Capitolo 1

La sala era rumorosa e affollata, un vociare indistinto intervallato dai flash delle macchine fotografiche. Seduti al centro del grande tavolo rialzato, due giovani uomini osservavano la folla dinnanzi a loro, uno tranquillo e sornione, un leggero sorriso a increspargli le labbra, l'altro apatico e distaccato, con l'aria di chi vedeva quella situazione come una spiacevole incombenza da concludere il più presto possibile. Ma nonostante il loro atteggiamento così diverso, sarebbe bastato un colpo d'occhio per notare subito l'incredibile somiglianza fisica tra i due.

Atsumu colpì due volte il microfono e la folla di giornalisti tacque immediatamente, penne e registratori alla mano.

"Vi ringrazio per essere qui," disse con un sorriso conciliante, " è sempre un onore e un piacere per me aggiornarvi sui risultati del progetto 'Gene X', che come auspicato da mio padre... cioè intendevo, nostro padre," disse alludendo con un cenno del capo al fratello seduto accanto, intento a studiare alcuni fogli "sta procedendo nel migliore dei modi. Mantenere i mutanti in uno spazio circoscritto ci permette di studiare al meglio le loro capacità, facendo ogni mese scoperte sensazionali utili sia a loro che al resto dell'umanità, favorendo poi la loro integrazione nella nostra società."

"Eppure," intervenne una donna seduta in terza fila, "nel corso degli anni non sono mancate le critiche, molti parlano d'isolamento e ghettizzazione, si teme che questi soggetti, vivendo nel Distretto 12 fin dalla nascita, possano subire una sorta di alienazione..."

"Come sempre, cerchiamo di accogliere le critiche che..." iniziò Atsumu ma subito dopo fu l'altro fratello Miya a prendere la parola:

"Fino a un trentennio fa i portatori del Gene X venivano confinati in strutture che erano come allevamenti in batteria" disse con tono di voce calmo ma deciso. "Si trattava di un sistema frammentato e disorganizzato, e sicuramente molto più alienante di quello poi istituito da nostro padre. Il suo progetto permette ai soggetti mutanti di crescere in un ambiente libero e sano, sviluppare i loro talenti individuali, conoscere e controllare le proprie abilità innate, sotto la migliore guida possibile. Non stiamo parlando di casi clinici ma di persone, e come tali intendiamo trattarli. E finora i risultati ottenuti con la prima generazione ci hanno dato ragione."

Osamu scambiò una breve occhiata d'intesa col fratello, il quale poi si rivolse di nuovo alla folla:

"Se non ci sono altre domande possiamo proseguire..."

A partire dalla seconda metà del XX secolo, per cause ancora non del tutto chiare, avevano iniziato a verificarsi strane mutazioni nel DNA degli esseri umani. Sebbene si trattasse di una percentuale irrisoria rispetto alla totalità della popolazione mondiale, la nascita di questi individui aveva causato timore e sgomento nel resto dell'umanità. La prima reazione fu quindi quella di isolarli, se non addirittura imprigionarli e perseguirli. Tuttavia la paura, dovuta al clima teso e agli strascichi psicologici e sociali dovuti al secondo conflitto mondiale, lasciò in seguito il posto ad ammirazione e fascinazione per quello che veniva considerato il passo successivo dell'evoluzione umana. In tutto questo, il Dottor. Miya Shigeru fu uno dei più fieri e convinti fautori della necessità di conoscere e studiare i mutanti.

Le sue ricerche portarono all'individuazione del cosiddetto 'Gene X', presente in certi individui, i cosiddetti 'mutati', ossia coloro che erano portatori della mutazione solo in forma latente, senza mostrare alcun potere o abilità particolari. Tale gene veniva poi trasmesso ai loro discendenti, che venivano definiti 'mutanti' e nei quali la mutazione si mostrava esplicitamente tramite caratteristiche e abilità eterogenee. Fu proprio del Dottor. Miya l'idea, poi avallata e finanziata dai governi mondiali, di creare il Distretto 12, una vera e propria regione a sé stante isolata dal resto del mondo, nella quale trasferire tutti i soggetti che mostravano segni di mutazione in giovanissima età, affinché fossero cresciuti, istruiti, sorvegliati e studiati, e potessero poi integrarsi nella società civile nel migliore dei modi, una volta raggiunta l'età adulta.

