Capitolo 8

Charlotte mise in moto l'auto, una piccola Fiat Cinquecento d'epoca color rosso brillante. L'aveva ricevuta in regalo appena conseguita la patente, l'anno precedente. Se ne era innamorata appena l'aveva vista dal concessionario e Mycroft l'aveva accontentata qualche mese dopo. Era un'auto originale degli anni '60, un vero pezzo d'antiquariato, proveniente direttamente dall'Italia e rimessa a nuovo così che rispondesse positivamente a tutte le nuove richieste per la circolazione automobilistica. Era piccola, era vero, ma non le importava. Per fare Londra-Oxford andata e ritorno, con dentro solo lei e i suoi bagagli, era più che sufficiente.
Sistemò l'auricolare nell'orecchio, il cellulare poggiato nel vano porta-oggetti. Lo schermo era acceso e mostrava il tentativo di prendere la linea con il numero di Sherlock. Era la terza volta che lo chiamava e lui sembrava volerla ignorare. Era presto, non poteva negarlo, ma suo zio aveva il sonno molto leggero e di solito rispondeva dopo uno squillo. Due, se era proprio occupato. A volte, con lei, non faceva neanche in tempo a squillare che subito la sua voce le raggiungeva le orecchie. Ma quella mattina aveva deciso di farla impazzire ed innervosire.
Proprio mentre aveva ingranato la marcia e stava uscendo dal parcheggio, finalmente sentì il cellulare prendere la linea.

"Lotte." disse semplicemente, la voce leggermente impastata ma sicura.

"Buongiorno, fiorellino. Non eri quello che non dormiva mai?" commentò, guardando a destra e sinistra prima di immettersi in strada. Non gli diede tempo di rispondere che riprese a parlare. "Devi venire subito a Abingdon-on-Thames. C'è stato un omicidio molto interessante e la polizia non sa cosa fare."

Sherlock ridacchiò e il suono della sua risata andò a sposarsi col ticchettio della freccia dell'auto.

"Devo fidarmi del tuo giudizio? Che voto gli daresti?"

"Almeno un sette o un otto, caro zio." stette in silenzio per un istante. "Un prete è stato trovato appeso al crocifisso centrale. Non so molto altro, sto andando lì anche io."

"Mettiamo caso che tu abbia ragione." replicò Sherlock, e Charlotte lo immaginò buttarsi sul divano. "Non è Scotland Yard, non ci sarà Lestrade. Non mi faranno mai entrare."

"Per una volta ti ho preceduto. Papà mi ha mandato l'autorizzazione. Certo, crede che andrai tu con John e basta, quindi... non dirgli niente." rispose, facendo seguire le parole da un sonoro rumore di clacson. "Se hai deciso di suicidarti, almeno non farlo sotto la mia macchina! Coglione!" urlò contro un passante che aveva attraversato la strada senza rispettare le precedenze.

Sherlock rise per l'irruenza della nipote e si mise seduto. Pensò per qualche istante alle parole della ragazza. Un prete crocifisso era abbastanza interessante, almeno era qualcosa di nuovo da vedere. Probabilmente il caso sarebbe stato noioso e semplice da risolvere. La polizia si perdeva spesso in dettagli inutili, si faceva stupire dalla teatralità e non vedeva che la realtà era molto più semplice di quello che sembrava. Alla fine sospirò e annuì.

"Va bene. Recupero John e arrivo. Tu non fare niente finché sono lì, siamo intesi? Non entrare, non toccare, non parlare con nessuno. Se ti chiedono perché sei lì, puoi dire solo che stai aspettando me. La polizia dell'Oxfordshire mi conosce di nome, non ti cacceranno."

Charlotte sorrise, trionfante. Si rilassò appena alla guida, abbassando le spalle e appoggiandosi allo schienale. Sapeva che lo aveva fatto solo per accontentarla, non aveva intenzione di compiere un viaggio di circa due ore per un caso che considerava già noioso e stupido. Ma lei non aveva intenzione di farlo vincere, non quella volta. Aveva un presentimento su quel caso, sarebbe stato più interessante di quello che suo zio pensava.

