Capitolo 3
Natale in casa Holmes era sempre stato diverso da quello nelle altre famiglie. Se per tutti si trattava di un ritrovo allegro tra parenti che venivano dalle parti più disparate del mondo e che non si vedevano da mesi, per loro non era niente di diverso da una riunione con fin troppo cibo. Per John era anche divertente vedere Sherlock ritornare quasi bambino. Come se in fin dei conti, davanti alla mamma, nessuno potesse fare niente se non ascoltare ed obbedire. E la signora Holmes non sembrava affatto il tipo da lasciar correre la benché minima trasgressione.
Wanda Holmes era sicuramente stata una donna stupenda. Era bellissima anche in quel momento, ma a John non era sfuggita la fotografia del matrimonio con Timothy. Da giovane era davvero meravigliosa, con un sorriso che illuminava la stanza e gli occhi dell'azzurro più limpido che avesse mai visto. Timothy, invece, era uguale identico a Sherlock, per lo meno di aspetto. Avevano lo stesso taglio di labbra, lo stesso mento, lo stesso sorriso. Nessuno avrebbe mai potuto mettere in dubbio che fosse suo figlio. Era Mycroft che non somigliava a nessuno dei due, tranne che per gli occhi. Quelli erano identici a quelli di sua madre.
"Mio padre." esortò la signora Holmes, passandogli di fianco con un pentolone di acciaio tra le braccia forti.
John la guardò e aggrottò le sopracciglia, confuso dalle sue parole. Lei sorrise, poggiando la pentola contro il fianco e indicando, con la mano ora libera, un'altra foto che il medico non aveva visto.
"Somiglia a mio padre," disse semplicemente, sparendo poi in cucina.
Con le labbra appena in fuori, John si avvicinò alla fotografia più piccola che stava sulla cornice del caminetto. Non si sarebbe mai abituato ad essere anticipato così, ad essere così semplice da capire. Ma in parte era divertente. Sì, si divertiva anche ad accontentare gli Holmes e farli sentire più intelligenti del resto del mondo. Lo stesso doveva essere per Timothy, perché lo aveva visto fare un piccolo sorriso alle prime parole che gli aveva rivolto Sherlock quel giorno - hai ripreso a pescare. Non era una domanda, non voleva neanche accertarsene. Ma quando erano andati in salotto, il detective gli aveva spiegato che qualche anno prima si era rotto il gomito e ci era voluto del tempo prima che trovasse di nuovo il coraggio di prendere in mano la canna.
Poggiò la fotografia - sì, decisamente Mycroft era uguale a suo nonno, sorrisetto sarcastico e stempiatura precoce inclusi - quando sentì la porta d'ingresso aprirsi. Anche Sherlock sollevò la testa dai fogli che aveva davanti, sentendo che le acque si sarebbero agitate in pochissimo tempo. La porta sbatté contro gli infissi, ma non fu un'entrata gioiosa, sebbene esagerata. John si girò verso Mary, seduta sul divano, che si strinse nelle spalle. Rivolse allora la sua attenzione a Sherlock, che si limitò a sollevare un angolo della bocca e toccarsi l'orecchio, come per dirgli di stare zitto e ascoltare.
"Dico solo, Charlotte, che dovresti organizzarti meglio," la voce di Mycroft attraversò l'ingresso e arrivò, flebile, fino in salotto. John non riuscì a trattenere un sorriso divertito nel sentirlo, forse per la prima volta, sgridare qualcuno in quel modo. "Sono anzi stupito che non mi abbiano ancora chiamato dall'università."
"Oh, Dio santo, papà! Non sono mai in ritardo, okay? È capitato una volta! Ho studiato fino a notte fonda e non ho sentito la sveglia! Ammazzami, non lo so! Ma datti una calmata, è Natale!" il tono di Charlotte era sicuramente molto più acuto ed esasperato, tanto che anche i coniugi Watson e Sherlock riuscirono a sentirla senza problemi.
Mary non riuscì a non ridere a quello scambio e anche John non poté trattenere una risatina. Non sembrava quasi si trattasse degli Holmes, quello era un battibecco classico tra genitori e figli. Quanti ne aveva avuti con sua madre, quando era ancora viva e lui un adolescente a cui piaceva infrangere il coprifuoco. Si urlavano sempre contro ma finiva ogni volta con abbraccio e una tazza di the con del latte e un biscotto. Lui sapeva che lei lo faceva solo perché gli voleva bene e si preoccupava per lui. Ma era troppo giovane e stupido per capirlo subito. Adesso che non c'era più, che aveva solo Harry da qualche parte nel Regno Unito, rimpiangeva tutti quei battibecchi, quel modo grezzo e magari anche sbagliato di tenerlo al sicuro.
