Il duca di Caladan

Tornato al quartier generale presso le Klosslands, dopo la riunione con D'Acy e gli altri, Poe scrolla le spalle e fa roteare il capo, massaggiando le vertebre cervicali. La stanchezza si fa sentire tutta, in quella che è la prima interminabile giornata dopo la vittoria. La commemorazione per Snap prima, la difficoltà di fare i conti con i propri pensieri poi. La chiacchierata di qualche ora prima, con Din Djarin, lo ha rinfrancato; il mandaloriano è riuscito a infondergli coraggio con il suo fare pragmatico e l'arte di saper sempre dosare le parole con cura.
Poco dopo, Finn lo raggiunge a grandi falcate, posandogli una mano sulla spalla con aria concitata e il fiato corto «Poe, ci sono novità: abbiamo ricevuto un'olo trasmissione, si tratta di una richiesta d'aiuto proveniente da una navetta in transito dal vicino sistema di Arrakis.»

Poe si sente avvampare al nome del pianeta «Fammi vedere» quasi ordina a Finn che dal suo comlink proietta il messaggio. L'olo trasmettitore rimanda una figura fiera e snella dai lunghi capelli ondulati e gli occhi limpidi come il Mar d'Argento di Chandrila. Poe Dameron sbianca, cercando di non dare a vedere il palese disagio che lo coglie.

«Generale Organa, sono Paul Atréides, figlio del duca di Caladan. Chiedo aiuto alla Resistenza contro le continue incursioni di Giedi Prime. Gli Harkonnen attentano di continuo alle vite dei civili e a quelle della Casa Atréides, i nuovi reggenti di Arrakis. Mio padre, Leto il Giusto, tratta con benevolenza e rettitudine il popolo dei Fremen: li vuole liberi dalla schiavitù con la quale Casa Harkonnen li ha a lungo oppressi. Il barone è un uomo avido, simile a Lord Sidious. Vi prego di intervenire in nostro soccorso in nome dell'amicizia che legava vostro padre, il senatore Organa, a mio nonno Paulus.»

I due generali ascoltano l'accorato messaggio del giovane e dunque si guardano in attesa che uno dei due pronunzi per primo il suo parere.

«Siamo reduci da una guerra che dura da decenni con Palpatine, e ridotti all'osso!» obietta Poe per primo.

«Lo so, ma non possiamo abbandonarli, Poe. Insomma, che ti prende? Sei pallido come un cencio, pare tu abbia visto un fantasma!»

Quello scuote il capo e con una mano si stropiccia il viso ispido di una barba incolta di giorni. Nemmeno le pesanti occhiaie che gli cerchiano il volto possono celare la sua espressione di disappunto, e non solo di stanchezza.

«Il punto è che la nave è già nel sistema di Cademimu. Stanno arrivando qui. Pare che il ragazzo sappia il fatto suo e non si lasci scoraggiare da una mancata risposta» insiste Finn

Testardo... come solo un Atréides sa essere, riflette Poe. «Che atterri; se ne tornerà da dove è venuto, carico di meraviglie!» sbuffa, diringendosi di gran carriera verso la sua capanna. «Ah! E... a proposito, sarai tu a dare il benservito al principino che si presenta senza preavviso. Le nostre navi hanno bisogno di tempo per la manutenzione; cadono a pezzi! Io non voglio beghe.» lo liquida senza nemmeno guardarlo.

«Questo è il tuo modo di risolvere i problemi, generale? È questo?» sbraita Finn allargando le braccia e portando le mani ai fianchi. «Sai che ti dico? Vattene al diavolo!»

Assicuratosi che l'ex assaltatore si sia allontanato, Poe esce dal suo alloggio guardingo e sgattaiola attraverso la vegetazione, accertandosi di non essere seguito da anima viva, stavolta. Arriva su un altopiano che offre la visuale sullo spazioporto designato all'attracco della navetta che trasporta la delegazione proveniente da Arrakis.

«BB-8» chiama il suo droide dal comlink, «BB-8, mi ricevi?» all'altro capo l'astromeccanico cinguetta qualcosa nel linguaggio binario, all'indirizzo del suo proprietario.

«Trasmettimi ciò che i delegati di Arrakis dicono a Finn e al comandante D'Acy»

Poco dopo, una navetta da ricognizione leggera atterra sulla piattaforma di sbarco. Quando la rampa di carico cala sulla landa polverosa, solleva una nube di terra dalla quale fuoriesce prima un uomo tarchiato e di mezza età, successivamente, avvolto da una tuta distillante, un giovane alto e snello lo segue. Poe li osserva attraverso un binocolo.

Ciocche ritorte, del colore della cioccolata, sono appena smosse dall'incedere fiero del ragazzo. L'incarnato niveo è esaltato da due iridi smeraldine che non somigliano affatto a quelle di ossidiana di suo padre. Tutto il resto sì, però. Il fisico asciutto, la mascella definita e due labbra identiche a quelle del genitore, a cui Poe ripensa, così piene e invitanti che il ricordo che rievocano è quasi doloroso. Tanto che, allontanato il cannocchiale, emette un grosso sospiro e si flette sulle ginocchia col fiato spezzato da una fitta al costato.

