Capitolo 21

La mattina seguente, John si svegliò solo quando il sole era ormai alto nel cielo. Impiegò qualche istante a capire che, in effetti, era mattina ormai. Non era più abituato a dormire tutta la notte senza svegliarsi e a sentirsi veramente riposato una volta aperti gli occhi. Posò lo sguardo sulla ragazza, ancora accoccolata contro il suo fianco e addormentata. Sorrise e le accarezzò piano una spalla.

"Non hai idea di quanto sia strano e bello tutto questo per me." sussurrò, rapito da quella visione. "Sei così bella... E non sai quanto vorrei aiutarti. Se solo potessi, prenderei io tutto il male che stai provando, perché non lo meriti. Perché quando sorridi il mondo diventa così bello e luminoso. Il mio mondo, almeno. Non so che cosa hai fatto, che cosa sei o il perché di tutto questo, ma... È la prima notte che riesco a dormire senza incubi. Senza niente di niente, solo il buio del sonno. Solo questa notte, solo con te, io..." si zittì quando la sentì muoversi.

La vide aprire piano gli occhi e sorrise. Le scostò una ciocca di capelli dal viso e non riuscì a trattenersi dal darle un piccolo bacio in mezzo alle sopracciglia. Non era difficile per John immaginare come sarebbe stato avere quel risveglio ogni mattina. Se solo lui avesse avuto dieci anni di meno, o lei dieci anni di più, e se solo non ci fossero stati tutti gli altri obblighi... Quanto sarebbe stato bello aprire gli occhi ogni giorno con Charlotte tra le braccia, vedere l'ambra dei suoi occhi risplendere alla luce del mattino. Le avrebbe sussurrato mentre lei ancora dormiva ogni mattina parole dolci, le avrebbe detto quanto fortunato si sentisse ad essere con lei, sperando che le sue intenzioni la raggiungessero anche oltre la corte del sonno. E ogni notte si sarebbero addormentati abbracciati l'uno all'altra, talmente stretti da sembrare un corpo solo, dopo aver letto un libro, aver fatto l'amore o essere rimasti semplicemente abbracciati a parlare.
Quella era una vita che avrebbe voluto vivere e di cui poteva solo assaggiarne un pezzetto in quel momento. Le accarezzò la schiena, senza farle capire che riusciva a contarle tutte le vertebre.

"Buongiorno, scricciolo." sussurrò. Lei mugugnò qualcosa e si strinse appena di più a lui per poter nascondere il volto contro la sua spalla. John rise. "Tranquilla, lo so che appena sveglia non parli finché non sei andata in bagno."

Charlotte spostò leggermente la testa così che John potesse vederla almeno per metà e sorrise. Alzò pigramente un braccio, che lasciò piegato contro il suo petto per potergli accarezzare piano il viso con la punta delle dita. Chissà, pensava John, chissà se anche lei stava immaginando la stessa cosa. Se anche lei si stava figurando una vita assieme a lui, quei piccoli momenti così quotidiani da passare inosservati ma che godevano di un'importanza fondamentale. Chissà se anche il suo cuore stava battendo così forte, se anche lei stava resistendo all'impulso di dimenticare ogni traccia di buonsenso e concedersi a lui così come lui voleva concedersi a lei.
Contro quello che ogni fibra del suo corpo gli stava urlando, decise di lasciarla libera di andare in bagno. Impiegò lo stesso qualche istante ad alzarsi, troppo comoda tra le lenzuola e premuta contro il corpo di John. Quando finalmente lasciò il letto, il medico la osservò entrare in bagno e distolse lo sguardo solo quando la porta si chiuse. Allora si poggiò un braccio sugli occhi e soffiò via tutta l'aria dai polmoni.

"Idiota di uno scemo..." borbottò tra sé e sé.

Appoggiò l'altra mano sul petto, dove sentiva ancora il cuore battere all'impazzata, come succedeva sempre quando si separavano. Quella era stata la notte migliore della sua vita, quella in cui aveva dormito meglio. Non aveva sognato, era stato un lungo e profondo sonno ristoratore che non faceva da anni, da prima che andasse in guerra. Anzi, da prima che iniziasse l'addestramento. Nemmeno Sherlock che suonava il violino, i casi che risolveva con lui o la convivenza con Mary lo avevano mai rilassato tanto. Ma con lei... Era come se fosse una sorta di medicina. Un'ancora di salvezza che gli permetteva di non affogare nelle sue paure e nei ricordi peggiori.
Si alzò dal letto e si passò una mano sul collo. Sospirò, dandosi per l'ennesima volta dell'idiota per tutto quello che era successo, per aver permesso che succedesse. Ma gli bastò guardarla uscire dal bagno sorridente con la maglietta di Sherlock che la copriva solo fino a metà coscia, per scacciare tutti quei pensieri e ricambiare il sorriso. Allungò un braccio nella sua direzione e lei accolse l'invito, stringendosi al suo fianco.