"Ad oggi" proseguì Atsumu "la popolazione del Distretto 12 ammonta a circa diecimila individui. Il Distretto è accuratamente fortificato e sorvegliato, tuttavia vorrei ricordare che i ragazzi iniziano a svolgere gite nel mondo esterno durante l'adolescenza, in modo da abituarsi poco a poco. Sono inoltre istruiti nel migliore dei modi, in strutture scolastiche all'avanguardia, e sono totalmente liberi di dedicarsi agli sport o attività che più li appassionano. Come il mio scorbutico fratellino ha puntualizzato poc'anzi" si levò una breve risata dal pubblico e Osamu alzò gli occhi al cielo. Suo fratello sapeva senz'altro essere un abile affabulatore, quando la situazione lo richiedeva. "Il nostro obiettivo è formare persone, non macchine né fenomeni da baraccone, e allo stesso tempo estrapolare il maggior numero d'informazioni possibile per capire e comprendere meglio la mutazione, che al giorno d'oggi cela ancora misteri irrisolti, specialmente riguardo la sua nascita e cause. Le temporanee limitazioni che i ragazzi sperimentano nella prima parte della loro vita sono un giusto prezzo da pagare, a beneficio di tutta l'umanità e di loro stessi."

Dopo le solite domande di routine la conferenza stampa si concluse e Osamu Miya fu ben lieto di poter finalmente tornare al Distretto 12, quel luogo che il padre aveva lasciato loro, quella pesante eredità che però non era mai stata un fardello ma una missione che lui aveva accolto a braccia aperte, e che era divenuta la sua ragione di vita.

*******************************

Dischiuse piano gli occhi, ancora intorpidito nel tepore di quel sabato mattina estivo. Alzò leggermente la testa per osservare il profilo di Daichi, ancora addormentato. In una situazione normale si sarebbe divertito a stuzzicarlo finché non si fosse svegliato e non l'avesse guardato col suo solito cipiglio, ma quella mattina voleva prendersi il suo tempo, gustarsi quel momento di quiete. Tracciò con le dita i contorni del viso del suo capitano, partendo dalla tempia fino alla mascella, passando poi alla spalla e scendendo lungo il braccio fino a giungere al polso. Lo accarezzò percependo una minuscola escrescenza, là dove l'impianto sottocutaneo era stato inserito, con la stessa chirurgica precisione con cui avevano impiantato anche il suo.

Giusto la sera prima, mentre rientravano insieme, Suga aveva detto ridendo che, se avessero avuto i mezzi per misurare quei nanocongegni, avrebbero scoperto che erano piazzati nello stesso identico punto in tutti loro. Daichi lo aveva preso in giro per il pensiero inquietante.

"Invece lo trovo affascinante! Ti fa capire fino a che punto sono arrivati i progressi e la tecnologia medica" aveva esclamato entusiasta Suga.

"Sì ma così sembriamo dei prodotti in serie, tipo catena di montaggio" sospirò Daichi, poi aggiunse " ma del resto cosa posso aspettarmi da uno che non vede l'ora di uscire dal Distretto per studiare Medicina e assistere a un'autopsia."

Suga gli aveva fatto la linguaccia dicendogli che non poteva capire, toccandogli poi la guancia con le sue dita congelate per fargli dispetto. Arrivati a casa avevano avvicinato il polso al piccolo scan digitale all'entrata, che aveva risposto subito con un bip, una lucina rossa e una voce artificiale a salutarli con un metallico "Bentornato", a confermare che anche quel giorno erano rincasati.

