Flower
«Questo è per te»
Jongdae abbassò gli occhi e notò un piccolo fiore tra le mani del ragazzo davanti a sé.
Non conosceva il ragazzo di persona, sapeva solo che era della sua stessa scuola, ma non gli aveva mai parlato.
Si sentì leggermente imbarazzato. Allungò una mano e prese il piccolo fiore bianco.
Guardò il ragazzo dai capelli castani, alto più o meno quanto lui, e di un anno più grande.
«Per me?» Chiese confuso.
Il ragazzo sorrise. «Per te.»
Quella fu la prima volta.
A quell'episodio si susseguirono altri simili e la mente di Jongdae era sempre più confusa.
Perché mai un ragazzo che non conosceva doveva regalargli fiori?
Ma a quel punto doveva pensare anche ad un'altra domanda: perché li accettava sempre?
Jongdae non lo sapeva, quindi non si faceva domande e ogni volta che quel ragazzo spuntava fuori, sorrideva, scambiavano due parole e infine accettava il piccolo regalo.
Poi l'altro ragazzo andava via, e lui portava quel fiore bianco più vicino e ne sentiva il profumo e sorrideva.
Eppure il non conoscere la vera identità di colui che rendeva le sue giornate diverse lo disturbava un poco.
Voleva sapere chi fosse ma non ne aveva il coraggio.
Più di una volta pensò che forse era meglio non saperlo. Che lui non volesse dirglielo. Ma perché non dirgli almeno il nome visto che ogni giorno gli regalava un fiore?
Pensò per diversi giorni, e ogni volta che lo vedeva e si incontravano voleva dirglielo. Ma si bloccava, guardava il fiore e pensava che se glielo avesse chiesto sarebbe finito tutto.
Ma la curiosità lo stava uccidendo.
Così un giorno, dopo che prese il suo regalo e il ragazzo era già a diversi metri di distanza, lo richiamò.
«Aspetta!»
Lui si girò e Jongdae gli chiese il nome. Lui non rispose subito, ma quando lo fece sorrise e il cuore di Jongdae accelerò.
«Mi chiamo Junmyeon» disse semplicemente, per poi andare via, come faceva sempre.
Il minore rimase lì a guardarlo mentre si allontanava, come faceva sempre.
Il primo passo era stato fatto. Ora sapeva il nome, ma per qualche motivo non era pienamente soddisfatto.
Lo guardava andare via ogni giorno e pensava a lui ogni giorno guardando quel fiore.
Si avvicina quando finiva la scuola.
Quando stava per andare via.
Era sempre silenzioso, ma non lo spaventava mai.
Ricordava, una sera in cui non riusciva a dormire, di averlo paragonato ad una piuma e l'odore dei fiori invadeva la sua stanza e la sua mente.
Era un buon odore. Ormai il bianco, i fiori, e quell'odore gli ricordavano Junmyeon.
Passò davvero tanto tempo prima che Jongdae si fece avanti e gli chiedesse il perché del suo gesto.
Ma la verità era che Jongdae aveva paura.
Per la prima volta nella sua vita si sentiva speciale per qualcuno, e gli piaceva quella sensazione.
Aveva paura che, chiedendogli il perché, Junmyeon non lo facesse più.
E tutto sarebbe finito proprio come è iniziato.
Ma non potevano andare avanti così.
E Junmyeon sembrava così sicuro di sé.
Anche se studiavano nella stessa scuola, Jongdae raramente vedeva Junmyeon, ma sapeva che non era affatto un ragazzo timido. Sapeva che aveva tanti amici. Sapeva che studiava recitazione. La sua reputazione a scuola era quella di un bravo ragazzo.
Ma allora perché con lui non parlava?
Un giorno, finita la scuola, Jongdae stava attraversando il parcheggio.
Camminava velocemente. La pioggia lo stava completamente inzuppando. Probabilmente si sarebbe sentito male dopo.
Pensava che quel giorno Junmyeon non sarebbe arrivato, pensava che fosse già a casa. E dentro di sé si sentiva leggermente triste. Quel giorno non avrebbe ricevuto nessun fiore bianco.
O forse sì.
Fu in quel momento che si sentì chiamare. Si fermò e girandosi vide Junmyeon camminare verso di lui con un ombrello blu.
«Hai bisogno di una mano?» gli sorrise e Jongdae ricambiò il sorriso istintivamente.
