16. JOSH HA 68 ANNI

La sua perpetua si chiamava Marge. Aveva cinquantotto anni e il fisico di un bue. Riusciva a sollevare casse di trenta chili senza apparente sforzo. Aveva il viso rotondo, il naso a patata e un orecchio a cavolfiore, ricordo di un pugno ricevuto dal fratello secoli prima. I capelli afro erano sempre acconciati in treccine sottili e legati in una coda di cavallo che sbatacchiava sul collo taurino, fitto di pieghe di grasso. La bocca era grande, e quando mangiava si apriva rivelando un forno di denti storti. Le sue mani erano grossi salsicciotti piene di macchie dell'età. Le unghie erano corte e mangiucchiate; le braccia pelose come quelle di uno scimmiotto.

Tuttavia, Josh la teneva al suo servizio da più di dieci anni. Non aveva mai avuto una perpetua, pensava fosse una cosa passata di moda, ma ora che aveva Marge non sapeva come avrebbe fatto senza di lei. Gli puliva la canonica, gli cucinava i pasti, lo aiutava a preparare la particola e il vino per la messa, gli teneva in ordine la Chiesa, spazzandola da cima a fondo. Una volta l'aveva vista arrampicata su una scala altissima per lucidare le vetrate. Josh aveva preso un colpo e le aveva ordinato di scendere.

«Le vetrate si puliscono da sole con la pioggia, non c'è bisogno che ti spezzi il collo» le aveva detto.

«Il mio collo non si spezza così facilmente» aveva ribattuto la donna, «e all'interno queste vetrate fanno schifo.»

Marge non aveva peli sulla lingua, diceva quello che voleva dire senza mezzi termini e senza timore di offendere qualcuno. Per lo meno non cadeva nella blasfemia, altrimenti Josh non avrebbe mai potuto tenerla con sé. Nonostante tutto, Marge era una timorata di Dio. Non aveva mai avuto marito né figli. Viveva ancora insieme alla vecchia madre e prendeva qualche spicciolo facendo lavori saltuari. Josh la pagava bene; sapeva che a sua madre servivano cure mediche e spesso usava anche le donazioni raccolte durante la messa per aiutarla.

Non avrebbe dovuto, lo sapeva bene. In teoria quelle donazioni dovevano essere inviate ai villaggi poveri del Brasile, dove la sua parrocchia stava costruendo una scuola per i bambini. Ciononostante, come poteva occuparsi di bambini distanti e sconosciuti quando la persona che la sua fidata perpetua amava di più al mondo si spegneva pian piano? Dio non avrebbe voluto che lui la trascurasse così.

Quella sera Marge aveva preparato uno stufato di agnello delizioso. Era un'ottima cuoca e Josh spesso le chiedeva perché non avesse fatto della cucina la sua carriera. Marge aveva risposto che non aveva mai passato i colloqui di lavoro, solo perché non aveva una bella presenza. Josh le aveva promesso che ci avrebbe pensato lui; il giorno dopo era andato all'osteria del paese, aveva parlato col proprietario, suo amico nonché fedele assiduo, e lui aveva assunto Marge all'istante.

Si destreggiava tra i due lavori alla perfezione. Non arrivava mai in ritardo alla canonica e Josh trovava sempre un piatto pronto sul tavolo quando rientrava dalla Messa serale.

«C'è da aggiustare il fornello, il gas non va benissimo» gli ricordò Marge, masticando rumorosamente a bocca aperta. «E bisogna anche fare la spesa. Ho preparato la solita lista, mi dica lei se vuole dell'altro.»

«La solita lista va bene, Marge. Come sta tua madre?»

«Oh, si lamenta della sua vita, urla dietro al gatto e gli tira le ciabatte quando sale sul tavolo e vuole mangiare solo quello che dice lei. Ultimamente vuole sempre gelato e sushi.»

«Sta alla grande, quindi» sorrise Josh.

Mentre sparecchiava, Marge comunicò: «Le ho preso il ventilatore nuovo che mi aveva chiesto. L'ho già sistemato in salotto vicino al divano.»

