37. BECCA HA 14 ANNI
Bollino rosso.
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Non le era mai piaciuto avere gente intorno, ma da qualche tempo era diventata una vera misantropa. Faticava a stare in classe, circondata da ragazzi ciarlieri e ridacchianti. Stupidi, vuoti, tutti uguali.
Faticava a stare persino con sua madre. Un tempo dopo cena si sedevano a guardare qualche programma tv insieme, ma ultimamente evitava la sua compagnia, si chiudeva in camera o accampava la scusa di un incontro con amici immaginari per scappare nel bar più vicino, accomodarsi ad un tavolo riparato e bere una cioccolata calda. Conosceva la proprietaria da quando era piccola, e spesso Nancy le offriva qualche biscottino fatto in casa. Cercava anche di scambiare due chiacchiere con lei, ma Becca rispondeva a monosillabi o con cenni svogliati del capo, e Nancy si rassegnava a lasciarla crogiolare nella sua solitudine.
Dal giorno della litigata con Drew le pareva che la sua vita non avesse più alcun senso. Non riusciva a fare nulla, tantomeno a studiare. Guardava le pagine dei libri senza capire una sola parola, durante le interrogazioni non apriva bocca, non ascoltava le spiegazioni dei professori e soprattutto evitava di guardare nella direzione del suo ex migliore amico. Varie volte lui cercò di parlarle; allora la svogliatezza che la dominava si smarriva un pochino e Becca si irrigidiva, contraeva ogni muscolo, drizzava le spalle e lo ignorava con determinazione, accesa in viso come se un fuoco la stesse divorando dall'interno. Le sue parole non la scalfivano, le sue scuse non la ammorbidivano. E allora Drew si stancava e correva dalla sua bella.
Becca fece il possibile per evitare di vedere l'uno e l'altro, e non le fu neanche troppo difficile. Alla Gray's Creek non correvano ancora voci sul flirt del junior Goodwin con la Queen B, quindi non doveva essere una cosa seria. La notizia non le faceva piacere. Nulla le avrebbe più restituito il sorriso.
Questa situazione durò appena una decina di giorni, ma a lei parvero un'eternità. E infine, Destinee venne a parlarle.
Era l'ora della cafeteria. Becca si era trovata un tavolino in disparte e sedeva con altre grassone sfigate come lei, troppo concentrate sui loro hamburger e patatine per tentare di fare conversazione. Ad un tratto si trovò oscurata dalla sottile ombra della bella bionda.
«Posso sedermi con te?» domandò con la sua vocina flautata e il suo sorriso zuccheroso e un po' – incredibile a dirsi – intimidito.
Becca non la guardò neanche in faccia, continuando a mangiare il suo pollo e purè. Destinee si sedette comunque accanto a lei, accavallando le gambe perfette sotto la corta gonna rosa shocking. Intrecciate le dita smaltate di blu scuro intorno al ginocchio, si schiarì la voce.
«Immagino che tu sia arrabbiata con me, per la storia del video. Non ti sono venuta a parlare prima perché... beh, ecco, ero imbarazzata da morire.» Una mano si sollevò a giocherellare con una lunga ciocca di capelli, come se si trovasse davvero a disagio. «Sono stati dei coglioni, volevano farmi uno scherzo e al contempo prendersi gioco di te per il fatto che, sai, sanno che ti piace Drew. Non ho idea di chi ci abbia filmato ma se lo trovo giuro che lo faccio a fette.» Destinee fece una faccia arrabbiata che accrebbe solo la sua bellezza, e la sua falsità. Poi corrugò la fronte marmorea. «Spero che tu abbia cancellato subito il video. Non vorrei davvero che mia madre ci mettesse le mani. Ti giuro, mi vergogno un casino! E soprattutto mi dispiace che l'abbiano inviato a te. Dev'esseri dispiaciuto un sacco.» Destinee si piegò verso di lei, fissandola coi suoi grandi occhi fiordaliso. «Ma voglio dirti che per me non significa niente. Eravamo ubriachi entrambi e ci siamo un po' lasciati andare. Ma a me Drew non piace, te l'assicuro. E vorrei aiutarti a conquistarlo.»
