56. BECCA HA 15 ANNI (PT 2)
Se avesse dovuto dare un voto a quella serata, avrebbe optato per un sei scarso. Non che fosse una grande esperta di appuntamenti, ma Brent era ancora meno navigato di lei. Le aveva confessato che non era mai uscito con una ragazza, e questo era stato il suo primo errore. O forse era stato l'imbarazzo con cui aveva tentennato davanti alla sua porta, senza azzardare un abbraccio o un bacio sulla guancia e al contempo aspettando che lei gli indicasse cosa fare. Alla fine Becca gli aveva rivolto un sorriso tirato e, a disagio, era salita in auto.
Dopo qualche minuto di silenzio poco piacevole, avevano iniziato a parlare dell'unica cosa che li legava: la scrittura. Brent aveva pubblicato già due romanzi di fantascienza su universi paralleli e alieni mutanti che Becca non avrebbe letto per nulla al mondo. Si erano conosciuti in un sito Facebook dedicato ad autori under 18. Si erano scritti per qualche settimana e poi, come un fulmine a ciel sereno, quell'invito, impacciato ed esitante, ad uscire insieme. Becca era stata tentata di dire di no, ma Joy glielo aveva praticamente imposto.
«Ti farà bene conoscere dei ragazzi» aveva insistito. «Esci e divertiti!»
Becca non si era divertita affatto. Il film era stato pessimo - Brent aveva scelto una stronzata romantica da liceali, pensando che, dato che Becca scriveva teen fiction, dovesse amare il genere. Non era così. Nel suo romanzo, Becca stravolgeva gli stereotipi dei romanzetti adolescenziali, infrangeva ogni barriera e consegnava la palma della vittoria ad una ragazza bulleggiata da una Queen B che diventava a sua volta la reginetta della scuola, senza redenzione o riscatto finale.
Quando Brent le aveva chiesto timidamente se le fosse piaciuto il film, aveva esibito un falso sorriso e risposto: «Meraviglioso.» "Una merda" era la risposta che premeva sulla lingua.
Dopo il cinema Brent l'aveva portata a mangiare dei toast in un posto lì vicino. Si era offerto di pagare per lei, ma Becca si era alterata per la sua cavalleresca insistenza, investendolo di improperi fino a farlo ammutolire. Alla fine aveva pagato lei per entrambi, perché Brent era troppo scioccato per muovere un dito.
Ora erano in piedi uno di fronte all'altra, in silenzio e immobili.
«Allora...» si schiarì la voce Brent, «vuoi che... ti porto a casa o... non so, vuoi andare da qualche altra parte...?»
Sembrava sempre sotto interrogatorio, quando le parlava. Non riusciva a guardarla negli occhi, teneva il mento attaccato al collo e lo sguardo puntato sui mocassini che emergevano sotto i risvoltini dei pantaloni eleganti - fin troppo eleganti, era quasi ridicolo, per non parlare del papillon e della giacca color sabbia che lo faceva apparire più scheletrico e allampanato del normale.
Non che fosse un brutto ragazzo. Portava gli occhiali, un taglio di capelli ordinato e aveva dei begli occhi scuri. Forse c'era qualche brufoletto di troppo e avrebbe potuto considerare l'idea di tagliarsi quei quattro peli che gli crescevano sul mento, ma tutto sommato non era da buttare via. Se solo non fosse stato così impacciato e noioso...
Becca si morse l'interno della guancia. Come si permetteva lei di giudicare l'avvenenza di altre persone? Lei che era stata una taglia forte per tutta la vita e che non era certo un campione olimpionico di fascino? Poteva anche aver perso qualche chilo, ma restava sempre la sfigata coi capelli rovinati, il faccione rotondo e le gambe da calciatore. Nessun chilo di trucco, nessuna seduta dalla parrucchiera avrebbero cambiato ciò che era.
Guardò Brent, senza sapere che rispondere. Non le piaceva, non l'attraeva, ma era anche l'unico ragazzo che si era mostrato interessato a lei dopo Quin. Forse avrebbe dovuto tenerselo buono. Forse avrebbe potuto spingersi un po' più lontano con lui. In fondo le pareva un ragazzo dolce e premuroso, se si guardava oltre la facciata del coniglio spaventato. Forse...
«Portami pure a casa» rispose di botto, interrompendo quei pensieri assurdi. Davvero aveva immaginato di farsi sverginare da uno così? Quanto poteva essere disperata?
Brent parve dispiaciuto sia per la risposta sia per il tono secco che aveva usato, ma non protestò. Guidò lento e attento per le strade trafficate, scaricandola sana e sala davanti al vialetto.