In circa un'ora arrivò a destinazione. Girò un po' per trovare un posto dove parcheggiare l'auto e, prima di dirigersi alla chiesa, si fermò a prendere un caffè da portare via. Non fu difficile trovare la scena del crimine, anche se non conosceva Abingdon. Bastava seguire il campanile e il vociare delle persone. Arrivò quindi in coda ad un nutrito gruppo di persone raggruppate attorno ai nastri gialli della polizia.
In prima fila c'erano quattro donne decisamente sovrappeso che avevano passato la mezza età. Una di loro, che stava al centro con un fazzolettino di stoffa premuto contro gli occhi porcini, continuava ad ululare e chiedere che la facessero passare. Charlotte pensò che dovesse essere la perpetua, una donna sola che aveva dedicato la sua vita alla parrocchia. Un marito deceduto oppure assente, figli che vivevano lontano. Non aveva nessuno che le tenesse compagnia e aveva quindi deciso di donare tutto il suo tempo alla chiesa. Charlotte serrò le labbra in una smorfia di dispiacere. Si era affezionata a quel prete, era evidente, e perdere l'unica persona che riuscisse a farla sentire utile e le desse qualcosa da fare non doveva essere semplice.

"Scusi, ma non può passare." la voce del poliziotto la riportò alla realtà. Era ormai arrivata alla barriera e aveva alzato il nastro, che l'agente ora stava indicando con un dito. Lei sorrise sorniona, tranquilla.

"Ho il permesso." tirò fuori dalla borsa il foglio che aveva stampato quella mattina che dava la possibilità a 'Sherlock Holmes et al.' di introdursi nella scena del delitto. Peccato che quel et al. fosse John e non lei e, se suo padre l'avesse scoperto, non si sarebbe risparmiata una ramanzina storica.

Il giovane prese in mano la carta e le disse di aspettare lì un momento. Corse verso quello che doveva essere l'ispettore capo per accertarsi che non fosse falso. Charlotte, ormai dentro i confini, ne approfittò per avvicinarsi alle donne. Stava per disobbedire agli ordini di suo zio, ma non le importava. Lei non era come lui, non era capace di rimanere distaccata di fronte alla sofferenza, lei voleva rassicurare gli altri. Si schiarì la gola e rivolse alle donne un sorriso.

"Troveremo chi ha commesso l'omicidio, ve lo prometto. Sherlock Holmes si occuperà personalmente di questo caso." disse loro col tono più rassicurante che poté formulare.

La perpetua smise di singhiozzare e rimase a guardarla stupita, un po' come se avesse un'apparizione davanti.

"Quel Sherlock... Holmes?" chiese, incerta, una delle sue amiche, quella con gli occhiali e i corti capelli biondi e ricci che, assieme alle guance tonde, la facevano somigliare ad una bambola di porcellana. Charlotte sorrise e annuì.

"Proprio lui."

"Grazie! Non so come ringraziarla, davvero, grazie!" la perpetua si slanciò in avanti per abbracciare Charlotte. La ragazza dovette fare attenzione a non rovesciare il caffè - dannazione, costava 3 sterline e lo aveva appena comprato! - ma le permise di abbracciarla.

Riuscì a divincolarsi presto e vide tornare verso di lei il poliziotto di prima. Le rese la documentazione, accuratamente piegata.

"Ci saranno altri assieme al signor Holmes e a lei?" chiese con fare cordiale e formale.

"John Watson, il suo assistente." confermò lei, mettendo via i documenti.

