Capitolo 7
"Io davvero non riesco a capirti, Sherlock!" esclamò John, alzando le mani con le cinque dita ben larghe. Lo guardava irritato e incredulo, come quando becchi un familiare o un amico a fare qualcosa di grave che aveva spergiurato che non avrebbe mai fatto.
Erano passati solo pochi secondi da quando il nuovo cliente se ne era andato, sbattendo la porta e urlando contro Holmes che lo avrebbe avuto sulla coscienza. John aveva cercato di scusarsi in tutti i modi, assicurandogli che avrebbe parlato con Sherlock e avrebbe tentato di fargli cambiare idea, ma era stato preso a male parole a sua volta e quindi aveva scelto di desistere. Non capiva comunque perché Sherlock non aveva voluto accettare il suo caso. Sembrava interessante e l'uomo era sincero. Si vedeva la reale paura che si era impossessata dei suoi occhi. Quell'uomo non mentiva e John, per un attimo, aveva avuto la visione di quel corpo martoriato, quegli occhi marroni privi di vita che sembravano giudicare e rimproverare il detective che, a suo tempo, non aveva voluto accogliere il suo caso. Vide il sangue rappreso, nero e grumoso contro i vestiti e le sue ferite, la posa del collo innaturale, gli arti mancanti. Aveva immaginato una decina di morti diverse per lui e tutte erano terribili quanto la precedente.
"Era un caso da quattro, John. Noioso a dir poco." commentò il detective, reclinando indietro la testa così da appoggiarla allo schienale della poltrona da cui pendevano appena i morbidi ricci neri. Giunse le mani e si toccò il naso con la punta delle dita.
Randall Thompson era un ometto qualunque. Un buon lavoro sotto un politico o uomo d'affari influente gli aveva permesso di garantire un ottimo tenore di vita alla sua famiglia - moglie e due figli. Il povero Randy non brillava di intelligenza, ma era sicuramente un uomo fidato a cui poter consegnare documenti top secret da portare a clienti e contatti. Talmente fidato da permettergli di portarli a casa, sapendo che sarebbero stati al sicuro assieme alla sua amorevole famiglia. Era il tipo d'uomo che, di ritorno dal lavoro, baciava la moglie, abbracciava i figli, aiutava a cucinare e poi voleva sapere tutto della giornata dei suoi cari. Randy amava ascoltare i loro racconti, di come Millicent, nel suo lavoro part time da segretaria, avesse dovuto introdurre al suo capo la persona con il nome più divertente che avesse mai sentito, e di come Laura e Tim avevano passato le ore di scuola.
Un giorno, però, a Randy capitò sotto mano una cartella più interessante delle altre. La scritta, 'TOP SECRET NON APRIRE SOTTO NESSUNA CIRCOSTANZA', era così diversa dalle altre che aveva visto nei suoi 15 anni di onorata carriera. E poi non era chiusa in una busta, era lì libera. Sembrava invitarlo ad aprirla, a sbirciare quello che c'era scritto dentro. La portò a casa, come aveva fatto spesso, ma prima di scendere dall'auto si azzardò a sollevare la copertina. Dentro vi erano diversi fogli, di quelli che si vedono nei polizieschi americani. Fototessere tenute con una graffetta sopra tutti i dati sensibili di quelle persone e, in fondo, altre informazioni. Un rapporto della polizia, delle dichiarazioni, altre fotografie e un foglio fitto di parole. Lo prese in mano e lo lesse. Ad ogni riga i suoi occhi si allargavano, le pupille si dilatavano e il cuore batteva sempre più forte.
Quella sera entrò in casa pallido e baciò distrattamente Millicent. Salutò in modo debole i suoi figli e si mise a tavola senza aiutare né aspettare che fosse pronto. Nella sua testa continuavano a circolare quelle parole, quelle immagini. Tutte quelle identità. Era un segreto troppo grande da tenere per un Randall Thompson qualunque, eppure sapeva che non poteva aprire bocca. Sapeva che se lo avesse detto a qualcuno sarebbe successo qualcosa di grave, e perdere la stima del suo capo e magari anche il suo lavoro era il minore dei mali.
Il giorno dopo consegnò il materiale all'indirizzo che gli era stato comunicato e si impose di dimenticare tutta la faccenda. Di come sembrava che qualcuno volesse fargli leggere tutto quello, fargli sapere quello che era successo davvero quella notte. Si chiese chi era che ce l'avesse così tanto con lui, chi poteva aver fatto arrabbiare tanto. Dopotutto lui era Randy, l'uomo che alle cene aziendali portava sempre i dolcetti alla cannella fatti in casa dalla moglie e che offriva sempre il caffè a chiunque si trovasse alla macchinetta o al bancone del bar assieme a lui.
