Capitolo 14

{15.04.2006, Oxford}

Erano passati un paio di mesi circa da quando avevano trovato il corpo del reverendo Valence nella chiesa di St. Cecilia's. Non vi erano state apparizioni dell'assassino, nessun altro omicidio in questo lasso di tempo. Questo aveva dato tempo a Sherlock e John di indagare meglio su Charles Augustus Magnussen, l'unico uomo capace di far tremare Mycroft. Erano riusciti ad infiltrarsi nella sua base, erano così vicini a risolvere il caso ma erano stati costretti alla ritirata perché Sherlock si era trovato con una pallottola nello stomaco. Per fortuna non fu un colpo mortale, ma gli avrebbe assicurato una lunga degenza in ospedale sotto morfina e stretto controllo medico, soprattutto a causa della sua volontà di uscire dalla stanza quando era ancora troppo debole per camminare. John aveva provato più di una volta a farsi dire chi fosse stato, ma Sherlock era rimasto sempre vago. Diceva di non aver visto nessuno in faccia, di essere stato colto di sorpresa. Una parte di John non ci credeva, dopotutto la ferita era sull'addome e quindi fronteggiava il misterioso pistolero, ma non voleva insistere oltre. Sapeva che non avrebbe cavato un ragno dal buco e avrebbe solo rischiato di peggiorare la situazione, aggravando le sue condizioni o portandolo ad aumentare all'inverosimile la dose di morfina tanto che sarebbe stato incapace di parlare.

Erano passati due mesi anche da quella serata proibita che John e Charlotte avevano condiviso. Non avevano smesso di sentirsi via messaggio, erano troppo intrecciati nel tessuto vitale l'uno dell'altra per ignorarsi. Ma di comune accordo, senza neanche dirsi niente, avevano deciso di diminuire quella corrispondenza. Non si sentivano più tutti i giorni e la maggior parte delle volte era davvero solo per sapere come stessero andando le indagini e se stessero tutti bene. Entrambi vedevano quel piccolo allontanamento come un segno della loro volontà a dimenticare l'errore di quella sera, ad impegnarsi meglio nelle loro storie attuali e cercare di farle funzionare. Questo valeva per John, per lo meno, dato che aveva la fortuna di vivere con la sua dolce metà, mentre Charlotte passava ogni giorno a chiedersi come stesse David e ogni notte a tremare dalla paura che non facesse ritorno.
L'unico momento in cui risentirono la voce l'uno dell'altra fu proprio uno degli ultimi giorni di marzo. Lo stesso giorno in cui John aveva pensato di perdere il suo migliore amico nell'ufficio di Magnussen, in cui si era visto le dita sporche del suo sangue mentre gli teneva premuta la ferita e, con mano tremante, chiamava l'ambulanza.

Era riuscito, senza problemi, ad accorgersi che il proiettile era ancora dentro e avrebbe avuto bisogno di un'operazione. Non aveva potuto però farsi un'idea più accurata, in parte perché Sherlock era mentalmente assente e in parte perché i paramedici erano arrivati prima che lui potesse studiare la situazione. Lo aveva seguito in ambulanza, scambiando due parole con i soccorritori riguardo le sue condizioni - sono un medico, so quello che dico - e rivolgendosi direttamente a lui per ricordargli che doveva lottare e che lui era Sherlock Holmes, dannazione! Non poteva andarsene così, cosa avrebbero pensato tutti?
Arrivati in ospedale, il detective venne portato in fretta e furia in sala operatoria mentre John rimase fuori. Chiamò subito Mary, sapendo che anche lei si sarebbe preoccupata per la situazione. Avevano legato molto, lei e Sherlock, a volte sembrava che la preferisse a lui. Era irritato da quel legame a cui non sapeva dare una motivazione valida (insomma, con Charlotte si era abituato ormai, era sua nipote ed era ovvio che l'avrebbe sempre preferita a chiunque, ma Mary la conosceva da molto meno tempo) e si sentiva ogni giorno sempre di più da parte.
Avvisò anche Mycroft per correttezza ma non si aspettava una risposta, era convinto che lo sapesse già. Esitò prima di scrivere anche a Charlotte. Non fu per imbarazzo o sensi di colpa, questo era ben chiaro nella sua mente, aveva un sapore diverso in bocca. No, esitava perché non voleva farla preoccupare, perché voleva proteggerla dal male che quella notizia le avrebbe causato. Un piccolo sorrisetto gli nacque spontaneo sulle labbra. Ci era caduto anche lui, alla fine. Nonostante lo sapesse che non aveva bisogno di protezione, che le dava anche parecchio fastidio essere trattata come un oggettino fragile, aveva comunque pensato di tutelarla da qualcosa che poteva ferirla.