L'agente annuì e la invitò ad aspettare fuori, vicino al portone d'ingresso. Rimase con lei a farle compagnia e spiegarle quello che avevano visto. Non c'erano forzature, ma una delle porte era aperta, quindi probabilmente l'assassino era entrato di nascosto da lì durante la notte e aveva aspettato il sacerdote. Charlotte nascose un sorrisetto dietro la tazza. Era totalmente fuori strada. Molto spesso, Charlotte lo sapeva, i preti lasciavano una porta aperta per i senzatetto. Si azzardò a suggerire la sua teoria, facendo notare che durante la notte aveva piovuto e non vi erano tracce di fango. Il giovane balbettò qualcosa, imbarazzato per essere stato smentito così semplicemente soprattutto da qualcuno che non era un professionista nel campo.
Le diede poche altre informazioni ben poco utili, cose che avrebbero scoperto anche loro non appena entrati in chiesa. Le disse poi che il suo nome era Andrew Partridge e le lasciò il suo biglietto da visita, se mai avesse avuto bisogno di lui. Per qualsiasi motivo, si era affrettato ad aggiungere. A Charlotte era bastato uno sguardo veloce per capire le sue reali intenzioni. Aveva più o meno la sua età e l'aveva considerata subito molto bella, tanto da avere subito sviluppato un interesse nei suoi confronti. Aveva pensato 'ma sì, o la va o la spacca' e si era buttato, cominciando a provarci con lei. Aveva abbandonato anche la sua postazione dietro il nastro per stare con lei. Non sapeva se fosse fidanzato o meno, se fosse un donnaiolo o stesse seriamente cercando la donna dei suoi sogni.

Rimase lì ad aspettare tranquillamente l'arrivo del detective e del medico. Sorseggiava il suo caffè e ascoltava passivamente i goffi tentativi di flirt dell'agente Partridge. Non era un brutto ragazzo, per carità. Era alto con dei capelli rosso irlandese appena mossi che gli incorniciavano il volto magro e tempestato di lentiggini. Aveva due grandi occhi color nocciola che trasmettevano tutti i suoi pensieri e le sue emozioni senza un filtro di mezzo e le sue labbra sottili si piegavano dolcemente ad ogni parola pronunciata. Gli avrebbe dato una chance se non fosse stata fidanzata, doveva ammetterlo. Ma lei amava David, e di fronte a lui chiunque perdeva d'importanza sino ad avere i contorni sfumati e i tratti irriconoscibili. Tentava quindi di fargli capire che era occupata, mettendo in mostra l'anello che il ragazzo le aveva lasciato mesi prima e buttando in qualche risposta svogliata dei suggerimenti, ma Partridge non sembrava cogliere.
Tirò un sospiro di sollievo quando finalmente scorse i ricci corvini di Sherlock spuntare dalla folla e la testa bionda di John proprio di fianco a lui. Un poliziotto tentò di impedire loro di entrare, ma venne in loro soccorso un collega che gli spiegò chi erano e mise l'accento sul permesso arrivato poco prima. Con sguardo glaciale, Sherlock mollò la sua borsa nera lucida e quella più malandata di John - una piccola valigia che non avevano potuto lasciare in taxi, ovviamente - al poliziotto che li aveva fermati e si diresse a passo sicuro e con tanto di cappotto svolazzante verso Charlotte. Le rivolse uno sguardo di disappunto, al che lei alzò un angolo della bocca in un sorrisetto. Bevve l'ultimo sorso di caffè e lasciò la tazza di cartone, ormai vuota, all'agente. Gli mise una mano sull'avambraccio, le dita che gli sfioravano il polso, prima di andare via e lo guardò negli occhi, sorridendo.

"Grazie per avermi tenuto compagnia, Andrew." disse semplicemente in tono mellifluo, prima di avvicinarsi allo zio. "Alla buon'ora!"

"Perché non gli hai detto che sei fidanzata?" le chiese immediatamente, a bruciapelo. Charlotte sospirò.

"Ho cercato di farglielo capire. Ma potrebbe tornarmi utile, se metto un muro tra di noi..."

