6. ALEASE HA 28 ANNI
Alease saliva le scale con passo stanco, le scarpe col tacco che le dondolavano nella mano. Le avevano martoriato i piedi per tutta la serata, anche se non aveva camminato granché. Gregory era venuto a prenderla con la sua auto sotto casa e l'aveva portata al "Fred Chason's Grandsons"; si erano accomodati al tavolo per un paio d'ore, poi lui l'aveva riaccompagnata a casa. Appena si era chiusa il pesante portone in ferro battuto alle spalle, Alease si era tolta i tacchi con un gemito di liberazione.
Non aveva pensato ad altro che a quel momento per tutta la durata del viaggio. Gregory non era un abile conversatore. All'inizio era andata alla grande; avevano parlato molto dell'uno e dell'altro, delle loro professioni e famiglie, delle loro avventure giovanili. Gregory sapeva già che Alease aveva un figlio – lo aveva scritto nelle informazioni varie del sito di incontri in cui Alice le aveva imposto di iscriversi – e si era premurato di chiedere anche di lui. Alease aveva parlato a ruota libera, aiutata anche dal vino che Gregory le versava premurosamente nel bicchiere.
Poi, più o meno nel momento in cui i suoi piedi avevano iniziato ad urlare di dolore ed Alease si chiedeva se sarebbe riuscita a togliersi le scarpe sotto il tavolo senza farsi vedere da nessuno, era calato il silenzio. Non avevano più nulla da dirsi né avevano il coraggio di scendere in domande più intime.
Il silenzio era perdurato nell'auto e alla fine Alease era scesa in fretta ringraziandolo per la bella serata. Gregory non l'aveva trattenuta; non era neanche sceso dall'auto, ma forse perché lei era fuggita a rotta di collo prima. Pensava solo a togliersi i tacchi.
Era un sollievo camminare a piedi nudi sui gradini freddi. Alease frugò nella borsetta per prendere le chiavi e aprì la porta dell'appartamento. Erano le dieci passate e Drew era ancora sveglio, intento a guardare Dragonball.
«Non ti avevo detto di andare a letto alle dieci, Didi?» lo riprese subito Alease, ma senza un tono di rimprovero. Era troppo stanca per sgridarlo.
«Stavo finendo il cartone» rispose lui, senza distogliere lo sguardo dallo schermo.
«E quanto manca?»
«Boh.»
Alease mise le scarpe nell'armadio a muro dove teneva anche la scopa, i giubbotti, l'aspirapolvere e pressoché ogni cosa vecchia e inutilizzata – cd, giocattoli di Drew, magliette che le erano diventate strette ma cui era troppo affezionata per buttare...
Andò in cucina e iniziò a scaldarsi del tè. Quindi inviò un messaggio ad Alice.
"Sono tornata."
Lei la chiamò immediatamente. «Com'è andata?»
Alease le descrisse la serata nei minimi dettagli. L'unica cosa di cui non le parlò fu la mise che aveva indossato, perché era stata Alice stessa a scegliere quel vestito rosa per lei, e le aveva regalato le scarpe di camoscio per l'occasione. Alease non le disse quanto le avevano fatto male.
«E alla fine niente bacio?» domandò delusa Alice.
Alease fece spallucce, anche se l'amica non avrebbe potuto vederla. «Non c'era feeling.»
Alice sbuffò e Alease si sentì un po' in colpa. Era il terzo appuntamento al buio che mandava all'aria. Avrebbe voluto chiedere ad Alice di smetterla di trovarle uomini che poi si dimostravano totalmente inadeguati, ma sapeva che così l'avrebbe ferita.
«La mia missione nella vita è trovarti un fidanzato» aveva dichiarato un giorno Alice. Alease aveva alzato gli occhi al cielo, sapendo che si trattava di un'impresa quasi impossibile, ma sperando segretamente che la sua amica riuscisse a compiere quella magia.
Così Alice l'aveva iscritta a quel sito, l'aveva truccata e fatta mettere in posa per la foto profilo, le aveva dettato la descrizione di sé e aveva vagliato con lei le offerte più allettanti, ignorando gli uomini con più di quarantacinque anni, quelli con brutti denti e con l'espressione da maniaci sessuali. Ivan, Steven e Gregory avevano i requisiti adeguati per piacere ad una donna.
Eppure quei tre appuntamenti erano stati uno più imbarazzante, noioso ed interminabile dell'altro.
«Vi rivedrete?» le chiese Alice.
«Non penso.» Alease diede una sfumatura di incertezza a qualcosa che sapeva per certo. Gregory non le aveva chiesto il numero, ergo non era interessato a rivederla. E nemmeno Alease. Gregory non era un bell'uomo, stempiato e con la pancia, ed era anche avanti con gli anni – quaranta per lei erano fin troppi.