Erano passati pochi giorni prima che cominciassero ad arrivare le minacce. Prima erano semplici sensazioni, poi erano diventate lettere, email, SMS. Ogni cosa arrivasse alla sua scrivania o in casa sua era una possibile minaccia di morte. Prendevano di mira lui, la sua famiglia, tutti coloro con cui intratteneva rapporti. Lo tormentavano, dicendogli che se solo avesse aperto bocca, allora quello che leggeva in quelle righe sarebbe diventato reale.
"Lei non capisce, signor Holmes." lo aveva supplicato, seduto sul bordo della sedia e con le lacrime agli angoli degli occhi che minacciavano di scendere lungo le guance. "Quello che ho scoperto potrebbe far cadere tutta l'Inghilterra. Mi vogliono morto, signor Holmes. Me e tutta la mia famiglia. La prego, mi tenga al sicuro... Almeno loro. I miei figli... Loro sono così giovani. Laura ha 16 anni e Tim, il piccolo Tim, ne ha solo 8." mentre parlava aveva tirato fuori il portafogli, da cui aveva estratto una fotografia che ritraeva la famiglia felice.
Era di qualche anno prima, sorridevano tutti. Randall aveva l'aria più rilassata, i suoi occhi marroni brillavano mentre teneva un braccio sulle spalle di Millicent, i cui lucenti capelli neri erano tenuti fermi da alcuni fermagli brillanti. In mezzo a loro c'erano i ragazzi. Laura, che era la fotocopia di Millicent ma col sorriso del padre, e il piccolo Tim con lo sguardo furbo e il sorriso sdentato che parlava di guai.
John sorrise appena nel vedere quel piccolo ritratto, mentre Sherlock rimase impassibile, i suoi occhi di ghiaccio non tradirono alcuna emozione né pensiero. Appoggiò le mani sui braccioli della poltrona e sembrava quasi volesse far penetrare le dita nell'imbottitura. Si sta alterando aveva pensato John, una campanella di allarme era partita nel suo cervello. Voleva fermarlo, ma non era stato abbastanza veloce e il treno di parole aveva già lasciato la galleria di corde vocali.
"Lei ha tradito la fiducia del suo capo leggendo un documento che non avrebbe dovuto avere tra le mani e che conteneva informazioni sensibili per l'intera nazione. Ora, Aldy" aveva calcato la voce sul soprannome, facendo rabbrividire il cliente. Probabilmente non sentiva quel nome da anni oppure era il modo in cui solo chi era davvero intimo con lui lo chiamava. "Lei è un idiota - no, non si arrabbi, lo siete tutti, anche John - e non si è accorto di un dettaglio ovvio. Chiunque le abbia dato quel documento voleva che lei lo leggesse. La domanda è: perché? Probabilmente si annoiava, o più probabilmente qualcuno vuole il suo posto di lavoro o il suo capo vuole licenziarla ma non sa come fare perché non ha un motivo valido, dato che è sempre stato il suo mulo più fidato. Ha quindi fatto in modo che lei leggesse il contenuto della busta e che il destinatario se ne accorgesse. Ora, queste informazioni, se divulgate, potrebbero distruggere l'intero tessuto del Regno Unito e causare una vera rivoluzione. Lasciare che un uomo semplice e di basso intelletto come lei le custodisca sarebbe da idioti. Non mangia da giorni, è sempre nervoso ed è stato sul punto di crollare e di raccontare tutto a sua moglie. E poi è venuto qui, da me, a spiattellare la verità, piangendo perché io la proteggessi dagli uomini cattivi. Ucciderla sarebbe la mossa più sicura, un uomo morto non parla. Ma..." aveva sollevato un angolo della bocca. "Oh, ma lei è più furbo di quello che sembra. Perché c'è un'altra persona che lo sa. Qualcuno di molto vicino a lei, che potrà vendicarla se dovesse succederle qualcosa. Sua moglie? No, troppo pettegola, uscirebbe di sicuro durante uno degli incontri settimanali con le sue amiche. Sua figlia è un'adolescente e ha già troppo a cui pensare - a proposito, fossi in lei non le permetterei di uscire con quel ragazzo. Quindi è suo figlio. Il secondogenito, il suo preferito. A otto anni non ha grossi pensieri per la testa e farebbe di tutto per il suo papà. Quindi, come vede, è tutto risolto." si appoggiò con la schiena contro la poltrona e riprese fiato per un attimo. "Non le succederà niente, perché ci sarà sempre qualcuno che sa la verità e può minacciare di farla uscire."