È tuo figlio, per il Creatore! Ti somiglia così tanto. Cosa avrei dato per rivederti anche solo un'altra volta. Una sola...
Indugia fin troppo in quei pensieri fuori luogo, poi riprende l'osservazione. Finn e D'Acy accolgono il giovane e il suo accompagnatore nelle Klosslands, nella sala riunioni, dove lo informano innanzi tutto della dipartita del generale Organa e del nuovo assetto militare. Dopodiché il ragazzo spiega la tragicità degli attacchi che il suo popolo subisce regolarmente da parte del barone Vladimir Harkonnen. Poe ha ascoltato tutto con attenzione, attraverso la trasmissione del suo fidato amico meccanico.

È solo dopo l'imbrunire, quando è certo che tutti siano scesi al refettorio, che Capo Nero fa ritorno al suo alloggio alla chetichella. Ha deciso che rimarrà rintanato per evitare l'incontro con Atréides.

Durante il desinare, Paul chiede del generale Dameron «Siete stati molto gentili a offrirvi di ospitarci per la notte. E grazie per l'aiuto offertoci, mio padre e la nostra gente non lo dimenticheranno. Ci dispiace non essere potuti intervenire in vostro aiuto su Exegol, e ci dispiace immensamente per la principessa Leia. L'assedio degli Harkonnen non ci permette di allontanarci.»

«Tuo padre deve essere molto fiero di te!» esclama Finn.

Paul sorride mestamente, abbassando lo sguardo. «Perdonatemi, c'è una persona che desiderei ancora incontrare: si tratta del vostro pari in carica, il generale Dameron. Ai tempi in cui erano ragazzi, egli fu l'istruttore di volo di mio padre. Vorrei conoscerlo e porgli i miei omaggi.»

Il comandante D'Acy deglutisce, a quella richiesta.

«Davvero?» chiede Finn incuriosito, «non sapevo di questo dettaglio.»

«Sì, successe durante una estate di poco più di vent'anni fa» precisa Paul. «Sapete quando posso incontrarlo? Ho promesso a mio padre di rientrare al massimo domani, quindi partirò all'alba.»

«Ragazzo, mi spiace, ma non so se ci raggiungerà» interviene il comandante D'Acy «Poe è molto provato dalla battaglia, ha un braccio rotto ed è di pessimo umore. Il suo squadrone ha subito ingenti perdite e sta cercando di superare il lutto per coloro che erano prima di tutto amici. In maniera... privata ecco. Non è nemmeno venuto a cena.»

Paul rigira la forchetta nella sua scodella e non può mascherare la delusione che gli si dipinge in volto.

«Non averne a male, Paul. In questi giorni Poe è intrattabile, non è lui. Non ti farebbe una bella impressione, dammi retta. Tuttavia ti ho promesso il mio aiuto e non verrò meno alla parola data. Sono certo che ci sarà occasione di fare la conoscenza di Capo Nero» Finn cerca di rincuorare il loro ospite che abbozza un sorriso sul bel viso delicato.

È notte fonda ormai all'accampamento della Resistenza. Paul, dimessa la tuta distillante, veste abiti civili. Quando sente russare pesantemente Thufir Hawat, dalla cuccetta adiacente alla propria, sguscia fuori dalla nave e si dirige tra tende e baracche. Si ferma al centro del piccolo agglomerato e chiude gli occhi: spera in una visione che gli indichi la posizione di Dameron.
Avverte nervosismo e frustrazione allo stesso tempo. Sa che quell'uomo ha fatto soffrire suo padre, in passato. È cosciente del fatto che la loro relazione non è stata un affare di poco conto. Colui che per gli altri è un eroe, per Paul è solo un farabutto da guardare negli occhi! La visione non tarda ad arrivare e, in men che non si dica, Paul trova l'alloggio di Capo Nero. È buio e si intrufola di soppiatto. Ha con sé del melange con il quale è pronto a stordire il generale, se dovesse opporre resistenza. Gli dirà tutto! Del resto la spezia fa miracoli, si sa! Fa parlare i muti, udire i sordi e vedere i ciechi. Tutti cantano, sotto i suoi effetti.

Paul ispeziona la stanza: l'alloggio sembra vuoto, il giaciglio è intatto, ma Paul decide di frugare più a fondo. Tra gli effetti personali trova uno zaino consunto contenente, tra le altre cose, dei crediti e cambi di vestiti. La sua ricerca spasmodica non lo porta a nulla, così si concentra nuovamente e un'altra visione lo indirizza sotto il materasso, dove nella federa sdrucita di un guanciale è nascosto alla bell'e meglio un quadernetto.

Paul lo sfoglia: è un diario; un diario di guerra che ha iniziato a scrivere a sedici anni, quando è scappato di casa alla volta di Kijimj.
È tra quelle pagine ingiallite che il giovane apprende del contrabbando di spezia, delle attività illegali di Dameron, di qualche avventura amorosa.
Tiene soprattutto il conto delle date delle battaglie più significative, quelle in cui ha perso degli amici per colpa dell'Impero, quella in cui ha perso sua madre.