Vide Sherlock combattuto tra la voglia di rimproverarla e l'ammirazione per la sua abilità nei sotterfugi. Alla fine optò per un sorrisetto e un 'sei proprio uguale a tuo padre' sommesso prima di entrare in chiesa, cosa che fece ridacchiare la ragazza. Charlotte decise allora di concentrare la sua attenzione su John, che lo tallonava a poca distanza. Sorrise e allargò le braccia.

"John! Ciao!" esclamò, abbracciandolo forte. Il medico ridacchiò e ricambiò la stretta, prima di poggiarle una mano alla base della schiena e sospingerla delicatamente all'interno dell'edificio.

"Si può sapere come hai fatto?" le chiese. Non ci voleva un genio a capire quello che intendeva: come faceva a sapere di quell'omicidio? Era in una cittadina a un'ora di viaggio a Oxford ed era mattina. La notizia non sarebbe passata prima del telegiornale dell'ora di pranzo. Charlotte gli rivolse un sorrisetto misterioso.

"Beh, parte del fascino di essere una Holmes è avere occhi e orecchie dappertutto." gli rispose, prendendolo sottobraccio. "Una sera, con alcuni compagni di corso, sono venuta in un pub qui vicino. Abbiamo fatto amicizia con altre persone e, beh... una di queste mi ha avvisata stamattina. Sa che mi interesso di queste cose, e questo gli è sembrato talmente strano e particolare che ha voluto dirmelo."

La spiegazione terminò quando si trovarono al fianco di Sherlock a metà della navata centrale. Il moro si era piantato in mezzo, così i due nuovi arrivati furono costretti a separarsi per mettersi ai suoi lati, John a destra e Charlotte a sinistra. Tutti e tre guardavano il macabro spettacolo che si trovava davanti a loro. Il giovane prete era inchiodato al crocefisso centrale, ad emulare la posa del Cristo in croce. La testa era reclinata in avanti, il mento toccava il petto e il corpo pendeva appena dalla croce tanto che potevano quasi sentire il rumore delle ossa che si spostavano e delle cartilagini che si rompevano. La luce che entrava dal rosone colorava di rosso, giallo, verde e blu il corpo dell'uomo, dandogli un'aspetto ridicolmente surreale. Ad una prima occhiata, niente all'interno dell'edificio era fuori posto, come se non fosse mai entrato alcun ospite indesiderato.

"È... terribile." mormorò John.

"Quasi poetico." gli fece eco Charlotte.

"Finalmente interessante!" terminò Sherlock, alzando leggermente il volume della voce e facendo voltare nella loro direzione alcuni dei poliziotti presenti.

Si avvicinò a grandi passi all'altare, seguito in tutta fretta dagli altri due. John perse qualche istante a guardare Charlotte e poi Sherlock. Ci provava in tutti i modi, lei. Ci provava ad assomigliargli, ad attirare la sua attenzione. A partire dal cappotto, quasi identico a quello dello zio, ma bianco, le scarpe basse e i pantaloni di taglio maschile. Sentiva un profondo dispiacere per lei, che pareva un cucciolo che cercava in tutti i modi di far sì che il padrone si occupasse di lui. Ma sembrava quasi che lui non la vedesse, che le passasse attraverso e la trovasse... invisibile. Lui che però si dimostrava geloso nei suoi confronti e la difendeva a spada tratta se qualcuno provava a dire una parola sbagliata su di lei.

"Cosa puoi dire del corpo, John?" la voce bassa di Sherlock lo riscosse dai suoi pensieri.

Il medico lo guardò per un istante, poi annuì e si avvicinò di qualche passo. Socchiuse gli occhi per mettere meglio a fuoco e inclinò la testa leggermente di lato.

"Non ci sono segni di armi. L'unico sangue fuoriuscito è quello dai fori alle mani e ai piedi, non abbastanza per ucciderlo. Quindi probabilmente è stato avvelenato oppure soffocato... e poi inchiodato alla croce. Forse era già morto, o forse ha esalato lì l'ultimo respiro. Spero proprio fosse già morto, pover'uomo..." mormorò le ultime parole, immaginando solamente tutto il dolore che avrebbe potuto sopportare se fosse stato ancora vivo una volta caricato lì.