Becca bofonchiò un saluto e scese dall'auto. Quando era ormai davanti alla porta, sentì dei passi affrettati e si girò.
Brent, trafelato e rosso in viso come se avesse appena finito di scappare da un serial killer, iniziò a parlare a raffica, quasi senza prendere fiato: «Mi dispiace, non è andata come volevo, è che sono davvero una frana in queste cose e poi dato che mi piaci è ancora più difficile per me capire cosa fare e dire e capire quando è il momento giusto, però vorrei davvero chiederti se possiamo rivederci... Prometto che sarò meno nervoso, ma era la prima volta che invitavo fuori una ragazza e l'ho fatto soprattutto per zittire i miei amici che dicevano che non avrei avuto il coraggio e adesso mi toccherà raccontare che ti ho fatta scappare e che è stata una serata orribile, e non so se riuscirei a sopportare ancora le loro prese in giro...»
Becca alzò una mano per fermare quel torrente di frasi sconnesse. «Sei uscito con me per una scommessa?»
Brent si fece ancora più rosso, e abbassò lo sguardo. «No... L'ho fatto perché da quello che scrivevi nel blog mi sembravi una persona fantastica e lo sei davvero. È che mi sembri talmente superiore che fai... paura.»
Becca era sconcertata e divertita. Sentiva che stava per scoppiargli a ridere in faccia, ma non sarebbe stato educato quindi tagliò corto: «Va beh, se ci tieni possiamo uscire un'altra volta.»
Lui parve incredulo, perché per qualche secondo mantenne una faccia da cucciolo abbandonato, in attesa di un due di picche. Poi si illuminò, mostrando gli incisivi storti ma bianchissimi. «Grande! Allora...» Alzò e abbassò di colpo le braccia, dondolandole incerto lungo i fianchi.
Azzardò un movimento in avanti ma Becca scattò all'indietro. «'Notte.» Entrò in casa e chiuse di colpo la porta, forse con un po' troppa veemenza.
Marciò difilata verso il bagno. La pancia gonfia e gorgogliante la stava torturando da quando si era alzata dal tavolo del bar. Maledetto toast. Si inginocchiò automaticamente davanti alla tazza del water e si portò le dita alla bocca.
Stava ancora rimettendo, tra sforzi animaleschi e lacrime che le pungevano gli occhi, quando la porta si aprì ed entrò Mr T.
«Rebecca? Stai male?»
Becca ansimò, le narici pregne dell'odore acre che esalava dal bagno. «Dev'essere qualcosa che ho mangiato» bofonchiò, tirando lo sciacquone e mettendosi in piedi. Come sempre le girò un pochino la testa e si aggrappò al lavabo, prendendo dei profondi respiri prima di sciacquarsi la bocca.
Thompson la fissava preoccupato. «Spero non ti sia presa qualche virus. Vuoi che andiamo dal medico?»
«Sto bene, prof, tranquillo.» Era sempre così tragico, Mr T! Pensava sempre al peggio. Se Becca ritardava a rientrare di qualche minuto iniziava subito a chiamarla, temendo che fosse stata investita da un auto o che qualcuno l'avesse violentata in un vicolo.
Non che fosse così impossibile. Le era capitata una cosa simile in passato, con Morgan; da allora girava con uno spray al peperoncino nella tasca del giubbotto e si guardava sempre intorno, camminando rapida quando il traffico si faceva meno intenso o le toccava percorrere stradine poco simpatiche.
Mentre si rinfrescava il viso, Mr T chiese: «Andata bene la serata?»
«Insomma.»
Becca gli raccontava sempre tutto, o quasi. Thompson sapeva che fumava, ma le aveva vietato di farlo in casa. Approvava la sua amicizia con Joy, nonostante i suoi colpi di testa e il suo carattere a volte inappropriato. Dopotutto, avere un'amica in una città nuova era sempre meglio che trascorrere il sabato sera sul divano con un vecchietto a guardare vecchi Western.
Ma quella sera non era in vena di confidenze. Voleva solo togliersi tutto quel trucco dalla faccia e mettersi a letto. Perciò lo apostrofò: «Devi dirmi qualcosa?»
Mr T si oscurò in viso. Becca pensava di averlo offeso col suo tono brusco, ma lui mormorò: «È arrivata una telefonata dall'ospedale di Hope Mills. Si tratta di tua madre.»
Il cuore di Becca raddoppiò i battiti. «Si è svegliata?»
«Purtroppo no.»
Le spalle di lei si afflosciarono.
«Non mostra segni di vita da quando è entrata in coma. È questo il punto. I dottori pensano che non si riprenderà mai più.»
«Ti hanno chiamato per dirti questo?»