Forse non gli aveva portato nessun fiore, ma l'ombrello era più che accettato come regalo.
Camminarono insieme sotto la pioggia. Jongdae timido come non mai guardava a terra. Non era mai stato così tanto vicino per così tanto tempo a Junmyeon.
Quando la pioggia aumentò di intensità non poterono più camminare e così si fermarono sotto un balcone.
«È davvero strano che si mette a piovere così, stamattina c'era il sole.»
Junmyeon chiuse l'ombrello mentre guardava il cielo grigio.
Jongdae deglutì e lo guardò provando a rispondergli cercando di sembrare normale.
«Si, ma il tempo cambia all'improvviso a volte...»
«Già, ho notato.»
E fu in quel momento che nessuno dei due seppe più che dire.
Junmyeon alternava lo sguardo tra il cielo e il ragazzo accanto a sé e Jongdae invece era appoggiato al muro e non sapeva se benedire o maledire la pioggia per aver creato quel momento.
«Sei stato gentile» sussurrò il più piccolo facendosi coraggio.
Doveva almeno ringraziarlo.
L'altro ragazzo lo guardò serio. Sembrava così tranquillo, Jongdae non sapeva però che era solo apparenza.
«Dici?»
«Certo. Sarei tornato a casa totalmente inzuppato altrimenti...»
«Beh...» Junmyeon fece scorrere velocemente lo sguardo sul suo corpo facendo arrossire Jongdae.
«In parte lo sei»
Gli rivolse un sorriso e Jongdae ridacchiò.
«Hai ragione.»
Junmyeon tornò a guardare un attimo di fronte a sé, per poi voltarsi dal minore. Mise una mano in tasca per poi avvicinarla a Jongdae.
Il ragazzo guardava incredulo quel piccolo fiore bianco che teneva tra le mani Junmyeon.
«L'avevo quasi dimenticato, scusa.»
Jongdae spostò lo sguardo dal fiore al ragazzo che lo stava sconvolgendo ancora e decise che era arrivato il momento di chiederglielo.
«Perchè?»
Junmyeon si immobilizzò per un momento. Sembrava sorpreso ma infine sorrise leggermente e abbassò gli occhi come intimidito.
«Fin da quando ti ho visto mi hai ricordato il gelsomino.
Sei così piccolo e delicato, molti sembrano ignorarti e non darti il giusto valore, ma sembri una bella persona, sono sicuro che lo sei.»
Jongdae lo guardò confuso.
«Non mi conosci, come puoi dire che sono una bella persona?»
Junmyeon gli sorrise con incredibile dolcezza.
«Si vede, Jongdae, dalle piccole cose.
Dai sorrisi che doni a chiunque, dalla gentilezza delle tue parole e delle tue azioni, dal modo in cui ascolti e cerchi di aiutare. Magari non ti conosco veramente. Magari non so i tuoi passatempi, non so come ti comporteresti in un determinato momento e magari non so cosa ti passa per la testa.
Ma sei una bella persona.»
Il minore rimase immobile. Non poteva davvero credere a quello che aveva appena sentito.
Quindi era così che appariva agli altri?
Era davvero così?
«Inoltre» continuò Junmyeon «I gelsomini crescono vicino da me, e... pensavo... non lo so... credevo che fosse una cosa carina, anche se è strana e lo capisco se non li vuoi più, probabilmente ti sei stufato di tutti questi fiori...e io-»
Ma si interruppe perché Jongdae stava ridacchiando.
Rideva perché vedere Junmyeon, un ragazzo che sembrava sempre padrone di sé stesso, andare quasi nel panico così facilmente, era più che divertente.
Allungò la mano e prese il fiore.
«Non mi hai affatto stufato. Credo che il tuo gesto sia stato davvero carino, inoltre amo questi fiori.»
«Quindi non hai pensato che fossi uno stalker o altro?»
Jongdae rise di nuovo.
«Ammetto che per un attimo ci ho pensato, ma no, non sei uno stalker. Sei solo...una persona gentile, un po' strana forse, ma gentile.
Mi piacciono le persone gentili.»
Si scambiarono un sorriso, mentre fuori continuava a piovere e ognuno stava vivendo le loro vite.
E c'era chi piangeva, chi rideva, chi odiava, chi uccideva, chi moriva e chi nasceva.
E c'era chi conosceva l'amore per la prima volta.
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