Sherlock annuì e, con le mani dietro la schiena, girò la testa verso Charlotte.

"Vuoi provare, Lotte?" le domandò con voce più dolce. Lei lo guardò incredula e lui sorrise. "Un regalo di compleanno anticipato."

John arricciò il naso, trattenendo una piccola risata che sarebbe stata decisamente fuori luogo. Probabilmente solo gli Holmes potevano considerare quello un regalo di compleanno. Ma dopotutto, durante il primo caso che avevano affrontato assieme, Sherlock aveva esclamato tutto allegro che sembrava Natale. Non si stupì troppo, quindi, quando Charlotte riuscì a malapena a contenere la felicità a quella proposta e tratteneva uno squittio eccitato. Finalmente suo zio la prendeva seriamente in considerazione per qualcosa di importante, qualcosa che avrebbe sempre voluto condividere con lui. Riuscì a non sbilanciarsi e a non stampargli un bacio sulla guancia, ma dissimulò l'eccitazione del momento schierandosi la gola. Prese i guanti in lattice che le porgeva Sherlock e li infilò con cura, guardando con attenzione la scena.

Sembrava un quadro. Un macabro quadro satirico contro il clero. Che fosse un contestatore della religione, che aveva deciso di manifestare il suo dissenso verso la casta clericale? No, troppo palese. E se fosse stato davvero così, perché doveva colpire un pretino insignificante piuttosto che un cardinale o un vescovo? No, il motivo era diverso, ma quale?
Si avvicinò all'altare, vi girò attorno e approcciò l'abside. John aveva ragione, non c'era traccia di sangue se non dalle ferite causate dai chiodi. Ma su una cosa aveva sbagliato: l'uomo era ancora vivo quando era stato appuntato lì. Incosciente ma vivo. Una piccola ruga tra le sopracciglia, resa indelebile dal rigor mortis, le dava la conferma che aveva sentito molto dolore. Lo comunicò immediatamente, senza però il tono di saccenza tipico di Sherlock. Era una semplice constatazione, come dire che il cielo è blu.

Osservò l'abside e vi passò una mano sopra. La stoffa che ricopriva il marmo era leggermente stropicciata in un punto e la simmetria delle candele era stata compromessa. Una questione di pochi millimetri, roba da poco ma abbastanza da suggerire che qualcuno fosse salito lì sopra e poi avesse cercato di sistemare al meglio. Si issò con le mani e saltò su a sua volta, stando attenta a non rovesciare niente. Si trovò, in questo modo, molto vicina al cadavere. Riusciva a sentire l'odore della pelle del prete, ancora troppo fresca per poter contare sulle note dolciastre della decomposizione, e un altro profumo che non riusciva ad identificare in quel momento. Le bastava alzare le braccia per raggiungere le sue mani e doveva accucciarsi per essere all'altezza dei suoi piedi.
Si concentrò sul volto del prete, spostandolo appena a destra e a sinistra per poterlo studiare meglio. Vide alcuni segni scuri sulle guance, simili a quelli che aveva sulla gola. Erano piccoli e di un colore violaceo intenso. Si avvicinò ancora un po', spostandogli le labbra ed esaminando i denti.

"Ogni sera ci sono i vespri. Sarà stato qualcuno che vi ha partecipato." commentò uno degli agenti, un uomo di mezza età che si era avvicinato a Sherlock e John e guardava Charlotte a metà tra lo scocciato e il timore che si facesse male. La ragazza scosse la testa.

"No, era andato a casa. La bocca odora di vino e zuppa. Inoltre ha un paio di foglie tra i denti. E sotto le unghie ha della terra ancora fresca, quindi era andato a casa prima. Qualcuno lo ha richiamato in fretta qui dentro..." replicò e riuscì a percepire un sorrisetto soddisfatto da parte di Sherlock.