"Anche a Natale vanno rispettati gli orari! Come puoi pretendere di lavorare c-"
"Sì, okay, va bene!" sbottò la ragazza, esasperata, e John fece fatica a trattenere una risata sonora. Aveva zittito Sherlock qualche giorno prima e ora anche Mycroft. Aveva del talento, doveva riconoscerglielo. Bastò uno sguardo fugace perché capisse che anche Mary la pensava allo stesso modo, nonostante non l'avesse ancora conosciuta.
"Ciao, nonna. Dimmi la verità: papà era così rompipalle anche con te?"
Ora la voce era più vicina, si era fermata in cucina a salutare i due più anziani. Wanda sorrise e le diede un bacio sulla guancia, dicendole che era peggiorato con l'età e beccandosi uno sguardo torvo dal diretto interessato. La ragazza andò poi a salutare il nonno, che la strinse forte in un abbraccio con un sorriso che andava da un orecchio all'altro. Timothy Holmes era diverso dalla moglie e dai suoi figli. Lui non aveva quell'intelligenza sovrumana ed era un uomo semplice. A lui bastava poco per essere felice: una mattinata al laghetto a pescare con altri pensionati, una fetta della torta di pere fatta da sua moglie, una serata passata a guardare un film con una tazza di the tra le mani e Wanda accoccolata al suo fianco. Ma sapeva sempre quando qualcuno aveva bisogno di un abbraccio o di una parola dolce. Era il tipo d'uomo che andava in giro con la tasca destra piena di caramelle e quella sinistra di noccioline se gli capitava di incontrare uno scoiattolo. Doveva comprare una sciarpa a settimana durante l'inverno perché le regalava ai senzatetto e a volte aveva speso tutti i soldi che aveva con sé per comprare loro del cibo.
Quando Charlotte trotterellò in salotto, sembrava quasi che la discussione con Mycroft non fosse mai successa. Si avvicinò, anzi, a passo sicuro a Sherlock e gli calcò in testa un berretto da Babbo Natale, beccandosi uno sguardo torvo dall'uomo. La ragazza però lo ignorò e gli rivolse un grande sorriso prima di abbracciarlo forte e schioccargli un bacio umido e plateale sulla guancia - quelli che odiava più di tutti e che lei faceva apposta per dargli fastidio.
"Buon Natale, Grinch!" esclamò, sedendosi poi di fianco a lui.
Faceva sempre così quando discuteva con Mycroft: andava a fare la ruffiana con Sherlock e i nonni. Sapeva che avrebbero preso le sue parti, a parte alcune rare occasioni in cui aveva davvero sbagliato, e l'importante per lei era far sentire suo padre in minoranza. Mycroft si limitava a roteare gli occhi e alzare le mani, abbandonando la crociata. Erano poche le volte in cui nessuno si intrometteva, neanche Sherlock che comunque cercava sempre un modo per contrariare il fratello.
"Microeconomia?" le chiese, anche se il suo tono sembrava più un'affermazione in attesa di una conferma che una domanda vera e propria. Lei annuì e appoggiò la fronte sul tavolo.
"Non vedo l'ora di mollare la parte di economia l'anno prossimo." si lamentò. Rialzò la testa e incrociò lo sguardo interrogativo di John e Mary. "Studio 'Filosofia, Politica ed Economia' a Oxford," spiegò, accontentandoli. Si alzò poi e si diresse verso di loro per salutarli e presentarsi alla donna.
Mary sembrava una persona piacevole, da quello che aveva potuto vedere in quei pochi secondi. Le aveva sorriso con calore e le aveva stretto la mano in modo affettuoso. C'era però qualcosa dietro quegli occhi, qualcosa di pericoloso che però lei non riusciva a capire. Bastò una velocissima occhiata a Sherlock per comprendere che anche lui cercava di leggerla, di scoprire cosa nascondesse. Ma, se poteva fidarsi del suo istinto, Charlotte non credeva che Mary fosse cattiva. Qualsiasi cosa nascondesse, lo faceva a fin di bene. Di quello era sicura.
Mary e John salutarono Mycroft con un cenno del capo quando entrò. L'uomo ricambiò e si tolse il fazzoletto dal taschino. Si avvicinò alla ragazza e le tenne il mento fermo, sfregando il lembo di stoffa vicino all'angolo della sua bocca.
