Capitolo 15
Attenzione: in questo capitolo è presente una scena non-con, niente di troppo grafico, come detto all'inizio, ma mi pareva giusto avvertire.
Si rigirò nel letto, le palpebre pesanti e il corpo indolenzito, la sensazione del cotone fresco sulla pelle non gli dette alcun sollievo. Sugawara mosse appena il capo scandagliando quella camera estranea. Si fissò il polso cercando di attivare il proprio potere senza tanta convinzione, ma si accorse che era sempre inibito. La radiosveglia sul comodino segnava le 8.14.
D'un tratto sentì un rumore di passi avvicinarsi e il panico gli salì fino al petto e alla gola, strinse le cosce come reazione istintiva, cercando di cancellare invano ciò che era successo poche ore prima.
La porta si aprì e Miya Osamu fece il suo ingresso nella stanza; avanzò con calma e si sedette sulla sponda del letto per poi poggiare delicatamente una mano sul petto del ragazzo più giovane, al di sopra delle lenzuola. Suga s'irrigidì all'istante, evitando lo sguardo dell'altro con fermezza.
"La notizia è arrivata ora, quattro alunni del terzo anno del liceo Karasuno, una bambina di otto anni e Sawamura Daichi non sono più rintracciabili all'interno del Distretto, si sospetta siano fuggiti durante la notte." sospirò con una certa noncuranza, come se tutta quella faccenda fosse un incidente d'importanza secondaria. " Per fortuna ti ho impedito di compiere una sciocchezza, fuggire lontano dal Distretto e da me per diventare un reietto sarebbe stata la tua rovina, ti saresti pentito in seguito." si chinò leggermente verso il ragazzo e Suga ebbe fremito sgradevole, le memorie della sera prima ora più vivide che mai.
Aveva cercato di baciarlo, per poi atterrarlo sul pavimento duro del suo studio. Suga aveva tentato di usare il suo potere, ma si accorse troppo tardi che il dottore l'aveva preceduto inibendolo. Ciò però non significava che adesso fosse inoffensivo, poteva ancora lottare. Il ragazzo prese a tirare calci da cui Miya non poté difendersi, tanto che fu costretto ad arretrare. Suga tentò di alzarsi ma Miya, dimostrando una forza e una determinazione impreviste, lo afferrò di nuovo per il braccio, poi gli parlò, il solito tono di voce inflessibile, anche se un po' affannato:
"Puoi uscire adesso da questa stanza, puoi sfondare la porta e correre via, se ci riesci, ma ci metterò un attimo ad allertare le autorità di guardia e bloccare qualsiasi piano abbiate preparato, basta un mio cenno e i tuoi amici e il tuo fidanzatino sono rovinati, pensaci bene, Koushi, io avrò quello che voglio in ogni caso, sta solo a te decidere se salvarli oppure no".
Sugawara strattonò via il braccio ma pur essendo libero non riuscì a fare più di due passi. Giunse ala porta, comunque chiusa a chiave e vi appoggiò la fronte, una muta dichiarazione di resa. Miya sembrò capire e lo raggiunse, poggiandogli le mani sui fianchi e posando un bacio sulla sua nuca, mentre sussurrava: " Bravo ragazzo."
" Lo capisci, vero? L'ho fatto per il tuo bene, so cosa è meglio..."
" No" intervenne Sugawara " Tu non puoi sapere cosa è bene per me, tu non sai niente.."
" Stavo parlando, Koushi. Ti sarei grato se non m'interrompessi.." disse, il tono irremovibile e severo, acuminato come un pugnale, del tutto diverso da quello soave e conciliante che usava di solito durante le loro sedute, quel tono con cui gli aveva soffiato parole melliflue all'orecchio la sera prima, mentre lo possedeva contro la sua volontà, egoista ed impulsivo come un adolescente alla sua prima cotta.
Quell'uomo era un sociopatico, adesso Koushi ne era certo. Aveva due, o forse anche più facce, era ottusamente convinto di essere nel giusto e sembrava completamente privo di empatia e di rimorso.
Quando l'aveva portato in quella camera e l'aveva fatto sdraiare sul letto, l'aveva travolto con un mare di complimenti su quanto fosse magnifico, bellissimo, perfetto, l'aveva percepito sorridere contro il suo collo mentre lo baciava e succhiava con troppo entusiasmo. Koushi aveva trattenuto un moto di disgusto quando aveva sentito quelle mani toccarlo ovunque, con una foga irruente e impacciata, non certo adatta ad un uomo di quell'età, uno che mostrava sempre tanta compostezza in pubblico. Koushi si chiese seriamente se avesse mai davvero toccato qualcuno, mentre riusciva a stento a ricevere quei baci bagnati, senza mai ricambiarli pienamente. Perlomeno si sforzò di prepararlo, con la rigida meticolosità di chi ha studiato certe cose solo su pagine scritte, nello stesso modo in cui gli ripeteva "ti amo", una nenia reiterata all'infinito, come se tutto ciò potesse bastare a sistemare tutto, a rendere quell'atto diverso da ciò che era, romantico e desiderato invece che forzato. Sentì comunque dolore quando lo penetrò con l'impellenza di chi si è trattenuto per anni. Koushi cercò di estraniarsi concentrandosi su un punto qualunque della parete e pensando a Daichi, mentre un uomo a lui sconosciuto ( a questo punto poteva ben dirlo) faceva ciò che voleva del suo corpo, celandosi dietro il baluardo di un amore fittizio.
