Capitolo 10

E fu così che, due giorni dopo, mi ritrovai con gli stessi sei ragazzi con cui mi ero messa d'accordo. Nevischiava un poco, ed io mi ero avvolta una pensante sciarpa attorno al collo, tenendo i due biglietti in una mano.

Se solo avessi saputo...

Eravamo tutti sul portico di casa di Ben, e quando anche l'ultimo fu arrivato io andai verso il campanello.

Suonai, e dopo alcuni secondi passati ad aspettare non accadde nulla.

- Che strano - dissi, sollevando un sopracciglio - Dovrebbe essere in casa. Di sicuro è già tornato da scuola.

- Non è che i suoi genitori lo hanno portato da qualche parte? - chiese Jeff - Del resto è il suo compleanno, magari, che ne so, adesso sta andando in viaggio o roba simile.

Del resto, lui cosa ne sapeva della situazione in cui si trovava la famiglia di quel ragazzo?

Scossi con decisione la testa - Impossibile, me lo avrebbe detto. Provo a chiamarlo.

E così feci, ma il telefono non faceva che squillare a vuoto. Riattaccai, sbuffando nervosamente. Qualcosa, nella faccenda, non mi convinceva per niente.

Cercammo di contattare Ben per una ventina di minuti, chiamandolo sul cellulare, scrivendogli e provando a suonare ancora al campanello, ma niente.

- Senti - disse Jeff - È evidente che non possiamo restare qui tutto il giorno, anche perché sto morendo dal freddo. Gli daremo il regalo domani.

A questo punto Jeff fece un passo indietro, per poi andare verso casa sua.

- Jeff! - disse Jane, alzando gli occhi al cielo - Vedo che ti importa molto di quel ragazzino!

- Beh, di sicuro non ci guadagneremo niente a restare qua sotto casa sua ad aspettarlo. Al massimo prenderemo una broncopolmonite!

E, detto questo, ci voltò le spalle, andando via.

- È brutto da dire - commentò Natalie - Ma credo che Jeff abbia ragione.

Piano piano se ne andarono via tutti, ed io restai sola davanti alla porta.

L'ultimo ad andare via fu Jack, che mi diede una pacca su una spalla - Non prendertela, Emy. È inutile stare qui ad aspettare. Se vuoi ci possiamo fare un giro e, come ha detto Jeff, stare con Ben domani.

Io, in tutta risposta, scossi la testa. C'era qualcosa che non mi convinceva in tutto ciò che stava accadendo. Il ragazzo mi sospirò, scompigliandomi i capelli incrostati di brina con aria affettuosa, per poi andare via - Se ci ripensi chiamami!.

Quando restai sola davanti alla casa mi misi le mani in tasca. Di sicuro non potevo restare lì a guardare e ad aspettare.

Provai ad appoggiare la mano sulla maniglia della porta e, sorprendentemente, questa si aprì.

Curiosa, strisciai all'interno della casa, cercando di fare meno rumore possibile. Se il padre di Ben ci fosse stato l'avrei sentito, e  nella casa non risuonava un solo rumore.

Iniziai a girovagare senza meta, ponendomi domande su domande.

Come mai la casa era aperta?

Perché non c'era nessuno?

Poi mi venne un'idea. Magari Ben era nel giardino sul retro, per questo non mi aveva sentita!

Uscii fuori dalla casa, chiudendomi la porta alle spalle, per poi correre verso il piccolo giardino innevato.

Non appena lo vidi, però, frenai bruscamente, spalancando gli occhi.

Lasciai andare i biglietti che tenevo in mano, che, leggeri come foglie, si posarono sulla neve fredda, che ospitava una delle scene che senza dubbio mi perseguiteranno fino alla fine dei miei giorni.

Il telo che copriva la piscina era stato tolto, e, in acqua, a galleggiare con la faccia rivolta verso il basso, stava il corpo esanime di Ben.

Un urlo uscì fuori dalla mia bocca, forte come non mai. Corsi verso il mio migliore amico, afferrandolo per un braccio.

La sua pelle era fredda, bluastra. Non vedevo il suo petto muoversi, non sentivo il suo cuore battere.

No, no, no.

Non era possibile.

Lui non poteva essere morto.

Eppure il suo cadavere era lì tra le mie braccia. Lo abbracciai, quasi cercando quel contatto affettuoso che tante volte c'era stato tra noi, e che mi sarebbe mancato per tutta la vita.

Piansi tutte le mie lacrime, sperando con tutta me stessa che si trattasse solo di un incubo.

- Mi dispiace, mi dispiace... - continuavo a ripetere tra me e me - Avevo promesso di aiutarti, l'avevo promesso!

Non era possibile, non era possibile tutto ciò che stava accadendo! Non era vero, non poteva essere vero.

Non poteva finire tutto così. Non avrei mai potuto perdonarmi. Ben era la persona migliore che avessi mai conosciuto. E ora per lui era tutto finito. Tutto.

Prima fase del lutto: la negazione.

Restai a piangere per non so quanto tempo,  fino a quando non sentii in lontananza i rumori di una sirena della polizia.

Venni separata bruscamente da Ben, ed iniziai a dimenarmi.

All'improvviso, da non so dove, una rabbia cieca mi avvolse.

- È stato il padre! Il padre! - urlai - È colpa sua! Sua! È tutta colpa sua!

Venni immobilizzata, e degli uomini mi misero in un'auto della polizia, mentre io non facevo che urlare e strepitare.

- Colpa sua! Sua! È colpa sua se Ben è morto! È colpa sua!

- Adesso calmati, ti dovremo porre alcune domande, e ci spiegherai tutto - disse un poliziotto, seduto davanti a me, al volante.

Tanto era colpa del padre. Era stato lui ad ucciderlo. E chi altro, sennò? Era colpa sua.

- È solo un mostro - dissi - un lurido mostro bastardo, che pretende di essere trattato come un umano. Voglio che lo mettiate in cella per tutta la vita, voglio che non debba mai più vedere la luce del sole!

Angolo autrice: Sì, sono una persona cattiva. Vi prego di non odiarmi, anche perché la storia non è ancora finita, assolutamente! Anzi, diciamo che la mia storia è divisa in tre parti, e che questa non è altro che la fine della prima.
Come vorrei farvi notare, cercherò di esporre nei prossimi capitoli, le varie fasi di accettazione del lutto. In  questo capitolo ne vediamo due: La negazione e la rabbia.
Iiin ogni caso, come va con i disegni?
Io non ne ho più fatti, anche se ho trovato un'immagine che secondo me è perfetta per Emy e Ben:

Manca solo il berretto a Ben e poi è uguale uguale a come li immagino...

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