Le aveva mandato un messaggio, alla fine. Un messaggio semplice, senza troppi fronzoli e che la informava di dove si trovava suo zio e che comunque stava bene.
Tempo mezzo minuto e subito il cellulare di John aveva preso a vibrare e suonare e lui si lasciò sfuggire un sorrisetto. Rispose alla chiamata di Charlotte, sentendo subito la sua voce allarmata e preoccupata uscire veloce e squillante dalla cornetta.
Tentò di tranquillizzarla, di dirle che Sherlock stava bene, ma lei non volle sentire ragioni e John fu costretto ad entrare nella sua stanza e passarglielo. Rimase quindi ad osservare Sherlock parlare al telefono con la ragazza per almeno tre quarti d'ora, a dirle che stava bene e che doveva smetterla di preoccuparsi così tanto. Ma poteva notare che gli faceva piacere, in fondo. Aveva gli angoli delle labbra sollevati leggermente in un flebile sorriso, i suoi occhi azzurri brillavano appena e gli illuminavano il volto reso ancora più pallido dalle sue condizioni. Aveva una dolcezza nella voce che gli era capitato di sentire raramente, quasi mai anzi, e all'incirca sempre diretta solo a lei.
Aveva pensato, John, che non gli era mai capitato di vedere due persone amarsi così tanto. Lui di certo non aveva avuto nessuno che lo aveva amato in quel modo, neanche sua sorella o, per assurdo, sua moglie. Chissà, si chiese, se si sarebbero trovati anche se lei non fosse stata adottata da Mycroft. E chissà se questa naturale chimica avrebbe portato ad altro, se ci sarebbe stata lei al suo posto ad accompagnarlo nei suoi casi, a fargli da spalla.

Quando finalmente Charlotte fu soddisfatta e chiuse la chiamata, John si avvicinò al letto del detective per recuperare il telefono. Da vicino si vedeva ancora di più quanto fosse bisognoso di riposo e recupero. La pelle era talmente chiara da confondersi con le lenzuola e la vestaglia e faceva risaltare il nero corvino dei suoi capelli. Gli occhi erano leggermente cerchiati di rosso e il respiro appena affannato, ma i valori erano buoni e stabili. Prese il cellulare, sfiorandogli per sbaglio le dita e sentendo quanto la sua pelle fosse fredda.

"Ci saresti stato comunque tu." disse Sherlock, appena prima che John uscisse dalla porta.

Il medico si fermò un attimo sulla soglia e sorrise. Aveva capito quello che stava pensando, come sempre dopotutto, e per una volta aveva detto la cosa giusta. Senza dire nulla, poiché sapeva che qualsiasi parola sarebbe stata superflua, riprese a camminare e tornò da Mary.

I giorni successivi passarono lenti e noiosi. Sherlock era rimasto in ospedale, aveva avuto modo di parlare con Janine e avevano scoperto entrambi che si erano usati a vicenda. Si erano quindi detti addio senza rancore e con una piccola risata. John cercava in tutti i modi di far funzionare le cose con Mary, ma sembravano allontanarsi sempre di più e si era trovato diverse volte a guardare il contatto di Charlotte sul telefono pensando se chiamarla oppure no. Con lei si trovava bene, era a suo agio e si sentiva importante, ascoltato e capito.

Quando la mattina del quindici aprile nacque, prometteva di essere una giornata come tante altre. C'era chi si svegliava, faceva una colazione veloce e si dirigeva in chiesa con il suo vestito migliore. Per Amber Rostell, ad Abingdon-on-Thames, la domenica mattina era motivo di festa e si presentava sempre almeno mezz'ora prima dell'inizio della messa per aiutare. Ma ora che padre Valence era morto, sepolto nel camposanto di fianco alla chiesa, entrava nell'edificio sacro solo pochi minuti prima, si sedeva sulla panca a testa bassa e seguiva la cerimonia senza particolare entusiasmo. Il nuovo prete non era malvagio, aveva provato anche a risollevarle il morale dandole una pacca sulla spalla ogni tanto e coinvolgendola nelle sue decisioni e attività, ma non era Valence. Non aveva la sua vitalità, il suo modo di parlare.