«Volevano sapere se tua madre ti aveva mai parlato di quello che avrebbe deciso se mai una situazione del genere si fosse verificata, se avrebbe voluto essere tenuta in vita artificialmente o...» Thompson non riuscì a concludere la frase, né a sostenere lo sguardo d'argento di Becca, che si era acceso di furia.
«Vogliono staccarle la spina» sibilò la ragazza.
«Tua madre se ne è andata, Rebecca. È passato quasi un anno.»
«Non mi importa. Non ho intenzione di dar loro il permesso di ucciderla.» Becca uscì con rabbia dal bagno, rifugiandosi in camera. Solitamente Mr T rispettava la sua privacy e non osava metterci piede, ma quella sera tenne aperta la porta che lei stava per sbattere.
«Potrebbe non dipendere da te» mormorò, contrito.
«Sono sua figlia!» si rivoltò Becca. «Non possono staccarle la spina senza il consenso del parente più stretto, cioè il mio!»
Thompson sospirò. Le rughe sul suo volto si approfondirono. Sembrava avere cent'anni, sotto il riflesso dell'abat-jour. «Ne parleremo con calma domattina, Rebecca.»
«Non c'è niente di cui parlare. Mia mamma è ancora viva e se c'è anche solo una possibilità che si risvegli io non intendo negargliela.» Becca gli diede le spalle, serrando i pugni, e così rimase, rigida, finché non sentì un sospiro e la porta chiudersi piano.
Cercò di rilassarsi ma non ci riuscì. Avrebbe voluto spaccare qualcosa. Non era possibile che volessero davvero lasciar morire sua madre! Heather stava combattendo una battaglia abbastanza dura da sola senza che ci si mettessero anche quei bastardi insensibili!
Tentò di visualizzare il volto di sua madre. Ricordava la mascella rigida, la forma tarchiata del suo corpo, ma poco altro. Se non avesse conservato alcune sue fotografie l'avrebbe di certo dimenticata. Erano passati tanti mesi, ma non c'era giorno che Becca non la pensasse. Capitava nei momenti più inaspettati. Mentre si versava lo zucchero nel macchiato ricordava che sua madre preferiva il caffè amaro; quando andava a fare shopping con Joy vedeva un tailleur elegante e pensava che sua madre l'avrebbe adorato; oppure quando vedeva lo sguardo di Mr T farsi lontano immaginava sempre che stesse pensando a lei.
Non ne parlavano mai. Parlarne lo avrebbe reso solo più reale e doloroso. Cercavano di andare avanti sperando in un miracolo che non arrivava mai. E ora anche la più flebile scintilla di luce stava per spegnersi. Doveva tornare a Hope Mills e dirgliene quattro a quegli stronzi. Sua madre non si toccava! Avrebbe assunto un avvocato coi soldi che aveva guadagnato con "Fuck you Queen B!" e se non fossero bastati avrebbe chiesto un prestito a Thompson. Di sicuro nemmeno lui voleva dire addio alla donna che aveva amato! Anche se prima era parso dalla loro parte, ma era il suo carattere, stava sempre dalla parte dell'autorità perché era convinto che loro avessero sempre ragione - medici, poliziotti, professori... Deformazione professionale, evidentemente.
Becca si spogliò per indossare canottiera e mutandine pulite. Nel farlo si fissò nell'armadio a specchio. Non c'era dubbio, si era snellita rispetto a qualche mese prima, ma aveva ancora delle cosce improponibili e qualche rotolino di ciccia sulla pancia. Le braccia restavano robuste, e ovviamente insieme ai chili superflui erano subito sparite anche le tette. Era passata da una quarta a una terza scarsa, ma non le importava. Aveva sempre ritenuto di avere un seno ingombrante; ora le sembrava più elegante, più in linea con la sua nuova figura.
Si tastò le maniglie dell'amore con una smorfia. Doveva iscriversi in palestra. Insieme a Joy aveva preso l'abitudine di andare a correre di mattina - non troppo presto, il sonno è sacro - ma doveva allenare anche braccia e schiena oltre alle gambe. Doveva perdere quei dieci chili che la bilancia si ostinava a mostrarle beffarda.
Le venne voglia di tornare in bagno a vomitare, disgustata da quella pellaccia in sovrappiù, ma sapeva di non avere più un grammo di cibo nello stomaco. Magari non avrebbe fatto colazione l'indomani, giusto un caffè per darle energia.
Soddisfatta della propria ferrea volontà, si mise a letto, godendo nel constatare quanto si sentisse leggera, quasi incorporea.
Ancora dieci chili, si ripromise mentre scivolava nel sonno.
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