Avevano trovato il tutore di Daichi ad aspettarli. Era passato per il solito colloquio settimanale, durante il quale avevano esaminato insieme i risultati scolastici del ragazzo e le sue condizioni psicologiche generali. Dopo avergli dato una pacca sulla spalla l'uomo si era congedato, dandogli appuntamento alla settimana successiva. Suga nel frattempo si era ritirato in cucina a spizzicare qualcosa e Daichi lo raggiunse abbracciandolo da dietro.

"Non capisco il senso di venire una volta a settimana, non posso diventare pazzo in soli sette giorni. E neppure cambiare radicalmente la mia rendita scolastica" aveva detto appoggiando il mento alla spalla di Suga.

"Ringrazia che ne hai uno tranquillo" replicò lui " a Tanaka era capitata una tizia asfissiante che si presentava ogni due giorni, ma forse era perché lui combinava una cazzata dietro l'altra. Ha scongiurato Miya-san per poterla cambiare e alla fine ci è riuscito a patto di darsi una calmata."

"Ah sì? In effetti qualcosa non mi convinceva quando ci raccontò che le aveva dato fuoco" rise e Suga fece lo stesso, poi si girò e lo guardò intensamente negli occhi.

"A cosa sto pensando adesso?" sussurrò scorrendo piano le sue dita sul collo di Daichi, facendolo rabbrividire.

"Sai che non mi piace farlo, specialmente con te" fece una breve pausa "e comunque anche se volessi non..."

"Certo che non lo faresti, tu sei l'integerrimo Daichi Sawamura-san" lo canzonò, poi si sporse leggermente prendendo a succhiargli il collo nel suo punto più sensibile.

"In realtà" ansimò Daichi, ormai del tutto in balia "una volta l'ho fatto... con te."

Suga s'interruppe meravigliato "Davvero? E quando?"

Daichi lo afferrò per i fianchi, stringendo con una presa delicata ma ferma e indirizzandolo verso la porta della propria camera. Prima di rispondere alla sua domanda lo colse di nuovo alla sprovvista con un bacio, appassionato ma sempre con una punta di dolcezza.

"Quando sei entrato per la prima volta qua dentro," disse mentre varcavano la soglia della sua camera, Suga ancora allacciato al suo collo, le bocche vicine, umide di respiri che si confondevano.

Daichi ricordava bene quella sera di due anni prima, era rimasto in disparte ad osservare Suga che si muoveva in quella stanza, in quello spazio per lui così familiare, occupato da quella presenza nuova, estranea, ma che non stonava affatto. Aveva immaginato e desiderato talmente a lungo quel momento, che finì per avere una consistenza quasi onirica. Poi Suga si era girato a guardarlo e aveva iniziato a prenderlo in giro, come suo solito, mettendosi a indagare alla ricerca di giornaletti porno e dileggiandolo perché, ovviamente, il morigerato Sawamura-san non ne possedeva neppure uno. Si chiamavano ancora per cognome e con onorifico all'epoca, nonostante i baci e le carezze sempre più spinte che si scambiavano di nascosto a scuola, quei minuti di eccitazione trattenuta, quell'amarsi affrettato. Ma non c'era fretta in quel momento, Suga era lì davanti a studiarlo beffardo e Daichi lo fece, contravvenendo ai suoi principi, forse per timore, forse per genuina curiosità, scandagliò i suoi pensieri e vi trovò quello che forse si aspettava, quello che l'altro celava.

"E a cosa pensavo?" la voce suadente di Suga lo riportò col pensiero al presente, in una situazione simile eppure così diversa. Era ormai nudo sotto di lui, le cosce a stringergli i fianchi, allettante, madido e completamente aperto per lui. Daichi passò un braccio sotto il suo fianco, gli sollevò delicatamente il bacino mentre con l'altra si posizionò iniziando a spingere. Suga schiuse le labbra sussultando leggermente mentre lo sentiva farsi spazio dentro di lui, lento ma implacabile. Daichi continuava a scrutarlo, poi si avvicinò al suo viso sussurandogli sulle labbra:

" Alla stessa cosa a cui pensavo io." Cominciò a spingere, un'onda morbida e costante.