Anche Oxford cominciava ad animarsi in quella domenica di primavera. Le temperature cominciavano a farsi più miti e il tempo più clemente, tanto che in molti ne approfittavano per fare piccole gite fuori porta oppure un pic nic nel parco. Giornate come quella erano apprezzate soprattutto dagli studenti che, dopo una settimana rinchiusi in università a seguire le lezioni e in casa a studiare, non vedevano l'ora di sfruttare del tempo libero per svagarsi e divertirsi con gli amici.
Non era però una domenica mattina qualunque a Oxford. L'agitazione che si vedeva per le strade non era infatti data dal timido sole che si faceva intravedere e la voglia di divertirsi. Se si prestava orecchio ai discorsi di tutti coloro che calpestavano l'asfalto con passi svelti e pesanti, si sarebbe compreso immediatamente che era stato commesso un omicidio. Le voci corrono rapide e lisce quando si tratta di eventi del genere, causando in tutti coloro che vi sono vicini un misto di orrore ed eccitazione nel petto che li portava a voler sapere di più.

Charlotte aveva saputo di quell'assassinio alle 7.40 di mattina. Era ancora nel letto, la mente persa nel dolce oblio del sonno, quando il suo cellulare squillò. Non si prese la briga di guardare il mittente della telefonata, rispose con la voce impastata. Dall'altro capo della cornetta si sentì rispondere con una piccola risata imbarazzata e una scusa. Disse di essere l'agente Andrew Partridge e le ci volle qualche secondo per collegare il nome ad un volto. Lo aveva contattato qualche settimana prima per sapere se gli esami patologici avessero rivelato altre informazioni sul cadavere del signor Valence. Avevano passato poi del tempo a chiacchierare, mandandosi qualche messaggio ogni tanto, e avevano scoperto di avere molte cose in comune. Erano diventati amici quasi come succede con i bambini, molto semplicemente e senza neanche accorgersene. Andrew era simpatico, una persona di là fuori che riusciva a farla sentire a suo agio e anche a strapparle una piccola risata occasionale.
La telefonata di quella mattina non era stata di cortesia, tuttavia, ma di affari. Era stato ritrovato il corpo di un professore di storia nel suo ufficio. Il suo assistente aveva provato a contattarlo da qualche giorno senza ricevere risposta e, circa una mezz'oretta prima, era andato davanti alla sua porta per capire se magari si trovava lì. Lo studio era però chiuso a chiave e si sentiva un odore spiacevole permeare dalle fessure dello stipite. Il ragazzo aveva allora chiamato la polizia, che aveva sfondato la porta e trovato il corpo del professore impiccato dietro la sua scrivania.

Mentre il poliziotto parlava ancora e le diceva che le avrebbe mandato i dettagli via SMS, Charlotte si era alzata e aveva radunato i primi vestiti comodi che aveva trovato. Chiuse la comunicazione dopo avergli assicurato che sarebbe stata lì in poco tempo e che avrebbe avuto anche Sherlock Holmes con sé. Si lavò e vestì alla velocità della luce, uscendo di casa dopo pochissimi minuti. Chiamò immediatamente suo zio, che le rispose con un mugugno assonnato e impastato dalla morfina.

"Alzati e splendi, tesoro. È una giornata meravigliosa e c'è un nuovo omicidio per te!" esclamò, evitando all'ultimo un gruppetto di ragazzi che si dirigevano verso il polo degli studi storici.

"Non posso muovermi, lo sai." replicò, facendo seguire alle sue parole un sonoro sbadiglio.

"L'ospedale ti fa molto male, zietto. Ci sto andando io, tu mi segui col telefono. La vittima è un professore di storia, Thomas Lacrosse. Lo ha trovato questa mattina il suo assistente, un certo Jeff Galliano, preoccupato perché non gli rispondeva al telefono da qualche giorno. Non so molto altro, l'agente Partridge mi ha solo detto di andare lì il più velocemente possibile." lo anticipò, sapendo che le avrebbe chiesto almeno quelle prime informazioni. Percepì le labbra di Sherlock piegarsi in un sorriso, ogni traccia di sonno ormai scomparsa.

"Fai attenzione, va bene? L'altra volta c'ero io, questa volta sei da sola. Se dovessi farti del male, non me lo perdonerei."

Charlotte ridacchiò, divertita da quel dolce ammonimento.