"Papà!" si lamentò lei, mettendogli le mani sui polsi per cercare di allontanarlo.
"Mi avresti rinfacciato di averti lasciato il trucco sbavato," spiegò semplicemente, raddrizzando la schiena. Catturò per qualche istante lo sguardo apparentemente divertito di Sherlock, ma si trattenne dal lanciargli una delle solite frecciatine. Perché, per quanto lo apprezzassero o meno, l'uno con l'altro erano sempre come due fratelli normali. Ma in quel momento non aveva voglia di iniziare uno dei loro soliti bisticci, non quando c'era loro madre nell'altra stanza pronta a tirarli entrambi per le orecchie.
Riportò lo sguardo sulla ragazza, che stava borbottando qualcosa sul non essere più una bambina e cercava di coinvolgere John e Mary nella sua crociata. Si concesse un leggerissimo sorriso, impercettibile a tutti tranne a chi sapeva guardare veramente, e le poggiò una mano sulla testa. Le ricordava così tanto Sherlock quando faceva così. Anche lui da piccolo non voleva essere trattato come un bambino e si arrabbiava talmente tanto quando lui invece lo faceva apposta che sembrava sul punto di scoppiare tanto era rosso.
"Oh, ne sono sicuro, Lotte." le concesse con uno dei suoi soliti sorrisi che parevano essere solo di sfottò. La ragazza infatti lo guardò male, le braccia incrociate sul petto. Le fece cadere e abbassò le spalle quando sentì il cellulare di Mycroft suonare. Lui lo prese in mano, guardò il nome sul display e sospirò. "Devo rispondere."
"Ma papà, è Natale!" si lamentò, cercando di convincerlo a non rispondere. Odiava il suo lavoro, a volte, perché le toglieva tanto tempo da passare con lui. Che fosse Natale, il suo compleanno o una vacanza, c'era sempre qualcuno che disturbava.
Mycroft le prese la testa tra le mani e poggiò le labbra sulla sua fronte, vicino all'attaccatura dei capelli. Sapeva cosa voleva dire quel bacio. Scusa amore mio, ma. Ma era in pericolo la vita della Regina. Ma doveva per forza andare altrimenti sarebbe successo qualcosa di molto grave. Ma Sherlock era in pericolo e non poteva lasciarlo da solo.
Lo guardò uscire dalla stanza mentre rispondeva alla chiamata, elusivo come sempre. Si rannicchiò quindi sulla poltrona, delusa e arrabbiata per quell'inconveniente. Sperava che almeno quel giorno nessuno avrebbe disturbato, e invece si trovava per l'ennesima volta a dover fare i conti con un uomo che non poteva dimenticarsi per un attimo il suo lavoro e fare semplicemente il papà.
Mary guardò John per un istante e, ad un suo piccolissimo cenno del capo, si alzò e andò a sedersi sul bracciolo della poltrona. Toccò una spalla della ragazza e le sorrise incoraggiante quando lei girò la testa nella sua direzione.
"Non devi prendertela, sai?" le parlò con tono dolce, la voce tanto bassa e calda che non si accorse nemmeno che aveva iniziato a darle del tu. Era passata ad accarezzarle i capelli e Charlotte si avvicinò inconsapevolmente a lei. Era come se non avesse il controllo del suo corpo e cercasse il calore di quella donna che non conosceva ma che si stava dimostrando tanto dolce nei suoi confronti. "Se è sempre così occupato lo fa anche per te, sai?"
"Ma mi lascia sempre da sola..." si lamentò con la voce abbastanza bassa che solo Mary poté udirla.
Per Charlotte era a volte troppo semplice fidarsi delle persone. Dava sempre tutto per chiunque riuscisse a fare breccia nel suo cuore e spesso si trovava con un pugno di mosche. Aveva quindi provato ad indurirsi, a diventare come suo padre e suo zio, ma era così dannatamente difficile. Soprattutto in quel momento, quando avrebbe dovuto trattenersi e non fidarsi totalmente di Mary. Ma lei era così dolce, le parlava e la coccolava come solo una madre poteva fare. Forse era proprio questo che le mancava: una mamma. Non che non amasse suo padre, per carità. Ma a volte desiderava il tocco di qualcuno di più affettuoso, un bacio che non implicasse altro, un abbraccio più lungo del solito.
Quello era ciò che Mary le stava offrendo in quel momento, senza però forzarla a spingersi dove si sarebbe sentita a disagio. Le carezzava semplicemente la testa, incrociando le dita ai fili d'oro dei suoi capelli e lasciava che si appoggiasse al suo fianco morbido.
