- 22 - La chimera degli equivoci
Appena uscita dal teatro, Flavia si accese una sigaretta. Flavio aveva lo sguardo di chi avrebbe voluto strappargliela dalle mani, come se non concepisse nemmeno che, nelle sue condizioni, la prima cosa cui avesse pensato fosse mettersi a fumare. Tuttavia quando la vide riprendersi già alla prima boccata quello sguardo si fece più rilassato.
«Non abbiamo avuto modo di parlare molto, ultimamente» disse Flavio, «che te ne pare del primo anno di architettura?»
«Mi piace, è una cosa nuova» rispose Flavia, «però mi serviranno quelle lezioni di matematica. Non mi hai detto quanto ti fai pagare.»
«Scherzi? Da te niente... lo faccio con piacere!»
Flavia sorrise e pensò che avrebbe voluto avere un atteggiamento meno supino in passato. Ora che lo vedeva da fuori, le sembrava una caratteristica decisamente sgraziata. Quanto prima possibile, si prefisse, sarebbe stato bene cambiare un po' il suo modo di apparire.
Voleva che Cristina lo incontrasse, magari prima che si facesse avanti Franco. Ma non voleva che lo vedesse così imbranato e sciatto. Non avrebbe mai voluto fare brutta figura con Cristina e perciò ci teneva che anche Flavio facesse bella figura con lei. Soprattutto se sperava che potesse distrarla da Franco. Ci aveva pensato bene, Franco era senza dubbio la sua nemesi. Non fosse stato per lui, il terribile incidente di Valdaora non ci sarebbe mai stato.
Certo, sarebbe stato tutto più facile se Flavio si fosse sciolto un po'. Era ora di insegnargli a ballare. Se la faccenda del ballo era riuscita a lei, doveva per forza riuscire anche a lui. Atteggiamento, modo di vestire... Flavia pensò che ci fosse parecchio lavoro da fare.
«A me fa piacere pagarti.»
«Ma non posso... sei un'amica.»
«E tu sei un amico. Così come tu aiuti me, a me fa piacere aiutare te.»
«Non ce n'è bisogno.»
Flavia sapeva che non era vero. Se anche solo avesse voluto migliorare il suo guardaroba, sapeva che ce n'era invece un gran bisogno.
«E poi un'altra cosa... una sera devi assolutamente venire in discoteca con me.»
«Non sono tipo da discoteca...» si scusò imbarazzato Flavio. Flavia sapeva che avrebbe voluto dire di sì e approfittare di un appuntamento con maggiori opportunità per diventare più intimi, ma sapeva anche che il pensiero di farle vedere quanto fosse incapace in certi ambienti lo terrorizzava.
«Niente scuse» rise Flavia. «Dopotutto, io sono venuta qui, no?»
Gettò la sigaretta ancora a metà e cercò precipitosamente una mentina per togliersi il sapore disgustoso che sentiva in bocca.
Non stava ancora benissimo, ma per evitare lo svenimento poteva andare.
«Ti devo chiedere un favore, Flavio...»
«Certo.»
«Non mi sento proprio di guidare» disse porgendogli le chiavi. «Ti va di portarmi a casa?»
«Non saprei... è una macchina costosa, io non ho mai guidato prima» titubò Flavio.
Subito dopo gli venne in mente che fosse una scusa per invitarlo da lei e il cuore gli sobbalzò all'idea che dietro a quella richiesta ci potessero essere doppie intenzioni.
«Hai guidato all'esame della patente, no?» argomentò Flavia.
«Sì...»
«Forza allora! Non vuoi mica avermi sulla coscienza? Per strada ci fermiamo da qualche parte, ti offro la cena.»
Flavio si lasciò convincere da Flavia, mangiò qualcosa con lei, in imbarazzo per non aver sganciato un soldo in tutta la serata, e poi la portò a casa.
Scesi dall'auto, Flavia si scusò di avergli creato problemi. Prontamente, Flavio le disse che se si fosse sbrigato avrebbe fatto in tempo a prendere l'ultimo autobus. Una volta arrivato alla fermata, si disperò al pensiero di come sarebbero potute andare le cose, se solo non fosse stato tanto stupido da sembrare impaziente di tornarsene al proprio alloggio.
Anche Flavia si disperò: quel ragazzo era il riflesso esatto di quanto lei stessa era stata prima di affogare. Non riusciva a capacitarsi di quanto fosse stato imbranato a quei tempi e non nutriva grandi speranze di successo per un incontro tra Flavio e Cristina. Non in tempi rapidi. Di Franco fortunatamente ancora non si era vista l'ombra, ma non aveva idea di quanto sarebbe ancora tardata la sua comparsa.
Flavia diede la buona notte a quello che da cinque anni era diventato l'unico padre che avesse mai avuto, e andò a letto, portandosi una bibita ghiacciata presa dal frigo. La poggiò sul comodino e scaricò un buon libro elettronico da sfogliare nel suo tablet.
Pensò che tutte quelle comodità se le sarebbe meritate anche quando era stata Flavio. La consapevolezza che in quello stesso istante il Flavio che aveva appena salutato doveva arrangiarsi con molto di meno, il non poter dire neppure "il passato è passato", le rendeva difficile mettersi il cuore in pace.
Lo smartphone che aveva al fianco annunciò una chiamata di Cristina.
«Mi hanno dato il brevetto di volo!» annunciò euforica.
«Ehi, congratulazioni! Era questa allora la sorpresa di cui mi avevi parlato?»
«Non proprio» Cristina trattenne l'emozione. «Ma dove sei stata? Ti ho cercata tutta la serata.»
«Scusami, ero a teatro.»
«E con chi?» ridacchiò.