Erano rimasti poi in silenzio per alcuni minuti, prima che Randy si alzasse e facesse la sua uscita plateale. Ci fu un'altra pausa di qualche minuto in cui John ingoiò una serie di ingiurie e insulti che avrebbe voluto rivolgergli e si limitò a lanciargli quella frecciata.
"Quell'uomo rischia la sua vita e quella di tutta la sua famiglia!" John si sentiva stranamente infuriato, come se stesse riversando su Sherlock tutta la rabbia che teneva in corpo. Il detective lo guardò con occhi limpidi.
"Non scaricare le tue tensioni su di me. Non è colpa mia se continui a litigare con tua moglie." gli disse con tutta calma e John evitò di chiedergli come sapesse che litigava con Mary (erano discussioni private, nessuno dei due ne avrebbe parlato con altri. Beh, John forse lo aveva accennato a Charlotte in un messaggio, ma era sicuro che lei non avesse detto niente allo zio) o anche solo di rispondergli. "E poi ho già avvisato mio fratello. I segreti di stato sono di sua competenza." terminò rimettendosi comodo.
"Hai sempre la risposta pronta tu, eh?" replicò John con tono amaro, stirando le labbra sottili in un sorriso caustico. Attraversò il salotto e recuperò il suo giaccone.
"Dove vai?"
"A farmi un giro, Sherlock!" rispose con forse troppa enfasi. Si era reso conto di aver urlato. "Ho bisogno di aria." concluse con tono più calmo. Sherlock annuì e John uscì di casa con le mani nelle tasche.
Non gli piaceva litigare con Mary. Lo metteva di cattivo umore e rischiava di rispondere male a chiunque. Ma era inevitabile, ormai. Non riuscivano più ad avere una conversazione normale da alcuni giorni a quella parte. In parte John sentiva che era colpa sua e di come prestava più attenzione ai messaggi che si scambiava con la nipote del suo migliore amico. Dio, che idiota che era. Era una ragazzina e John continuava a parlarle come se anche lui fosse di almeno dieci anni più giovane. Ma Charlotte era una ventata d'aria fresca. Era leggera come la brezza del mare e dolce come il gelato alla vaniglia. Era brillante, tanto da riuscire a rigirarsi gli Holmes come voleva - e lì, forse, giocava il fatto che fosse la piccolina di casa per entrambi - ma non lo faceva mai sentire inferiore, al contrario di Sherlock e Mycroft. Con lei poteva parlare di qualsiasi cosa, di argomenti normali e a volte anche banali, ma che per una volta lo facevano sentire parte del mondo là fuori. Così lo chiamava sempre lei: là fuori. Fuori dalla famiglia Holmes, da Baker Street, dai casi e da persone con il complesso di Dio. E John amava quel modo di dire, era così semplice e così evocativo al tempo stesso.
Non poteva imputare solo a se stesso la colpa, tuttavia. Se lui continuava a dedicare sempre più tempo alla ragazza era anche perché si sentiva allontanato dalla sua stessa moglie. Era come se lei continuasse a nascondergli qualcosa, come se gli sfuggisse e non volesse essere presa. John sospirò, creando una nuvoletta di vapore nell'aria fredda di Londra. Le relazioni umane erano uno schifo e troppo complicate. Ma almeno si rallegrava nel vedere che neanche Sherlock e Mycroft ne erano immuni, dopotutto.
{06.02.2006, Abingdon-on-Thames, St. Cecilia's Church}
Il reverendo Carlton Valence amava fischiettare mentre lavorava. Spesso sceglieva canti di chiesa o comunque approvati dalla maggior parte dei benpensanti e dei vecchietti che frequentavano la sua parrocchia, ma quando non lo sentiva nessuno amava scegliere canzoni rock e pop da reinterpretare con i suoi fischi intonati. Quando ci pensava gli veniva da ridere. Chissà cosa avrebbe detto la signora Rostell se lo avesse visto picchiettare il piede a ritmo di Highway to hell degli AC/DC.
Valence amava anche occuparsi del giardino della canonica. Immergere le dita nella terra, piantare semi, potare i rami malati e secchi. I fiori e gli alberi erano pur sempre creature di Dio, aveva sempre detto, e preferibili agli umani oltretutto. Non rispondevano, non potevano commettere pensieri impuri, non mentivano. Capiva San Francesco e il suo amore per gli animali: erano creature innocenti dal cuore puro e l'anima immacolata. Il Regno dei Cieli sarebbe dovuto appartenere esclusivamente a loro. Vero, gli animali erano capaci di uccidere e, a volte, di torturare le proprie vittime. Ma le bestie non erano dotate di raziocinio e non sapevano distinguere il bene dal male. Non avrebbero mai fatto del male per il gusto di farlo.