Nonostante le maniere cortesi e i delicati complimenti che le aveva fatto, Alease si era sentita a disagio con lui. Anche mentre gli parlava di sé, le sembrava di affrontare un colloquio di lavoro. Lui l'aveva ascoltata attentamente guardandola negli occhi, ma era come se non gli interessasse sapere nulla di lei. E Alease poteva capirlo. Non era una persona interessante. Faceva due lavori part-time e si uccideva per essere sempre pronta alle richieste di Drew.
Col prossimo stipendio, sarebbe riuscita a iscriverlo a calcetto. Drew glielo aveva chiesto fino alla nausea, e l'ultima volta si era anche messo a piangere e le aveva dato della cattiva, correndo a chiudersi in camera. Alease odiava litigare con lui. Aveva pianto anche lei, sentendosi la peggior madre del mondo, ma che poteva fare se non aveva un lavoro abbastanza remunerativo? E non c'era molto che una ragazza che aveva abbandonato la scuola a diciassette anni potesse fare.
Alice cercava di aiutarla in ogni modo. Il Natale precedente le aveva regalato una lavatrice, stanca di vedere Alease sempre diretta a piedi alla lavanderia municipale con i suoi cestini pieni di biancheria, sotto il sole, la neve e la pioggia. Quell'anno le aveva già annunciato che le avrebbe regalato un nuovo set di pentole e padelle, perché le sue ormai erano inservibili.
Alease le sarebbe stata eternamente riconoscente, ma non le andava di fare la parte dell'amica povera che tutti guardano con pietà e cui fanno l'elemosina di tanto in tanto. Non era mai stata una persona orgogliosa, ma a tutto c'era un limite. Purtroppo non era capace di dire di no, nemmeno quando Alice l'aveva portata in quel negozio e le aveva comprato i tacchi di camoscio.
Alease non aveva forza di volontà. Per questo si tagliava i capelli sempre alla stessa lunghezza e rifiutava di tingerli anche se iniziavano a comparire i primi fili grigi. Per questo indossava sempre gli stessi vestiti gettandoli solo quando erano troppo rovinati, e non curandosi delle mode. Per questo ad ogni festa del Ringraziamento mangiava il polpettone di Alice per quanto salato fosse.
Riusciva a dire di no solo quando avrebbe dovuto dire di sì ma il suo portafoglio non glielo permetteva. E questo capitava sempre alle spese del figlio. Se Alice la invitava ad andare al cinema con la famiglia e Alease rifiutava a malincuore perché non aveva denaro, Alice non si faceva problemi a pagare il biglietto dello spettacolo per lei e Drew. Alease le era grata, ma avrebbe tanto voluto avere più soldi solo per sdebitarsi con lei.
«Magari andrà meglio la prossima volta» la consolò Alice, ottimista. Lei era così, non perdeva mai la speranza. Forse perché la vita era stata molto generosa con lei. Le aveva tolto Rick ma le aveva dato Bobby e aveva due figli splendidi e gentili. Sandy ora aveva sedici anni e faceva strage di cuori. Ogni ragazzo che la vedeva anche solo una volta se ne innamorava; fino ad allora aveva avuto una sola storia seria, con Lenny, ma ora stava pensando di lasciarlo perché passava i weekend davanti alla playstation invece che portarla fuori a vedere il mondo.
Sandy adorava Alease e la chiamava zia. Si confidava spesso con lei e a volte veniva a fare da baby-sitter a Drew quando Alease era impegnata. Quella sera era fuori anche lei con le amiche, ma di solito era sempre disponibile a passare del tempo con Drew. Lo riempiva di baci e caramelle, e Drew continuava ad adorarla. A volte Alease si ritrovava a fantasticare di Drew e Sandy insieme, malgrado la differenza d'età.
«C'è un professore nuovo a scuola, si chiama Leonard McGillar, insegna biologia.»
«Buon Dio, uno scienziato!» proruppe Alease, versandosi il tè nella tazza. «Conosco il tipo, non fanno che parlare di cellule e microrganismi. No grazie.»
Alice rimase zitta qualche secondo. Poi disse: «Devi anche saperti adeguare, Ally.»
Lo disse in un tono di disapprovazione che irritò Alease. «Se mi devo adeguare, preferisco stare da sola.»
«Ma non ti manca la compagnia di un uomo? Voglio dire, se io non avessi Bobby sarei ogni sabato sera al pub! Una donna non può stare sola.»
«Sono sola da quando ho diciassette anni e me la sono sempre cavata bene.»
Alice non parlò, ma Alease poteva quasi sentirla mormorare: "Solo perché hai trovato me."
«Ora metto a letto Drew, ci vediamo domani» si affrettò a concludere, come per impedirle di pronunciare quella frase crudele.
«Va bene. Buona notte e salutami Drew.» Alice mise giù senza neanche averle dato il tempo di replicare, e Alease capì che era arrabbiata.
Bevve il suo tè, lavò la tazza e richiamò Drew dall'altra parte della grande stanza. «È l'ora della nanna, Didi.»
