5. ALEASE HA 25 ANNI

Seduta al tavolo su quella scomoda seggiola in plastica che scricchiolava ad ogni minimo spostamento di peso, Alease lottava contro i postumi di una sbornia atroce.

La sera prima era uscita con Stacie e Ronnie. Non le aveva più viste da quando se ne era andata di casa, ma si erano tenute in contatto per qualche mese. Poi i messaggini si erano fatti più svogliati e forzati, le telefonate più brevi, fino ad interrompersi del tutto. Alease affrontava una gravidanza difficile e le difficoltà legate alla povertà, mentre le loro uniche preoccupazioni sembravano essere i ragazzi e la scuola.

Una settimana fa, dal nulla, Ronnie l'aveva chiamata per dirle che Stacie si sposava con Marlon, il suo ragazzo dei tempi del college; la invitava a festeggiare l'addio al nubilato con loro. Alease era rimasta stupefatta e compiaciuta da quella telefonata, credendo che si fossero dimenticate di lei. Aveva accettato subito, scordando per un secondo che ora doveva pensare con due teste. Aveva chiamato Alice e le aveva chiesto di tenerle Drew per una serata. Alice aveva delegato il compito a Sandy, che si era presentata a casa di Alease con una scorta di caramelle gommose su cui Drew si era subito precipitato. Avrebbe trascorso la notte lì, mentre Alease sarebbe andata a Raleigh e avrebbe avuto la sua prima "Notte da leoni".

Le cose erano andate storte fin da subito.

Innanzitutto c'era troppa gente perché Alease potesse sentirsi a suo agio. C'erano molte colleghe di lavoro di Stacie, alcune amiche del college e le parenti giovani di Marlon. Essendo la star della serata, Stacie svolazzava da una persona all'altra come un'ape sui fiori; dedicò non più di dieci minuti ad ascoltare le novità nella vita della sua ex migliore amica. Ronnie si ubriacò ben presto e iniziò a flirtare con tutti i camerieri del ristorante, senza degnare Alease, che pure le sedeva accanto, di un'occhiata di troppo. Alease non provò neppure a fare conversazione con qualcuno, non le riusciva naturale, e nessuno pareva interessato a lei. La occhieggiavano sospettose, sapendo che non faceva parte della loro cerchia di amici ma troppo cortesi per chiedere chi diavolo fosse.

Dopo il ristorante si spostarono in un bar, e le ubriache aumentarono. Stacie aveva noleggiato una limousine per muoversi nella città.

«Come fa a permettersela?» chiese Alease a Ronnie, in un sussurro, per non sembrare maleducata.

«I McKillon possono permettersi questo e altro. Il padre di Marlon è ancora il sindaco della nostra città, ti ricordi?, mentre sua madre è primario qui a Raleigh. Marlon si è appena laureato per diventare antropologo forense e ha già ricevuto delle offerte di lavoro. Io e Stacie abbiamo aperto quel centro estetico di cui parlavamo sempre, sai? Non è grandissimo ma rende bene e abbiamo delle clienti affezionate.»

Alease si intristì all'udire quelle cose. Il centro estetico era il loro sogno, il sogno delle RAS. Si facevano chiamare così, dalle iniziali dei loro nomi, da quando avevano scoperto che "ras" era un titolo aristocratico etiope, una cosa figa, quindi. Ma alla fine, Ronnie e Stacie lo avevano realizzato da sé.

«Vieni a trovarci qualche volta!» propose Ronnie, con voce impastata dall'alcol. «Ti piacerà un sacco come l'abbiamo ammobiliato. Divanetti in pelle, armadi in legno chiaro, moquette color crema...»

«Magari verrò a fare un giro un giorno.»

Ma sapevano entrambe che non sarebbe successo. Sapevano entrambe che dopo quella notte non si sarebbero mai più riviste.

Dopo il bar, le ragazze si spostarono nel classico strip club maschile, ma Alease decise di tornare a casa. Erano le due di notte e non si reggeva in piedi; inoltre anche lei aveva bevuto parecchio e il giorno dopo alle nove doveva essere alla scuola di Drew per la vendita annuale dei dolci. La raccolta fondi era destinata alla modernizzazione dell'aula informatica.

Ed era qui che si trovava ora Alease, stropicciandosi le tempie martellanti, col naso pieno del profumo di crostate, torte, dolci, pasticcini, pancake e muffin di ogni genere. Lei si era fatta aiutare da Sandy per realizzare una semplicissima torta alla crema con le gocce di cioccolato e la glassa di fragola. Sandy era bravissima a cucinare, lei invece se la cavava. Non le interessava diventare una gran cuoca, e aveva poca pazienza per i piatti troppo elaborati.

Ma ora che vedeva che le altre mamme avevano riempito i loro tavoli di delizie, si rammaricava di non essersi impegnata di più. E Drew glielo faceva costantemente notare.

«Le altre mamme hanno fatto un sacco di dolci e tu solo uno!» brontolava, la faccia rossa e piena di lacrime. «La mamma di Jay dice che non mi vuoi bene, o ne avresti fatti di più.»