«Prenditi i soldi dal mio portafoglio e aggiungi anche una mancia per il disturbo.»

«Ma che mancia! Già mangio gratis da lei ogni sera...»

«Ma sei tu che ti prendi la briga di fare la spesa e cucinare.»

«Capirai che disturbo, la devo fare anche per mia madre e mia cognata.» Sua cognata soffriva di una malattia degenerativa che la stava paralizzando lentamente. Ora era confinata in sedia a rotelle e non riusciva più a sbrigare le commissioni da sola. Il fratello di Margaret lavorava di notte in fabbrica e passava le giornate a dormire, svegliandosi per l'ora di cena. Di certo non si poteva chiedere a lui, il capofamiglia, di riempire il frigorifero!

«Sei una collaboratrice preziosa, Marge. Sono stato fortunato a trovarti.»

«Ma la smetta, che mi fa arrossire.» Marge prese la sua vecchia borsa di pelle graffiata dal gatto. «Dorma bene e non stia troppo vicino al ventilatore, o le verrà mal di gola e poi non potrà più predicare l'arrivo di Gesù.»

«Buona notte, Marge, e salutami tua madre.»

La perpetua uscì salutandolo con la mano senza guardarlo.

Josh andò ad osservare il ventilatore nuovo. Nella canonica faceva un caldo mostruoso, ma ora finalmente avrebbe avuto un po' di sollievo. Lo accese e si piazzò sulla sua poltrona preferita con un libro in mano.

Erano più o meno le dieci e mezzo di sera quando bussarono alla porta.

«Padre Josh?» chiamò una voce di uomo.

Josh andò ad aprire, strizzando gli occhi. «Sì?»

L'uomo era alto e magro, con lunghi capelli neri e un lungo cappotto scuro. «Posso entrare?»

Josh ci mise un istante a riconoscere quell'accento gallese. «Harris? Quanto tempo!» Non lo vedeva da almeno un mese e mezzo. Spalancò la porta, sorridendo. «Non mi ha più fatto avere notizie. La prego, entri. Vuole qualcosa da bere, qualcosa di fresco?»

«L'ho trovata.»

Josh si immobilizzò. «E come sta?»

«Bene. Ha un figlio.» Harris chiuse la porta alle proprie spalle, senza staccargli quegli occhi spettrali di dosso. «Suo figlio. Il figlio che le ha messo in grembo il giorno che l'ha violentata.»

Josh iniziò a tremare. Non era possibile... Di nuovo quell'incubo tornava a perseguitarlo.

Per settimane aveva pensato di aver solo sognato quello che era accaduto nella sagrestia. Per settimane, fino alla fuga di Alease, si era aspettato di vederla insieme alle sue compagne a cantare. I suoi genitori avevano sempre delle giustificazioni plausibili. "È malata, ha dei compiti arretrati..." Infine suo padre aveva ammesso, con vergogna e stizza: «Dice che non vuole più cantare. Nemmeno le sue amiche sono riuscite a convincerla. Quella stupida...»

Poi lei era fuggita, e i suoi genitori gli avevano detta che era stata messa incinta da qualcuno. Josh si era sentito morire. Allora era vero, era successo davvero. Il velo della rimozione si era squarciato davanti ai suoi occhi e aveva ricordato la folle rabbia, la gelosia strangolante che si erano impossessati di lui quando aveva visto il maestro di canto toccare sua nipote. Nella sua testa aveva immaginato quelle mani vagare sulle carni innocenti di lei; aveva immaginato Alease godere di lussuria. Non poteva permetterlo, doveva fare qualcosa, doveva farla diventare una timorata di Dio, farle temere quello che tutte le donne amavano, perché lei era diversa, era sua nipote, doveva diventare come lui.

