49. DREW HA 16 ANNI
Pete ascoltò il suo sfogo senza battere ciglio e senza commentare le sigarette che fumava rabbiosamente una dopo l'altra. Drew sapeva di sembrare un pazzo. Non aveva chiuso occhio quella notte, continuando a pensare solo a lei, a rivederla insieme al palestrato, così bella, così irraggiungibile. Aveva trascorso il suo primo giorno di vacanza chiuso in camera a stordirsi di cicche e musica rock sparata a tutto volume nelle cuffie. Sua madre, forse percependo il suo malumore, lo aveva lasciato in pace e anche Curt si era tenuto alla larga, anche se Drew avrebbe voluto che gli desse un pretesto per attaccare briga e sfogare così tutto il furore che provava.
«Che gran puttana» fu il commento finale di Pete, quando Drew si gettò esausto sul divano, stanco di camminare avanti e indietro. Spense la sigaretta nel posacenere e rimase lì, a braccia conserte, la fronte aggrottata rivolta verso il pavimento a scacchiera. Non fu minimamente scalfito dall'insulto di Pete. Aveva ragione. Destinee era una grande troia ma lui lo sapeva fin dall'inizio. Sapeva in che guaio si stava cacciando.
«Quello che non capisco è perché cazzo questa storia sia iniziata» rimuginò Drew. «È venuta lei da me, lei mi ha invitato a quella festa, ha fatto tutto lei!» Era il particolare più inspiegabile. Lo aveva sedotto solo per spezzargli il cuore? Faceva tutto parte di un piano diabolico?
«Forse aveva un secondo fine» asserì Pete. Probabilmente notò la fronte di Drew spianarsi, perché chiese: «Cos'hai?»
«Una cavolata che mi è venuta in mente» mormorò Drew, riflettendo. «Ti ho parlato della mia ex migliore amica, Becca, ti ricordi? Ecco, praticamente qualcuno le ha inviato un video in cui ci filmavano di nascosto mentre io e Destinee ci davamo dentro. Magari è stata proprio lei, per farla arrabbiare.» Poteva essere tutto lì? Una vendetta non contro di lui ma contro Becca? Drew era stato solo una pedina? Poteva una ragazza dal viso tanto angelico essere così sadica e calcolatrice?
«Si conoscono?»
«Sono pseudo sorellastre e non si sopportano. È stata colpa di quel video se Becca ora non mi parla più.»
Oltre tutto, c'era quel particolare ad avvilirlo. Aveva mandato a monte anni di vera amicizia per qualche scopata, meravigliosa sì, ma se avesse saputo che l'epilogo della sua storia sarebbe stato quello non avrebbe mai sacrificato Becca.
Lei ha cercato di avvertirmi, ricordò. Tutte le sue ammonizioni, i suoi veementi ordini di starle alla larga... non era solo perché aveva una cotta per lui. Cercava di proteggerlo, proprio come una migliore amica è tenuta a fare.
«Perché non vai da lei?» suggerì Pete. «Le chiedi scusa e le racconti quello che è successo. Da una parte godrà nel vederti così annientato, ma bisogna sempre scendere a compromessi se si vogliono risolvere i problemi.»
«Non mi parla da mesi, mi odia.»
«Tentar non nuoce. Presentati a casa sua con un peluche o una scatola di cioccolatini. Farà un po' la ritrosa ma poi, felice di sapere che la sua nemica ti ha dato il benservito, ti concederà benignamente il suo perdono.» Pete fece un sorrisino, aprendo una lattina di birra. «Le donne sono tutte uguali, ragazzo mio.»
Drew aprì anche la sua. Recentemente Pete gli aveva concesso quel privilegio, ritenendo che sedici anni fossero abbastanza per bere.
«Tu cosa faresti al posto mio?» gli chiese dopo un po'. «Con Destinee.»
«La scorderei in fretta. So che all'inizio è dura ma starai meglio tra qualche settimana. Trovati un rimpiazzo. È brutto da dire, ma chiodo scaccia chiodo.»
Drew mugugnò qualcosa. Non aveva la testa per pensare a un'altra. Nessuna sarebbe mai stata come lei, nel bene e nel male.
«E vai dalla tua amica» aggiunse Pete.
«Non servirà a niente.»
Ma Drew aveva già deciso che ci avrebbe provato. Avrebbe bussato alla sua porta e si sarebbe inginocchiato melodrammaticamente, implorandola con gli occhioni del Gatto con gli Stivali di scusarlo per le cazzate che aveva fatto. Pete aveva ragione, Becca sarebbe stata contenta di sapere che Destinee gli aveva spezzato il cuore; e nonostante le sue maniere mascoline era sempre una ragazza, e sarebbe stata curiosa di sapere come era successo. Lo avrebbe tenuto sulla corda per qualche giorno, ma Drew sapeva che i vecchi tempi sarebbero tornati.