Allo stesso modo, Valence vedeva le piante. Anzi, esse erano ancora più innocenti. Si appoggiavano a chiunque si prendesse cura di loro, si fidavano della mano umana anche dopo uno, due, mille sgarri subiti. Si piegavano dolcemente alle indicazioni di chi le faceva crescere e non avevano alcun mezzo per difendersi se non qualche spina o scheggia.
Quel lunedì sera, il reverendo Valence aveva celebrato i vespri alle 18.00 in punto. Erano presenti sempre le solite vecchiette tra cui la perpetua Amber Rostell con le sue amiche Patricia Hinnfer, Gloria Mole e Mildred Donahue. Finita la celebrazione, la maggior parte dei presenti era fuggita a casa per preparare la cena e sedersi sul divano a guardare probabilmente qualche replica di East Enders o Coronation Street. I più coraggiosi si sarebbero avventurati in una storia de L'Ispettore Barnaby mentre i più nostalgici avrebbero trovato un vecchio film, come Gli uomini preferiscono le bionde oppure Il gattopardo di Luchino Visconti.
Ma non loro quattro. Loro rimanevano a chiocciare allegramente tra loro, attendendo che il prete si cambiasse d'abito e le invitasse ad uscire dalla chiesa. Allora si riunivano in un cerchio sul sagrato, i loro vecchi e larghi corpi schiacciati l'uno contro l'altro come se al centro ci fosse l'unico sprazzo di fuoco che poteva riscaldarle. A volte riuscivano a coinvolgere anche Valence, che era costretto a rimanere con loro e annuire con un sorriso benevolo alle loro parole. Ma a lui non interessava niente quello che si dicevano. Come poteva lui, un giovane prete di appena quarant'anni e ancora una non indifferente zazzera di capelli rossi sulla testa, poter trovare interessante la conversazione di quattro ultrasessantenni che non parlavano d'altro se non dei loro nipotini e il mio è così bello! Il mio sa già contare fino a 100 e ha solo tre anni! Il mio nipotino è appena nato e guardate che bei piedini che ha, due salsicciotti tutti da mangiare!
Quella sera era riuscito ad allontanarle abbastanza presto. Si erano trattenute solo un quarto d'ora, poi se ne erano andate con la loro andatura ciondolante e il passo pesante e veloce. Le aveva guardate sparire per la strada, le loro figure uguali e quasi flaccide che tremolavano in lontananza. Una volta appurato che la chiesa fosse vuota, spense le luci e chiuse i portoni, lasciandone solo uno aperto così che, se fosse passato di lì un senzatetto, avrebbe avuto un posto tiepido e al chiuso dove dormire. C'erano delle nuvole nere e minacciose in cielo, di lì a poco avrebbe iniziato a piovere.
Cenò, dopo aver ringraziato il Signore per ciò che aveva sulla tavola, con una zuppa di cavolo e patate accompagnata da un tozzo di pane, del formaggio Cheddar alle cipolle e una generosa dose di vino rosso. Aveva quindi ritenuto opportuno occuparsi del suo giardino prima che cominciassero a scendere le prime gocce di pioggia. Le rose avevano bisogno di una potatura, l'erba era ormai troppo alta e, in generale, tutta la zolla di terreno necessitava di una sistemata.
Aveva giusto infilato le mani nella terra e si sentiva vivo. Vivo come non lo era mai stato, in contatto con il Creato e i frutti della Terra che il Signore aveva deciso di donare agli uomini. Lavorava a ritmo di una vecchia canzone degli America, A Horse with No Name, e intanto immaginava quanto sarebbe stato bello il suo giardino la primavera successiva. Le rose avrebbero ricoperto una parete della canonica e sarebbero terminate in cespugli rossi, rosa e gialli. Margherite e tulipani di mille colori si sarebbero alternati su tutto il manto e file di iris viola avrebbero costeggiato il piccolo sentiero che permetteva al prete e ai fedeli di accedere alla casa parrocchiale senza calpestare i fiori. Poi un rododendro color rosa acceso avrebbe animato la vista e un melo e un ciliegio avrebbero allietato l'olfatto col loro profumo dolce.
