47. ALEASE HA 33 ANNI
Bollino rosso
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L'atmosfera era glaciale. Non solo perché le vecchi pareti di pietra tenevano fuori il tepido calore primaverile e non c'erano tappeti a riparare i piedi dalle fredde mattonelle. La tensione che aleggiava tra le due donne avrebbe potuto tagliarsi con un coltello. Sarah si dava da fare con ago e filo come se la figlia non fosse nemmeno presente. Se avesse avuto un gatto acciambellato in grembo sarebbe stata la perfetta immagine della vedova inconsolabile o della zitella acida.
Alease si vergognò di quel pensiero. Drew avrebbe di sicuro fatto una battutina del genere, ma lei non poteva permetterselo. Non avrebbe neanche dovuto essere lì, se avesse dato retta a tutti gli altri. Curt, Drew, Pete, persino sua madre.
Aveva pensato che forse, col tempo, Sarah si sarebbe abituata a quelle visite, arrivando persino ad aspettarsele. Ma le settimane passavano e le domeniche si succedevano tutte uguali. Alease arrivava dopo pranzo sempre con qualche regalo – un pacco di pasta, biscotti, bustine da tè. Sarah le apriva la porta, rivolgendole a stento un saluto. Poi si chiudeva nel silenzio, ignorando i tentativi della figlia di fare conversazione.
Non si udiva un suono; le mani della madre sferruzzavano rapide e sicure sulla lana, non c'era neanche il tic-tac di un orologio a spezzare la monotonia, non si sentiva il rumore del traffico fuori dalla porta.
Alease era sulle spine; cercava sempre qualcosa da dire, ma ogni volta sbatteva contro un muro di indifferenza. I rapporti tra lei e la madre erano così da quando Grant era morto. Il funerale era stato tristissimo; aveva partecipato tutta la comunità di Garland. Alease aveva pianto tutto il tempo, e anche sua madre, che non piangeva mai, aveva gli occhi lucidi. Erano stati sposati per trentacinque anni e, anche se non lo avevano mai dimostrato con gesti affettuosi o paroline dolci, Alease sapeva che si erano amati. Erano state anime gemelle, le due perfette metà della mela, entrambi ferventi cristiani, entrambi pieni di regole morali, entrambi intransigenti e poco espansivi.
Da un'unione del genere era nata Alease, una bambina vivace, poi una ragazzina timida, infine una ragazza come tante, che pensava a uscire con le amiche più che ad andare a Messa ogni domenica. Ora era una donna che in Chiesa non metteva più piede. Non aveva battezzato Drew, non lo aveva mai costretto a prendere i sacramenti e a lui non era mai importato. Molte volte aveva discusso con Alice per questo. Lei non era una vera praticante, ma ai suoi figli aveva imposto ogni rito religioso; li avrebbe lasciati liberi di decidere per sé quando fossero stati grandi, diceva.
Entrare in Chiesa per il funerale era stato difficile. Era la stessa Chiesa in cui suo zio l'aveva violentata e ingravidata. Aveva cercato di chiudersi ai ricordi, di concentrarsi sulle parole di un altro prete, ma nella sua tonaca nera, nelle sue mani giunte, nella sua voce monocorde rivedeva e risentiva Josh. Soffocando il panico, si era costretta a restare immobile al suo posto, per poi fuggire appena la Messa era terminata.
Alease si guardò intorno; quella era stata la sua casa, ma non c'era nulla di suo lì dentro. Grant non le aveva lasciato niente nel testamento, devolvendo metà dei suoi beni alla Chiesa e il resto a Sarah. Ma l'avvocato Jackson l'aveva avvisata che suo padre l'aveva contattato giusto il giorno prima della morte per cambiare le sue ultime volontà. Non c'era stato il tempo di conoscerle, ma Alease era convinta che si fosse ricordato di lei, e il solo pensiero bastava a renderla felice. Quando Jackson le aveva proposto di impugnare il testamento per far valere i propri diritti di figlia, lei aveva rifiutato categorica; non aveva bisogno di denaro e non lo avrebbe estorto alla madre. Sarah, nell'udirla parlare così, aveva detto: «Che brava figlia» con un tale, pesante sarcasmo nella voce che Alease era arrossita di rabbia, tristezza e vergogna.
Da quel giorno non aveva più avuto una conversazione degna di questo nome con sua madre. Alease non riusciva a capire perché. Grant l'aveva perdonata per essere scappata di casa; perché la donna che l'aveva messa al mondo non ci riusciva? Percepiva che l'acredine di Sarah contro di lei si era acuita dopo la morte del marito. Sembrava quasi che la ritenesse responsabile.