"Buongiorno. Non ti sono stata troppo addosso questa notte, vero?" gli chiese. John scosse la testa e lei ridacchiò. "Meno male! Dave non si lamenta se non fa troppo caldo, ma quando è capitato con Leslie mi ha rotto le scatole per mesi!"

John rise a quell'immagine, sebbene non conoscesse il suo migliore amico. Lei gliene aveva parlato con l'intimità e la complicità tipiche di chi si conosce da anni. Gli aveva raccontato che si erano conosciuti all'asilo, proprio il primo giorno, e non si erano mai lasciati andare. Solo alle scuole elementari non potevano stare assieme ogni giorno, perché i genitori avevano scelto istituti diversi, ma quando potevano erano uno in compagnia dell'altra. Avevano condiviso così tanto che ormai erano come fratello e sorella, si prendevano in giro ma si volevano un gran bene. John vedeva che a Charlotte mancava il suo amico, ma era anche contenta e incredibilmente fiera del percorso che stava facendo che, testualmente, 'lo avrei mandato a Parigi a calci se solo ci avesse ripensato'.
John non aveva mai avuto amici così. Da ragazzo non si era mai disturbato a stringere amicizie durature, la sua idea era quella di arruolarsi nell'esercito per seguire le orme di suo padre. Una parte di lui pensava di lasciarci la pelle là, in mezzo alla sporcizia e alla polvere, in un posto dimenticato da Dio. Per questo motivo non credeva di potersi permettere rapporti a lungo termine. Neanche con Sherlock c'era quel tipo di rapporto, nonostante fosse il suo migliore amico. Forse, pensava John, quel legame era possibile solo tra i più giovani. Tra adolescenti e giovani adulti, quando le persone sono ancora a metà tra la spensieratezza della giovinezza e le responsabilità dell'età adulta. O forse semplicemente dipendeva dalle persone, dal modo in cui era nata l'amicizia, da cosa ci si aspetta gli uni dagli altri.

Le lasciò un bacio sulla sommità della testa e aprì la porta. La sospinse appena per invitarla a scendere le scale prima di lui. La seguì, osservando i suoi capelli ondeggiare ad ogni passo. Sembrava una persona diversa da quella della sera prima. Certo, aveva sempre quell'aspetto malato, poteva contare le ossa che costituivano il suo impianto scheletrico, ma gli occhi erano più vivi, più luminosi. Sorrideva e aveva riacquistato quel piglio allegro e vitale nella voce che lo aveva colpito sin dal primo istante. Anche il suo passo era tornato ad essere più baldanzoso e quasi saltellante, molto simile a quello di un gatto di buonumore, ben in contrasto con quello pesante e mesto della sera prima.
La lasciò entrare in cucina e la seguì appena dietro, notando che Sherlock era già seduto al tavolo con una tazza di the fumante davanti. Il moro alzò la testa e aggrottò le sopracciglia, guardandoli come se stesse cercando di collegare gli indizi. John non riuscì a nascondere un sorriso divertito mentre si accomodava a tavola. Seguì con lo sguardo Charlotte che faceva il giro per avvicinarsi ai fornelli, dove era appoggiato il bollitore vuoto. Prima di riempirlo, però, si fermò dietro Sherlock e gli prese la testa tra le mani, dandogli un bacio proprio in mezzo ai capelli.

"Ferma il cricetino, zietto. Non è successo nulla, abbiamo solo dormito." gli diede un colpetto con le dita sulla nuca e si girò per fare il the.

Riempì due tazze, una per sé e una per John, e si sedette vicina al medico. Mescolò piano, guardando il the verde colorare gradualmente l'acqua e il miele sciogliersi. Vide sul tavolo anche un sacchettino di carta da cui poteva sentire il profumo di croissant freschi di pasticceria. Il suo stomaco brontolò prepotente, reclamava quel poco di cibo necessario per continuare a vivere. Ma nel cervello sentì quella spinta a trattenersi, come una morsa che le teneva stretta la mano e le impediva di prendere qualcosa. Strinse appena di più le dita sulla tazza per distogliere l'attenzione, così da non sentire i morsi della fame e le voci che la trattenevano.