Becca finalmente la guardò e Destinee, convinta di averla in pugno, esibì un sorriso felino. «Posso farlo. Ti basterà seguire le mie istruzioni e ti farò diventare così sexy che tutti i ragazzi della Gray's vorranno uscire con te. In fondo sei carina, se tenessi un po' i capelli in ordine e perdessi qualche chilo e magari iniziassi a comprare vestiti nuovi invece di riciclare quelli di tua madre.» Destinee scoppiò in una risata argentina, dandole di gomito, come se fossero grandi amiche. Becca restò impassibile. «Scherzo! Comunque davvero, sono disposta ad aiutarti. Ci metterò tutta me stessa e vedrai che trasformazione!» Il suo viso, la sua voce mutarono di nuovo, facendosi umili. «L'unica cosa che, ecco, magari vorrei in cambio, sarebbe che riconsiderassimo la faccenda della villa di Durham. Se mi cedessi la tua parte, mi faresti un grande piacere. Ovviamente la pagherei, e con quei soldi potresti dare un tocco di classe alla tua persona. Potresti vestire Armani, Chanel, cose così. Che ne dici?»
Concluse il suo discorso elettorale con un sorriso da sciogliere il cuore più duro. Becca non le aveva tolto gli occhi di dosso e non lo fece neanche ora che il silenzio era calato tra di loro. Si limitò ad afferrare il bicchiere di latte al cioccolato della sua grassa vicina e a gettarglielo in faccia.
Destinee strillò, balzando in piedi e rovesciando la sedia. Becca abbandonò il suo vassoio ancora mezzo pieno, si alzò con tutta la dignità possibile e marciò fuori dalla mensa.
Nel silenzio attonito di respiri trattenuti si udì un ruggito acuto. Destinee, i capelli luridi che le spiovevano sulla fronte e la maglietta appiccicosa, strinse i pugni e, incurante di essere al centro dell'attenzione, sbraitò, con la voce rotta dalle lacrime che le pungevano gli occhi avvelenati dall'odio. «Puttana! Sei morta, Rebecca, mortaaa!»
Le rispose solo lo sbattere della porta della cafeteria. Becca attraversò i corridoi della scuola fino a rifugiarsi in una classe vuota. Il placido silenzio l'aiutò a distendere i nervi frementi.
Dopo un po' si rese conto che qualcuno aveva dimenticato un quadernuccio sul banco accanto. Lo prese, lo sfogliò: era intonso. La copertina raffigurava una farfalla grigio perla su uno sfondo nero. Per qualche motivo l'affascinò. Lo aprì alla prima pagina e d'un tratto venne presa dalla smania di scrivere.
Si guardò febbrilmente attorno alla ricerca di una penna. Ne trovò una abbandonata a terra, mezza scarica, ma la impugnò come fosse una spada e pensò.
Pensò ai torti che aveva subito, al tradimento di Drew, all'ipocrisia di Destinee. Desiderò avere avuto la forza di fare molto peggio che versarle addosso una bevanda. Desiderò avere affondato le mani in quel suo bel collo da cigno e avere stretto fino a vedere il suo faccino da bambola diventare blu. Desiderò che Destinee non fosse mai esistita, che Drew non avesse mai posato gli occhi su di lei, o che, di fronte alla Tentazione, avesse detto di no, non avesse mai tradito la loro amicizia.
Desiderò che le cose fossero andate in modo diverso. Ma dato che così non poteva essere, aveva solo una chance: cambiare il futuro. E così, in quel quaderno trovato per caso in un'aula vuota, scrisse un finale diverso per la sua storia, senza sapere quanto quella storia l'avrebbe portata in alto.
DESTINEE HA 15 ANNI
«Io l'ammazzo quella troia! La faccio fuoriii!»
Le sue urla risuonavano nel bagno delle ragazze, da cui Destinee aveva fatto uscire tutte le sventurate con uno strillo così acuto e furibondo da farle sbiancare di paura. Disperata, aveva infilato la testa nel lavandino per lavarsi i capelli dalla merda che quella troia rossa le aveva versato addosso e, mentre Gena l'aiutava a ripulire le ciocche, Sasha strofinava sotto un altro rubinetto le macchie sulla maglietta che si era sfilata.
