capitolo 20
Jane's pov
Apro lentamente gli occhi, per poi richiuderli subito dopo a causa della luce del giorno.
Mi giro sul fianco dando le spalle alla finestra, affondando la testa nel cuscino e un espressione confusa si forma sul mio volto.
Dov'è Scott?
Ieri sera dopo che è uscito non è tornato, ho preferito andarmene a dormire senza aspettarlo. Infondo se la sa cavare da solo , no?
E se gli fosse successo qualcosa?
Ma no, che deve succedere a cappuccetto nero.
Sento qualcuno bussare, mi alzo controvoglia e apro la porta.
«Buongiorno James»
«Dov'è Scott?» chiede entrando nella stanza
«Non ne ho idea»
«Che significa non ne ho idea?»
«Sono le sette e trenta del mattino, sembro un porcellino d'india, con delle occhiaie sotto agli occhi che puoi costruirci una piscina molto profonda, e tu sei convinto che io sappia dov'è Scott?»
«I porcellini d'india sono carini e poi è quasi dicembre, nessuno vuole andare in piscina» dice alzando gli occhi al cielo
Sbadiglio andando verso l'armadio, scegliendo cosa mettermi.
«Ieri sera mi ha chiamato nostra madre per i referti dell'autopsia, tra qualche ora andiamo da lei a prenderli, quindi non vestirti come se stessimo andando ad un funerale»
«Beh, potrebbe essere il suo»
«Jane!»
«Scherzavo, scherzavo» dico mettendo le mani in alto.
Decido di indossare una felpa bianca, accompagnata da un jeans blu scuro.
Tanto per essere più a colori.
Anche se quella donna i colori te li risucchia guardandoti.
James sospira, per poi prendere il telefono e digitare qualcosa «Scendo nella hall e provo a chiamare Scott, tu preparati. Ti aspetto di sotto» mi dice e io annuisco
Prendo il telefono dal comodino, e mentre cerco la mia playlist da tenere come sottofondo in questi dieci minuti, mi compare davanti una mia bozza nelle note, scritta qualche settimana fa:
"A volte è come cadere nel vuoto.
Un vuoto doloroso. Continuo.
Senza sosta. Infinito.
Un vuoto che ti avvolge.
Un vuoto che ti prende con sè e sta a te trovare il modo di uscirne.
E tu vaghi in questo vuoto che ti colpisce dentro.
Una continua sensazione di una mancanza dentro di se.
La continua sensazione di qualcosa che vuole uscire fuori ma che non riesce.
E quando non riesce ad uscire ti fa male, male da morire.
Come delle fitte al petto.
Come se ti stessero colpendo ripetutamente.
Come se ti prendessero a schiaffi.
E la cosa che ti causa più dolore, è che non puoi reagire.
Non puoi dire niente.
Perché niente di quello che dirai cambierà questo vuoto, perché non spetta a te.
Non puoi farci niente.
E io odio non poter farci niente.
Odio non poterlo affrontare.
Odio non avere una soluzione.
Odio essere in un continuo bilico tra la calma e l'impazzire.
Odio quella continua voglia di urlare.
Di piangere.
Di cacciare fuori questo qualcosa dentro di me.
Questo mostro dentro di me."
Mi scappa una risata e vado dritta nel bagno.
Ora è l'assenza di Scott a causare questo vuoto.
James's pov
Ognuno di noi ha qualcosa di oscuro nel suo passato.
Qualcosa che ci ha cambiato, che ci ha fatto male o che ha segnato qualcosa di grande dentro di noi.
Ma spesso, per quanto sia orribile, può essere qualcosa che ci ha fatto crescere.
Un segno dentro di noi che ci ha insegnato qualcosa e che ci ha fatti maturare.
Nel mio caso, ho imparato a non credere più alle stronzate della gente.
«Se non arriva entro un minuto le faccio pentire di avermi come figlia» borbotta Jane, incrociando le braccia al petto come una bambina.
Siamo nell'ufficio di nostra madre, che ci ha chiamato dicendo di aspettarla qui e che sarebbe arrivata fra poco.
Ci ha accolto William alla porta, il maggiordomo di questa casa da quando siamo nati.
Era strano, sembrava sorpreso, come se non si aspettasse che fossimo ancora su questo mondo.
Perché?
«Ora arriva, devi solo aspettare.» le dico, e lei si appoggia la testa sulla scrivania.
Resta in silenzio per qualche minuto, poi la vedo perdere lo sguardo ne vuoto «Junior, che c'è?» le chiedo inclinando la testa
«Dov'è?» e so benissimo a chi si riferisce
«Non ha cinque anni, starà bene, magari è andato a divertirsi con qualche ragazza»
«A Scott non se lo prende nemmeno un palo»
Sto per ribattere, ma la porta si apre e noi scattiamo all'impiedi, un po' come quando entra un insegnante in aula e tutta la classe si alza.
Come se poi gli insegnanti fossero la regina Elisabetta, insomma, vuoi anche il red carpet?
Ed eccola lì.
I capelli poco più lunghi di un caschetto neri come le tenebre e gli occhi verdi che sanno tutto di te ancor prima di parlare.
Si precipita verso di me, abbracciandomi e anche se con sorpresa, ricambio.