"Diventi molto docile con la morfina, forse dovrei portarne sempre un po' con me." sentì anche lo zio ridere a quella battuta, poi la ragazza sospirò. "Ascolta, non mentirmi. Chi ti ha sparato?"

Sherlock si irrigidì nel suo letto d'ospedale. Charlotte lo sentì trattenere il respiro per un secondo e udì il bip dell'elettrocardiogramma farsi appena più veloce.

"Non lo so. Non l'ho vista in faccia".

Bugia.

Tutto in quella risposta le urlava che stava mentendo, che stava ancora nascondendo la verità. Fece un altro sospiro, questa volta leggermente più irritato di prima.

"Mi stai mentendo. Ti hanno sparato da davanti, quindi hai visto chi era, a meno che non avesse una maschera. Ma ti ricordo che sei in ospedale, ogni cambiamento dei tuoi valori si sente... E l'elettrocardiogramma mi dice che hai il battito accelerato. Poi ti sei tradito, hai detto che non l'hai vista." si mordicchiò il labbro inferiore, strappandosi le pellicine.

"Ti ho insegnato troppo bene." borbottò Sherlock, dando un'occhiata al monitor di fianco a lui. Dannazione, come aveva fatto a non pensare che quello lo avrebbe esposto? E come aveva permesso a quel lapsus di sfuggire al suo controllo?

Charlotte sorrise appena.

"Già... Chi è stato? Chi stai proteggendo?" chiese nuovamente, il tono basso.

Non vi fu risposta dall'altro capo della cornetta e Charlotte cominciò a passare mentalmente tutte le conoscenze di Sherlock. Non poteva essere stato John, lui non era il tipo. Escludeva anche la signora Hudson, suo padre e l'ispettore Lestrade, che dal paio di volte che lo aveva visto non le era sembrato un uomo in grado di ferire un amico. Le balenò un volto in mente. Dei capelli biondi mossi, due occhi azzurri gentili e sfuggenti, un sorriso enigmatico. Quella sensazione di avere a che fare con qualcuno che non diceva chi era veramente, una persona che aveva tanto da nascondere e ancora di più da perdere.

"Mary..." sussurrò e la sua voce incontrò nuovamente il silenzio. Seppe in quel modo che aveva ragione, che era stata lei e che Sherlock non voleva farle passare dei guai. "Sapevo che aveva qualcosa di strano."

"Non dirlo a John." il suo tono voleva sembrare perentorio, freddo come sempre, ma sembrava quasi più una supplica.

"Abbiamo tutti i nostri segreti..." mormorò in risposta, come per dirgli che poteva fidarsi di lei. Non avrebbe riferito nulla ad anima viva.

Si fermò davanti all'edificio del dipartimento di studi storici. Riuscì a sorpassare la folla e la barriera di poliziotti. Vide che Andrew l'aspettava all'entrata, quindi si avvicinò e lo seguì. Mise Sherlock in vivavoce mentre Partridge spiegava tutto quello che avevano potuto notare in quei pochi minuti. Percorsero due grandi e ampie rampe di scale di marmo e poi un corridoio lungo e buio, le pareti decorate da grandi ritratti che osservavano minacciosi chiunque mettesse piede lì dentro. Charlotte camminava sicura tra quelle mura, come se conoscesse a fondo l'edificio. Non che fosse strano, dopotutto gli stabili universitari finivano per assomigliarsi tutti dall'interno. I loro passi erano attutiti dalla moquette rossa che ricopriva tutto il pavimento e in lontananza si poteva sentire il parlottare degli agenti sulla scena del crimine. Giunsero quindi alla soglia dell'ufficio, il terzultimo prima della fine del corridoio, proprio di fianco al bagno, e Partridge la precedette all'interno per avvisare che Holmes era qui.
Quando Charlotte mise piede nello studio, la prima cosa che notò fu il perfetto ordine della stanza. Lo comunicò prontamente a Sherlock, come le aveva raccomandato di fare. Gli descrisse le due vaste pareti colme fino all'orlo di tomi storici, dai più recenti ai più antichi dalle copertine che parevano sgretolarsi solo con lo sguardo. C'era anche un reparto dedicato alle tesi di tutti gli studenti che avevano concluso gli studi assieme a lui, in bella mostra in ordine cronologico come se fosse più fiero lui del lavoro dei suoi pupilli che loro stessi. In fondo, direttamente di fronte alla porta, c'era una grande finestra che dava sui tetti delle villette circostanti, abbastanza in alto perché nessuno potesse vedere cosa succedeva lì dentro. A completare l'arredamento vi era un'imponente scrivania di mogano con intarsi dorati, massiccia ed elegante, su cui era poggiato con cura un computer non di ultima generazione ma nemmeno troppo obsoleto, e diversi libri e fogli su cui il professore stava lavorando. Due sedie imbottite stavano dalla parte dei possibili visitatori, mentre dall'altra parte troneggiava una poltrona girevole rosso scuro. Al di sopra, pendeva il corpo del fu professor Lacrosse, retto da una corda appesa ad una trave.