Koushi tornò al presente quando percepì Miya prendergli dolcemente la mano, carezzandone il dorso col pollice e premendovi le labbra.
"Ci vorrà solo tempo, presto ti abituerai e imparerai ad amarmi come già ti amo io."
Il ragazzo più giovane non replicò, sia per non suscitare un'altra reazione imprevedibile, sia perché troppo esausto per formulare alcunché. Miya continuò:
"Adesso devo andare, mio fratello sta già dando in escandescenze per quanto successo, dovrò calmarlo così sarà lui a trattare coi media e con le autorità che ci staranno addosso. Vorrei che tu nel frattempo ti preparassi, oggi mi dovrai seguire nel mio giro d'incontri e visite, prendi appunti, così stasera li riguarderemo insieme. Se hai domande, segnale e lasciale per dopo. Fra non molto sarai pronto e potrai venire con me alla Cupola. Dovrei avere un camice pulito nell'armadio, fai pure come se fossi a casa tua."
Detto questo lo baciò sulle labbra e poi uscì dalla camera. Sugawara guardò nella sua direzione stranito e sconvolto dalla naturalezza con cui quell'uomo si comportava, come se quella fosse davvero una giornata come le altre e non lo avesse appena privato della sua libertà e abusato di lui.
Si accasciò sul letto lasciando andare quelle lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento. Si concesse quei dieci minuti di sconforto, giurandosi che sarebbero stati gli ultimi. Aveva avuto la conferma che Daichi era riuscito a fuggire, che stava bene; con questa consapevolezza avrebbe resistito, avrebbe recitato la sua parte, attendendo, sperando. Era l'unica alternativa che aveva.
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Erano passati circa sei mesi dalla notte della fuga. Per Hinata erano stati come giorni fotocopia, uno identico all'altro, pieni di noia e apatia. Il vecchio Ukai viveva due piani sopra all'appartamento suo e di Yachi e passava spesso a trovarli. Avevano il permesso di uscire al massimo un'ora al giorno, con la massima cautela e sempre sorvegliati. Hinata si chiedeva spesso se era valsa la pena di fuggire dalla prigionia, se questo aveva significato finire in un'altra.
Nel primo periodo era dimagrito paurosamente, il suo stomaco sembrava rigettare qualsiasi alimento cercasse d'introdurre nel proprio corpo. Finiva sempre per mangiare troppo per poi correre in bagno a rivomitare tutto, il sapore acido dei succhi gastrici ormai fin troppo familiare, finché Ukai e Yachi non erano intervenuti. Il vecchio lo aveva rimproverato, pur senza troppa severità:
" So che é difficile, cosino, ma devi tirarti su, fallo almeno per Yachi, quella poverina é preoccupata a morte per te."
Giusto la sera prima l'aveva chiamato in lacrime, confidandogli che Hinata si rifiutava di mangiare e aveva perso vistosamente peso. Ukai gli consigliò di farlo mangiare a piccolissime dosi e più volte al giorno, finché il suo stomaco non si fosse riassestato. Yachi arrivò persino ad imboccarlo. Dopo il primo mese si rimise pian piano in sesto e di questo poteva solo ringraziare l'ex manager, che aveva mostrato molta più forza di lui, cercando di trasmettergli un poco di serenità col suo potere.
Una volta, in un giorno qualunque dei tanti che si erano susseguiti, Hinata le aveva semplicemente detto:
"Non passa."
Yachi non aveva avuto bisogno di spiegazioni per capire a cosa, o meglio a chi, si riferisse. Chinò il capo fissandosi le mani in grembo, come a contemplare una risposta che non affiorava.
"Non so molto di queste cose" disse flebilmente " Mi hanno detto che il tempo aiuta..."
Hinata scosse piano la testa " No" affermò, come una sentenza definitiva. "Me lo sogno tutte le notti, a volte sono incubi, a volte sono sogni piacevoli. Kageyama era... tutte le volte che vacillavo, che sbroccavo in qualche mia follia o trovata assurda, lui era sempre lì, a mantenermi a terra, a darmi stabilità, a ricordarmi di tenere gli occhi fissi di fronte a me, anche a costo di sbattermi a terra e prendermi a pugni; tu lo sai, hai visto..." si strusciò gli occhi, non perché stesse piangendo, ma più come segno di spossatezza.
"La vita è ancora lunga, puoi ancora trovare qualcun altro..." azzardò Yachi insicura.
Hinata la guardò con tenerezza:
" Yacchan... pensi davvero che esista qualcun altro come Tobio?"
" Uhm... non capisco se lo dici in senso positivo o negativo."
Hinata sorrise e le posò un bacio sulla fronte, prima di farle il solletico sulla pancia per farla ridere almeno un po' e non ammorbarla coi suoi patemi; non se lo meritava, dopotutto.
Note autrice: mi spiace immensamente per Suga davvero, in questa fanfiction non gli va per niente bene! So che volevate rivedere Kageyama ma ci vorrà ancora un po' di pazienza e giuro che tornerà in grande spolvero! Hinata non riesce a dimenticarlo, ovviamente! Avevate dubbi forse?
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