Aveva drogato il vino e l'aveva costretta a berlo. Ricordava di avere recitato il Padre Nostro e di averla vista sudare e cadere. Ricordava che lei lo aveva implorato di aiutarla a respirare e lui si era spaventato. Voleva purificarla, non ucciderla! Le aveva slacciato quell'orribile vestito grigio e sotto le mani aveva sentito la morbidezza del suo seno acerbo, quel seno che un altro uomo si era permesso di profanare. Lo aveva tastato e aveva sentito crescere il desiderio. Era stato in quel momento che il Demonio si era impossessato di lui. Era stato il Demonio a peccare, non lui.

Quando tutto era finito, Alease si era alzata, barcollando come un'ubriaca, il sangue che le gocciolava giù per le cosce. Josh, ancora preso dalla frenesia del coito, ansimava e pensava di non avere mai provato un piacere tanto grande. Quasi non l'aveva vista andare via, e dopo non l'aveva vista mai più.

Josh non pensava che quella storia sarebbe emersa. Quando aveva contattato quell'investigatore per ritrovare sua nipote, non pensava che l'avrebbe avvicinata, non pensava che lei avrebbe raccontato quella vecchia storia. Aveva rimosso quel segreto, aveva finto che non fosse successo niente. Ma evidentemente sua nipote non aveva dimenticato.

«Lei non era solo un prete, ma pure suo zio» proseguì Harris. Solo in quell'istante Josh si rese conto che indossava dei guanti neri, e iniziò a tremare. «Non credo esista un uomo più abominevole di lei. Prega il Signore mentre si macchia le mani col sangue di una bambina.»

Josh arretrò fino in salotto. Doveva raggiungere il cellulare, doveva chiamare Marge o la polizia, o qualcuno che potesse venire a salvarlo da quel pazzo! Quello non era più l'uomo posato ed elegante che aveva incontrato settimane prima. Era l'angelo della morte, venuto a riscuotere il suo debito.

«Non so cosa le abbia raccontato Alease, ma io non le ho mai fatto del male» blaterò, la lingua pesante e la gola secca.

«Pensavo che Dio non amasse i bugiardi.»

Harris estrasse una pistola da dietro la schiena e Josh si sentì venire meno. Le gambe smisero di sorreggerlo e crollò a terra, sul pavimento. Iniziò a singhiozzare per il terrore e ad urlare. «La prego, non mi uccida! Non ascolti il Demonio nella sua testa! La pagherò il doppio di quello che le avevo promesso. Non raggiungerò nemmeno Alease, se lei non vuole, la lascerò stare! Non mi ha neanche detto dov'è, quindi è al sicuro!»

Harris gli puntò la canna alla fronte, impassibile.

Josh giocò la sua ultima carta, piangendo senza freni. «Scri...scriverò una confessione, d'accordo? Annuncerò a tutti il mio peccato, mi costituirò alla polizia, ma la prego... non prema quel grilletto.»

Harris tirò indietro il cane. Udendo quel suono, Josh si paralizzò. Era finita, dunque. Stava per morire per uno sbaglio commesso quando non era nemmeno in sé!

Giunse le mani, gridando: «Mi dispiace tantissimo, chiedo perdono!»

Harris lo fissò, ma non c'erano emozioni nei suoi occhi, né rabbia, né gioia sadica. Solo un profondo disgusto. «L'unico che può perdonarla è Dio. Ed è il suo l'unico giudizio che conta, giusto? Ma io non sono così misericordioso.»

Mirò tra i suoi occhi, piegando l'indice sul grilletto. Josh si sentì cedere gli intestini mentre fissava in quel piccolo buco nero. Paralizzato dal panico, non provò neppure a muoversi. Solo la mano tremante salì a tastare il crocifisso d'argento che portava al collo. Le labbra iniziarono a formare una preghiera.

«Padre nost...»

CLIC.

Lo sparo lo assordò e la sua testa balzò all'indietro. La pallottola gli sfondò la fronte, gli perforò il cranio e si conficcò nella parete alle sue spalle. Crollò a terra a bocca spalancata.

«Brucia all'inferno» disse Curt Harris, voltandogli le spalle.

Marge

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