42. ALEASE HA 32 ANNI
Quando Alice le telefonò alle dieci del giorno dopo comunicandole la notizia, Alease rimase spiazzata. Le pareva impossibile che fosse accaduto a Heather, la donna più tosta che lei conoscesse. Non erano mai diventate amiche, ma grazie al fatto che i loro figli erano inseparabili erano state costrette a passare molto tempo insieme. Alease la considerava troppo fredda e inflessibile per poterci andare d'accordo, ma sapere che era entrata in coma e forse non ne sarebbe mai uscita non la lasciò indifferente.
Non la vedeva dal giorno della riunione alla Gray's Creek, quando stava discutendo con l'ex cognata di Curt. E poi Becca e Drew si erano allontanati – e lei ancora non aveva capito perché, né aveva mai cercato di indagare, sapendo quanto fosse riservato suo figlio su certe cose. Forse Pete avrebbe avuto più possibilità...
In quel momento i due erano in camera di Drew. Alease gli aveva concesso di prendere lezioni di chitarra e Pete era gentilmente venuto a casa loro per quella prima volta. Suonava magnificamente e mentre lo ascoltava Alease si sentiva trasportata indietro di quindici anni, anche se ora le note erano più vivaci e decise rispetto alle canzoni consentite in Chiesa. Gli accordi di Drew erano incerti e stentati ma Alease aveva deciso di assecondarlo, per una volta. A Natale gli avrebbe comprato un chitarra.
Dopo qualche minuto i due scesero, chiacchierando fittamente di note e spartiti. Pete le rivolse uno dei suoi irresistibili sorrisi appena la vide.
«Com'è andata?» si costrinse a chiedere Alease, immaginando quale effetto potesse avere quella terribile notizia su Drew.
«Il ragazzo è dotato» lo lodò Pete, ammiccando vistosamente. «Ma tutti sembrano dotati quando passano nelle mie mani.»
Drew rise – cavolo, da quanto non udiva la sua risata – e gli diede una spinta. Erano entrati in confidenza dopo solo un'ora e mezza. E Alease che lo aveva messo al mondo lo stava perdendo sempre di più.
«Posso usare un momento il bagno?» le chiese Pete, posando la chitarra al muro.
«Sì, certo. È di là.» Pete si allontanò e Alease gettò uno sguardo addolorato sul figlio, prendendo un bel respiro. «Drew...»
Lui si adombrò immediatamente. «Non mi dire che hai già cambiato idea e non mi vuoi più far prendere lezioni.»
«Non è questo. La mamma di Becca ha avuto un incidente. L'hanno investita.»
Lui restò ammutolito, guardandola come se cercasse di capire se diceva la verità. «È morta?» chiese alla fine.
«No, ma è in coma e forse non si sveglierà più.»
«Cavolo...» borbottò Drew, accartocciando l'angolo del tappeto col piede.
Alease vedeva che la notizia lo aveva colpito ma non eccessivamente sconvolto. «Tu la conoscevi bene?»
«Insomma. Però mi dispiace per Becca.»
«Forse dovresti andare da lei, farle compagnia...»
Lui emise uno strano verso dal naso. «Sono l'ultima persona che vorrebbe vedere, mamma, fidati.»
Forse è il momento di capirci di più, pensò Alease, chiedendo con discrezione, come se camminasse sulle uova: «Cos'è successo tra di voi? Non siete più amici?»
«No.»
Alease capì che si era fregata da sola, permettendogli di rispondere con un monosillabo e di cavarsela con poco, ignorando la domanda più importante.
Subito dopo Drew, vedendola aprire di nuovo la bocca e sospettando il principio di un interrogatorio, aggiunse: «Vado su a studiare.» E scappò letteralmente verso le scale, col suo passo da elefante sui gradini in legno.
Pete ritornò sfregandosi le mani che odoravano di sapone anche a quella distanza. Non appena la guardò, aggrottò la fronte: «Che è successo? Hai una faccia...»
In quel momento il cellulare di Alease trillò sul tavolo del salotto. «Scusami.» Andò a rispondere. «Pronto?»
«Parlo con Miss Alease Goodwin?» chiese una voce sconosciuta che per qualche motivo la mise subito in allarme.
«Sì.»
«Sono Jonathan Jackson, l'avvocato di suo padre. Mi duole comunicarle che stanotte è stato ricoverato per un attacco cardiaco. Purtroppo gli è stato fatale.»
Alease si sentì immergere in uno spazio ovattato. Non sentiva nulla, non vedeva nulla. Non si rese neanche conto di essere scivolata a sedere sul divano e di stringere il cellulare in maniera convulsa.
«Non... non capisco, dov'è... dov'è mia madre?»
«Penso sia in Chiesa, a pregare per Me Goodwin. Mi ha chiesto lei di informarla. Era sopraffatta dal dolore. I funerali si terranno domani a Garland, alle 15.00. Subito dopo ci sarà la lettura del testamento. Immagino vorrà presenziare.»
Dolore... funerali... testamento...
«Sì...»
«Allora l'aspettiamo domani. Le porgo ancora le mie condoglianze.»
