capitolo 10

Quante volte vi capita di subire una delusione, qualcosa che vi fa star male, o fare un errore? Vi capita di farlo e cadete, cadete e avete l'impressione che non vi rialzerete più.

Siete lì, stesi per terra, completamente arresi.

Che senso ha? bisogna rialzarsi, bisogna combattere. Facendo così sembrate solamente dei fannulloni. Sono dell'idea che quello che spaventa gli adolescenti sia il fallimento, la paura di deludere, di fare stronzate. Ma infondo senza esse che cosa saremmo? La vita è fatta di questo, di sbagli. Senza essi non impareremo niente.

Sbagliare non è un fallimento. Il fallimento è rimanere fissi su quello sbaglio e non provare nemmeno a rimediare.

Fare un errore è come imparare una coreografia di ballo, ci metti un po' ad impararla, ogni tanto sbagli a tenere il tempo e i movimenti, ma alla fine ricorderai tutti i passi.

«Pronta alla lezione di disegno?» mi domanda Jacob mentre ci incamminiamo verso l'aula.

L'ora di disegno non l'ho mai capita. Finisco sempre col non avere i materiali che mi servono e a malapena riesco ad usare insieme due squadrette quando facciamo le figure e quelle robe là. E se invece ci mette a dipingere sulla tela puntualmente rovescio tutto il colore sul banco e la professoressa Smith per poco non mi mangia viva.

«No, per niente. Non capisco nemmeno a cosa serva, è inutile» sbuffo

«Oggi se non sbaglio aveva detto che ci avrebbe fatto dipingere, vedi di non fare disastri»
«Il problema è che sto sempre senz-» Jacob mi interrompe poggiandomi un dito sulle labbra «Tranquilla, ho portato io il materiale per te, piccola smemorata.»

Gli faccio un sorriso a 32 denti «Come si vede che sei il mio migliore amico!» esclamo abbracciandolo, dopodiché entriamo in aula.

L'insegnante non c'è ancora e noi andiamo a sederci ai nostri posti.

Prendo l'occorrente dal banco di Jacob e appena mi giro per andare al mio posto vado a sbattere con qualcuno che andava nella mia direzione.

E con nonchalance mi cade tutto per terra «Ma che diavolo..» impreco cercando di non perdere l'equilibrio. Ma fallisco, e finisco con la testa per terra.

Mi rialzo massaggiando la testa dolorante per la botta e alzando lo sguardo i miei occhi incrociano i suoi. Oggi sono verdi.

«Stai sempre in mezzo!» sbotto contro di lui mentre raccolgo i colori da terra.

«Ma zitta, sei tu che ti lamenti troppo. Non ho visto dove stavo andando»

«Sei proprio un imbecille!»
«Tu dici?»
«Si, lo dico.»
«Ripeti, ripeti quello che hai detto»
«Sei un imbecile»
«Prova a ripeterlo solo un'altra volta..»
«Imbecille imbecille imbecille!»

Si avvicina a me a passo veloce cercando di afferrarmi il braccio ma io mi scanso per poi fargli il terzo dito.

In quel momento la professoressa entra in classe e io sorrido soddisfatta a Scott tornando al mio posto.

Dopo 10 minuti ci lascia liberi, e di conseguenza iniziamo a prendere le tempere per la tela. Oggi ci ha assegnato un lavoro diverso dal solito.

"Dovete prendere le vostre emozioni e gettarle sul quadro, come capita, non deve per forza avere un senso logico"

Io allora dovrei fare un casino suppongo.

Prendo il pennello e lo immergo nel nero, per poi colorare la tela del medesimo colore. Mi fermo un po' a fissare la tela e poi mi guardo intorno cercandolo con lo sguardo.  I miei occhi si posano su di lui, sta guardando fuori la finestra, è pensieroso.

Si gira di nuovo verso la sua tela e, sentendosi osservato, si gira verso di me e per la prima volta non ci guardiamo con una faccia schifata.

Vorrei distogliere lo sguardo eppure continuo a guardarlo. Lui fa lo stesso.

È uno dei più popolari della scuola, anche se non sembra. È un bel ragazzo e tutte gli sbavano dietro, eppure lui non ne calcola nemmeno una. Perché?

Scuoto la testa e torno a guardare la mia tela, nel frattempo noto che gli altri sono già quasi a metà.

La mia è completamente nera, perché dentro io ho questo.
Ho un buco nero, il vuoto. Vago nel nulla assoluto e sembra non avere una fine.

Eppure potrebbe esserci una..ci potrebbe essere.

Prendo il pennello e lo immergo nel giallo, e dipingo in mezzo al nero una via, una strada. Una luce, una via d'uscita.

Forse è questa che potrebbe aiutarmi.

E chi mi tirerà fuori da questo buco nero?
Qualcuno avrà il coraggio di afferrare la mia mano e portarmi fuori?

Sono un buco nero, sono persa al suo interno ma..

Perdersi non significa non poter più trovare una via d'uscita. Non poter più trovare una luce.

È come se avessi bisogno di tornare a respirare.

***

È da circa 1 ora che sto correndo attorno al lago.

Ho la fronte bagnata dal sudore, alcuni capelli usciti fuori dalla lunga coda nera che mi cadono sulla fronte e i miei auricolari ancora fissi nelle orecchie.

