'aria. Un ululato basso e profondo, carico di una forza primordiale, si mescolò al fragore dei tuoni. Il richiamo di Demian, il lupo bianco e nero, penetrò attraverso le mura della dimora, insinuandosi nelle sue orecchie come un sussurro antico, un legame tra carne e spirito.

Belladonna alzò lo sguardo verso l'oscurità della stanza, dove il bagliore di un lampo rivelò per un istante il volto imperturbabile e crudele che portava. Il suono della tempesta, dell'ululato e del vento sembrava rispondere a un comando invisibile, come se tutto ciò fosse parte di un rito che solo lei poteva comprendere.

"Demian," sussurrò nel buio, il nome che scivolò dalle sue labbra come un giuramento. La sua voce era calma, ma vibrava di un potere nascosto, una promessa che solo l'oscurità poteva ascoltare.

Il lupo rispose con un altro ululato, più lontano, ma altrettanto potente. Era il segnale. Belladonna chiuse gli occhi per un istante, lasciando che il suono le attraversasse l'anima. Quando li riaprì, il sorriso sulle sue labbra era ancora più tagliente.

"Presto," mormorò, fissando di nuovo il riflesso della giovane principessa nella finestra lontana. "Tutto sarà mio."

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