capitolo 21
James's pov
Non possiamo restare qui.
Dobbiamo andarcene.
Non è sicuro.
Che cosa devo fare?
È il caso di dirlo a Jane? Chiamerebbe subito la polizia, o darebbe sicuramente di matto. La carriera di nostra madre andrebbe in frantumi, che succederà?
Non posso rovinarle la vita così, mandandola in prigione.
Ma d'altra parte potrebbe aver ucciso nostro padre, molto probabilmente anche quello di Scott.
«Dobbiamo tornare a casa» dico appena varchiamo la porta della stanza di Jane, che si gira alzando un sopracciglio.
«Perché?»
«Il fascicolo dell'autopsia lo abbiamo, non ci sono altri motivi per restare, no?» dico, cercando di essere il più convincente e tranquillo possibile.
«Beh si..ma dobbiamo ancora scoprire tante cose e-»
«Jane possiamo controllare da casa, poi se proprio serve torniamo qui, tu stai saltando dei giorni a scuola e ti ricordo che hai un esame quest'anno» dico tutto in un colpo, parlando peggio di flash, e lei annuisce convinta.
Perché mia madre avrebbe dovuto uccidere mio padre? E perché anche il padre di Scott? Lo conosceva?
Nonostante sia una grande egoista, quand'ero piccolo non mi ha mai fatto mancare niente, quindi non posso voltarle le spalle così.
Manderei tutto in frantumi.
Jane apre l'armadio della stanza, iniziando a sistemare le sue cose nella valigia, ma si ferma quando ne nota un'altra oltre la sua, di colore blu scuro «Ma questa è di Scott» afferma, lasciandosi cadere le braccia lungo i fianchi.
Perché la sua valigia è qui? È tornato a Brooklyn, allora perché farlo lasciandola in hotel?
Sto per risponderle, ma sento il mio cellulare che riproduce il suono di una notifica e lo prendo, con lo sguardo di Jane addosso.
«È Scott»
«Cosa? Che ti ha detto?» mi chiede, e io le mostro il messaggio che mi ha scritto.
"Stamattina ho preso l'aereo, sono tornato a casa per un imprevisto, quando ritornate portatemi la valigia. L'ho scordata in hotel."
Jane alza un sopracciglio, scuote leggermente la testa e si irrigidisce. Ritorna a preparare la valigia, come se niente fosse. Non dice una parola e preferisco non dire niente anch'io.
Preferisce far finta che non le importi nulla, come al solito.
«La mia valigia è già pronta, ti aspetto nella hall.» le dico e lei alza il braccio in aria, formando con la mano un pollice all'insù.
Jane's pov
Se n'è andato. Così, senza dire niente. Un po' come ha fatto papà.
Perchè andarsene? C'è qualcosa di strano. Non avrebbe mai scritto un messaggio così, era freddo, troppo freddo per uno come Scott. Se l'avessi scritto io sarebbe già stato più veritiero.
Messaggio vero o no, non m'importa, infondo non siamo nemmeno amici, no?
Sono esausta, l'ultima cosa che voglio fare è pensare a che fine abbia fatto quell'imbecille.
Tornata a casa, poso la valigia in camera mia, apro le finestre, osservando per qualche secondo il buio della notte, con l'aria gelida che entra nella stanza. Mi lascio cadere sul letto a pancia in giù affondando la testa nel cuscino. Le palpebre si abbassano e sento il mio corpo diventare sempre più leggero.
Le mie mani tremano, non riescono a reggere il telefono. Non riesco a respirare.
Mi sento come se non riuscissi a prendere aria.
«Papà, papà! Che succede? Parla!» grido mentre il telefono continua a squillare.
Dov'è? Dov'è nel momento del bisogno? Dov'è quando serve?
Il telefono mi cade dalle mani a causa del tremolio, ma non gli do importanza «Papà rispondimi! Apri gli occhi! Aprili!» colpisco più volte il suo petto con le mani, ma la risposta non arriva.
Che succede papà? Mi hai lasciato? Perchè mi hai abbandonato?
Due braccia mi avvolgono da dietro, cercando di farmi allontanare dal suo corpo, ormai senza vita «Andiamo, non va bene stare qui, sta arrivando l'ambulanza» dice singhiozzando, la sua voce trema.
Perchè non c'è più? Chi gli ha fatto questo?
«Papà svegliati! Svegliati! Mi avevi promesso che avremmo aperto tutti insieme i regali, ricordi? Svegliati!» continuo a gridare, così forte che sento il mio corpo vibrare.