"Credevo ci avresti portato Sherlock Holmes, non una biondina!" esclamò sprezzante l'uomo a cui Partridge era andato a riferire del loro arrivo.

Andrew impallidì talmente tanto che le sue lentiggini spiccavano come segni di tempera su una tela bianca. Charlotte ammutolì all'istante e rimase immobile, il cuore che aveva smesso di battere per qualche istante. Anche Sherlock aveva trattenuto il respiro, probabilmente aveva ritenuto opportuno evitare di fiatare prima di peggiorare la situazione.
La ragazza decise allora di girarsi ed osservò l'ispettore in questione. Indossava un bolero blu scuro su un paio di pantaloni sgualciti dello stesso colore e delle scarpe rovinate. Passò lo sguardo su tutta la sua figura, dalla curva della sua pancia alle guance flaccide e i corti capelli brizzolati. Fece una piccola smorfia e si avvicinò, puntando lo sguardo nei suoi occhi acquosi.

"Sherlock Holmes non è potuto venire di persona, ma ha mandato l'unica persona che può sostituirlo. Glielo chieda se non è così, tanto è in linea." allungò la mano che teneva il cellulare, così da permettergli di parlare. L'uomo sogghignò e passò lo sguardo dall'oggetto al volto della ragazza.

"Non è un posto adatto ai bambini, questo."

"Infatti non ne ho portati con me, ispettore Garret." rispose Charlotte con un sorrisetto, appena dopo aver dato un'occhiata al distintivo. "E smetta di mangiare ciambelle e carne rossa come se non ci fosse un domani. Certo, se non vuole avere un infarto a circa cinquant'anni." diede una veloce occhiata ad Andrew, che sembrava sul punto di scavarsi una fossa per sparire dalla faccia della terra, e poi tornò a guardare Garret. "Oh, non faccia quella faccia. Sono una Holmes anche io, dopotutto. E sono sicura che sua moglie sarebbe molto felice se lei seguisse il mio consiglio."

Non aspettò neanche la risposta dell'ispettore e si voltò, avvicinandosi alla scrivania. Passò una mano sulla superficie liscia e trovò un punto dove appoggiare il telefono così da avere le mani libere.

"Sono vicina al corpo ora, zio." annunciò, infilandosi i guanti in lattice che uno degli agenti le aveva dato.

"Cosa puoi dirmi a riguardo?" appena la voce di Sherlock fu udita dagli altri, si sentirono dei piccoli movimenti di sorpresa tutti attorno. Forse non si aspettavano ci fosse per davvero Sherlock Holmes dall'altro capo del telefono.

Charlotte girò attorno al mobile e guardò meglio il corpo dal basso. Gli spostò la mano sinistra, passando le dita sotto quelle del cadavere e sul suo palmo. Toccò poi la stoffa dei suoi pantaloni, che odoravano di urina e sperma - tipico degli impiccati - e della sua giacca, guardò la fibbia della sua cintura e i lacci delle sue scarpe. Infilò le mani nelle tasche di quel completo elegante e di qualità, prendendo in mano ogni foglio che riusciva a trovare. Qualsiasi cosa potesse darle una mano.

"È morto impiccato, di questo sono sicura. Non ha lottato per la sua vita, le unghie sono pulite. Può sembrare un suicidio, ma non ne sono convinta... È una sensazione, mi capisci? È più come se... Fosse stato rassegnato." si mordicchiò il labbro. "Credo che conoscesse l'assassino. Non c'è niente fuori posto, nessun segno di lotta o di sorpresa. Anche i libri e i fogli sulla scrivania sono ordinati. E non ha cercato di salvarsi la vita, neanche per un istante."