"Lo so, cara, lo capisco. Ma fidati, preferirebbe anche lui passare un po' di tempo in più con te."
Charlotte alzò la testa e la guardò, studiando quel viso e quel sorriso, quello sguardo così limpido in quel momento.
"Dici davvero?" chiese poco sicura, senza rendersi conto di averle dato del tu. Non è educato, signorina le disse una vocina nel cervello che lei allontanò immediatamente. Mary annuì.
"Ne sono sicura, si vede dai suoi occhi. Ti svelo un segreto," si avvicinò di più al suo orecchio, "né tuo padre né tuo zio la fanno franca con me. Possono ingannare John, ma non me." le sussurrò, facendola sorridere.
"Grazie. Forse ti sembra stupido, ma... è importante, per me." si strinse nelle spalle e si rimise meglio sulla poltrona, così da lasciarla libera. Si rendeva conto ora di quanto potesse sembrare debole e patetica. Chissà cosa pensava di lei in quel momento. Probabilmente che era una ragazzina stupida che giocava a fare la grande ma, in fondo, era ancora solo una bambina.
Mary si limitò a sorriderle e lasciarle un'ultima carezza prima di allontanarsi. Aveva capito che in quel momento voleva rimanere con sé stessa, forse per recuperare la sua dignità o per pensare a quello che le aveva detto. O magari per entrambe le cose. Si avvicinò quindi a suo marito, che la guardò interrogativo. Lei gli rivolse un leggero sorriso e un cenno leggero del capo, come a dirgli che era tutto a posto.
Sembrava essersi preso a cuore quella ragazza e nessuno dei due sapeva spiegarsi il perché. Forse si immaginava come si sarebbe comportato lui in quella situazione, nei panni prima di Mycroft e poi di Charlotte. Di sicuro la sua reazione non sarebbe stata così pacata, a vent'anni era un vulcano di energia pronto ad eruttare e che era stato smorzato solo dai tre anni in guerra. Ma se fosse stato lui il padre? Avrebbe davvero permesso al suo lavoro di rubare del tempo a sua figlia? Aveva paura sarebbe stato obbligato a farlo, un medico poteva ricevere chiamate in qualsiasi momento del giorno o della notte. Ma cosa avrebbe scelto, a cosa avrebbe rinunciato?
John si riscosse dai suoi pensieri quando vide Mycroft tornare in salotto. Aveva appena posizionato il telefono nella tasca interna della giacca e ora si stava lisciando l'indumento, come se non fosse mai stato interrotto. Non si fermò, tuttavia, a parlare con loro ma attraversò la stanza con decisione per uscire dalla porta sul retro.
Sherlock tenne lo sguardo fisso su di lui senza far trasparire alcun tipo di emozione. Catturò con la coda dell'occhio l'espressione di Charlotte, che si era fatta di nuovo abbattuta e delusa. Mosse la gamba sotto il tavolo e sentì un'ignota e fastidiosa morsa allo stomaco. Odiava vedere quello sguardo smarrito e ferito, ma allo stesso tempo non poteva aprire bocca. C'erano stati un paio di gesti da parte del fratello che gli avevano fatto capire che cosa stava facendo, ma non poteva fare sfoggio delle sue deduzioni. Non in quella occasione.
Passarono pochi minuti prima che la porta di ingresso si aprì nuovamente e dei passi svelti si introdussero in casa. Era il rumore di quattro piedi che si seguivano, ma non vi era alcuna voce che potesse far comprendere di chi si trattasse. Eppure a Charlotte pareva di riconoscere quei rumori. Uno era sicuramente suo padre, aveva il suo passo cadenzato ed elegante, appena udibile ad un orecchio non allenato. L'altro era più pesante, più stanco ma anche decisamente più giovane.
Si alzò in piedi e Sherlock sollevò la testa e le spalle. Un piccolo sorriso arricciò un angolo della sua bocca. Allora forse aveva capito. L'aveva sottovalutata. Magari era solo un'intuizione inconscia, un desiderio del suo animo, ma qualcosa l'aveva aiutata ad arrivare alla conclusione che lui aveva dedotto da tempo ormai.
Proprio mentre la ragazza mosse i primi passi per aggirare la poltrona, Mycroft entrò in salotto. Dietro di lui c'era una figura avvolta in un cappotto scuro, con un berretto in mano e un sorriso esausto e tirato sul volto.
"Ciao, chérie."
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