O forse sono solo i singhiozzi a farlo muovere.
Dov'è la mamma? Perchè non è qui?
Mi lascio andare nelle braccia di James, che mi allontana dal suo corpo, con le lacrime che continuano a bagnarmi le guance.
Il suo petto aderisce alla mia schiena, sento il battito del suo cuore che si fa sempre più forte, mentre trema con la testa sulla mia spalla.
«Jane, sono qui, svegliati» sento due mani che mi scuotono per le braccia e di colpo spalanco gli occhi.
Mi metto subito a sedere, delle goccioline di sudore mi scorrono sulla fronte e il cuore sembra esplodere.
Devo prendere le pillole, merda.
I miei occhi incrociano quelli di Jacob, che mi guarda preoccupato e mi abbraccia. Vederlo mi riempie il cuore di gioia. «Che ci fai qui?» chiedo, senza ricambiare l'abbraccio, ma appoggiando la testa sulla sua spalla.
L'ho rivisto. Quella notte, io l'ho rivista tutta. Mi sembra ieri.
«James stamattina mi aveva avvisato che sareste tornati, ed eccomi qui» mi fa un piccolo sorriso, sistemandomi una ciocca di capelli dietro le orecchie.
«Dormi qui?»
«A meno che tu non voglia buttarmi fuori casa, si» ridacchia e io gli do un pugnetto scherzoso sul braccio.
È da quando siamo piccoli che facciamo spesso pigiama party, cucinando pancakes o mettendo sotto sopra la casa in piena notte. Siamo sempre stati abituati a dormire insieme, ogni tanto da bambini facevamo finta di essere negli scout costruendo delle tende in camera.
Mi alzo dal letto, apro il cassetto e subito prendo le mie pillole, riempio un bicchiere d'acqua e deglutisco.
Quando Jacob scoprii del mio problema al cuore, iniziammo a piangere entrambi, come se la mia morte fosse molto vicina, ma infondo avevamo solo sei anni e non potevamo veramente capire.
E però c'è sempre stato, non mi hai mai abbandonato, mentre io sparisco in continuazione. Nelle amicizie sono sempre stata un disastro, non sono mai riuscita ad averne una duratura oltre lui, perché non sono un'amica stabile. Del resto non sono nemmeno una persona stabile. Spesso mi capita di aver bisogno dei miei spazi o di staccare la spina dal mondo reale allontanandomi da tutti, cosa che Jacob ha sempre capito, ma il resto del mondo no.
Ogni tanto vorrei raccontargli tutte le cose che succedono, ma sono sicura che finirebbe col volermi aiutare e io non voglio metterlo nei miei casini.
Non deve succedergli niente.
«Sappi che devi spiegarmi che fine hai fatto.» mi dice, incrociando le braccia al petto.
Mi siedo sul letto a gambe incrociate, difronte a lui, prendendo un grande sospiro. Infondo è il mio migliore amico, no?
Gli racconto quasi tutto, dall'incontro con Scott fino alla visita a Londra con quella strega di mia madre, ma risparmiandogli quella specie di rapimento nel centro di organizzazione. Non so come la prenderebbe a sapere che mi hanno puntato una pistola alla tempia.
«È Scott vero?» chiede di punto in bianco, accennando un sorriso.
«In che senso?»
«La persona a cui hai ricambiato l'abbraccio»
«Beh..si, ma non significa niente»
«Quindi vorresti dirmi che non ti piace?»
«È solo un ragazzo che mi aiuta a risolvere un omicidio, insomma..» gesticolo con le mani con fare ironico, lasciando la frase in sospeso.
«Ma non ti è indifferente, Jane» dice facendomi un occhiolino, scandendo il mio nome.
Alzo gli occhi al cielo, per poi cambiare argomento, perché non so rispondere.
Cos'è lui per me?
Oltre James e Jacob non mi fido più di nessuno da anni ormai, tutto mi è indifferente, tutto è niente per me.
Niente mi colpisce e niente mi ferisce, nessuno può farlo.
Sono intoccabile, ho una corazza di acciaio attorno a me che resiste ad ogni colpo, come fossero proiettili.
E io ho imparato a rigirarmi quei proiettili, per poi scagliarli contro le persone.
Pensate sia sbagliato? Può darsi.
Ma infondo è meglio proteggersi, che finire distrutti in mille pezzi per colpa di un essere umano.
Insomma, siamo delle creature minuscole e insignificanti di un intero universo, possiamo mai star male per una misera persona di un intero pianeta? Assolutamente no.