«D...» cercò di placarla Gena.
«Zitta, cazzo!» tuonò Destinee, anche se la voce ovattata dentro il lavandino suonò meno minacciosa di quello che avrebbe voluto. «È l'ultima volta che mi fa una cosa del genere! È una troia morta! Dov'è Owen? Trovatemi Owen!»
Gena e Sasha si scambiarono un'occhiata preoccupata. Poi la seconda ebbe il coraggio di chiedere: «Cosa vuoi fare?»
«Farle capire chi comanda!» Destinee si allontanò dal rubinetto. Gena, efficiente, aveva già attaccato il piccolo phon rosa che teneva sempre nella borsetta e iniziò solerte ad asciugarle i capelli.
«Forse c'è un altro modo, D» insisté Sasha, delle due la meno intimorita dalla sua collera. «Meno drastico e meno problematico per te.»
Destinee era chiaramente contrariata all'idea di rinunciare al suo piano. «Parla.»
«Tu hai quello che ha sempre voluto e mai ottenuto: Goodwin. Sfrutta la situazione.»
Destinee raddrizzò di colpo la schiena. I lunghi capelli le sferzarono il viso quando si voltò verso l'amica, sibilando furiosa: «È quello che mi sono proposta fin dall'inizio, ma pare che non le freghi più un cazzo di lui. Sapevo di non poter fare affidamento sulla cotta di una junior!» Assottigliò lo sguardo, fino a renderlo tagliente. «E ora vai a chiamare Owen. Quante volte devo ripetere una cosa perché voi la facciate?!»
Sasha si piegò come sempre alla sua volontà, stavolta spaventata per davvero. Cinque minuti dopo faceva ritorno col gigantesco Owen Clinton, dell'ultimo anno, un metro e novantanove di pura massa, il cranio rasato e le mani grandi come guantoni da baseball.
Destinee aveva avuto il tempo di asciugarsi un po' i capelli e di legarli in uno chignon, nonché di rifarsi il trucco. Lo fissò dritto negli occhi, anche se era costretta a sollevare il mento per farlo. «Owen...»
Sasha, che si stava mordendo le labbra a sangue, corse il rischio e disse precipitosa: «Se le farai del male capiranno subito che sei stata tu, sei l'unica che odia Rebecca!»
Destinee la trucidò con lo sguardo con una tale rabbia che se le sue pupille fossero state pallottole Sasha sarebbe caduta stecchita ai suoi piedi. Non che fosse così insostituibile. Persino Gena poteva fare meglio di lei. Almeno non discuteva mai i suoi ordini! «Interrompimi un'altra volta e ti schiaffeggio così forte che il muro ti schiaffeggia a sua volta.» Sasha sembrò farsi piccola sotto la sua collera e indietreggiò; Destinee tornò a rivolgersi ad Owen. «Ho un lavoro per il tuo solito amico.»
«Cosa vuoi che le faccia?» domandò Owen col suo vocione da orco.
«Voglio che lui le lasci un segno indelebile e che le dica che è da parte mia, così ricorderà per sempre contro chi si è messa e contro chi ha fallito.» La voce della ragazza risuonò lapidaria nel bagno semivuoto.
Owen mandò un sms col cellulare, e dopo un minuto annuì. «Lo farà stanotte.»
Destinee sollevò una mano per cacciarlo via e Owen si defilò senza protestare. Destinee, dopo avere vituperato Gena e Sasha di parole perché nessuna delle due aveva pensato di portarsi una maglietta di ricambio, costrinse l'amica che l'aveva sfidata a darle la sua e ad indossare quella sporca di latte.
Sasha strinse la bocca ma infine capitolò, troppo spaventata dalle conseguenze che una sua ulteriore ribellione avrebbe comportato. Essere amica della Queen B significava essere sempre sotto i riflettori, sempre sulla bocca di tutti, sempre presente alle feste più fighe, sempre accompagnata da ragazzi stratosferici. Senza Destinee sarebbe tornata ad essere la ragazzina timida e insicura che guardava i maschi di sottecchi invece di lanciarsi tra le loro braccia. Destinee era la sua dose di eroina, le dava coraggio, sicurezza, la rendeva audace; i suoi insulti, la perenne sfida che leggeva nei suoi occhi, le smorfie sulle sue labbra rosse le davano una carica che la portava ad oltrepassare limiti e a vincere paure che l'avevano sempre congelata sul posto. Raramente leggeva approvazione sul suo viso, ma quando accadeva... beh, era impossibile descrivere il senso di orgoglio che la riempiva, era come se il suo cuore si allargasse e scoppiasse di felicità.
