CAPITOLO 1
Prima parte:
La vita è questa.
Nulla è facile.
Niente è impossibile.
Un raggio di luce filtra dalla tenda, è soltanto l'alba!
Ormai è già un bel po' che sono sveglia, non riesco a riaddormentarmi e questo non è da me. Sono ad occhi aperti che attendo la sveglia, ma solo allora potrò partire. Mi agito troppo, e la mia preoccupazione sale di minuto in minuto.
Resto immobile, però, la mia agitazione e la mia insicurezza mi farebbero muovere e alzarmi, ma è rischioso. Anche solo un movimento e mia sorella si sveglia, e dopo chi la sente!
Guardo la proiezione dell'orologio sul soffitto, ancora qualche minuto. Il piano è semplice, ma non sono sicura di riuscirci. Devo solo recitare, ce la posso fare!
Allora, ripetiamo un ultima volta... Evitare di guardare negli occhi chiunque. Immedesimarsi bene nella parte. Mettere da parte le insicurezze e non farsi scoprire. Semplice no?
Faccio quasi un salto, quando sento partire Everytime dei The Kolors a tutto volume. Era ora, ma forse è meglio se la prossima volta abbasso il volume.
Tre, Due, Uno... si va in scena.
«Angelica, spegni la sveglia!»
Io e mia sorella non andiamo sempre d'accordo, in realtà non abbiamo mai avuto un buon rapporto, forse solo in tenera età.
Ora siamo entrambi adolescenti e la situazione sta peggiorando.
Mi alzo controvoglia e la spengo con una smorfia.
Oggi è il primo giorno di scuola e non c'è giorno peggiore. L'autunno è già alle porte e non riesco ad essere anche solo minimamente felice. Per me la scuola non è altro che un carcere tutto grigio, con l'intonaco cadente e i banchi scomodi.
Solo pensare che tra poche ore dovrò andare in una nuova scuola, con nuovi compagni, nuovi insegnanti e nuove materie, mi vengono i brividi. Dopo ciò che ho vissuto alle medie, non voglio sentire nemmeno nominare le superiori.
Per mia sorella invece è tutto un gioco, ma non sa cosa incontrerà nel suo primo anno di medie. Magari mi sbaglio, magari lei si troverà bene. Dopotutto io e Alice siamo due poli opposti, ma opposti sul serio.
Mia sorella alza le coperte e si mette in piedi di scatto, sfoderando tutto il suo entusiasmo contagioso per il giorno, ora tocca a me. Anch'io faccio comparire un mezzo sorriso sul mio volto, e nel vedermi i suoi occhi si illuminano di gioia.
«Ѐ il grande giorno... è il grande giorno» grida venendomi ad abbracciare. Subito il suo entusiasmo mi investe come una ventata fresca sul viso, violenta e rapida. Neanche il tempo di rispondere che lei si stacca e comincia a saltellare come una cerbiatta per tutta la casa.
Vado in bagno e poi mi vesto in velocità. Mi metto la mia collana preferita, afferro lo zaino e infine scendo ad affrontare la parte più complicata del mio piano: la mamma.
Lei è un segugio e sa sempre quando qualcosa non va, legge nello sguardo. Per questo mi preoccupo, devo riuscire a nascondergli il mio disagio e la mia paura, perché è proprio questo ciò che sento: una tremenda paura.
Scendo in fretta le scale, e saluto con un sorriso falso la mia famiglia riunita intorno allo stesso tavolo. Evito di guardare negli occhi, ma nessuno sembra essersi accorto del mio insolito comportamento. Perfetto!
Bevo il mio tè in silenzio mentre tengo d'occhio mio padre, immerso nella lettura del giornale e mia madre intenta a versare il caffè nella tazza.
«Vi porto io, solo per oggi, in macchina» esclama tutto ad un tratto mio padre, distogliendo lo sguardo da giornale. Sia io che mia sorella annuiamo con un segno della testa.
Il piano va a gonfie vele, ma sono comunque agitata e mentre mi infilo le scarpe le mie mani cominciano a tremare visibilmente. Sento una sensazione mai provata, nego a me stessa, mento a me stessa, facendo finta di non sapere da cosa è dovuta. In realtà, nel profondo, sono ben consapevole di cosa si tratta. Ѐ paura, ma questa volta diversa. La paura di affrontare quel sentimento che da tempo mi opprime, schiacciandomi l'anima: la solitudine.
Ecco cosa mi tormenta, forse sono un po' superficiale per la gente normale, ma per una come me no.
«Vado a svegliare Giacomino, buona scuola tesori miei» afferma mia mamma schioccando un bacio sulla guancia a tutte e due, prima di salire al piano superiore a svegliare mio fratello.