Ed era vero. Quella sera così lontana scoprì che con quell'atteggiamento Suga in realtà dissimulava la sua stessa inquietudine, il suo amore, ma anche la sua stessa eccitazione, il desiderio impudico di essere posseduto. Daichi allora si era avvicinato e aveva visto gli occhi dell'altro ragazzo vacillare. Quella notte si chiamarono per nome, e così fu anche per i due anni successivi.

Non v'era quasi più traccia ora di quella tenera ingenuità, ma tutto il resto era immutato mentre Daichi spingeva sempre più forte, facendosi perno con le braccia, per arrivare a toccare i punti più intimi e profondi del suo amante, e Suga gli veniva incontro coi fianchi, le sue mani che scorrevano lungo la schiena e il bacino del suo capitano, incitandolo a muoversi di più, a non fermarsi, soffiando dolci oscenità, fissandolo con quegli occhi languidi, eccitanti da morire. Daichi gli afferrò brutalmente i polsi e li bloccò sopra la sua testa, tenendolo fermo, il ritmo delle sue spinte sempre più convulso. Suga gemette forte, esaltato da quegli scatti di autorità che lo facevano impazzire. Inarcò il collo e la schiena quando l'orgasmo lo colse, intensissimo. Daichi lo seguì poco dopo, ansando, il viso immerso nel collo sudato dell'altro.

La mattina dopo erano ancora lì, tra le lenzuola umide, non più intrecciati come la sera prima ma sempre vicini. Suga continuava a contemplare il suo amore, così stoico eppure così attraente e passionale allo stesso tempo, passando i polpastrelli sulla sua pelle liscia.

Doveva essere abbastanza tardi, quel giorno avevano l'allenamento speciale in preparazione ai campi estivi che avrebbero affrontato con altre scuole del distretto, ma per una volta si erano concessi il lusso di farsi precedere dai loro compagni di squadra, che avrebbero iniziato a pulire e preparare la palestra. Del resto che gusto c'era ad essere capitano e vice se non potevano, di tanto in tanto, delegare certe noiose incombenze ai loro kohai?

Questo almeno era quello che Suga pensava, prima di sentire un cellulare suonare fastidiosamente. Daichi si destò subito, e tutti gli scenari di risveglio romantico o erotico (o entrambi) che Suga si era prefigurato andarono allegramente a puttane. Già questo bastò a farlo incazzare non poco.

Daichi afferrò il suo cellulare e si schiarì la voce prima di rispondere ancora un po' assonnato.

"Pronto? Chi è?" una voce flebile rispose dall'altro capo "Asahi sei tu? No, no, mi stavo svegliando" Suga mimò col labiale la parola "stronzata" e Daichi gli fece segno di smetterla.

"Cosa? Non trovate le chiavi della palestra? Chi dovev..." si fermò per ascoltare poi disse " Tanaka e Nishinoya? Com'è possibile che a casa le avessero e adesso non le trovano più? Non avranno fatto come al solito che..." non poté proseguire perché Suga gli strappò senza tante cerimonie il telefono dalle mani.

"Pronto Asahi? Dì a quei due deficienti che se non trovano le chiavi li faccio surgelare a pedate in culo, è chiaro?"

"S-Suga, sei anche tu lì?" tartagliò il gigante cuor-di-vetro, palesemente imbarazzato.

"Sì, sì, che sorpresona! Noi arriviamo fra poco, cercate di non fare pessime figure coi primini, sai che oggi è una giornata particolare per loro."

Riattaccò, poi guardò Daichi e sospirarono all'unisono.

"La pacchia è finita. E comunque non dovresti mettere Asahi così a disagio" mormorò il capitano della Karasuno.

"Non è colpa mia se quel barbuto vergine ha la sensibilità di una pastorella sessuofoba" ribatté Suga.