Con Destinee era tutto, senza di lei non era niente. Per questo, anche se a volte faceva un po' la stronza, era pronta a chinare la testa e a scodinzolare, in attesa di giorni più sereni. Giorni in cui si sentiva la ragazza più fortunata del mondo, solo perché aveva il privilegio di sedere accanto alla Queen B in mensa e di farla copiare durante i compiti.
Uscite dal bagno, Destinee pareva rinata. La rabbia le offuscava ancora lo sguardo e le soffondeva le guance, ma almeno era in ordine, e sapere di essere in ordine contribuì ad alleviare la sua pena.
Gena le sussurrò all'orecchio: «C'è il tuo spasimante.»
Destinee non si voltò, anche se udiva i passi frettolosi di Drew alle sue spalle. Poco dopo le oltrepassò e la fissò preoccupato. «Tutto okay?»
«In quale cazzo di universo questo ti sembra okay?» Si indicò i capelli ancora umidicci. Sasha si strinse le braccia al petto per nascondere la maglietta bagnata e sporca.
«Sei sempre stupenda» sorrise Drew, osservandola con l'idolatria negli occhi.
Destinee non era insensibile alle adulazioni e in quel momento aveva assolutamente bisogno di sentirsi apprezzata, ma non da lui. Drew era il solo colpevole di quella situazione di merda! «E tu sei un idiota» replicò lei, oltrepassandolo con le due amiche a farle da ali.
Drew non demorse. «Senti...»
«Non ho tempo da perdere con te.»
«Alla festa l'hai perso volentieri, però. Sei stata tu a mandare il video a Becca?»
Destinee si bloccò infuriata e interdetta dal suo tono, passato dallo zucchero alla fiele. Fece un cenno con le mani e Gena e Sasha si affrettarono ad allontanarsi. «Ti sembra che io possa chiedere a qualcuno di filmarmi mentre faccio sesso solo per prenderla in giro?» sibilò quindi.
«Mi dispiace per la scenata che ti ha fatto in mensa, ma cerca di capirla, le piacevo molto e vedere quel...»
«Oddio, Goodwin, non montarti la testa! Non le frega più niente di te, non gliene è mai fregato! Quella ragazzina non ha palle, ha solo la lingua biforcuta e le maniere di una contadina. Alla prima difficoltà ha mollato. Ma io non sono così.» La villa sarà solo mia, pensò mordendosi le labbra per non lasciarselo scappare. Drew non doveva sapere nulla dei suoi piani.
«E noi due?» domandò lui con l'aria da cane bastonato sotto il lungo ciuffo.
«Non c'è mai stato nessun noi!» sbuffò lei esasperata. «Sei un junior e sei un poveraccio. Credi che non sappia quello che si dice di te? Che sei un bastardo e che tua madre sta con uno solo per farsi mantenere. Pensi davvero di meritarti una come me? Dovevi tenerti Becca finché ti sbavava dietro.»
Si voltò per andarsene, ma Drew l'afferrò rudemente per il braccio e la sbatté contro il muro strappandole un sussulto di sorpresa più che di dolore. Drew la fissò con ardore negli occhi, sillabando a denti stretti: «Parla ancora di mia madre in quel modo...»
«E cosa fai? Mi picchi?» lo sfidò lei, alzando il mento e sporgendo la mascella come per invitarlo a eseguire la minaccia.
DREW HA 15 ANNI
Drew le afferrò i capelli umidi, strattonandoli verso il basso fino a farle inarcare la gola. Destinee non si ribellò, anzi una scintilla di eccitazione le si accese negli occhi. Drew se ne avvide e non esitò a gettarsi famelico sulle sue labbra già schiuse, invitanti. Subito Destinee serrò con forza i denti sul suo labbro, succhiandone via il sangue. Drew le tirò ancora i capelli, affondando la lingua nella sua bocca, esplorandola in tutti i suoi meandri, mentre le unghie di lei gli artigliavano il collo, tracciando una scia di graffi verso il petto.