Continuare così per altri mesi o anni non avrebbe avuto senso, perciò quel pomeriggio Alease prese un profondo respiro e chiese: «Perché non mi rivolgi la parola? Penso sia il momento che dimentichiamo il passato. Papà c'era riuscito e avrebbe voluto riallacciare i rapporti con me e Drew. Me l'ha detto in ospedale.»
Gli occhi scuri della madre si incastrarono nei suoi, rabbiosi e opachi. «Perché non ti rivolgo la parola?» ripeté tra i denti. «Forse perché dopo essere scomparsa per anni ti fai viva solo per distruggerci la vita!»
Alease rimase scioccata. «Cosa...?»
«È colpa tua se Grant è morto. L'hai ucciso tu con la tua visita in ospedale, l'hai agitato e messo sotto pressione. Voleva organizzare una cena con voi, io mi sono opposta, ma lui era ostinato, abbiamo discusso, ci siamo alterati... E il suo cuore non ha retto.» Sarah restava perfettamente immobile sulla sedia, le dita irrigidite sulla federa che stava ricamando. Solo la sua bocca si apriva e chiudeva a scatti. «Tu eri l'argomento del nostro litigio, tu e tutte le diavolerie che hai combinato. Finirai all'inferno per questo.»
Alease si era accasciata su se stessa, distrutta. «Non avevo idea...» mormorò, le lacrime che iniziavano a inondarle gli occhi. Ma rifiutò di abbandonarsi al rimorso. No, non era colpa sua, era di sua madre! Lei aveva litigato con papà! Lei lo aveva agitato, coi suoi rifiuti e le sue parole cattive! «Ma perché ti opponevi? Papà non chiedeva molto, solo di conoscere vostro nipote.»
«Ti ho detto che non è mio nipote. E tu certamente non sei più mia figlia.»
Quelle parole così definitive avrebbero dovuto ferirla, ma sorprendentemente non fu così. Al contrario, Alease sentì calare su di sé una grande pace, una serenità che da anni non sperimentava con sua madre.
Si alzò in piedi. «Va bene, mamma. Sparirò di nuovo dalla tua vita, dato che è quello che mi chiedi. Ma prima di andarmene ti dirò quello che avrei voluto dirti sedici anni fa. Il padre di Drew non era un uomo sposato.»
Sarah, nonostante la sua acredine e il suo odio, tornò a guardarla, interessata a quella verità che la figlia teneva nascosta da anni.
«Era zio Josh.»
Sarah sbuffò di derisione, tornando a sferruzzare, ma Alease aveva previsto quella reazione e continuò calma: «Mi ha violentata in quella stessa Chiesa in cui tu preghi ogni giorno. Mi ha violentata recitando il Padre Nostro dopo avermi drogata col vino santo. Mi ha violentata sapendo che poteva farlo perché nessuno mi avrebbe creduto. Mi ha violentata perché il vostro Dio lo proteggeva. Ma ha avuto quello che meritava. Qualcuno, non so chi, è venuto a conoscenza del suo segreto. Lo ha ucciso ed evirato» Alease calcò su ogni parola, caricandole di tutto l'odio che aveva trattenuto e indirizzato verso se stessa, verso Dio, verso le circostanze sfavorevoli, «e ha lasciato una mia foto sul suo corpo, con la scritta "stupratore".»
Ora aveva tutta l'attenzione di Sarah; il suo volto di pietra non lasciava trapelare i suoi sentimenti.
«Ho smesso di credere in Dio quel giorno nella sagrestia, ma credo ancora nella giustizia umana. Spero di incontrare prima o poi il suo assassino, per ringraziarlo di quello che ha fatto. All'inizio sono rimasta sconvolta, ma poi ho capito: Josh non sarebbe mai stato punito nell'alto dei Cieli. E anzi avrebbe dovuto soffrire di più, come avevo sofferto io. E avrei dovuto premere io quel grilletto.»
Sarah barcollò sulla sedia, come se Alease l'avesse spinta, sgranando gli occhi. Era il massimo della sorpresa che la sua compostezza le permetteva di esprimere.
Alease afferrò sgarbatamente la borsa e la giacchetta leggera e uscì dalla casa della sua infanzia, sapendo che non ci avrebbe mai più messo piede.
...
Quella notte si svegliò con le guance bagnate di lacrime e i singhiozzi che le opprimevano il petto. Curt la stava scuotendo e Alease, senza neanche riflettere, si abbandonò contro il suo petto, piangendo silenziosamente.
Pian piano ricordò cosa l'aveva turbata tanto e sussurrò, in un impulso sgomento: «Bruciavo. Ero in una terra deserta e infuocata, dentro una fiamma. C'era anche mio padre, che bruciava accanto a me. Ho cercato di raggiungerlo ma appena le nostre mani si sono sfiorate è arrivata mia madre a separarci. Aveva uno sguardo così cattivo...»