Usciamo di casa e subito un venticello fresco mi investe, l'autunno si fa già sentire. Le foglie si colorano e una ad una cadono libere dagli alberi, colorando i marciapiedi. Vedere questo spettacolo mi rilassa, e distende i miei muscoli irrigiditi.
Il paesaggio scivola sul finestrino come un film, ed io resto a fissare fuori mentre mia sorella canticchia e mio papà fischia a ritmo della musica.
Le foglie sono costrette a cadere, ma sono libere di riposare dove vogliono. Anch'io sono costretta ad affrontare la mia paura, ma sono uno spirito libero e posso fare della mia paura un peso o un soffio leggero di vento, devo solo volerlo.
La macchina frena di scatto e mi fa tornare alla realtà, scendo e saluto in fretta.
Mi guardo intorno spaesata e disorientata, da un lato vorrei vedere delle facce conosciute, ma dall'altro preferisco non vedere nessuno. Non scorgendo nessun viso conosciuto, mi avvio verso l'enorme edificio bianco. Il mio nuovo liceo scientifico, il mio nuovo luogo di tortura. Ce la posso fare, dopo tutto sono solo cinque anni...
Resto con lo sguardo perso ad osservare l'edificio, e non mi accorgo della piccola folla aggregata proprio all'entrata. Involontariamente pesto la scarpa ad uno sconosciuto e gli vado anche addosso.
Torno in me stessa e immediatamente sento caldo sulle guance per l'imbarazzo. Abbasso lo sguardo colpevole, farfugliando uno «Scu-sa» mortificata. Cominciamo bene la giornata, insomma.
Lo sconosciuto mi osserva intensamente, prima di sistemarsi la scarpa. Sento il suo sguardo attento su di me. Istintivamente alzo lo sguardo e i miei occhi verdi incontrano due del colore del mare, blu acceso e intenso, da mozzare il fiato. Si passa una mano nei capelli biondi tutti spettinati e mi sorride tranquillamente.
«Tranquilla, è tutto a posto non preoccuparti» resto sorpresa dalla sua gentilezza e nel modo educato di comportarsi, non avevo mai incontrato nessuno così. Mi sarei aspettata di ricevere una risposta sgarbata, del tipo "Guarda dove metti i piedi" o anche peggio, non questa.
Lui dopo avermi rivolto un ultimo timido sorriso si volta e rivolge la sua attenzione altrove.
Rimango in silenzio e osservo attenta i volti intorno a me, adolescenti che come me vengono qui per la prima volta, oppure che ripetono l'anno.
Non so come comportarmi, sono scombussolata.
Veniamo portati dentro l'edificio che si mostra in tutta la sua imponenza e struttura. Poi veniamo chiamati uno ad uno per nome e ci dividono per le cassi.
Stare chiusa tra queste mura è opprimente, e vedere da ogni parte muri bianchi perfettamente lindi rende l'aria irrespirabile. La nostra professoressa ci porta nella nuova classe e ci fa accomodare nei banchi, anche questi perfettamente puliti e lucidati.
Prendo posto vicino alla finestra per guardare fuori in caso di noia, vicino a me un posto vuoto ma spero rimanga così per molto tempo.
Guardo fuori dalla finestra e osservo il parco verde dietro la scuola. Sembra esserci molta vita tra gli alberi, da qui riesco ad osservare bene tutte le piccole creature. Faccio appena in tempo a scorgere tra le foglie un piccolo Pettirosso indaffarato, che una mano sulla spalla mi riporta bruscamente sui banchi di scuola.
«Ѐ libero questo posto? Posso sedermi?» mi chiede una ragazza con gli occhi azzurri e i capelli corti e biondi, irrimediabilmente mi scappa dalla bocca un flebile «Si» accompagnato da un segno con la testa.
Non so perché l'ho fatto, ma non voglio rimuginarci troppo sopra. Con la coda dello occhio la osservo e noto che possiede delle lentiggini sulle guance che gli addolciscono lo sguardo. Mi ricorda qualcuno, ma più la mia mente tenta di ricordare più questa sensazione svanisce.
Il mio sguardo cade sul suo collo, dove porta una collana che mi ricorda molto la mia. La catenella argentata e un ciondolo simbolico, però è diverso rispetto al mio.
Non ricordo con esattezza come l'ho ricevuta, ma da quella volta non la tolgo mai, solo di notte. Ѐ stato troppi anni fa, quando ero ancora una bambina felice e spensierata.
La professoressa fa di nuovo l'appello, ma stavolta al nostro nome dobbiamo alzarci.
Comincia ed io già non ricordo i nomi, siamo tanti in classe. Passano i nomi e le facce, fino ad una conosciuta.
«Eleonora» la mia nuova compagna di banco si alza e si fa vedere alla classe.