Tra quelle righe che lo annoiano e lo irritano insieme, quando non se lo aspetta più, Paul ne trova alcune indirizzate a suo padre. A Leto!

Le mani del ragazzo fremono, quasi non trova il coraggio di proseguire la lettura. Prende un respiro e procede: deve sapere.

Te ne sei andato nel caldo mezzogiorno di un'estate infuocata, la più ardente della mia vita!
Ho seguito con lo sguardo il trasporto che ti ha portato via da me per sempre, nell'azzurro beffardo di un cielo terso che mi irride. Il fulgido sole che ti scaldava la pelle, insieme ai miei baci, mi schiaffeggia in pieno viso. Mi fanno male gli occhi, perché vai via. Mi fanno male gli occhi perché ho voglia di piangere. L'ho fatto ieri notte, mentre sotto la pioggia battente ti aspettavo nell'hangar per il nostro ultimo appuntamento. Per la nostra ultima volta insieme, fa talmente male scrivere la parola "ultimo" tra te e me. Ho pianto mentre t'aspettavo, ma tu non te ne sei accorto perché ero fradicio di pioggia. E poi t'ho preso il mento tra due dita e t'ho morso piano, ridendo sulle tue labbra belle e seguendo il profilo della tua mascella mentre mi offrirvi il tuo collo, arrendevole e fiducioso, ché io male non te ne avrei mai fatto. E invece te ne ho fatto. Ho toccato il cielo insieme a te, sapendo di doverti dire addio. Avrei potuto comportarmi da persona di buon senso, ma non ne posseggo. Io solo distruggo tutto ciò che amo. E lo giuro che ti amo. Avrei voluto dirtelo ogni volta che ti donavi a me senza riserve. Avrei voluto dirtelo che ti amo e invece ti ho detto solo addio. Noi due non siamo possibili.

E ancora.

Stasera, dopo anni nei quali mi sono imposto di non pensare, ti voglio ancora. Le ferite bruciano e mi scopro capace di piangere, quando resto solo. Per tutti coloro che ho perso. Perché ho perso te, unico amore non speso di una vita vissuta a metà. Che non ho potuto vivere alla luce del sole insieme a te. Sei diventato esattamente ciò che sapevo: un uomo d'onore. Ho visto tuo figlio! Per il Creatore se ti somiglia! Gli occhi del colore della speranza e, sul viso, il sorriso sognante di una gioventù ancora capace di credere nei desideri. In quelli inconfessabili che sognavamo, uno nelle braccia dell'altro, senza potercelo dire. È così bello il tuo Paul, mi ricorda il ragazzo impacciato che mi guardava di sottecchi, nascondendo il viso paonazzo dietro la lunga chioma, che lasciavi ricadere in avanti mentre io, da puttana sfacciata quale sono sempre stato, mi divertivo a sedurti con lentezza esasperante, fino a che ti sentivo supplicarmi per quanto mi volevi. Che cosa darei per correre da te. Per un solo respiro ancora dei tuoi capelli. Per sentire ancora il tuo mento irsuto di barba appena spuntata graffiare il mio petto mentre scendi nel paradiso. Tutto intorno a me è morte, orrore. Chiudo gli occhi e rivedo l'esplosione delle navi dei miei compagni. Nel naso ho ancora la puzza di bruciato, il tanfo della morte che non mi ha preso per un soffio. Nemmeno lei mi vuole. Ho paura. Non c'è che freddo e dolore intorno a me ed è per questo che la memoria mi gioca un brutto scherzo e mi riporta all'unica volta che davvero sono stato amato, dopo che mamma se n'è andata. Ci sono solo le tue braccia. I tuoi occhi. Dove sono? Ho bisogno di te, fa tanto freddo qui. Dove sono le tue braccia? Leto, vieni a prendermi, ti prego.

Gli occhi di Paul si riempiono di lacrime. La rabbia lascia posto alla compassione per chi ha visto morire sotto i propri occhi i più cari compagni, ma non ha il tempo per quei pensieri. Una voce lo sorprende nel buio.

«Voltati lentamente con le mani in vista, altrimenti ti pianto un proiettile in mezzo alla fronte.»

Paul lascia cadere in terra il quadernetto e lentamente si volta, fronteggiando a testa alta il suo avversario.
Nei suoi occhi, lo sguardo di sfida verso Capo Nero che gli tiene il blaster puntato in faccia.

Angolo Autrice:

A volte ritornano. Un passato lontano si riaffaccia nel momento più nebuloso del presente di Poe, colpito, come molti, dagli innumerevoli lutti di una guerra dove non ci sono vincitori, a conti fatti. Dove la libertà ha l'amaro retrogusto del vuoto. Tuttavia quel passato ha ancora bisogno di lui. Una richiesta di aiuto, giunta da molto lontano, può cambiare forse le sorti di un destino già deciso. Può riaccendere, forse, la scintilla di speranza che serve per ripartire, dopo tanto dolore.

A presto 🧡.

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