Curt la lasciò parlare. Sapeva cos'era successo quel pomeriggio, Alease gli raccontava sempre tutto. Le aveva detto che aveva parlato bene, che aveva avuto fegato a dire finalmente quello che pensava. Poi l'aveva abbracciata e baciata, dicendole che ora poteva finalmente smettere di pensare al passato.
Ma evidentemente i suoi abbracci e le sue parole non erano bastati a scacciare il demone che era entrato in lei dalla bocca della madre. Il veleno che Sarah le aveva versato addosso, la derisoria incredulità con cui aveva ascoltato la sua confessione, tutta l'ira che aveva sentito emanare dal suo corpo rigido le avevano oppresso l'anima, torturandola anche in sogno.
«Tranquilla» mormorò Curt, le labbra sulla sua tempia. «Sei con me, ora. Non lascerò che ti prendano.»
Alease mosse il naso contro la sua gola, smettendo di piangere. «Ti amo.»
Lui non rispose, ma dopo qualche istante l'allontanò da sé e si tirò su un fianco per guardarla meglio. «Sposami, Alease. Voglio che proteggerti e amarti diventi la missione ufficiale della mia vita.»
Lei sentì i polmoni svuotarsi d'aria, lasciandola boccheggiante. Annaspò come un pesce fuor d'acqua, totalmente dimentica dell'incubo e di sua madre, fino a quando non riacquistò il controllo delle corde vocali. «Ma ci hai pensato bene?»
Forse la domanda suonava esageratamente incredula, ma Alease non si aspettava una proposta del genere. Pensava che Curt fosse felice di convivere con lei. E poi c'era il problema di Drew; come avrebbe accolto quella notizia? Probabilmente sarebbe scappato di casa come il giorno in cui gli aveva annunciato che sarebbero andati a vivere in casa di Curt...
«Ci penso da quella volta nella giostra degli orrori. Sei perfetta per me.»
Alease si sentì rabbrividire per la sua voce roca e decisa. Si lasciò sfuggire una risatina suscitata dall'ansia: «Non è che ti sei fatto suggestionare dal fidanzamento di Sandy?»
«Nessuno può decidere al posto mio.»
«Beh, hai bisogno del mio sì per sposarmi.»
Curt le carezzò il viso. «Ce l'ho già. Lo vedo nei tuoi occhi. Dimmi che mi sbaglio.»
Alease si sentiva esplodere di felicità. Probabilmente il suo sorriso andava letteralmente da un orecchio all'altro. «Non sbagli.»
Curt l'attirò a sé, premendole una mano sulla schiena e tirandole indietro i capelli con l'altra. Le racchiuse le labbra in un bacio e Alease cedette con docilità alla sua passione, identica a quella dei primi tempi, mai sfumata col passare dei mesi. Sentire la lingua di lui stuzzicare la sua, la morbidezza delle sue labbra sottili, il suo calore familiare la eccitò quasi istantaneamente. Si strinse di più a lui, percorrendogli il petto con le dita, sentendo la sporgenza delle ossa sotto la maglietta di cotone. Curt le carezzò la schiena, delineando la curva del fianco e sfiorandole il lembo di pancia scoperta sopra i pantaloncini. Crampi di piacere le strinsero subito l'inguine e ansimò contro la sua bocca.
Lo sentì sorridere quando chiese: «Sei ancora turbata dal sogno?»
Lei si morse il labbro, ma non riuscì ad evitare un sorriso sbarazzino. «Penso che un po' di coccole lo cacceranno via del tutto.»
Curt non attese altro. Le passò una mano tra i capelli, tirandola di più a sé, mordicchiandole e succhiandole il labbro inferiore e risvegliando una fiamma nel suo bassoventre. Si tirò su a sedere, mettendosela a cavalcioni. Lei inarcò la schiena, prendendogli il volto tra le mani e baciandolo con dolcezza. Lui la scostò un attimo, allontanando le ciocche spettinate che si erano frapposte tra i loro volti.
«Mia» sussurrò, facendola arrossire di piacere. «Per sempre.»
Le baciò le guance roventi, scendendo lungo il collo fino a posarsi sulla spalla. Alease sentì le sue labbra deporre un casto bacio sulla sua pelle surriscaldata. Gli passò le unghie sulla nuca, sui folti capelli neri, respirandogli nell'orecchio. Curt le mordicchiò la spalla, scendendo poi con la lingua a seguire il rilievo della sua clavicola. Alease rabbrividì di piacere quando lui raggiunse il vuoto di giunzione tra le due ossa e iniziò a tracciare un sentiero con la lingua umida sulla sua gola. Alease tirò indietro la testa, liberando un sospiro tremulo. Arrivato al mento, Curt si interruppe e premette le sue labbra su quelle di lei. Alease rispose al bacio, mentre con le mani percorreva le linee del suo petto, fino ad arrivare al bordo della maglietta. La tirò verso l'alto e Curt se la sfilò dalla testa.