L'orgoglio era uno dei peccati capitali, Valence lo sapeva bene. Tutti quegli adesivi sulle auto che vantavano le doti straordinarie dei figli (Mia figlia è la prima della classe dall'asilo) e i discorsi che sentiva fare ai ragazzi nel suo oratorio (sono il migliore, Pete, è inutile che ci provi. Beh, Tony, tanto la tua ragazza preferisce me) erano il motivo per cui, almeno una volta al mese, durante le sue omelie parlava dei sette peccati capitali e di come evitarli e chiedere perdono. Ma quando guardava il suo giardino, quando lo immaginava tutto fiorito, non poteva evitare di sentire la punta tiepida e confortevole dell'orgoglio che spingeva nel suo cuore. Ci impiegava gran parte del suo tempo, parlava con le piante e le reputava le sue migliori amiche.
Rimase con le mani ferme appena sopra la terra quando vide un'ombra stagliarsi contro la luce artificiale della sua piccola zolla. Alzò la testa, già pronto a dire che ormai aveva terminato e per qualsiasi cosa poteva tornare il giorno dopo. Era sempre pronto ad aiutare chi era in difficoltà, dopotutto era quello il compito principale di un sacerdote. Ma anche lui aveva diritto a riposare, soprattutto dopo una giornata in cui aveva dovuto correre avanti e indietro per accontentare tutti i suoi parrocchiani. Qualcosa nel luccichio degli occhi del nuovo arrivato gli fece però cambiare idea. Era un'anima smarrita, qualcuno che aveva davvero bisogno di una guida in quel momento. Anche solo la mattina dopo sarebbe stato troppo tardi. C'era della disperazione in quegli occhi, un principio di pianto nelle sue labbra serrate e nei pugni chiusi.
Si alzò, facendo scricchiolare la schiena e le ginocchia - avrebbe pagato caro il suo amore per il giardinaggio tra qualche anno - e batté le mani tra di loro per togliere un po' di terra.
"Mi dia qualche secondo e sono da lei." disse alla persona ferma davanti a lui.
Entrò in casa, si infilò il suo abito talare nero lungo fino alle caviglie e sistemò il clergyman. Uscì di casa nuovamente e fece segno alla persona di seguirlo. Entrò in chiesa e si diresse al confessionale. Sentì la pecorella smarrita - aveva iniziato a chiamarla così nella sua testa - sistemarsi dalla parte opposta ed esitare prima di aprire bocca.
"Perdonami padre, perché sto per peccare."
[Note autrice]
Hello everyone!
Ogni tanto mi faccio risentire anche io eheh
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Io sono abbastanza fiera di come è venuto fuori, devo dire la verità. Il piccolo viaggio mentale su Randall, la metà dal punto di vista di Valence... E devo dirla tutta, anche la deduzione di Sherlock. Segnatevelo, perché non capiterà mai più che sia soddisfatta di qualcosa che scrivo ahah
Una piccolissima precisazione: Abingdon-on-Thames esiste davvero come località nella contea dell'Oxfordshire, mentre la chiesa di St. Cecilia's è frutto della mia immaginazione. Avevo pensato di mettere la St. Helen's, che esiste davvero, ma poiché non ci sono mai stata e mi servirà la descrizione degli interni, non volevo rischiare di fare strafalcioni. Quindi ho deciso di inventarne una io. A voi la decisione della confessione religiosa, io l'ho immaginata come anglicana. ❤
Mi è stato fatto notare, nei capitoli passati, che la mia storia manca un po' di descrizioni di personaggi e ambienti. Sarò sincera e vi dirò che in effetti non ho aggiunto descrizioni fisiche dei personaggi canon (Sherlock, John, Mycroft) e di ambienti conosciuti dalla serie (il 221B, la casa dei genitori di Sherlock e Mycroft) perché li ho dati per noti, essendo una fanfiction. Ho sempre ritenuto, e visto, la fanfiction come l'unico genere in cui le descrizioni di elementi non originali sia facoltativa, poiché sono già conosciuti da chi legge e quindi dati per noti.
Detto questo. Se, invece, ritenete siano necessari ditemelo pure. Scrivetemelo in un commento a questo paragrafo, così so se devo ritornare indietro ed incastrarle, magari sacrificando qualche introspezione. Non mi sono mai piaciuti i paragrafetti di sole descrizioni, ma posso inserirli senza problemi se ne sentite il bisogno. Fatemi sapere 💕
Per il resto spero vi sia piaciuto il capitolo, anche se - sigh - non c'era Charlie 💔 Vi prometto che dal prossimo tornerà, più esplosiva e più "Holmes" che mai.
Lasciatemi una stellina e una recensione, se vi è piaciuta la storia e se vi sta lasciando un po' sulle spine. E se non vi è piaciuta... beh, fatemi sapere cosa posso migliorare 😉
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