"Facciamo a metà, che dici?" le sussurrò John all'orecchio.

L'odore dolce della pasta le raggiunse le narici nel momento in cui il medico la tirò fuori. Charlotte girò appena la testa, incrociando il suo sguardo. Lui la guardava incoraggiante, con un sorriso sulle labbra che la invitava ad accettare la sua proposta. Non c'era traccia di giudizio o pietà in quegli occhi, le stava semplicemente offrendo una porzione di dolce. Strinse le labbra e annuì piano, poco convinta ma decisa a non deluderlo e a provare davvero a migliorare.
John allora separò il cornetto più o meno a metà, facendo attenzione a non far cadere la crema al latte sul tavolo. Le porse poi la metà più piccola, che lei accettò con qualche remora. Con un grosso respiro diede un morso minuscolo al croissant. Subito il sapore del burro dell'impasto le rivestì la lingua, seguito dal dolce ricco della crema. In risposta il suo stomaco brontolò per la fame e la disabitudine a mangiare qualcosa di sostanzioso.
Si chiese se fosse stato Sherlock ad uscire prima per acquistare la colazione. Ma le bastò una veloce occhiata oltre la porta, da dove si intravedeva il salotto scuro e incasinato, per capire che non era così. In piedi tra il tavolo e la poltrona c'erano infatti due valigie di plastica dura, una color ocra e una di un rosa polveroso. Erano le sue valigie e vederle lì significava una sola cosa: Mycroft era stato a Baker Street e non aveva neanche voluto vederla. Sentì lo stomaco contrarsi in una morsa dolorosa a quel pensiero. Sapeva che era colpa sua se non voleva più vederla, se non la voleva più in casa con lui.

"Non è come pensi." esordì Sherlock. Bevve un sorso di the mentre la ragazza si girava a guardarlo. "Ha immaginato volessi stare qui per un po'. Ha detto che puoi tornare quando vuoi, anche oggi stesso." si alzò e mise la tazza vuota nel lavandino. "Ma non vuole costringerti. Scegli tu. Qui sei sempre la benvenuta, lo sai." le sorrise e le strinse una spalla prima di uscire dalla cucina.

Charlotte accennò un piccolo sorriso e sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Non sapeva cosa fare, se rimanere o tornare a casa. Rimase qualche istante al tavolo a pensare anche quando John se ne fu andato, poi sospirò e si alzò. Forse le avrebbe fatto bene rimanere lì per un po', lontana da tutti i pensieri che le avevano affollato la testa in quegli ultimi giorni.
Si alzò, recuperò una delle due valigie e la trascinò a fatica al piano di sopra.

I giorni successivi furono, con stupore di tutti, tranquilli. Il giorno e la notte si susseguivano senza particolari intoppi, rincorrendosi in un gioco di caccia alla volpe senza fine. Né Sherlock né John trattavano Charlotte con i guanti di velluto ma si comportarono con naturalezza e normalità. Questo alla ragazza non dispiaceva, la faceva sentire meno sotto i riflettori e l'aiutava a rilassarsi. Era riuscita anche a mangiare qualcosa in quei giorni e aveva ripreso in mano i libri dell'università che Mycroft si era premurato di farle avere nei bagagli che le aveva portato.
Ma il suo momento preferito era la sera, quando stavano tutti e tre in salotto. Spesso guardavano la televisione, sebbene Sherlock si lamentasse della prevedibilità di qualsiasi prodotto. Non c'era serie o film che non avessero chiuso in corsa perché il detective aveva indovinato subito la conclusione. Riuscivano a vedere solo Doctor Who dopo averlo minacciato di rompergli il violino se solo avesse osato fiatare - John dovette ammettere di aver trovato estremamente divertente quella piccola ritorsione e lo sguardo quasi scandalizzato di Sherlock. Quello e Twin Peaks che, seppure di malavoglia, aveva affascinato anche Sherlock. Charlotte era ripartita dalla prima puntata, che John aveva riguardato volentieri mentre teneva sotto controllo con la coda dell'occhio le reazioni dell'amico. Dissimulava, faceva finta di niente, ma riusciva a notare che finalmente avevano trovato un prodotto mediatico che neanche il grande Sherlock Holmes era capace di capire del tutto da subito.
Anche Charlotte era riuscita a percepire l'interesse dello zio verso la sua serie preferita e non poté fare a meno di sentirsi soddisfatta. Per una volta era rimasto senza parole, era stato quasi battuto da una persona che non lo aveva mai neanche visto e che di sicuro non stava pensando a lui.
Erano diverse le occasioni, inoltre, in cui si addormentava sulla spalla di John. Quando accadeva, il medico era solito stare fermo, sistemarsi solo per farla stare comoda e poi prenderla in braccio per portarla a letto. La prima volta non se lo aspettava. Stavano guardando uno stupido quiz televisivo mentre Sherlock aggiornava il suo sito. Quando sentì un leggero peso sulla spalla, non ci fece caso. A volte si appoggiava perché era scomoda, non era capace di stare ferma e ogni cinque minuti cambiava posizione sul divano. Ma i cinque minuti passarono, e poi dieci e poi quindici e lei non si era mossa. Aveva allora allungato appena il collo per controllare che stesse bene e la vide dormire beata, le labbra appena separate e le palpebre a celare i suoi occhi. Girò la testa, allora, e nascose un sorriso dietro la mano. Rimase per qualche minuto così, a far finta di guardare la televisione mentre in realtà sbirciava la ragazza con la coda dell'occhio. Ad un certo punto, però, si era deciso ad alzarsi e portarla a letto, così che potesse stare comoda e dormire tranquilla.