«Lorenzo» vedo lo sconosciuto alzarsi dall'altra parte della classe, e passarsi una mano nei capelli nervosamente, per poi risedersi.
Il mio turno arriva un po' dopo.
«Angelica» mi alzo di scatto dalla sedia, che con un sonoro e fastidioso stridio striscia sul pavimento. Cerco di rimanere calma, mentre guardo un punto indefinito dell'aula. In seguito mi risiedo facendo altrettanto rumore.
Il mio imbarazzo sale alle stelle e le mie guance si colorano, un'altra volta, di rosa scuro. Noto alcuni sguardi divertiti rivolti nella mia direzione, in questo momento vorrei solo scomparire.
Guardo fuori dalla finestra per cercare di calmarmi e rendermi invisibile.
Non riesco a stare attenta. Anche se non è una vera e propria lezione, ma solo una presentazione delle attività e dei professori. Oggi la mia mente si trova ovunque fuorché qui dentro, non riesco a seguire neanche un minimo discorso.
L'aula è un po' troppo piccola per così tanti studenti, e inoltre è tutta bianca da far venire il mal di testa. C'è solo la lavagna interattiva e qualche a pendino per le giacche dalla parte opposta della classe. Gli unici colori vivaci sono gli zaini e i vari oggetti sui banchi degli studenti.
«Signorina, mi sta seguendo» ad un tratto mi ritrovo lo sguardo della professoressa addosso, insieme a quelli di tutta la classe. Sono fregata.
«Signorina...» l'insegnante guarda il registro per identificarmi, «Preo, stava seguendo la lezione immagino» acconsento con il capo. Ora si che sono nei guai. Niente male come primo giorno di sventura, ci mancava solo questa.
Ricordo una situazione analoga a questa, alle medie. L'ultima volta non stavo seguendo la lezione di storia, e tutto ad un tratto venni richiamata dalla docente che mi fece una domanda a cui, ovviamente, non seppi rispondere. Ricordo le risate dei miei compagni e il mio completo imbarazzo, oltre che la faccia arrabbiata della prof. Purtroppo sono destinata a fare queste brutte figure anche qui, e proprio come avevo previsto, non ci sarà nessun punto di svolta.
«Bene, allora mi dica la materia che tratterò nelle mie lezioni scolastiche?» vado completamente in panico, non oso distogliere il mio sguardo terrorizzato dal suo scocciato. Sto per rispondere a caso quando sento bisbigliare "Letteratura Italiana", guardo la mia compagna di banco che mi fa cenno di rispondere.
«E lei non suggerisca, signorina vicina di banco, ha capito?!» la mia compagna di nome Eleonora, mi pare, è costretta ad abbassare la testa e a tacere.
«Avanti, risponda» sembra sempre più impaziente e stufa, «Letteratura Italiana» tento socchiudendo gli occhi, pronta per le risatine e le frecciatine. Qualcosa va storto, perché alle mie orecchie non arriva nessuna risata. Nessuno fiata nella classe e la lezione riprende dopo uno sguardo assassino dedicatomi dalla prof.
Riprendo fiato, non mi ero nemmeno accorta di aver trattenuto il respiro.
Ancora scioccata per l'accaduto, mi rivolgo alla mia vicina «Grazie, mi hai appena salvato la vita, sono in debito»
Lei mi dedica un sorriso compiaciuto «Ma ti pare, sono certa che tu avresti fatto lo stesso», in seguito ci presentiamo l'un l'altra per poi essere riprese per l'ennesima volta dall'insegnante. Ma adesso so di poter contare su qualcuno, su una compagna di sventure.
Alla fine di queste quattro ore, durate quasi un eternità, la campanella si decide a suonare. E così mi ritrovo fuori dalla prigione ancora intatta e alquanto scioccata per ciò che è appena accaduto. Sono stata salvata da una compagna di classe e per la prima volta il fato, o destino, ha deciso di regalarmi una giornata positiva, per ora.
Un venticello fresco mi accarezza il volto e mi fa volare i capelli. Mi incammino al cancello respirando profondamente, ritrovando la calma, e proprio prima di varcarlo, una mano sul braccio mi blocca.
«So che ci conosciamo da molto poco, ma mi chiedevo se ti andava di fare un pezzo di strada insieme?» Eleonora mi osserva attendendo una risposta.
Rimango spiazzata dalla sua richiesta, ma non posso rifiutare.
La sua figura snella mi indica la strada, che per un pezzo è anche la mia e così decido di incamminarmi verso casa, per la prima volta con qualcuno.
Neanche il tempo di fare un passo, che lei mi blocca di nuovo.