Daichi rise, come sempre divertito dall'ironia mordace del suo ragazzo. Suga lo raggiunse in fretta, senza neppure vestirsi.

"La doccia insieme!" esclamò, quasi minaccioso "Almeno questa me la devi".

+++++++++++++++++++++++++++

Nero, azzurro, nero e ancora azzurro.

Fluttuava in aria, sbattendo lentamente le palpebre. Tutto era nero quando le serrava, ma non appena apriva gli occhi, ecco che quell'azzurro infinito lo abbagliava, disturbato solo dal pulsare dei segnali luminosi che caratterizzavano le mura del distretto. Quelle luci verdi e rosse lampeggianti segnavano il suo limite, oltre il quale non poteva spingersi. Avevano sempre avuto un'attrattiva particolare per lui, fin da quando era molto piccolo. Spesso allungava le mani, come per afferrarle, oppure aveva la tentazione di spiccare il volo e raggiungerle. Ma in fondo sapeva che non erano quelle il suo vero obiettivo, ma ciò che c'era dopo, al di là di esse. Si stiracchiò mugolando rumorosamente. Il suo cervello non era decisamente fatto per pensieri troppo lunghi e complessi, come non mancavano mai di fargli gentilmente notare.

"Oi!"

Una voce imperiosa lo raggiunse dal basso, costringendolo a riportare gli occhi a terra.

" Torna giù, Hinata! Non è il momento di gingillarsi, dobbiamo essere in palestra fra poco."

"Aaaaaaah, che palle Kageyama, è ancora presto! E poi oggi è un giorno importante, ma per te non è mai il momento per niente che non sia pallavolo." Si abbassò leggermente di quota, senza però toccare terra. "Scommetto che se potessero aprirti la testa troverebbero solo pallavolo, pallavolo, pallavolo e... oh, aspetta... pallavolo!"

"Senti chi parla. Sei stato tu a insistere per uscire prima e allenarti in ricezione mentre aspettavamo gli altri."

"Sì è vero..." borbottò Hinata piccato "ma ogni volta che esco vedo il cielo e... perché non si può giocare lassù?"

"Perché non tutti hanno il tuo stupido potere e poi se cadi ti sfracelli, visto che non sei immortale."

"Non succederà mai, YamaYama-kun!" esclamò facendogli la linguaccia e piroettando in aria.

"Se hai finito di sprecare tempo a fare cose inutili possiamo avviarci" replicò ignorando come l'altro avesse deliberatamente storpiato il suo nome.

"Col cavolo! Non sono inutili! Sto quassù finché mi pare, non scendo perché me lo dici tu, Mister. Coglionyama-kun"

Kageyama fece una specie di grugnito, segno che aveva perso la sua poca pazienza. Tutt'a un tratto si bloccò, lo sguardo fisso sul ragazzino dai capelli rossi che fluttuava sopra di lui. Hinata sembrò capire perché iniziò a dimenarsi cercando di opporre resistenza, mentre veniva riportato inesorabilmente a terra con la sola forza del pensiero.

"Hai barato!" protestò mentre l'altro lo guardava con quello che doveva essere una specie di sorrisetto denigratorio.

"Se tu usi i tuoi poteri io posso usare i miei, idiota!"

"Sai dire solo 'idiota'? La prossima volta potrei tirarti un vocabolario in testa, così magari impari qualcosa che non sia pallavolopallavolopallavolopallavolopallavolo...."

"Piantala idio... cioè... idiota! Hinata, idiota!" balbettò Kageyama, che effettivamente non poteva vantare un vasto arsenale d'insulti.

"Ah ah ah" una risata lenta e strascicata li fece girare di scatto. "No, no ma continuate pure, con questa scenetta ho colmato la mia dose quotidiana di demenza." Tsukishima si avvicinò, osservandoli sardonico dall'alto del suo metro e novanta.

"Ci mancava solo Stronzishima!"