"E perché non può averlo ucciso in giardino?" la istigò, tentando di farla ragionare.

"Perché non avrebbe potuto portarlo di peso qui. Non era morto quando è stato appeso e l'assassino non è molto alto. Si è arrampicato, come me." mormorò le ultime parole, continuando ad osservare il cadavere. "È stato soffocato. Ha dei lividi sul viso e sul collo. È un modo di uccidere così intimo e personale... probabilmente l'assassino lo conosceva, ma lui no. Una vendetta?" si girò verso Sherlock e John. "Bisogna vedere se aveva dei nemici."

Sherlock si sistemò il colletto del cappotto e sorrise, soddisfatto. Tutti gli anni di insegnamento avevano avuto i loro frutti, non era senza speranza. Non sarebbe mai stata brillante e veloce come lui o Mycroft, ma batteva di gran lunga tutti gli altri presenti in quel luogo. Neanche John si avvicinava al suo acume e, sebbene Sherlock non lo avrebbe mai ammesso, l'amico era molto più intelligente di quanto credesse.

"Molto bene, Lotte. Hai tralasciato diversi dettagli, ma... Molto bene." commentò, avvicinandosi al cadavere a sua volta.

Charlotte si concesse un sorrisetto soddisfatto e fece per scendere dall'abside. Notò, però, che la mano destra del prete sembrava indicare qualcosa. Vi si accostò e seguì il percorso con lo sguardo. Andava a finire sull'organo, il grande strumento musicale che occupava una nicchia intera nella navata laterale.
Scese e si diresse in quella direzione, osservando lo strumento e ignorando del tutto Sherlock che stava prendendo il suo posto vicino al corpo e le rivolgeva un mezzo sorrisetto soddisfatto. Apparentemente non c'era niente di strano nello strumento, ma... Scostò il seggiolino e vi prese posto. Sfiorò l'intera tastiera di avorio con la punta delle dita, con la stessa devozione di un religioso verso una reliquia o di un amante con la propria metà. Non sapeva suonare l'organo, ma a guardarlo era molto simile al pianoforte, lo strumento con cui era più abile e che conosceva meglio di sé stessa. Si mordicchiò un labbro strappando le pellicine, come era solita fare quando pensava intensamente a qualcosa, e cominciò a schiacciare tutti i tasti. Quando schiacciò il Re minore, tuttavia, il suono venne fuori attutito, come se ci fosse qualcosa che non permetteva all'aria di fare liberamente il suo corso. Ci riprovò, confrontandolo con altre note. C'era qualcosa che impediva al suono di uscire, un oggetto incastrato nella canna. Poteva essere niente, così come invece poteva essere fondamentale alle loro indagini. Un moto di orgoglio le scaldò il ventre. Se fosse stato importante, sarebbe stata lei ad averlo scoperto. Lei e non Sherlock, che avrebbe dovuto congratularsi con lei e ringraziarla. Che avrebbe dovuto rendersi conto che poteva essere utile anche lei in quelle occasioni.
Si alzò e si mise in piedi sul seggiolino, che ondeggiò leggermente sotto i suoi piedi, ma era lo stesso troppo lontana e in basso rispetto al suo obiettivo e il punto di appoggio non era abbastanza stabile, avrebbe potuto cadere in qualsiasi momento. Si guardò intorno, cercando una soluzione al suo problema. Non si fidava abbastanza di quei poliziotti, avrebbero potuto mettere le mani dove non dovevano, anche se poteva benissimo essere la figlia di almeno tre quarti dei presenti, e sicuramente non l'avrebbero aiutata, almeno non senza avere qualcosa in cambio. Sherlock era troppo impegnato a raccogliere campioni e studiare il cadavere per prestare attenzione a lei, infatti non si era nemmeno accorto della sua posizione. Rilassò i muscoli delle sopracciglia e la mascella appena le balenò in mente la soluzione, che era davanti a lei sin dall'inizio. Ma certo, c'era lui...