«Devo aspettare mio fratello, non posso andarmene così. Ti assicuro che non sarà un disturbo» afferma preoccupata, forse pensa che abbia fretta. In effetti, non è che mi tranquillizzi molto rimanere all'entrata ed essere travolta dai ragazzi più grandi.
Attendiamo qualche minuto incollate al cancello per non essere spintonate, finché un ragazzo dalla folta capigliatura bionda e tutta spettinata non si avvicina.
«Oh... eccolo, Lorenzo siamo qua» ci raggiunge con rapidità e non appena incontro i suoi occhi mi irrigidisco di nuovo. Ѐ il ragazzo di sta mattina, com'è possibile? Che sia solo un'assurda coincidenza?
«Angelica, ti presento mio fratello gemello» lui mi guarda stranito, ma poi si apre in un sorriso tranquillo «Piacere di rincontrarti, Angelica» mi porge una mano e io lo guardo come se fosse un alieno. Tutte io le devo fare le figuracce, evidentemente quella di sta mattina non è bastata.
Mi riscuoto e gli prendo debolmente la mano, che rimane salda sulla mia. Il suo calore mi fa riprendere completamente.
«Pia-cere» mormoro a bassa voce, basta questo per farlo sorridere raggiante.
Questo ragazzo ha una tranquillità disarmante. Con fatica mollo la stretta e mi allontano un po'.
Non ho mai avuto un buon rapporto con i ragazzi. Ricordo un ragazzino delle medie con cui avevo instaurato un rapporto di amicizia, all'inizio. Col passare del tempo è cambiato e mi vedeva solo con malizia, che poi si è trasformata in disgusto grazie ai commenti poco eleganti di alcune mie vecchie compagne. Cerco di dimenticare questi ricordi e rivolgo lo sguardo avanti, sulla strada. Ci incamminiamo velocemente allontanandoci dalla folla.
«Ma vi conoscete già voi due?» Eleonora domanda ad entrambi con uno sguardo strano. Cosa le devo dire "Tuo fratello è lo sfortunato sconosciuto, a cui sta mattina ho quasi tolto una scarpa, per colpa della mia testa tra le nuvole", per fortuna ci pensa lui a rispondere per entrambi «Diciamo che sta mattina abbiamo avuto un breve incontro, non ti preoccupare sorellina» lei a queste parole sembra più rilassata.
Continuiamo a camminare, e in questo breve viaggio spunta fuori il carattere esuberante di Eleonora. Lei parla e io mi limito ad annuire di tanto in tanto. Mentre, il fratello rimane in disparte in tutta la sua tranquillità e serenità.
Più li osservo e più mi sembrano uguali, a parte i caratteri cosi differenti, di aspetto sono molto simili. Stessi occhi e stesso colore dei capelli, i lineamenti sono dolci allo stesso modo, ecco perché sta mattina in classe Eleonora mi ricordava qualcuno.
Ad un tratto, però, una sensazione strana disturba la mia tranquillità appena ritrovata. Mi sento come osservata. Il mio respiro diventa irregolare e comincio a guardarmi intorno nervosa. Sono sicura che non sia una sciocchezza, a meno credo. Mi guardo dietro, davanti e ai lati della strada, fino a quando il mio sguardo non incontra due pozzi neri.
Due occhi scurissimi che mi guardano gelidi, questi appartengono ad un ragazzo circa sui vent'anni, penso. Ci osserva con insistenza, come se volesse guardarci dentro e divorarci l'anima. Mi mette paura, più lo osservo e più sono sicura stia cercando qualcosa, ma cosa?
Ѐ difficile notarlo da qua, si trova in un piccolo vicolo tra due edifici appoggiato ad uno di essi. Rimane immobile a braccia incrociate, finché non nota qualcosa vicino a noi che gli fa spalancare gli occhi. Scruto in torno a me, cercando di capire cosa sia.
Da dietro Lorenzo si avvicina e mi afferra per le spalle, per poi fare lo stesso con la sorella. La sua stretta forte verso avanti mi riporta alla realtà.
«Camminate avanti, senza voltarvi, quel tizio non ha sicuramente buone intenzioni... Angelica guarda avanti» mi costringo a non voltarmi, anche se la mia curiosità vorrebbe voltarsi ancora una volta.
La sorella sembra confusa, all'inizio, ma poi annuisce senza obiettare.
Quando le nostre strade si dividono ad un bivio, ringrazio entrambi e mi dirigo verso casa da sola con i miei pensieri.
Cosa è successo oggi? Chi era quel ragazzo? Aveva davvero cattive intenzioni? Ma soprattutto cos'ha ha visto di tanto sconvolgente? Penso che non avrò pace tanto pesto.
Qualcosa sta per cambiare, ma un incredibile senso di angoscia mi stringe il petto.
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