L'attenzione di Alease si risvegliò. Lanciò un'occhiataccia alla mamma di Jay, una signora elegante che a quanto pare riusciva bene in tutto; cucinare, gestire il comitato dei genitori, e anche parlare male degli altri alle loro spalle!

Si voltò risoluta verso il figlio. «Non ascoltare quello che dicono le altre mamme, Didi. È ovvio che ti voglio bene, sei il mio cucciolo.»

«Allora perché non mi hai dato un papà come tutti gli altri?»

Alease rimase sconvolta. «Che cosa?!»

Drew guardò i genitori che chiacchieravano in corridoio. «Sono tutti qui col loro papà. Jay mi ha chiesto dov'è il mio e io gli ho detto che è ammalato.» Sembrava si vergognasse di quella bugia. Alease l'aveva avvertito che mentire è un peccato, e che se si commettono peccati poi Babbo Natale porta brutti doni sotto l'albero. «Ma dov'è il mio papà?»

Alease si sentì stringere il cuore al pigolio di quella voce affranta e affamata di una risposta sincera. Lo strinse al petto. «Oh, Didi...»

Lui si divincolò, insistente: «Ce l'ho un papà?»

Alease iniziò a piangere, anche se non avrebbe dovuto. «Certo che ce l'hai, tutti hanno un papà. Solo che il tuo non c'è più.»

«È andato in cielo?»

Alease esitò solo un secondo. «Sì, Didi.»

«Come i nonni?»

Lei si sentiva sempre più in colpa. Gli aveva raccontato che i suoi nonni erano morti, perché sapeva che non li avrebbe mai conosciuti. La sua vita si reggeva su un castello di bugie. E poi predicava a suo figlio di raccontare sempre la verità! Era un'ipocrita, proprio come i suoi genitori. «Sì.»

«Quindi sono insieme adesso.»

«Penso di sì.»

«E mi vedono da lì?»

Gli accarezzò i capelli che Didi teneva rizzati col gel. «Ti vedono e ti sentono, Didi. E ti vogliono bene anche loro. Avrebbero tanto voluto conoscerti.»

«Cos'è successo al mio papà?»

«Lui...» Alease tentennò, cercando di inventarsi una storia credibile. Una storia che non avesse a che fare con quel pavimento freddo, con quell'odore di incenso e cera, con quelle mani gelide che le aprivano le gambe, con quel cranio pelato luccicante di sudore, con quel corpo magro e duro che si muoveva sopra di lei, schiacciandola, opprimendola, umiliandola.

«Era un vigile del fuoco» mormorò infine. «Entrava nelle case incendiate per tirare fuori le persone in pericolo. Un giorno entrò per salvare una famiglia; riuscì a portare fuori la mamma e il bambino, ma dentro c'era anche il papà e così ritornò. La casa crollò e lui rimase dentro.»

Drew aveva spalancato gli occhi, avvinto dalla storia. «È morto così?»

«È morto da eroe, Didi. Il tuo papà era un eroe.» Aveva un groppo in gola grande quanto un mandarino. Avrebbe tanto voluto piangere. Quella menzogna faceva troppo male.

«E i nonni? Come sono morti?»

«Si sono addormentati.» Questa era facile, era il modo in cui la maggior parte degli anziani moriva, non serviva lavorare di fantasia. «Non hanno provato dolore.» Nonostante tutto, avrebbe voluto che i suoi genitori si spegnessero così, in silenzio, senza soffrire. L'avevano pur sempre messa al mondo e si erano presi cura di lei. E poi la mamma aveva provato a chiamarla, subito dopo la sua fuga. Forse voleva chiederle perdono, riprenderla con sé. Alease non aveva risposto, non le aveva dato l'opportunità di dire ciò che voleva. E li aveva persi per sempre.

«E il papà ha avuto male?» insisté Drew.

«Penso di no, Didi. Gli eroi non meritano di soffrire, no? Fanno del bene alla gente. Penso che abbia solo preso una botta in testa.»

Drew scattò in piedi, scivolando giù dalla sedia. «Voglio fare il vigile del fuoco da grande, mamma. Come il mio papà.»

Lei gli carezzò la guancia paffuta, perdendosi in quegli occhi verdi pieni di ardore. «Vedremo, cucciolo.»

«Ora vado a dire a Jay che il mio papà è un eroe!» Fece il giro del tavolo e sussurrò, con un sorrisetto complice: «Sai, il suo è brutto e vecchio e raccoglie l'immondizia dalla strada. È uno sfigato.»

«Questo non lo dire, però» sorrise Alease, e lui corse dal suo amico.

Rimasta sola, Alease chiese alla sua vicina, la madre di una bambina di nome Sarah che era nella stessa classe di Drew, di tenerle d'occhio il banco per un attimo. Andò in bagno, si chiuse in una toilette e finalmente pianse.

«Mi mancate» sussurrò, singhiozzando. «Mamma, papà, mi mancate così tanto... Perché mi avete lasciata andare? E io perché non vi ho detto la verità?»

La risposta era fin troppo ovvia: non le avrebbero mai creduto. Loro, uomini di Chiesa, non potevano immaginare che al mondo esistesse un Male tanto grande, e che risiedesse proprio in ciò che loro veneravano.

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