Poi la fece rotolare sulla schiena e lentamente le tolse la maglia. Il seno esposto di Alease si inturgidì all'istante, a contatto con l'aria fresca. Curt avvolse un capezzolo tra le labbra, dandogli rapidi colpetti con la lingua che la fecero fremere. Alease espirò a fondo, chiudendo gli occhi. Le mani di lui scesero verso i suoi fianchi, infilandosi sotto l'elastico dei pantaloncini e sfiorandole l'intimità, che si inumidì all'istante. Alease sentì il suo polpastrello sfiorarle il clitoride e indugiare sulla sua entrata. Poi sfilò la mano.
«A pancia in giù.»
Alease obbedì senza esitare, affondando la guancia nel cuscino. Sentì Curt sfilarle i pantaloncini e depositarle un leggerissimo bacio sotto le dita del piede. Lei le mosse involontariamente, felicemente sorpresa da quella mossa. Non lo aveva mai fatto prima.
Curt spostò le labbra lungo la pianta, sul tallone e poi lungo il polpaccio. Arrivò al retro delle ginocchia e le disseminò di soffici baci. Lei sospirò, tenendo gli occhi chiusi. Infine le sue labbra arrivarono a lambire la curva di una natica e la sua mano le carezzò l'interno coscia, avvicinandosi sempre di più alla sua calda fessura. Le carezzò il sedere, massaggiandolo e aprendolo leggermente, e scese con le labbra a sfiorarle lo sfintere, proseguendo verso le grandi labbra. Stimolò il clitoride con la punta del polpastrello, quindi le divaricò le labbra; quel gesto bastò a farla gemere. La sua intimità si bagnò del tutto e subito lui la colmò con la lingua, percorrendola per tutta la lunghezza.
Lei mugolò a labbra serrate, divaricando le cosce per permettere alla sua lingua un più agevole ingresso. Curt le catturò il clitoride tra le labbra, succhiandolo con delicatezza, mentre i polpastrelli allargavano sempre di più le pieghe umide, strofinando la carne bollente. Infine Curt le infilò la lingua dentro più che poté.
Alease si lasciò sfuggire un'esclamazione subito soffocata dalla mano che lui le premette sulla bocca, immaginando i suoi umori scivolare nella bocca di Curt. Quindi alla lingua sostituì un dito, infilandoglielo dentro pian piano. Lei si mosse contro la sua mano, reclamando di più. Allora lui aggiunse un altro dito, e un altro ancora. Così la riempiva completamente.
Il cuore le sfarfallava nel petto. La mano di Curt, grondante dei suoi umori, entrava e usciva da lei sempre più velocemente, stuzzicandole il clitoride. Uno spasmo di piacere la fece contorcere e singhiozzare contro la mano di lui. Curt si tirò indietro solo per sbarazzarsi dei pantaloni. Alease trattenne il fiato quando sentì la punta vellutata del glande muoversi lungo tutta la lunghezza della sua intimità. Ogni volta che sfiorava il clitoride impazziva di desiderio e si tendeva sempre più verso di lui. Curt prese delicatamente le natiche, allargandole, e spinse dentro di lei.
Un mugolio indecifrabile le sfuggì dalle labbra, mentre le pareti della sua vagina si rilassavano, accogliendo il dolce invasore. Curt affondò dentro di lei, lentamente, fino in fondo. Poi si ritrasse fino ad uscire quasi completamente, e affondò più velocemente, strappandole un ansito. Aumentò il ritmo, reggendosi sulle braccia, attento a non far sbattere la testiera del letto, mentre lei gli andava incontro ad ogni stoccata. Era meraviglioso e dolce, diverso dal Curt passionale di cui aveva goduto altre volte. Era come se ogni volta le chiedesse il permesso di farla godere.
Il respiro le morì in gola quando lo sentì aggiungere le dita al membro che si muoveva sempre più rapido. Il piacere la sconvolse. Stava per gridare ma lui premette le labbra sulle sue, inghiottendo lo strillo mentre fiotti caldi fuoriuscivano dalla sua intimità, inondando il suo inguine e il materasso. Travolto dalla sua eccitazione, anche Curt venne senza un suono, respirando a fondo sulla sua guancia. Alease allungò una mano ad accarezzargli la testa sudata, sorridendo felice e appagata.
Ecco come doveva essere. Ecco come sarebbe sempre stato quando fosse diventata Alease Harris. Non doveva avere timori o incertezze. Curt era la sua roccia, non le avrebbe mai fatto del male. Lo diceva sempre e finora non aveva mai mancato alla sua parola.
«Lo voglio» sussurrò.
Sarah
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