Si alzò, ansioso di arrivare presto da lei. Estrasse qualche banconota dal portafoglio e le tese a Pete, che fece una faccia perplessa. «Cosa sono?»
«I soldi della lezione.»
«Non sapevo di essere diventato uno psicologo. Non abbiamo fatto lezione, nel caso non te ne fossi accorto durante il tuo delirio.»
«Sì, ma ti ho fatto perdere tempo.»
«Non si perde tempo con gli amici.»
Drew fece un sorriso amaro, riponendo le banconote. «Quanto vorrei vivere con te...»
Pete scoppiò a ridere, accompagnandolo alla porta e battendogli una mano sulle spalle. «Tua madre mi odierebbe se ti portassi via da lei. E poi, come vedi, non saprei dove metterti.»
«Anche il divano andrebbe bene.»
Pete captò il suo tono amareggiato e chiese: «Com'è la situazione a casa?»
«È come se stessimo camminando tutti su una lastra di ghiaccio che potrebbe rompersi da un momento all'altro. Per evitare di scatenare l'inferno dicendo la cosa sbagliata stiamo tutti zitti. Mangiare insieme sta diventando imbarazzante.»
«Puoi venire qui quando vuoi, lo sai.»
Drew uscì sul pianerottolo e, con nonchalance, disse: «Mia mamma è in libreria, adesso. Magari potresti passare a farle un saluto.»
Pete esibì un sorrisino. «Non sei forte con le sottigliezze.»
«Io ci spero sempre» fece spallucce Drew, prima di uscire in strada.
Arrivò alla casa di Thompson dopo mezz'ora. Gli sembrava ancora strano che Becca abitasse con lui. Mr T era stato gentile a prenderla sotto la sua ala; doveva essersi affezionato davvero molto a Heather – anche se gli risultava difficile credere che quella donna così glaciale potesse amare qualcuno.
Drew si pentì di quel pensiero. Era ancora in coma, poveretta. Sua madre diceva che non c'erano molte speranze. Chissà come doveva stare Becca... Non aveva fatto neanche un giorno di assenza da scuola, non l'aveva mai vista piangere o intristirsi durante le lezioni; quando aveva provato ad avvicinarla, lei aveva tirato dritto senza neanche guardarlo. La rabbia mai sopita contro di lui era più forte del dolore e della paura.
Suonò al campanello, ma non rispose nessuno. Solo allora notò che la casa pareva sigillata, persiane chiuse e tende tirate. Non c'era neanche la macchina di Mr T.
«Sono partiti ieri» disse una voce gracchiante.
Drew si girò, notando una signora vecchissima che stava innaffiando i fiori del giardino di fronte.
«Dove sono andati?»
«Ah, boh. Però avevano tanti bagagli.»
Ciò voleva dire tutto e niente. «Grazie» bofonchiò Drew, contrariato, e si incamminò verso casa, chiamando subito Jamison al cellulare.
Non erano più grandi amici come una volta – la differenza d'età si faceva pesare e anche la distanza tra i loro caratteri. Jam aveva quasi quattordici anni ma alle femmine ancora non ci pensava. Drew ricordava che invece alla sua età era già un cacciatore. A volte si domandava se Jam non fosse gay. Era così timido e riservato che, le rare volte in cui si parlavano, temeva sempre di dire qualcosa che potesse turbarlo. Di certo con lui non poteva parlare di ragazze né di videogiochi, dato che Jam non ne possedeva nemmeno uno – e non per proibizione dei genitori; a lui importava solo studiare e leggere grossi libri, roba da matti.
Quando gli chiese se sapesse dov'era Becca, lui rispose, con la sua solita voce calma e posata, ancora acuta come quella di un bambino: «Non lo so, non mi ha detto nulla. Non è a casa?»
«La vicina dice che è partita con Mr T.»
«Non so niente, mi dispiace.»
«Okay.» Drew tentennò, non sapendo che altro dire. Poi propose in tono forzatamente allegro: «Ehi, ti va di venire da me un giorno di questi? Possiamo giocare alla play o cose così.»
«Grazie, ma devo studiare per prepararmi alla Cary.» La Cary Academy era la prestigiosa high school cui i suoi genitori l'avevano iscritto, una scuola di fighetti in giacca e cravatta col portafoglio rigonfio; Drew sarebbe morto piuttosto che metterci piede.
«Ma siamo in vacanza!»
«Non io» sorrise Jam. «Ci sentiamo, Drew.»
Drew brontolò un saluto e continuò a camminare nella calura estiva, sentendosi più solo che mai. Solo in quel momento si rese conto di quanto gli mancava Becca. Sarebbe stata una lunga estate senza di lei.
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