"La tua fantasia nel deturpare i nomi è toccante, Hinata! Ora capisco perché almeno a letteratura raggiungi la sufficienza. Peccato non si possa dire lo stesso dello scimpanzé che ti sta accanto."

Kageyama non rispose, anche perché sapeva che uno scontro dialettico con Tsukishima era già perso in partenza.

"Andiamo" disse afferrando Hinata per il cappuccio della felpa.

Yamaguchi, che era rimasto indietro, raggiunse l'amico di corsa, giusto in tempo per vedere gli altri due allontanarsi a grandi passi.

"Non dire niente. Li hai provocati un'altra volta"

Tsukishima fece spallucce e s'incamminò tranquillamente

"Guardare quei due battibeccare è come osservare due scimmioni ringrugniti che si danno pugni in testa a vicenda. Si accapigliano ma alla fine sono uguali, molto più di quanto potrebbe sembrare a colpo d'occhio."

Yamaguchi rise per quel paragone calzante "È vero. Cencio dice male di straccio" poi aggiunse: "Oggi è il grande giorno comunque".

"Oggi è un giorno come tutti gli altri, non avere troppe aspettative" rispose il ragazzo più alto, con tono disincantato.

Poco più avanti Hinata e Kageyama, già dimentichi del litigio di poco prima, stavano armeggiando con i nuovi tablet che la scuola aveva dato loro in dotazione. Inutile dire che non riuscirono a cavare un ragno dal buco.

"Se schiacci qui vai a Impostazioni..." borbottò Hinata " ma non capisco come scaricare la tabella degli orari..."

Kageyama avvicinò quel dispositivo infernale ad un centimetro dal suo naso, come se sperasse che la soluzione saltasse fuori automaticamente. Hinata lo guardò e per poco non scoppiò a ridergli in faccia, sembrava un cavernicolo che tentava di decifrare una lingua sconosciuta, ma decise che per quel giorno si erano rimbeccati abbastanza. E poi lui non era messo meglio.

Tsukishima poco dietro tirò fuori il suo e iniziò a consultarlo, scorrendo le dita sullo schermo con movimenti fluidi.

"Yamaguchi, vai ad aiutarli prima che aprano quegli aggeggi come noci di cocco. Sono scimmie dopotutto."

Il suo compagno annuì sorridendo.

Note dell'autrice: Salve a tutti. Dopo un paio d'anni mi è presa la voglia di tornare a scrivere fanfiction e quindi eccomi qua, anche perché avevo quest'idea che mi ronzava in testa da anni e finalmente ho potuto concretizzarla. Come si può capire, il genere è un'AU distopica ispirata mooolto liberamente all'universo degli X-men, (più che altro i film, non ho mai letto i fumetti) nel senso che ho ripreso il concetto di base, l'ambientazione, alcuni poteri, ma poi la storia e i personaggi seguiranno il loro corso. Ho preso un paio di spunti anche dal bellissimo film "Non lasciarmi" di Mark Romanek e dal libro omonimo di Kazuo Ishiguro, sempre per quanto riguarda la quotidianità distopica in cui vivono i personaggi.

Questo capitolo e il prossimo saranno più che altro introduttivi e cercherò di delineare l'ambientazione nella maniera più chiara possibile ( se dovessero esserci buchi mi scuso già in anticipo). Per quanto riguarda la trama "pallavolistica" e i personaggi, essi sono esattamente uguali al manga; per dare un'indicazione cronologica, ci troviamo più o meno prima dei campi d'allenamento estivi, dopo il primo Inter High, l'unica cosa che cambia è appunto il contorno.

Le coppie principali saranno KageHina e DaiSuga, non penso di approfondirne altre ( preferisco focalizzarmi su un paio di relazioni, altri rapporti saranno eventualmente accennati e a libera interpretazione).

Attenzione poi, in futuro sarà presente una scena non-con, mi pare giusto avvertire.

Per ora è tutto, alla prossima!

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top