45. DREW HA 16 ANNI
Drew si riteneva fortunato a non avere parenti in vita che potessero chiedergli, ogni volta che lo vedevano, magari pizzicandogli le guance o chiamandolo "giovanotto", se aveva la fidanzata, come andava a scuola e cosa avrebbe fatto da grande. Le classiche domande cui si ha voglia di rispondere solo quando si ha una ragazza, si va bene a scuola e si hanno idee sul proprio futuro.
Ma Drew una ragazza non l'aveva, a scuola andava sempre peggio e, per di più, non aveva la minima idea del lavoro che sarebbe finito a fare un giorno. Sapeva solo che tre cose al mondo lo interessavano: i videogame, la chitarra e... beh, ovviamente Destinee.
La loro storia era più complicata di un romanzo. A volte non la sentiva per una settimana, a scuola lei lo ignorava completamente, e poi gli inviava un messaggio senza neanche scusarsi o dare spiegazioni invitandolo ad incontrarsi. Drew avrebbe voluto avere la forza d'animo di rifiutarla, cancellare il suo numero e dimenticarla, ma accorreva sempre come un cagnolino ubbidiente appena la padrona schioccava le dita. Era umiliante, ma poi gliela faceva sempre pagare. La possedeva con una violenza quasi illegale, sbattendola contro le pareti, penetrandola quando era ancora asciutta, tirandole i capelli così forte che a volte gli restavano delle ciocche tra le dita. Ma Destinee non si lamentava di quel trattamento; più Drew si faceva brutale, più lei godeva e urlava di piacere.
Anche lei non andava tanto per il sottile, comunque; dopo una sessione di sesso, Drew rincasava col collo e le spalle piene di graffi, il collo cosparso di succhiotti, morsi sul sedere, le labbra gonfie e tagliate lì dove i dentini perlacei della ragazza si erano serrati più e più volte, ritirandosi solo quando aveva gustato il sapore del sangue.
A Drew non sarebbe spiaciuto farlo con più calma e tenerezza, ma appena la vedeva, sempre discinta e mezza nuda, con quei lunghissimi capelli biondi sciolti sul copriletto, gli affluiva il sangue al cervello e non capiva più nulla. Si lanciava su di lei come uno stallone in astinenza e per mezz'ora dalla stanza non si sentivano che parolacce, grida e gemiti.
Destinee non lo invitava mai quando c'era anche sua madre in casa, ovviamente. Drew non aveva mai conosciuto Pearl ma dalle foto aveva visto che era una gran bella donna, e anche giovane. Aveva lo stesso sguardo da cagna della figlia, che prometteva delizie inimmaginabili. Delizie che lui scopriva giorno dopo giorno con Destinee.
Ma non era affatto tutto rose e fiori. Al momento Destinee non lo chiamava da sei giorni, e lui aveva imparato a non cercarla, a non andarle dietro per i corridoi della scuola, a non bussare alla sua porta. La prima e unica volta che l'aveva fatto lei si era infuriata, gli aveva ricordato che non stavano insieme e che nessun ragazzo poteva controllarla, lei era libera di fare quello che le pareva, anche di scopare con altri. Stava a lui poi scegliere se rifiutare i suoi inviti. Lei non gli sarebbe corsa dietro. Aveva un'intera legione di scopa-amici da contattare quando le veniva voglia di sesso.
Dopo quel discorso Drew aveva capito davvero chi era la ragazza che amava. Era tornato a casa rabbioso e più deciso che mai a lasciarla perdere. Ma poi lei era venuta a casa sua e sua madre le aveva permesso di salire in camera – più tardi lo avrebbe sottoposto a un interrogatorio infinito – dove si era fatta perdonare la sua stronzaggine facendogli un pompino che neanche le pornostar più pagate di Hollywood avrebbero saputo eguagliare. Drew le aveva restituito il favore e dopo, per la prima volta, erano rimasti distesi a letto a coccolarsi. E lui si era sentito il ragazzo più felice del mondo.
Perché non poteva essere sempre così? Perché Destinee non poteva essere una ragazza normale cui piace scopare solo con un maschio e che non disdegna le coccole e il sesso tranquillo? Forse, si diceva per risollevarsi il morale, in quel caso neanche ci avrebbe perso la testa in quel modo. Lui amava Destinee perché era quella che era e doveva farsene una ragione, anche quando lei spariva e sembrava dimenticarsi completamente di lui. Drew temeva il giorno in cui non lo avrebbe più chiamato, in cui lo avrebbe cancellato dalla sua vita. Cosa sarebbe rimasto di lui? Cosa avrebbe fatto? Non voleva neanche pensarci, anche se sapeva che era alquanto probabile che accadesse, prima o poi.
Intanto viveva la sua vita su una montagna russa, oscillando tra abissi di disperazione e picchi di estasi. E nel frattempo confidava tutte le sue pene a quello che era diventato il suo unico, vero amico: Pete.
Da novembre prendeva lezioni di chitarra a casa sua. Sua madre – che si era infine decisa a prendere la patente, anche se usava raramente l'auto perché aveva paura delle strade trafficate – lo portava lì nei weekend e per due ore Drew si dedicava a perfezionare la sua arte, mentre Pete mischiava ordini e suggerimenti con pettegolezzi e domande personali cui Drew non aveva remore a rispondere. A lui raccontava tutto, specialmente di Destinee. Pete lo capiva: anche lui da ragazzo aveva perso la testa per una stronzetta. Erano andati avanti tra tira e molla per un anno, poi l'aveva beccata a pomiciare con un altro e lei neanche si era scusata. L'aveva mollata ed era stato da cani per mesi, ma il tempo guarisce le ferite. Non aveva mai incontrato la donna della sua vita, fino a Leslie, la sua ex moglie morta. E anche con lei le cose, dopo qualche anno di matrimonio, erano andate scemando nella noia.