Nessuno può distruggermi.
Nessuno deve essere distrutto.
Ma il problema è che tutti abbiamo la possibilità di distruggere.
***
Alzo una mano in segno di saluto a Jacob e Amber che si dirigono fuori il cancello della scuola, prendo le chiavi dalla tasca e mi dirigo verso la mia macchina nera.
Questa macchina è con me da ormai due anni, me la regalò James al mio diciassettesimo compleanno, eppure l'ho sempre usata pochissimo. Non sono una ragazza che usa molti mezzi di trasporto, o meglio, se può, preferisce non usarli. Ma allo stesso tempo amo maledettamente viaggiare, l'aereo è l'invenzione più bella che esista.
Il vento mi scompiglia i capelli, assieme al leggero freddo di dicembre, che arriva ormai alle porte. Se c'è una cosa che amo di questo periodo è l'inverno, la mia stagione preferita.
La cioccolata calda, le coperte che ti riscaldano con accanto un bel film, la neve e le felpe oversize.
Siamo realisti, può esserci di meglio?
L'anno scorso nevicò così tanto che non abbiamo potuto usare la macchina per un paio di giorni, la neve era così alta che a malapena riuscivamo a camminare nel vialetto fuori casa senza sprofondarci.
Tutto quel bianco a terra, sugli alberi e sui tetti delle case, mi da un senso di pace e di libertà.
Quando i bambini nel parco si lanciano per terra formando degli angeli di neve, mentre le loro mamme arrivano infuriate perché possono prendere un raffreddore.
Quando ero piccola facevo sempre gli angeli di neve, mi lasciavo cadere su di essa, allargavo le braccia, come quando vuoi far capire a qualcuno che vuoi essere abbracciato, e formavo le ali.
Un angelo. Io sulla testa ho tutto tranne che un'aureola.
Salgo in macchina e accendo il motore, ma quando sto per andare verso la strada di casa decido di cambiare direzione. Decido di andare da Scott.
Gli devo ancora portare la valigia, penso sia ora di farlo e fortunatamente la ho già nel cofano, infondo sono passati due giorni, eppure di lui a scuola non c'è traccia.
Non capisco come possa essere così popolare tra i ragazzi, l'unica cosa per cui potrebbe vantarsi è essere giocatore della squadra di basket.
Ma per il resto? Non è il classico ragazzo dei film o dei libri, un po' il così detto "bad boy" della situazione.
È misterioso, sembra sempre che scappi da qualcosa, un po' come me.
Entrambi stiamo scappando, e fa ridere, perché basterebbe che trovassimo la stessa strada, per incontrarci.
E che succederebbe se ci incontrassimo?
Parcheggio la macchina davanti casa sua, mi dirigo sul retro dell'auto per prendere la valigia e vado verso il cancello. Leggo "Cooper" sul citofono e busso, stranamente nessuno mi chiede chi sia e uno scatto fa aprire il portoncino.
Arrivo davanti alla porta d'ingresso bianca, preparandomi psicologicamente al solito sguardo di Scott.
La porta si apre, e a mia insaputa, mi ritrovo davanti una signora, avrà non più di una quarantina d'anni.
I suoi capelli biondi fanno pensare a riccioli d'oro, sembrano di seta, le ricadono ad onde sulle spalle. Gli occhi sono castani, le guance dipinte di rosso e un piccolo sorriso cordiale le spunta in viso. Letteralmente il contrario del figlio, altro che sorriso cordiale.
Dio, l'obbiettivo non era quello di incontrare altri Cooper oggi.
«Salve signora, lei è la madre di Scott? Per caso è in casa?» chiedo nervosa, mordendomi il labbro
«Si, sono io..è in una vacanza con degli amici, tu sei una sua amica?» mi chiede, squadrandomi da capo ai piedi.
In vacanza di amici? Che diavolo stai combinando Scott?
«Una specie..» dico pensandoci su «ho riportato la sua valigia» gliela appoggio difronte a lei, che alza un sopracciglio.
«Va bene, grazie.»
Faccio un cenno col capo in segno di saluto, mi giro velocemente dandole le spalle andando dritta fuori dal cancello di questa casa.
La signora mi chiama, prego che non abbia voglia di fare conversazione e mi giro verso di lei, aspettando una risposta «Sono Millie, Millie Green»
Okay, perchè dovrebbe presentarsi?
Il suo cognome mi è familiare, eppure non mi viene in mente niente.
«Io sono Jane, Jane Stinson»
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