Lui non protestò, sbadigliando. Saltò giù dal divano e diede la mano alla mamma, che lo portò in camera. Dormivano ancora nella stessa stanza, per esigenze di spazio. Alease temeva il giorno in cui Drew avrebbe voluto una camera tutta per sé.
Lo mise a letto e gli rimboccò le coperte. Fino all'anno prima, Drew avrebbe insistito perché gli cantasse la ninnananna di Whiskey il ragnetto, ma ora pensava di essere troppo grande per queste cose. Sfuggì anche il bacio che Alease voleva dargli sulla fronte con un: «Daiii!»
Alease sorrise ma si sentì stringere il cuore. I figli crescevano troppo in fretta. Aveva sentito spesso sua madre lamentarsene ad ogni suo compleanno ma non credeva che un giorno anche lei avrebbe compreso a fondo il significato di quella frase.
Andò in bagno a farsi una doccia. Quando il getto d'acqua ghiacciata la colpì sulle spalle, ricordò che doveva chiamare l'idraulico per far controllare la caldaia. Era da ieri che usciva solo acqua appena tiepida. Strinse i denti e si lavò in fretta. Quindi andò in salotto, riempì una bacinella di acqua e vi mise a mollo i piedi. Sospirò di goduria, afferrò un libro e finalmente si rilassò.
Era passata un'ora quando sentì bussare alla porta. Un po' si inquietò; chi mai poteva essere?
«Zia?»
Alease corse ad aprire, stupefatta. «Sandy? Cosa ci fai qui?»
La nipote fece un sorriso sghembo. «Sono un po' avanti, posso smaltire da te?»
Alease si fece in disparte, incredula di fronte alla sua bambina ubriaca. Sandy avanzò con passo malfermo. Indossava un paio di shorts attillati, calze nere e una canottiera scollata dietro. Si tolse il giubbotto in pelle rossa e lo gettò a casaccio sul divano, prima di lasciarsi cadere con un sospiro. «Merda, come mi gira» si lamentò, afferrandosi la testa. Poi scoppiò a ridere senza motivo.
Alease non sapeva come reagire. Doveva chiamare Alice?
«Non dirlo alla mamma, per favore» implorò Sandy, come leggendole nel pensiero. «Mi fai un po' di caffè?»
Alease lo fece subito, le mani irrigidite dallo sconcerto. Sandy era una bambina ancora, non poteva essere ubriaca! E non diceva "merda", chi gliel'aveva insegnato?
Sentì un rumore di vetri infranti e si allarmò. «Che succede?»
«Ho fatto cascare la tua foto, scusa zia.»
Alease andò da lei, prendendole la cornice di mano. Ritraeva lei e i suoi genitori, qualche mese prima della sua fuga. Sembravano una normale famiglia felice; di certo non si riuscivano ad intravedere le nubi oscure che sarebbero presto calate su di loro, togliendo per sempre il sorriso da quei volti spensierati.
«Non importa» disse Alease, tastando la crepa al centro del vetro. «Ne metto un altro.» La poggiò sul tavolino di legno e guardò la ragazzina. «Cosa ti è saltato in mente, Sandy?»
Lei sbuffò. «Eddai, zia, mica è la prima volta, ma di solito mi fermo dalle ragazze. Non pensavo che avessero voglia di ubriacarsi anche stasera, ma abbiamo iniziato a fare quel gioco che devi fare centro nel bicchiere con le noccioline e se perdi bevi e io non ho mai avuto mira.»
Sandy scoppiò in una fragorosa risata. Alease la zittì subito. «Drew dorme. Chi ti ha portata a casa?»
«Il papà di Olivia. Avrei dovuto chiedere alla mamma di venirmi a prendere, ma non potevo farmi vedere così...» Si interruppe con un singhiozzo, portandosi una mano alla bocca.
«Devi vomitare?» domandò subito Alease, preoccupata.
«Non ancora.»
Alease chiuse gli occhi e scosse la testa. «Hai avvisato la mamma che sei da me?»
«No. Ora le scrivo che sono rimasta a dormire da Olivia. Mi copri, vero?» La implorò con uno sguardo da Gatto con gli Stivali. «Dai, zia!»
«Sì, ma che sia l'ultima volta.»
«Ultimissima!» Sandy le stampò un bacio umido sulla guancia, lasciandole addosso un po' di lucidalabbra. Alease provò ribrezzo per l'odore di vodka che la ragazzina emanava; ciononostante non fuggì l'abbraccio. «Grazie, ti voglio bene.»
Gli occhi di Alease si riempirono di lacrime. «Oh, Sandy, ti voglio bene anch'io. Ora vado a prenderti il caffè, poi ti fai una doccia e fili a letto.»
«Okay.»
Alease stava versando il caffè nella tazzina quando sentì Sandy gemere.
«Oh... Adesso sì.» Si alzò e corse in bagno, coi tacchi a spillo che risuonavano sulle piastrelle del corridoio.
Poco dopo la sentì vomitare rumorosamente nella tazza. Alease sospirò e si mise al lavoro.
Sandy
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