Quel giorno Drew, durante la pausa – fatta di Redbull e sigarette che Pete gli offriva volentieri senza discutere sulla sua giovane età –, quasi senza pensare chiese: «E di mia mamma che pensi?»
Pete lo guardò con interesse. «Cioè?»
«Cioè, ti piace? Come donna, dico.»
«Me lo stai chiedendo sul serio?»
Drew sbuffò fuori il fumo dalla finestrella del bagno. Pete non aveva una terrazza. «Vorrei solo capire che ci trova Harris in lei, perché non si sia ancora stufato. Sono anni che spero se ne vada fuori dai coglioni.»
«Veramente vi siete trasferiti voi da lui.»
«Sì, ma se mollasse mia madre potremmo liberarci di lui una volta per tutte.»
«Non capisco davvero cos'hai contro di lui.»
«È uno stronzo.»
«Violento?»
«No, almeno non con me. Ma mia mamma ultimamente è sempre sottomessa, come se avesse paura di lui.»
A quel punto Pete si fece attento, spegnendo la sigaretta. «Dici sul serio?»
«Appena Harris si irrita per qualcosa lei si fa tutta docile e mansueta. Mi fa vomitare. Non ha spina dorsale. È una debole.»
«Ti ricordo che stai parlando di tua madre e di una mia amica» lo interruppe lui. «E per rispondere alla tua domanda, sì, Alease mi piace. Non è debole, è solo ingenua e troppo buona per questo mondo. Starebbe bene in un paese di fate.»
«Si fa mettere i piedi in testa da Harris continuamente e vorrebbe costringere anche me a farlo, ma non sono come lei. Ecco perché io e Harris non andiamo d'accordo. Non riesce a sottomettermi come vorrebbe.»
Anche Drew finì di fumare e seguì Pete fuori dal bagno.
«Non penso sia quello che vuole» ragionò Pete. «Penso che voglia solo un po' di tranquillità, una famiglia normale, di cui tu sei entrato a fare parte.»
«Non ho mai avuto bisogno di un padre, e specialmente di uno come lui.» Drew scrutò Pete da sotto il ciuffo che diventava sempre più lungo. Non sembrava che avesse quarant'anni; si vestiva in modo molto giovanile, portava una corta barba curata e non aveva quasi rughe in faccia. D'impulso disse: «Se fossi tu sarebbe diverso.»
Pete sogghignò, andando ad aprirsi una lattina di birra e lanciandogliene una di Redbull. «Io dico che finiresti per odiare anche me.»
Drew sorseggiò la bevanda in silenzio, prima di chiedere: «Perché non ci provi?»
«Mmm?»
«A portargliela via.»
Pete lo fissò, capendo che parlava seriamente. Drew era convinto che fosse la soluzione ideale, che così sarebbero finiti tutti i suoi problemi. Sua madre avrebbe comunque avuto un uomo da servire come le piaceva tanto. Sarebbe stato fantastico avere Pete in casa al posto del serpente. Avrebbe potuto fumare quando gli pareva – non che Harris glielo impedisse, anzi una volta che lo aveva sorpreso a fumare in bagno gli aveva consigliato di andare fuori prima che sua madre se ne accorgesse, però davanti al suo sguardo giudicante e freddo gli pareva sempre di fare qualcosa di sbagliato – e avrebbe avuto il suo confidente sempre a portata di mano.
Pete sorrise, come se gli avesse letto nella mente. «Non dico che non ci proverei se avessi qualche chance. Ma tua madre è innamorata pazza di Curt e tu devi accettarlo. Senza contare che lui mi farebbe a pezzi se tentassi in qualche modo di sedurla.»
Drew cercò di immaginarsi la scena; Pete abbracciato a sua madre e Harris che li scopre... No, il prof di musica non sarebbe sopravvissuto. Forse Harris non se la sarebbe presa perché amava Alease – cosa di cui Drew dubitava... cosa c'era da amare in lei? – ma, dato che la riteneva una sua proprietà, se qualcuno avesse cercato di rubargliela lo avrebbe massacrato. Però Pete aveva un fisico più massiccio di Harris, avrebbe potuto avere facilmente la meglio su di lui. Ma doveva volerlo davvero... Doveva pensare che Alease valesse veramente la pena e Drew dubitava che qualcuno avrebbe corso quel rischio per sua mamma.
«Sì, ne sarebbe capace» mormorò, emettendo un piccolo rutto. «Tu invece? Di donne ne hai?»
Pete allargò le braccia. «Ne vedi qualcuna in giro?»
«È per tua moglie?»
«No. Ho le mie avventure, ma durano solo qualche giorno al massimo. Sento di essere troppo vecchio sia per cazzeggiare che per ricominciare da capo.» Pete si passò una mano tra i folti capelli neri appena innevati qui e là. «È una brutta età, questa. Spera di arrivarci già sistemato con famiglia e figli.» All'improvviso si diede una pacca sulla coscia, raddrizzandosi. «Ma adesso basta ciance. Al lavoro.»
Drew lo seguì in salotto dove avevano lasciato le chitarre, e per un'altra ora non parlarono altro che di accordi, note e spartiti musicali.
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