"Dovresti stare più attento." gli aveva detto Sherlock quando era tornato in salotto. Ma John aveva accolto quel commento con una scrollata di spalle.

Già, il medico doveva stare attento. Entrambi dovevano stare attenti, quella pace poteva essere interrotta da un momento all'altro. Era proprio il campanello d'allarme che accompagnava Sherlock quel giorno mentre tornava a casa. John era a lavoro e Charlotte era rimasta in camera a studiare. Ma Sherlock sentiva un pizzicore alla base del collo che lo faceva sentire a disagio.
Salì le scale che separavano l'ingresso dal suo appartamento e si fermò prima di entrare. Guardò per qualche istante la seconda rampa di scale, quella che portava alla camera che una volta era di John e ora era occupata da sua nipote. La porta era chiusa, proprio come quando era uscito qualche ora prima. Aggrottò appena le sopracciglia.

"Lotte? Stai studiando?" chiese ad alta voce, ma non ottenne risposta. Non era così strano, di solito studiava con le cuffie nelle orecchie e la musica alta.

Era una situazione normale, altre volte l'avevano chiamata e non aveva risposto per quel motivo. Non c'era da preoccuparsi, si era solo isolata dal mondo.

Salì le scale.

"Lotte?" provò a voce ancora più alta, bussando alla porta. Nessuna risposta.

Chiuse le dita attorno alla maniglia. Sapeva cosa avrebbe visto. Lo sapeva dal primo momento in cui aveva messo piede in casa ma la parte emotiva aveva avuto la meglio. Quella parte che cercava di allontanare sempre, che voleva mettere a tacere ma che si palesava ancora troppo spesso.

Prese il cellulare e aprì i messaggi. Inviò un veloce SMS a John in cui gli comunicava di tornare subito a Baker Street.

Si avvicinò al letto vuoto e prese in mano la rosa nera lasciata a riposare con i petali sul cuscino. Li sfiorò con la punta delle dita, sentendone la consistenza fresca e liscia. Dalle cuffie collegate al walkman abbandonato sul copriletto si sentiva la voce attutita di un giovanissimo David Bowie che continuava a ripetere, quasi come in una preghiera, Dio sa che sono una brava persona, Dio potrebbe guardare dall'altra parte oggi.

La risposta di John non si fece attendere molto. Sono a lavoro, Sherlock, non posso. Il detective sollevò leggermente un angolo della bocca. Se lo aspettava, aveva previsto quella risposta. Prese in mano la busta bianca e la aprì. Ne tirò fuori gli ultimi spartiti di quella caccia al tesoro.

Adesso. BOB è stato qui.

Note

Gente, gente, non uccidetemi. Lo so, sono in ritardissimo, mi spiace un sacco! Non so per quale motivo, ma mi sono incartata con questo capitolo e niente, è arrivato super in ritardo. E non ne sono neanche particolarmente soddisfatta ma ehi... Non potevo farvi aspettare ancora 😅 Siate clementi! E sappiate che ci stiamo avvicinando alla fine, già dal prossimo si avranno delle risposte fondamentali!

Se siete curiosi, la canzone di David Bowie citata è God knows I'm good dall'album Space Oddity. Non è una di quelle più famose, ma se vi va dateci un ascolto perché è un prodotto giovanile di Bowie che merita abbastanza, soprattutto per il testo.

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