«Non c'è bisogno di fingere» dice Jane, alzando gli occhi al cielo
«Tesoro, ciao anche a te» dice facendole un sorriso tutt'altro che accogliente, prova ad abbracciarla, ma lei indietreggia bruscamente.
Non si farebbe mai abbracciare da lei, lo sa, eppure finge di non saperlo.
Va a sedersi sulla poltrona dietro la scrivania, e ci fa segno col capo di sederci.
Io e Jane ci guardiamo negli occhi, e vedo un po' di confusione nei suoi occhi.
Ha paura, ma di che cosa?
È impossibile che abbia paura di lei.
La distrugge con uno sguardo.
«Sapete..vi ho cercato per anni»
«Ma non ci hai mai trovato» dico, entrando in contatto con i suoi occhi verdi.
Lei e Jane sono uguali, i colori e i lineamenti del viso sono identici.
E questa è la cosa che mia sorella odia di più.
«O forse ho finto» fa un piccolo sorrisetto, rivolgendo lo sguardo alla finestra che affaccia sul grande giardino.
«Finto? Che significa?» chiede Jane
«Io so dove abitate, lo so ormai da due anni»
«E non hai fatto niente?» si alza, sbattendo le mani sul tavolo
«Vi ho tenuti d'occhio.»
«Tenuti d'occhio?!» urla «io ho provato anche a giustificarti, dicendomi che non sapevi nemmeno dove abitavamo e che non potevi nemmeno chiamarci. Tu invece lo sapevi! Lo sapevi e non hai fatto niente!»
«Ehi..calma» mi alzo, poggiandole le mani sulle spalle
«Lo sai Jane..non sei cambiata per niente» ridacchia stuzzicandola.
Meglio intervenire prima che finisca male.
«Allora..hai portato il fascicolo?» chiedo in fretta, sedendoci nuovamente
«Si.. -si abbassa prendendolo dalla sua borsa- le mantengo le promesse» dice e mia sorella borbotta qualcosa di incomprensibile.
Jane le prende il fascicolo dalle mani, lo apre e legge velocemente le righe, fino ad arrivare alla fine di una delle pagine e sgrana gli occhi «Che succede?» chiedo
«Papà è stato sparato con una Glock G19. Lo sapevo, non era una calibro» dice, mordendosi il labbro nervosa.
Anche mia madre sgrana gli occhi, che le prende? Davvero le importa qualcosa della morte di nostro padre?
«La Glock G19?» chiedo curioso. Non ho mai sentito questo tipo di pistola, o più che altro non me ne intendo.
«È una una pistola semiautomatica, simile alla Glock 17 ma è più corta di 12 millimetri» dice sicura.
Mia madre rimane indifferente, senza intervenire, come se approvasse tutto quello che Jane ha detto.
Da quando mia sorella se ne intende di pistole? È meglio stare attenti a questo punto.
«Bene, allora abbiamo una pista» dico alzandomi. Prendo il fascicolo dalle mani di Jane, ma quando sto per salutare mia madre, noto che sono l'unico ad essersi alzato.
«Inizia ad andare, io devo parlare con lei» dice Jane, senza guardarmi negli occhi, è troppo impegnata a fulminarla con lo sguardo.
Decido di non controbattere, queste due donne sono una peggio dell'altra.
Saluto mia madre ed esco fuori dalla stanza.
Il grande corridoio mi accompagna alle scale, con foto appese di Jane quando era piccola. O più che altro, foto di gruppo degli anni di addestramento con i suoi compagni. Come può averle fatto passare un'infanzia così?
La casa è rimasta sempre la stessa: le pareti, i mobili antichi e oggetti costosi di qua e di là. Eppure ogni volta che la vedo, mi rendo conto di quanto io e Jane non apparteniamo a questo.
Siamo ricchi? Beh, fin quando si è sotto questo tetto si, ma non proviamo l'effetto che si vede sui soliti ragazzi di oggi.
Arrivo alla grande sala che porta all'ingresso di casa, ma guardandomi un'ultima volta intorno, noto un nuovo mobile, una specie di comò.
Non è cambiato niente qui dentro, è tutto uguale, eppure quel mobile si.
Mi avvicino, leggendo dei titoli di libri messi con cura nello scaffale, ne noto uno interessante, con una copertina morbida come quella di un peluche, diversa dagli altri.
Poso il fascicolo al di sopra del mobile, lo prendo per leggerne la trama, ma quando lo faccio, noto uno spazio dietro il libro, all'interno del mobile.
Ma che cos'è?
Con cautela poggio la mano, non riesco a vedere dentro ma sento qualcosa, lo tiro fuori e sussulto quando noto cosa mi ritrovo in mano.
Una pistola. Perché ha una pistola qui?
Non dirmi che..non può essere.
Mi guardo intorno assicurandomi che non ci sia nessuno, per poi tirar fuori velocemente il telefono dalla tasca.
Cerco su internet "Glock 19" e subito cerco le informazioni e le immagini.
È lei. È quella pistola.
Sento una porta dal piano di sopra aprirsi, e la voce di Jane che parla con nostra madre.
Rimetto tutto apposto, piazzandomi davanti alla porta d'ingresso.
«Andiamo James, ho finito di parlare con quella papera» alza gli occhi al cielo, e io annuisco titubante, seguendola fuori casa.
Questo non era previsto.
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