"John! Puoi venire ad aiutarmi, per favore?" lo chiamò, togliendosi il cappotto per poter essere più comoda nella sua operazione.

John girò la testa verso di lei, le labbra appena in fuori e un'espressione pensierosa. Annuì un secondo dopo, dirigendosi a passo svelto e rigido dove si trovava la ragazza. La guardò, poi girò la testa verso lo strumento musicale, cercando di capire per quale motivo l'avesse chiamato lì e cosa c'entrasse l'organo.

"Dovresti farmi salire sulle tue spalle." disse lei come se fosse la cosa più naturale del mondo. Certo, lei era già molto bassa e John non era di sicuro molto alto, almeno non per un uomo, ma sarebbe bastato. Se lo sarebbe fatto bastare, non aveva alternative. Non perdeva di vista la canna del Re, così che non rischiasse di confonderla con un'altra.

John rimase immobile con le sopracciglia aggrottate per qualche secondo. Il tono usato dalla ragazza era ovvio, pragmatico, uguale a quello che Sherlock usava spesso durante i loro casi quando credeva che un'informazione fosse nota ad entrambi. Annuì infine, sistemando le mani così che potesse usarle come scaletta per sistemarsi sulle sue spalle. Era molto leggera, quindi non ebbe problemi a darle la spinta e non sentì neanche la schiena curvarsi sotto il suo peso. Era anzi fin troppo leggera e, ora che sentiva il suo corpo senza il cappotto di mezzo, era estremamente e pericolosamente spigolosa. Si morse un labbro prima di dire qualcosa a sproposito, prima che la sua coscienza da medico facesse capolino e iniziasse a spargere diagnosi ed ipotesi che avrebbero potuto farla arrabbiare, ma non gli piaceva per niente la situazione. Si chiese se avesse fatto colazione quella mattina o se si era limitata a quel caffè che le aveva visto sorseggiare, se mangiasse a sufficienza o se sacrificasse qualche pasto in nome di un ideale malato a cui aveva visto soccombere fin troppe ragazze e anche molti ragazzi.

"Trovato!" esclamò, tirando fuori una busta di carta che pareva piena di fogli e risvegliando John dai suoi pensieri.

Saltò giù dalle spalle di John, tenendosi a lui per non cadere. Teneva stretta in mano la busta e aveva uno sguardo euforico sul volto. Aveva la sensazione che fosse importante, la chiave di tutto quel caso. Dopotutto, perché nasconderla ma fare in modo che loro la trovassero, altrimenti?

{Spazio autrice}

Hi folks!

Non sono molto sicura di questo capitolo, soprattutto la parte in cui Char esamina il corpo e cerca l'oggetto misterioso nell'organo. Ovviamente, se qualcosa dovesse essere strana e incomprensibile o semplicemente suona male, ditemelo senza problemi ♡

Spero di essere riuscita a dare comunque l'idea, l'immagine che avevo in mente. Sin da quando ho iniziato a scrivere questa storia avevo questa visione di un prete crocefisso nella sua chiesa. Diciamo anzi che era un'immagine che mi perseguitava da anni e da qualche parte, prima o poi, dovevo metterla. E se la sono beccata il nostro trio delle meraviglie, con un'escalation di malattia mentale nel vedere la scena. Ognuno ha quello che si merita, alla fine, no?

Lasciatemi una stellina e/o un commento se la storia vi sta piacendo e se volete scoprire cosa è successo al povero padre Valence e che cos'è quella cosa che Charlotte ha trovato nella canna dell'organo.

Inoltre vi ricordo, se non l'avete già letta, che ho scritto anche uno speciale di Natale, Natale in casa Holmes. Niente di speciale, un racconto fluff e dolce di quando Charlotte era bambina. Una cosina piccolina giusto per augurare un buon Natale a tutti voi ♡

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