"Per quale motivo? Tutti cercano di salvarsi, sperano che alla fine si riveli solo un grande scherzo. Ascoltalo, fattelo dire." le disse Sherlock, incoraggiandola a studiare meglio la scena.

"Non vedo come questo possa interessare." si intromise nuovamente Garret, ora in un angolo con uno sguardo truce.

"Ogni elemento può essere importante!" tuonò Holmes attraverso il telefono, tornando poi subito ad un tono più dolce. "Avanti, Lotte."

La ragazza rimase a guardare ancora qualche istante sia il corpo che la scrivania, poi alzò le sopracciglia.

"Era vedovo da poco. Sulla mano sinistra ha ancora il segno della fede, che aveva iniziato a portare al collo. Lei era tutta la sua vita e quando non c'è stata più... Neanche i suoi studenti hanno potuto aiutare." concluse, prendendo in mano dalla scrivania la fotografia di una donna dai capelli castani acconciati con una treccia e un sorriso sbarazzino in volto. "Per questo non ha lottato contro l'assassino, gli ha permesso di ucciderlo."

Rimase in silenzio appena finito di parlare. Cosa avrebbe fatto lei se David non fosse tornato? Se anche lei avesse dovuto vivere senza di lui, svegliarsi ogni giorno sapendo che non avrebbe rivisto più i suoi occhi? Chissà se la pensava uguale Jo- David! Era a David che stava pensando, non ad altri. Era lui che amava, che avrebbe sposato un giorno e con cui avrebbe avuto una famiglia. Era con David che voleva condividere la vita.

"Charlotte?" la voce gentile di Andrew la riscosse dai suoi pensieri. Aveva il respiro appena affannato, come se fosse stata colta in flagrante. Sorrise.

"Dimmi." rispose e si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

L'agente le fece segno di seguirlo e, dopo aver preso il cellulare, la portò davanti ad una mensola. Le indicò un punto preciso tra due tomi che parlavano dell'Inghilterra in epoca Tudor. Tirò fuori una busta di carta gialla, chiusa per bene e poco voluminosa.

"Mi sembrava fuori posto, ma non ho voluto dire niente a Garret. Credo interessi di più a voi due." affermò, posando la busta tra le mani di Charlotte.

Lei la aprì e tirò fuori i fogli contenuti all'interno. Sorrise vedendo i tetragrammi e le note quadrate, quello stesso stile che l'aveva fatta impazzire un paio di mesi prima.

"Gli spartiti... Zio, è sempre l'assassino del caso di Laura Palmer e del prete." riferì, senza riuscire a nascondere il sollievo nel sapere che potevano continuare ad indagarci su.

"Una direttrice di banca, un prete e un docente universitario. Quale può essere il filo che collega queste vittime?" pensò a voce alta Sherlock.

"Magari si conoscono. Amici d'infanzia o qualcosa con le loro famiglie..." si azzardò a suggerire Andrew.

Charlotte si girò a guardarlo stupita e, per qualche secondo, anche Sherlock rimase in silenzio.

"Agente Partridge, questa è la cosa più intelligente che ho sentito dire da un poliziotto." affermò il detective, poco prima di sentire la porta della sua stanza d'ospedale che si apriva e preannunciava l'arrivo dell'infermiera per il solito giro di controlli. Chiuse quindi la chiamata in fretta e furia, quasi senza salutare.

"Era... un insulto mascherato da complimento?" chiese Andrew, sbuffando una risatina imbarazzata. Charlotte ridacchiò e scosse la testa.

"Oh, no! Quello era un vero complimento!" ridacchiò. "Ho bisogno Drew, che mi fai avere tutti quei fogli che ci sono sulla scrivania e il suo computer, è un problema?"

"No, affatto. Dovrò litigare un po' con Garret, ma... Non mi importa. Tanto è solo un sostituto, e poi mi sta anche antipatico!" le fece l'occhiolino e ridacchiò.

Infilò la busta in borsa e si sistemò il cappotto. Diede un'ultima occhiata alla stanza, al corpo che oscillava lentamente e a quel riflesso dai capelli rossi e gli occhi neri nella finestra che la osservava con un sorriso. Represse un brivido, raccomandò ad Andrew di raccogliere i campioni di qualsiasi cosa fosse presente così che potessero essere analizzati ed uscì quasi di corsa.
Solo una volta fuori, lontana dalla scena del crimine e da quello sguardo spaventoso, riuscì a respirare nuovamente.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top