L'uomo attese una risposta che non arrivò, poi riattaccò. Alease rimase così, sospesa, il cellulare ancora accostato all'orecchio, pallidissima, incredula.
Sentì la voce di Pete chiedere, più vicina di quanto non immaginasse: «Chi era?»
«Mio padre è morto» sussurrò, anche se non credeva nemmeno lei stessa a quello che diceva. Suo padre, la roccia della famiglia, l'uomo che le aveva offerto una seconda possibilità proprio la settimana prima... se ne era andato.
Pete si accucciò accanto a lei, strofinandole il braccio inerte. «Dio, Alease. Mi dispiace tantissimo.»
«Dovevamo pranzare tutti insieme. Voleva conoscere Drew.»
Il pianto le ingrossò la gola e non fu più in grado di parlare. Lasciò cadere il telefono e si portò le mani al viso, singhiozzando, mentre pian piano accettava quella verità. Non era tanto il fatto che papà fosse morto, quanto che ora non ci sarebbe più stato. Non avrebbero mai ricostruito il loro rapporto, Drew non avrebbe mai conosciuto davvero suo nonno.
Pete l'attirò a sé, stringendola forte tra le braccia. Alease nascose la fronte nell'incavo del suo collo, versando lacrime amare sulla sua polo beige. Lui le carezzava i capelli.
«Sfogati pure, piccola. Ci sono io.»
Ad Alease parve strano che la chiamasse in modo così affettuoso. Non si erano visti poi molto, in quei giorni, e di certo non avevano costruito una tale intimità. Ma in quel momento non le importava come la chiamasse. Voleva solo piangere fino a sentirsi prosciugata, voleva sentirsi coccolata e amata. Perciò accettò che le carezze di Pete si facessero più intime, che la stringesse di più a sé e la baciasse sulle guance bagnate, impassibile, inerte.
Poi arrivò una voce gelida e sferzante, che sibilò: «Toglile le mani di dosso.»
Pete si staccò immediatamente, quasi sbilanciando Alease, che si girò verso Curt. Era appena rientrato. Non aveva neanche sentito aprirsi la porta.
Il suo sguardo velenoso la paralizzò per un istante e si sentì riempire di paura. Raramente lo aveva visto tanto incollerito, e non le piaceva. Restava così, alto e immobile, sotto l'arcata che divideva l'ingresso dal salotto, i pugni serrati fino a far sbiancare le nocche, le narici frementi e una vena ingrossata che pulsava lungo il collo.
Pete si alzò in piedi. «La stavo solo consolando. È morto suo padre.»
Solo allora Curt spostò lo sguardo su di lei e qualcosa nei suoi occhi cambiò. Tornarono il calore e la tenerezza, forse per aver sentito quella notizia, forse per vedere il suo volto così raggrinzito dal pianto. «Quando?»
«Stanotte» rispose lei con una voce che non le apparteneva. «L'ho appena saputo. Scusate...» Si alzò in piedi e se ne andò, gli occhi bassi e ancora pieni di lacrime. Andò in camera e si gettò a letto, premendosi il cuscino sul volto come quando era ragazzina e sfogava le sue lacrime di rabbia contro gli ingiusti ordini e rimproveri dei genitori.
Papà...
Dopo qualche secondo, la porta si aprì e Drew fece capolino, il ciuffo spettinato che gli ricadeva davanti agli occhi. «È vero?» domandò, cauto. «Il nonno è andato?»
Alease annuì, troppo stanca per fare altro.
Drew, come poco prima, rimase in silenzio, pensieroso. «Beh, immagino che quella cena non si farà più» disse infine, semplicemente.
Questo scatenò un nuovo torrente di lacrime. Alease strinse i denti per non lasciare uscire i profondi singhiozzi che le scuotevano il petto e seppellì il viso nel cuscino. Drew, imbarazzato, rimase sulla soglia della porta aperta per qualche istante. Poi si avvicinò al letto e le batté dei colpetti sulla spalla.
«Dai dai...» tossicchiò, a disagio. «In fondo sei riuscita a vederlo ancora. È già qualcosa.»
«Dovevo presentarteli prima» singhiozzò la madre. «Non ti dovevo mentire...»
A questo Drew non seppe rispondere. Dopo un po', vedendo che la situazione non migliorava, mormorò qualcosa di indefinito e si allontanò, chiudendo piano la porta alle sue spalle.
Si riaprì solo cinque minuti dopo. Curt venne a passo deciso verso il letto, si sedette accanto a lei e la prese fermamente tra le braccia. Alease si rannicchiò contro di lui come poco prima si era rannicchiata contro Pete. Non aveva più lacrime, ma gli occhi bruciavano e continuava a tirare su col naso.
Curt le carezzava la testa, ma lo sentiva rigido e duro come legno contro la sua spalla. Alease pregò che non facesse parola di quello che era appena successo con Pete, che non si scusasse, che non indagasse. Voleva solo dimenticare la paura che aveva provato quando aveva visto il suo sguardo, la sua posa, lì sotto l'arco del salotto. Voleva dimenticare quella bruttissima sensazione che aveva avuto.
Quando per un istante aveva creduto che Curt sarebbe stato capace di uccidere Pete, pur di strapparlo dalle sue braccia.
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