«Con Flavio, è il ragazzo di Statistica, ricordi?»
«Oh» Cristina cambiò tono di colpo. «E... com'è andata?»
«Una serata stupenda! Quel ragazzo è incredibile, sul serio» lo elogiò Flavia, che provava una sensazione alle soglie dell'auto-celebrazione. «Spero di potertelo presentare presto, è un tipo interessante, non immagineresti...»
«Bene... non vedo l'ora.»
Flavia notò la perdita di brillantezza nella voce di Cristina e temette di starla annoiando. Aveva ancora molto tempo nei mesi a venire per parlarle di Flavio e non volle forzare troppo gli eventi.
«...allora, questa sorpresa, di cosa si tratta?»
«Ma no, niente... sai, il brevetto. Più in là magari, un fine settimana possiamo fare un giro in aereo.»
Per quanto Cristina fosse in quel momento al centro dei suoi piani, Flavia era troppo impegnata nell'ordirli per capire quali fossero stati quelli dell'amica.
Il mattino seguente, Cristina fece due telefonate. La prima, per annullare la prenotazione di un aereo biposto con decollo da Roma; la seconda, per annullare la prenotazione di un tavolo per due in un ristorante sulla costa toscana.
Quasi controvoglia, lunedì si recò presto a colloquio con un professore nella sede universitaria di San Pietro in Vincoli, triennio della facoltà di Ingegneria. Facile e veloce. Incontro con il docente ricercatore, ritiro della documentazione sulla sua consulenza, proposta di nuova collaborazione, consegna delle istruzioni per il nuovo lavoro.
Le parve incredibile che quella fornace di menti e idee scientifiche e tecnologiche fosse una tale chimera architettonica, un ibrido, perennemente in ristrutturazione, tra un antico monastero e strutture modulari innestate in estensioni edili cementate le une sulle altre.
Cristina si sentì vulnerabile all'immediatezza delle apparenze. Non sapeva se era ingenuità o solo fretta di lanciarsi in speranze improbabili. Quella che aveva avuto su Flavia non le era sembrata, in tutti quegli anni, improbabile. Il suo modo di fare, i suoi sguardi... non si era mostrata, mai, interessata ai ragazzi. Ma in fondo, il mai dura soltanto finché non diventa un finora.
Cristina sorrise.
Stava dietro a un ragazzo. La sua amica Flavia...
In parte se l'era aspettato, l'aveva temuto. Le aveva detto di conoscere quel ragazzo da una vita...
Dall'ultimo piano della chimera architettonica, posta in cima a un colle, se non altro la vista era un incanto. Una palma che sfidando le leggi della fisica si era stiracchiata fino alle ultime finestre ad arco, proprio lì a un metro dai vetri, e poco più in là, il cuore di Roma: il Colosseo e parte dei Fori Imperiali, visti dall'alto.
Aveva voluto vedere quell'ultimo piano, trovarsi un angolino in un'aula deserta, prendersi un momento per immergersi di nuovo nei luoghi di studio che aveva da poco abbandonato e che Flavia stava scoprendo solo ora. Si disse che era stata egoista, avara con lei e con sé stessa a organizzare fantasie e programmi per entrambe, senza essersi mai decisa a porre le cose in chiaro o lasciarsi andare davvero. Portarla in un ristorantino toscano per farle una dichiarazione era stata un'idea che si era fatta venire troppo tardi... o forse era stata solo troppo ingenua.
Si reggeva la testa, stringendola tra le mani per strizzare fuori il rammarico e la delusione. Pensò che fosse ora di crescere, accantonare le fantasie e andare avanti, che avrebbe dovuto preoccuparsi dei ragazzi, come stava facendo Flavia. Magari il suo principe azzurro le si sarebbe presentato per uccidere la chimera proprio in quel momento. Non poteva farsi vedere così. Avrebbe rischiato di perdere un'altra occasione.
«Stai bene?» sentì chiedere alle proprie spalle.
Era una voce tiepida, sicura ma cordiale.
Cristina sollevò lo sguardo in un sussulto. Vide uno studente in tuta da ginnastica che la guardava in attesa di una risposta. Per un momento dubitò di lui e della sua cordialità, sospettando che cercasse solo una scusa per approcciarla.
«Scusami...» aggiunse il ragazzo «è che non hai un bell'aspetto.»
Ma no, pensò Cristina arrossendo, era chiaro che non gli interessava in quel senso, quel ragazzo doveva essere sinceramente preoccupato per lei. Piuttosto, temette di star facendo una brutta figura nel mostrarsi in quello stato e di non riuscire a rispondere in modo adeguato alla cortesia dello sconosciuto.
«Non ti preoccupare, mi riposavo solo qualche minuto» si giustificò con un sorriso imbarazzato.
«Sei nel banco che uso per studiare di solito...» disse il ragazzo mentre appoggiava libri e quaderni davanti a lei. «Di solito vengo qui per stare solo, ma se hai voglia di rimanere ancora un po', non mi dispiace avere un po' di compagnia... se è solo per qualche minuto.»
Dopotutto non aveva visto così sbagliato, pensò ancora Cristina. Quel ragazzo stava in qualche modo offrendole di socializzare. Eppure appariva così discreto, quasi distante. Non doveva essere molto più giovane di lei, anche se l'uniforme militare e la tuta da ginnastica accentuavano le differenze tra l'ufficiale e lo studente.
Ma sì, si disse, perché no... le sembrava qualcuno di cui fidarsi e le stava dando un piacevole senso di tranquillità, quasi fosse arrivato a salvarla dalla chimera.
«Grazie, sei gentile.»
«Ma di che!» sorrise lo studente mettendosi a sedere di fronte a lei. «Io mi chiamo Franco.»
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