Non capisco come le persone possano comprarsi le airpods, sono solamente degli auricolari senza fili e le paghi più di cento dollari. Inoltre la possibilità che ti cadono è alta e se si rompono hai solo buttato soldi.
Preferisco rimanere fedele ai miei amati auricolari con i fili.

Sto correndo da tanto eppure non sento la stanchezza, anzi continuerei ancora, ma inizio a sentire il cuore che chiede una pausa.

Mi fermo appoggiandomi ad un albero e caccio dalla tasca della felpa le mie pillole. Ingoio le solite due e inizio ad incamminarmi verso casa.

È ora di cena, e mi auguro che James abbia iniziato a cacciare qualcosa dal frigo, altrimenti giuro che lo lascio digiuno.

Ha ventidue anni, dovrebbe essere lui l'adulto di casa e invece lo sembro io. Esilarante.

Sto per ricominciare a correre in modo da arrivare prima, ma appena sto per prendere velocità sento qualcuno dietro di me, mi afferra la mano e mi tira facendomi girare, contemporaneamente alzo già un pugno con l'altra mano pronta a colpire fin quando non mi ritrovo faccia a faccia con Scott.

I nostri visi sono più vicini del previsto, non mi ha ancora lasciato la mano e io abbasso lentamente il pugno che avevo alzato.

Dovrei agire, eppure più lo guardo negli occhi più sento i miei piedi incastrati nel suolo.

«Perché l'hai fatto?»
«Cosa?»
«In classe, oggi, mi stavi guardando»
«Grande, almeno significa che non sono cieca»
«Mi hai guardato senza fare una faccia schifata, e dopo ti sei girata come se nulla fosse»
«Capita» scrollo le spalle e lui lascia la mia mano.

Rimane a guardare i miei occhi verdi, e io rimango a guardare i suoi occhi dello stesso colore.
Ha una mascella molto lineare e una piccola fossetta gli spunta nella guancia destra.

Ci guardiamo per un po', senza dirci niente, come se il suo sguardo stesse vagando nel mio e viceversa. Poi è come se tornassimo alla realtà, sbarriamo gli occhi e facciamo qualche passo indietro, per poi guardarci con una faccia schifata.

«Che guardi, faccia da fesso»
«Sei proprio bipolare, dio»
«Almeno non minaccio di volere della tequila nei bar»
«Me lo rinfaccerai per tutta la vita, mh?»

Faccio un piccolo sorriso «Esattamente.»

Alza gli occhi al cielo, si mette le mani nelle tasche dei jeans neri, si gira e se ne va. E non so per quale stupido motivo, ma lo seguo.

«Ora sei tu quella che mi stalkera» dice appena mi ritrovo a camminare affianco a lui.
«Potrebbe darsi»

Mi metto gli auricolari nelle orecchie, ci penso su e ne tolgo una, dopodiché gli picchietto sulla spalla mentre camminiamo
«Ne vuoi una?» gli porgo una cuffia e lui la prende mettendosela.

In my blood di Shawn Mendes risuona nelle orecchie e lui si ferma di colpo «Che c'è? Hai la vescica piena? Se si allora vai dietro l'albero se pro-»

«Tu ascolti questa musica?»
«Non solo, ma si anche, problemi?» alzo un sopracciglio.

Lui fa una faccia schifata lasciando cadere la cuffia e continua a camminare «Non mi dire che..»

«Che schifo Shawn Mendes!» grida mentre cammina ormai in lontananza. «Dopo questa frase sei tu quello che fa schifo!»

Mi giro indignata riprendendo la strada verso casa, poso le cuffiette nella tasca e dopo un po' sento una presenza affianco a me «Ti accompagno a casa» dice serio.

«Se è una scusa per farti perdonare sappi che non lo farò»
«Non è una scusa, stai zitta e non fiatare per una volta»

Passano svariati minuti, e intravedo l'incrocio prima di casa.
Sento il suo respiro pesante, non so per quale motivo, come se fosse in tensione.

Effettivamente nessuno dei due dice una parola da un po'.
Rimediamo.

«Perché hai lasciato la tela in bianco?»
«Come sai che era in bianco? L'hai guardata solo una volta e a fine ora sei uscita su-»
«Non sono stupida Scott» lo guardo e sembra sussultare leggermente quando pronuncio il suo nome, ma penso sia stata solo una mia impressione.

«Non aveva senso dipingere quella tela. Dentro di me non c'è niente.»
«In che senso?»
«Non provo niente»
«Potevi almeno buttare qualche colore a caso, come sei banale»
«È troppo facile fingere per tutti, non indosso una maschera come fai tu.» rimango sorpresa ma cerco di non darlo a vedere.

Non rispondo e ormai arrivati di fronte casa, mi fermo e mi giro per dirgli che siamo arrivati, ma dalla mia bocca esce questo: «Cosa ti fa credere che tutti fingano?»

«Perché ho dato un occhiata alle tele che hanno fatto in classe nostra»
«E quindi?» gli domando

Si avvicina a me, è molto più alto quindi devo alzare leggermente la testa per guardarlo negli occhi. Mi guarda qualche secondo negli occhi per poi sospirare.

«Siamo fogli bianchi che fanno finta di essere colorati»

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