Trafelato ed eccitato da quella lotta sensuale, Drew le strinse con forza un seno fino a farla gemere. Realizzando che erano in corridoio e chiunque avrebbe potuto vederli, la trascinò in uno stanzino che fungeva da ripostiglio. C'era appena lo spazio per quattro persone. Drew sbatté la schiena di Destinee contro un ripiano facendola gridare. Lei lo schiaffeggiò in piena faccia, ma lui tornò ad impossessarsi della sua bocca, succhiandole il labbro fino a farglielo dolere. Destinee inarcò la schiena, premendosi contro di lui. Una mano viaggiò verso il cavallo dei suoi pantaloni, serrandosi intorno all'asta già indurita. Ma stavolta Drew non le avrebbe permesso di prendere il comando. Sapeva che lei lo voleva quanto lui, e non si fece problemi.
La prese per le spalle e la rivoltò, piegandola a novanta. Le abbassò le calze e la gonna, mentre Destinee fingeva di lottare e di dimenarsi. La vista del suo sedere sodo e perfetto gli fece perdere gli ultimi freni inibitori che aveva. Si inginocchiò, portando la bocca tra le sue natiche e la leccò per tutta la lunghezza. Destinee emise un lungo gemito, allargando di più le gambe e spingendosi contro la sua faccia. Drew giocherellò col clitoride esposto, le allargò le labbra e vi fece scorrere la punta della lingua, per poi infilargliela dentro. Destinee singhiozzò per il piacere per poi gridare quando le mise bruscamente dentro un dito.
Sentendola bagnata a goduriosa, Drew si mise in piedi e abbassò i pantaloni. Il pene svettò subito turgido e fiero, proteso verso l'apertura calda di lei. Drew ci poggiò contro la punta, sentendo l'eccitazione aumentargli il flusso del sangue. Destinee presagì cosa stava per accadere e si allargò le natiche per agevolare l'ingresso, senza più fingere ritrosia da verginella.
Drew si spinse lentamente dentro di lei e calore e umidità lo accerchiarono, le pareti si chiusero intorno al membro e lui liberò un gemito quasi angosciato, afferrandosi ai fianchi torniti della ragazza. Quando l'iniziale sconvolgimento si attenuò, si mosse dentro e fuori dal suo corpo, sempre più veloce, sempre più frenetico, fino a perdere la concezione del mondo che lo circondava.
Si rese solamente conto che Destinee ad un certo punto sgusciò via dalla sua presa e gli urlò qualcosa, arrabbiata; poi si inginocchiò tra le sue gambe e glielo prese in bocca, e succhiò, leccò, gli stuzzicò il frenulo e poi lo ingoiò fino in fondo, fino a toccargli i testicoli col labbro inferiore.
Drew ansò e si svuotò dentro la sua bocca. Destinee accolse ogni fiotto e deglutì, prima di pulirsi le labbra e alzarsi in piedi.
«Ma sei impazzito? Stavi per venirmi dentro!» gli urlò, ma non era più arrabbiata. Faceva la faccia sensuale e accattivante; sapeva di aver fatto un buon lavoro.
«Scusa» mormorò Drew, incapace di pensare del tutto lucidamente.
Poi vide il pavimento bagnato e le cosce di Destinee percorse da rivoletti d'acqua. Destinee gli rivolse la sua migliore occhiata sexy. «Eh sì. Mi hai fatto fare un orgasmo coi fiocchi. Penso mi abbiano sentita in tutta la scuola.»
Drew fece un mezzo sorriso ma si sentiva distrutto. Era stata un'esperienza allucinante che non vedeva l'ora di ripetere.
Destinee gli rivolse un'occhiata strana, quasi esitante. Poi gli si accostò e gli diede un bacio sulle labbra di una dolcezza quasi dolorosa. Quindi, senza aggiungere altro, uscì dal ripostiglio.
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